Accettare rapporti per allentare la tensione coniugale è una violenza sessuale

Si configura una violenza sessuale nei casi in cui il consenso del coniuge alla prestazione è frutto della necessità di allentare la tensione coniugale.

A finire sotto processo è un uomo, denunciato dalla moglie per l’incubo impostole tra le mura domestiche, caratterizzato da maltrattamenti e violenze sessuali. Il quadro probatorio è inequivocabile secondo i giudici di merito, i quali, ritenendo attendibili i racconti forniti dalla donna, condannano l’uomo per il reato di violenza sessuale e lo sanzionano con settantadue mesi di reclusione. In particolare, si legge: «con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ed in tempi diversi, abusando delle condizioni di inferiorità psichica della coniuge, condizioni consequenziali a condotte di maltrattamenti», oggetto di un differente procedimento penale, «e allo stato di sottomissione determinatosi in lei, la costringeva ad avere rapporti sessuali anche contro la sua volontà» e arrivando ad «ordinarle, allorquando la donna si rifiutava, di andare a dormire nella vasca da bagno». Assolutamente inutili le obiezioni sollevate in Cassazione dal difensore. Indiscutibile, difatti, anche per la Suprema Corte, la colpevolezza dell’uomo per violenza sessuale ai danni della moglie: «le condotte di violenza sessuale risultano intimamente connesse a quelle dei maltrattamenti accertate in separato procedimento», e «tali elementi fungono da riscontro delle dichiarazioni della persona offesa, al fine di delineare il contesto maltrattante e la realtà familiare in cui si sono verificati i fatti» oggetto del processo. Èemerso con chiarezza «il clima di vessazioni in cui viveva la famiglia all’epoca dei fatti», e ciò ha consentito di «contestualizzare il quadro fattuale circa l’avvenuta concretezza delle violenze sessuali» subite dalla donna e «necessariamente collegate, ma non coincidenti», precisano i giudici, «al contesto di sopraffazione consequenziale ai maltrattamenti» perpetrati nei suoi confronti dal marito. Impossibile, chiariscono, ipotizzare l’assorbimento delle condotte di maltrattamento in quelle di violenza sessuale. Ciò perché «il delitto di maltrattamenti è assorbito da quello di violenza sessuale soltanto quando vi è piena coincidenza tra le condotte, nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali ad essa, mentre vi è concorso tra i due reati in caso di autonomia anche parziale delle condotte, comprendenti anche atti ripetuti di percosse gratuite e ingiurie non circoscritte alla violenza o alla minaccia strumentale necessaria alla realizzazione della violenza». Evidente, infatti «la mancata coincidenza tra le due condotte, dal momento che i maltrattamenti lamentati dalla donna non erano strumentali esclusivamente alla violenza sessuale, ma assumevano contorni indipendenti sfociati in ripetute umiliazioni e violenze». Per quanto concerne, poi, il tema dell’attendibilità della persona offesa, «le dichiarazioni rese dalla donna sono risultate pienamente coerenti sui profili essenziali, analitiche nella ricostruzione del clima familiare e puntuali nella ricostruzione dei fatti. Dal narrato appare evidente come il consenso apparentemente manifestato» da lei «alle richieste di rapporti sessuali del coniuge risultasse viziato in radice e frutto della necessita di allentare le continue tensioni coniugali», sottolineano i magistrati. A corroborare questa visione, poi, anche le deposizioni dei figli della coppia, deposizioni che hanno certificato «il clima di intimidazione instaurato dal padre» tra le mura domestiche. Questi elementi hanno fatto emergere «l’opposizione della donna alle richieste sessuali del marito» e «il contesto di violenza e minaccia ambientali in cui venivano formulate quelle richieste».

Presidente Sarno - Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 31 gennaio 2024, la Corte di appello di Napoli ha confermato integralmente la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 17 novembre 2022, con la quale l'imputato era stato condannato alla pena di anni sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, al risarcimento del danno cagionato dalla costituita parte civile ed al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva, per il reato di cui agli articolo 81, secondo comma, e 609-bis, primo e secondo comma, n. 1), cod. pen., in alcuni casi nella forma tentata, perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ed in tempi diversi, abusando delle condizioni di inferiorità psichica della coniuge C.E., consequenziali a condotte di maltrattamenti, in relazione alle quali si è proceduto separatamente, e allo stato di sottomissione determinatosi nella predetta, costringeva la persona offesa ad avere rapporti sessuali anche contro la sua volontà ordinandole, allorquando la predetta si rifiutava, di andare a dormire nella vasca da bagno. 2. Avverso la sentenza l'imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano vizi della motivazione e la violazione degli articolo 609-bis, 605,533 e 535 cod. proc. pen., in relazione all'accertata responsabilità penale dell'imputato e alla valutazione di attendibilità della persona offesa. La Corte avrebbe basato il proprio giudizio su testimonianze meramente parziali, inidonee a riferire circostanze utili a comprovare la sussistenza dei reati, confondendo le vicende maltrattanti subite dalla persona offesa, già oggetto di separato giudizio, con i fatti di violenza sessuale. Non si sarebbero considerate, inoltre, le numerose contraddizioni nella versione accusatoria della persona offesa. 2.2. Con un secondo motivo di doglianza, si censurano vizi della motivazione in relazione all'omesso assorbimento delle condotte di maltrattamenti, già oggetto di separato giudizio, con quelle di violenza sessuale oggetto del presente procedimento. Secondo la prospettazione difensiva, la Corte, in violazione del principio del ne bis in idem, avrebbe omesso di considerare che il delitto di violenza sessuale continuata è speciale rispetto al generico reato di maltrattamenti e che, nel caso di specie, gli episodi narrati dalla persona offesa in sede di giudizio per maltrattamenti sarebbero gli stessi enunciati in sede di escussione testimoniale del presente procedimento. 2.3. Con un terzo motivo di censura, la difesa lamenta vizi della motivazione in ordine alla determinazione della pena conseguente al riconoscimento del vincolo di continuazione interna tra i reati consumati e quelli tentati. La Corte di appello avrebbe omesso di integrare la motivazione di primo grado, non specificando gli aumenti di pena individuati per ciascuno dei reati satellite e non consentendo, pertanto, la successiva verifica di merito circa la congruità e logicità della commisurazione della pena. 3. La parte civile ha depositato memorie, con la quale chiede che il ricorso venga rigettato, con vittoria di spese. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1.1 Il primo motivo di doglianza, incentrato sulla manifesta illogicità della motivazione in punto di conferma del giudizio di colpevolezza del reato di violenza sessuale, è inammissibile, in quanto non si confronta in modo specifico con l'ampia motivazione che la Corte offre sul punto. Diversamente da quanto prospettato dalla difesa, la motivazione sul punto (pagg. 7 e 8 del provvedimento) è logicamente adeguata, laddove evidenzia, non solo come le condotte di violenza sessuale risultino intimamente connesse a quelle dei maltrattamenti accertati in separato procedimento, ma anche che tali elementi fungono da riscontro delle dichiarazioni della persona offesa, al fine di delineare il contesto maltrattante e la realtà familiare in cui si sono verificati i fatti. Nel caso di specie, la Corte di merito - in totale continuità con il giudice di primo grado - delinea con chiarezza il clima di vessazioni in cui viveva la famiglia all'epoca dei fatti, con lo scopo di contestualizzare il quadro fattuale circa l'avvenuta sussistenza o meno delle violenze sessuali, necessariamente collegate, ma non coincidenti, al contesto di sopraffazione consequenziale ai maltrattamenti. Quanto all'attendibilità della persona offesa, la Corte spiega come le dichiarazioni rese da quest'ultima siano risultate pienamente coerenti sui profili essenziali, analitiche nella ricostruzione del clima familiare e puntuali nella ricostruzione dei fatti. Dal narrato appare evidente come il consenso apparentemente manifestato alle richieste di rapporti sessuali del coniuge risultasse viziato in radice e frutto della necessità di allentare le continue tensioni coniugali. Inoltre, le deposizioni dei figli della coppia riscontravano il clima di intimidazione instaurato dal padre e, nonostante non potessero riferire in merito ai rapporti intimi, confermavano il fatto che la persona offesa non dormisse con il padre e venisse frequentemente minacciata. Inoltre, le dichiarazioni di C.F. e C.A. apparivano in linea con quelle della persona offesa. E la correttezza della ricostruzione dei giudici di merito trova conferma proprio negli stralci di dichiarazioni, pur decontestualizzati, contenuti alle pagg. 7 e seguenti del ricorso, da cui emergono con chiarezza l'opposizione della persona offesa alle richieste sessuali dell'imputato e il contesto di violenza e minaccia ambientali nel quale queste venivano formulate. 1.2 Il secondo motivo di ricorso, relativo all'omesso assorbimento delle condotte di maltrattamento in quelle di violenza sessuale, è manifestamente infondato. Come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, il delitto di maltrattamenti è assorbito da quello di violenza sessuale soltanto quando vi è piena coincidenza tra le condotte, nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali alla stessa, mentre vi è concorso tra i due reati in caso di autonomia anche parziale delle condotte, comprendenti anche atti ripetuti di percosse gratuite e ingiurie non circoscritte alla violenza o alla minaccia strumentale necessaria alla realizzazione della violenza ( ex multis, Sez. 3, n. 35700 del 23/09/2020, Rv. 280818; Sez. 3, n. 40663 del 23/09/ 2015, Rv. 277812; Sez. 3, n. 45459 del 22/10/ 2008, Rv. 241670). Sotto tale specifico profilo, appare del tutto evidente - alla luce della ricostruzione dai fatti operata dai giudici di merito - la mancata coincidenza tra le due condotte, dal momento che i maltrattamenti lamentati dalla vittima non erano strumentali esclusivamente alla violenza sessuale, ma assumevano contorni indipendenti sfociati in ripetute umiliazioni e violenze, quali, ad esempio, l'episodio del 16 ottobre 2015 in occasione del quale l'imputato aveva cagionato alla persona offesa una frattura costale per motivi di gelosia. E ciò, a fronte di una prospettazione difensiva che non richiama puntualmente singoli episodi rilevanti, ma si limita ad asserzioni del tutto ipotetiche. 1.3 Il terzo motivo di ricorso, in ordine al riconoscimento del vincolo di continuazione interna tra i reati consumati e quelli tentati, è inammissibile. Deve premettersi, quanto al caso di specie, che la Corte di appello (pag. 12 del provvedimento) ha evidenziato che l'aumento per la continuazione, tenuto conto della pluralità e gravità degli episodi consumati o tentati, è stato decisamente minimo e benevolo. Senza compiutamente contestare tale ratio decidendi, il ricorrente, si è limitato a censurare l'omessa motivazione in ordine alla quantificazione dei singoli aumenti a titolo di continuazione in relazione a ciascun reato satellite, senza palesare un concreto ed attuale interesse a sostegno della doglianza. Trova dunque applica zione il principio secondo cui, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, ma il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all'entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall'articolo 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Rv. 282269 - 01). Sono dunque queste le finalità dell'obbligo motivazionale di cui sopra, che impongono al ricorrente la prospettazione di uno specifico interesse rispetto alla determinazione analitica delle pene per i reati satellite (Sez. 3, n. 550 del 11/09/ 2019, Rv. 278279; Sez. 2, n. 26011 del 11/04/2019, Rv. 276117); cosicché il principio appena espresso deve essere precisato nel senso che il giudice di merito, nel calcolare l'incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall'articolo 132 cod. pen. (Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, Rv. 284005 - 01). Deve dunque ribadirsi - anche con riferimento al caso di specie - che la motivazione del giudice di merito sull'entità degli aumenti per la continuazione per i reati satellite, in modo distinto per ciascuno, non è necessaria qualora gli aumenti siano di esigua entità. Inoltre, il sindacato del giudice dell'impugnazione sul punto è comunque escluso in caso di mancanza di specificità della relativa doglianza circa l'interesse del ricorrente ad ottenere una motivazione analitica. 2. Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'articolo 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00. L'imputato deve essere inoltre condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d'appello, con pagamento in favore dello Stato. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d'appello di Napoli con separato di decreto di pagamento ai sensi degli articolo 82 e 83 del d.P.R. n. 115 del 2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.