L'articolo, dopo aver illustrato gli elementi che contraddistinguono la rappresentanza sostanziale e le diverse fattispecie in cui si scompone, si sofferma sulle figure patologiche e anomale di rappresentanza. Particolare attenzione viene dedicata alla più recente casistica giurisprudenziale in materia di rappresentanza apparente e mascherata.
Il fenomeno rappresentativo Gli atti che incidono sulla sfera giuridico-patrimoniale di una persona possono essere compiuti direttamente e personalmente dall'interessato, oppure da una persona diversa, che agisce in luogo del primo. È il fenomeno della sostituzione nell'attività giuridica, di cui costituisce figura paradigmatica la rappresentanza, caratterizzata dalla dissociazione (o non coincidenza) fra parte in senso formale del negozio giuridico (rappresentante), che manifesta la volontà negoziale, e parte in senso sostanziale del negozio giuridico (rappresentato), cui vengono imputati tutti gli effetti giuridici del negozio giuridico posto in essere dal rappresentante. Sotto tale profilo, non è rappresentante il c.d. nuntius, che è un semplice veicolo comunicativo di una volontà altrui, non essendo configurabile quella dualità soggettiva che caratterizza la struttura di ogni fenomeno rappresentativo. L'ordinamento giuridico si preoccupa, soprattutto, di: (i) offrire una nozione di rappresentanza sostanziale, cui è connaturata la stipulazione da parte di qualcuno di un negozio giuridico in nome e per conto di un altro (o per conto di chi spetta: arg. ex articolo 1513 e 1891 c.c.), nei confronti del quale si producono direttamente gli effetti del negozio; (ii) delimitare i confini dell'istituto della rappresentanza (che non è applicabile agli atti giuridici materiali e ai negozi giuridici c.d. personalissimi, come il testamento e il matrimonio); (iii) di individuare la fonte del potere rappresentativo (volontà dell'interessato o legge), nonché di prevedere determinati requisiti di forma e di opponibilità di una particolare fonte volontaria (la procura) e delle relative vicende; (iv) di dettare una disciplina dei requisiti di capacità, dei vizi del consenso e degli stati soggettivi rilevanti (attesa la scissione soggettiva fra chi manifesta la volontà negoziale e chi conferisce il potere rappresentativo); (v) di verificare e valutare – nella rappresentanza volontaria – se il ricorso all'istituto della rappresentanza sia frutto di una scelta del titolare del diritto di non compiere personalmente l'atto, ovvero se si versi in ipotesi di difetto, eccesso o abuso di potere rappresentativo da parte di chi abbia agito senza esserne legittimato (conflitto di interessi fra rappresentante e rappresentato, contratto con se stesso, falsa rappresentanza). Le fattispecie rappresentative Lo schema tipico della rappresentanza ruota intorno al fatto che un soggetto (rappresentante) agisce compiendo atti giuridici in nome e per conto di un altro (rappresentato). Se un soggetto agisce nell'interesse altrui, ma in nome proprio, si può configurare una rappresentanza indiretta (o impropria), che in alcuni casi dà luogo a un'efficacia diretta dell'atto in capo al soggetto la cui sfera giuridico-patrimoniale viene da altri modificata, purché sussista un obbligo, derivante dalla legge o da un contratto, di curare l'interesse altrui, come nella gestione di affari altrui, ovvero, rispettivamente, nel mandato senza rappresentanza. Nella prima ipotesi, è sufficiente che un soggetto capace di agire assume scientemente, senza esservi obbligato e senza che ci sia un divieto da parte del dominus, la gestione di uno o più affari di un altro soggetto che non è in grado di provvedervi. Nella seconda ipotesi, i beni mobili e i crediti acquistati dal mandatario cadono automaticamente nella titolarità del mandante, che può direttamente rivendicarli o, rispettivamente, esercitarli, mentre i beni immobili e i beni mobili registrati acquistati dal mandatario diventano di titolarità del mandante a seguito di un atto di ritrasferimento (dovuto da parte del mandatario e coercibile in forma specifica). Un'altra distinzione, che si basa sulla fonte da cui deriva il potere rappresentativo, è quella fra rappresentanza volontaria e rappresentanza legale, a seconda che il potere rappresentativo sia conferito dall'interessato (attraverso una procura o un contratto, ad esempio di mandato o di lavoro subordinato) a persona da questi prescelta, ovvero sia imposto dalla legge, che ne definisce la portata e ne individua direttamente o indirettamente il titolare, al fine di consentire a soggetti legalmente incapaci di agire o diversamente impediti (come la persona fisica scomparsa) il compimento di atti che altrimenti sarebbero loro preclusi. Tale distinzione, in realtà, riflette soprattutto una diversità di funzioni e di disciplina, tant'è che si ritiene che alcune disposizioni del Capo VI del Titolo II del Libro IV del Codice civile (come gli articolo articolo 1389 c.c., 1392 e 1394 e 1398) risultano inapplicabili alla rappresentanza legale. Patologie della rappresentanza: abuso del potere rappresentativo, falsa rappresentanza, rappresentanza apparente, rappresentanza mascherata Ogni forma di rappresentanza presuppone, quale condizione di esercizio del relativo potere, la cura dell'interesse altrui, mentre la rappresentanza diretta è caratterizzata da un'ulteriore condizione di esercizio, consistente nella spendita del nome del rappresentato. L'esercizio del potere rappresentativo in senso non conforme all'interesse di chi l'ha conferito (dominus negotii) può costituire indice di un conflitto di interessi diretto o indiretto fra rappresentante e rappresentato o, più in generale, di un abuso della rappresentanza, e può legittimare l'esperimento di rimedi invalidanti come l'annullamento del negozio giuridico posto in essere avvalendosi di un potere rappresentativo, se tale negozio comprometta gli interessi del rappresentato (v. articolo 1394 e 1395 c.c., nonché, in materia societaria, articolo 2475-ter c.c.). I vizi relativi al potere rappresentativo, derivanti dalla sua carenza, originaria o sopravvenuta (difetto di rappresentanza), ovvero dal superamento dei suoi limiti (eccesso di rappresentanza), possono rendere esperibili rimedi risarcitori da parte del terzo contraente (v. articolo 1398 c.c.) e comportare l'inefficacia del negozio giuridico concluso spendendo il nome altrui dal c.d. falsus procurator, salvo che intervenga una ratifica da parte del dominus negotii (v. articolo 1399 c.c.). L'attività consistente nel rendere ostensibile all'altro contraente l'identità del soggetto per cui si stipula o che stipula il contratto può dare luogo a ulteriori figure ‘anomale', non contemplate dalla legge, ma conosciute dalla giurisprudenza, quali la rappresentanza apparente e la rappresentanza mascherata. La rappresentanza apparente (di cui è una specie la rappresentanza c.d. tollerata: Cass. 2 marzo 2016, n. 4113; Cass., ord. 28 ottobre 2024, n. 27829) si ha quando un terzo abbia fatto incolpevole affidamento sulla qualità di rappresentante del soggetto che, nello stipulare con il primo il contratto, ha speso il nome di altri, sul presupposto che il rappresentato abbia colposamente ingenerato nel terzo la ragionevole convinzione che il potere rappresentativo fosse stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante (ex multis, da ultimo v. Cass. 26 settembre 2023, n. 27349; Trib. Pisa, 17 aprile 2023, n. 561; Trib. Milano, 18 novembre 2021, n. 9554; Trib. Perugia, 23 febbraio 2021, n. 293). In questi casi, l'operazione negoziale è valida ed efficace nei confronti del rappresentato, avendo questi dato causa alla situazione di apparente legittimazione del rappresentante, su cui il terzo ha senza colpa confidato. La rappresentanza mascherata si ha quando un contratto viene stipulato non in nome e per conto di altri, ma sotto nome altrui, utilizzando direttamente l'identità di un altro soggetto. Ad esempio, Tizio stipula con Sempronio un contratto presentandosi come Caio, il quale risulta così l'autore della dichiarazione contrattuale. In questa ipotesi, se Caio ha consentito, autorizzato o tollerato l'utilizzo del proprio nome da parte di Tizio, ingenerando in Sempronio il ragionevole affidamento che la propria controparte contrattuale sia Caio, sulla base di elementi oggettivi e univoci, ricorrono gli estremi della rappresentanza apparente. Se, invece, Caio è ignaro o contrario a che un altro concluda un contratto usurpando il suo nome, le soluzioni prospettabili in astratto sono tre: (1) sulla base del principio di affidamento e di autoresponsabilità, il contratto produce i suoi effetti fra chi (Tizio) si è mascherato sotto il nome di un altro (Caio) e la controparte contrattuale ignara (Sempronio); (2) il contratto è annullabile su istanza del contraente ignaro (Sempronio), se ricorrono i presupposti richiesti ai fini dell'annullamento per errore sull'identità dell'altro contraente; (3) il contratto è nullo, per mancanza di consenso del soggetto la cui identità è stata usurpata (Caio). La giurisprudenza ha in alcune occasioni sponsorizzato tale ultima soluzione, affermando che manca la volontà di assumere in proprio (sia pure in difetto dei corrispondenti poteri sostanziali) la paternità della dichiarazione negoziale, atteso che l'autore della dichiarazione apocrifa intende, indicando un nominativo altrui, che tale paternità risalga direttamente al soggetto corrispondente al nominativo indicato (Cass., ord. 26 novembre 2020, n. 27008; Cass. 5 febbraio 2024, n. 3265), mentre in altre occasioni ha ritenuto di applicare per analogia la disciplina del contratto concluso dal falsus procurator, ritenendo possibile il ricorso alla ratifica, anche tacita, ex articolo 1399 c.c. (Cass. 22 febbraio 2023, n. 5479; Trib. Savona, 2 dicembre 2021, n. 916; Trib. Napoli, 27 marzo 2023, n. 3201).