La Cassazione torna a pronunciarsi sui termini per la dichiarazione di fallimento di una società cancellata dal registro delle imprese, specificando che il dies ad quem è rappresentato dal decreto della Corte d'Appello che accoglie il reclamo, se emesso entro l'anno dalla cancellazione della società.
Con l'ordinanza in esame, la Cassazione affronta la questione della decorrenza dei termini per la dichiarazione di fallimentoex articolo 10 l. fall. e articolo 22, comma 5, l. fall. Nello specifico, il caso riguarda una società a capitale ridotto, cancellata dal Registro delle Imprese nel 2021, per la quale i creditori avevano avanzato istanze di fallimento. Tali istanze erano state inizialmente rigettate dal Tribunale di Latina, ma successivamente accolte dalla Corte d'Appello di Roma. Contro tale decisione, i creditori presentavano ricorso in Cassazione, sostenendo che il termine annuale previsto dall'articolo 10 l. fall. decorre non dal decreto della Corte d'Appello, bensì dalla pubblicazione della decisione. La Cassazione, tuttavia, rigetta il ricorso, confermando che il dies ad quem per la dichiarazione di fallimento è rappresentato dal decreto della Corte d'Appello che accoglie il reclamo, se emesso entro l'anno dalla cancellazione della società. La dichiarazione di fallimento, infatti, sebbene possa intervenire oltre il termine annuale dalla cancellazione della società, richiede una condizione imprescindibile: il decreto della Corte d'Appello di accoglimento del reclamo deve essere emesso entro i limiti temporali previsti dall'articolo 10 l. fall. Questo implica che, qualora il provvedimento della Corte d'Appello superi tale termine, la pronuncia di fallimento sarebbe nulla. La Corte chiarisce inoltre che, in caso di ritardi procedurali, il rischio rimane in capo al creditore, senza che ciò costituisca una violazione del diritto di difesa. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, la Corte rigetta il ricorso ed enuncia il seguente principio di diritto: «la regola prevista dall'articolo 10, primo comma, l. fall. secondo cui la dichiarazione di fallimento nei confronti di una società insolvente deve intervenire entro l'anno dalla cancellazione della società dal Registro delle Imprese è comunque rispettata, nel senso previsto dall'articolo 22, comma 5, l. fall., ove il decreto della Corte di Appello che accolga il reclamo avverso il decreto di rigetto delle domande di fallimento intervenga entro e non oltre il decorso dell'anno dalla cancellazione della società, restando solo in tal caso irrilevante la circostanza che la pronuncia della successiva sentenza dichiarativa di fallimento intervenga oltre il suddetto termine annuale».
Presidente Pazzi – Relatore D'Aquino Fatti di causa 1. Risulta dalla sentenza impugnata che (omissis) s.r.l.c.r., società a capitale ridotto, già cancellata dal Registro delle imprese in data 5 febbraio 2021, è stata oggetto di istanze di fallimento da parte di diversi creditori, domande rigettate dal Tribunale di Latina con decreto del 27 novembre 2021 per mancato superamento del requisito soggettivo. 2. La Corte di Appello di Roma ha accolto il reclamo dei creditori istanti con decreto del 14 giugno 2022, all'esito del quale la società è stata successivamente dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Latina in data 6 ottobre 2022. 3. La Corte di Appello di Roma, adita in sede di reclamo ex articolo 18 l. fall. da D.C., legale rappresentante della cessata società debitrice, ha accolto il reclamo, dando atto dell'applicazione dell'articolo 10 l. fall., il cui termine era elasso alla data del deposito del decreto della Corte di Appello di Roma in data 14 giugno 2022. Ha ritenuto, in particolare, il giudice del reclamo che il dies ad quem al quale fare riferimento ai fini della consumazione del termine annuale per la dichiarazione di fallimento andasse computato al momento del decreto della Corte di Appello che accoglieva il reclamo ex articolo 22 l. fall. 4. Propongono ricorso per cassazione i creditori istanti, affidato a un unico motivo, ulteriormente illustrato da memoria; resiste con controricorso la legale rappresentante della società cancellata. Ragioni della decisione 1. Con l'unico motivo di ricorso si deduce, in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli articolo 10 e 11 l. fall. e il ricorrere di un «grave errore di valutazione -illogicità/contraddittorietà della motivazione», nella parte in cui la sentenza impugnata ha indicato come dies ad quem per la dichiarazione di fallimento a termini dell'articolo 10 l. fall. il decreto della Corte di Appello pronunciato in sede di reclamo ex articolo 22 l. fall. avverso il decreto di rigetto dell'istanza di fallimento. In particolare, parte ricorrente deduce che «il termine annuale per la declaratoria di fallimento previsto dall'articolo 10 comma 1 L.F. decorra dalla data (di pubblicazione) del decreto di accoglimento del reclamo reso dalla corte d'appello», non potendosi negare tutela al creditore istante ai fini della dichiarazione di fallimento. In altri termini, il decreto agirebbe da dies a quo e non da dies ad quem entro il quale dichiarare il fallimento. 2. Il ricorso è infondato. La sentenza dichiarativa di fallimento deve intervenire entro l'anno successivo alla cancellazione della società dal Registro delle Imprese (articolo 10 l. fall.), norma che individua un termine all'ultrattività della società insolvente ai fini della dichiarazione di fallimento. Ove, poi, il ricorso o la richiesta venga rigettata dal Tribunale, il termine si computa in relazione al successivo decreto della Corte di Appello che accolga il reclamo e rimetta gli atti al Tribunale per i provvedimenti conseguenti (articolo 22, commi quarto e quinto, l. fall.). 3. Il rinvio per relationem contenuto nell'articolo 22, quinto comma, l. fall., all'articolo 10 l. fall. rende evidente come non sia travalicabile - quale che sia l'esito del procedimento davanti al Tribunale - questo termine annuale, che attua - come osservato nelle condivisibili conclusioni scritte del Pubblico Ministero - un «bilanciamento tra il principio dell'affidamento dei terzi tutelato dalle iscrizioni nel registro dell'imprese e quelli della certezza delle situazioni giuridiche e della tutela dell'imprenditore». 4. Il termine stabilito nella legge fallimentare all'articolo 10 «costituisce un limite oggettivo per la dichiarazione di fallimento (Cass. 28 marzo 1969, n. 998), svolgendo […] la funzione di garantire la certezza delle situazioni giuridiche e l'affidamento dei terzi (altrimenti esposti illimitatamente al pericolo di revocatorie), ponendo un preciso limite temporale alla possibilità di dichiarare il fallimento di chi non è più imprenditore. […] Tale conclusione […] trova conferma nella L. Fall., articolo 22, comma 5, secondo cui, nella versione successiva alla riforma, in caso di vittorioso gravame contro il provvedimento che respinge l'istanza di fallimento, il termine di cui alla L. Fall., articolo 10, si computa con riferimento al decreto della corte di appello che ha accolto il reclamo» (Cass., n. 8932/2013). 5. Laddove, pertanto, a ridosso della scadenza del termine annuale di cui all'articolo 10 l. fall. il Tribunale dovesse rigettare con decreto la domanda di fallimento del debitore, l'eventuale decreto della Corte di Appello di riforma di tale decreto, per giovare al ricorrente, dovrebbe intervenire entro la scadenza del medesimo termine. È, infatti, con il decreto della Corte di Appello di accoglimento del reclamo che si cristallizzano i fatti costitutivi ai fini della dichiarazione di fallimento, rendendo irrilevante attendere, sotto questo profilo, la successiva pronuncia del Tribunale. 6. Ove, invece, la decisione della Corte di Appello intervenga oltre detto termine, il giudice che procede deve, anche di ufficio, rilevare tale circostanza e, in fase di gravame, deve dichiarare la nullità della sentenza dichiarativa di fallimento (Cass., n. 8932/2013, cit.). Resta, in questo caso, a carico del creditore che procede, come osserva anche il Pubblico Ministero, «il rischio della durata del procedimento per la dichiarazione di fallimento», senza che l'avere il legislatore posto la durata del processo a carico dell'attore costituisca un vulnus al diritto di difesa (Cass., n. 8932/2013, cit.). 7. Il bilanciamento tra l'interesse del creditore alla dichiarazione di fallimento del debitore insolvente e quello del debitore e dei terzi alla certezza delle situazioni giuridiche è, pertanto, stato operato dal legislatore, nella misura in cui ha previsto l'ultrattività annuale della società dopo la cancellazione ai fini della dichiarazione di fallimento, termine entro il quale deve intervenire la dichiarazione di fallimento ovvero - in caso di rigetto dell'istanza di fallimento - il decreto della Corte di Appello che disponga la dichiarazione coatta ex articolo 22, quarto comma, l. fall. In quest'ultimo caso, la sentenza dichiarativa di fallimento può intervenire oltre l'anno dalla cancellazione, purché il decreto - che in accoglimento del reclamo accerta i presupposti della dichiarazione di fallimento - intervenga entro il termine di cui all'articolo 10 l. fall. Va, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: «La regola prevista dall'articolo 10, primo comma, l. fall. secondo cui la dichiarazione di fallimento nei confronti di una società insolvente deve intervenire entro l'anno dalla cancellazione della società dal Registro delle Imprese è comunque rispettata, nel senso previsto dall'articolo 22, comma cinque, l. fall., ove il decreto della Corte di Appello che accolga il reclamo avverso il decreto di rigetto delle domande di fallimento intervenga entro e non oltre il decorso dell'anno dalla cancellazione della società, restando solo in tal caso irrilevante la circostanza che la pronuncia della successiva sentenza dichiarativa di fallimento intervenga oltre il suddetto termine annuale». 8. La sentenza impugnata, nella parte in cui ha accertato che il decreto di accoglimento del reclamo della Corte di Appello costituisse dies ad quem ai fini del rispetto dell'articolo 10 l. fall., ha fatto corretta applicazione del suddetto principio. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 7.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% rimborso forfetario e accessori di legge; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell'articolo 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'articolo 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.