Un silenzio che vale quanto mille raggiri

«Configura il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato l'omessa rendicontazione delle somme percepite dal medico ospedaliero per l'attività intramoenia autorizzata, omissione grazie alla quale egli percepisca l'ingiusto profitto costituito dall'intero compenso corrisposto dalle pazienti, piuttosto che una quota percentuale di esso».

“Silenzio inerzia” e “silenzio eloquente”, due differenti sfumature di una stessa condotta omissiva che può integrare il delitto di truffa ai danni dello Stato. L’accertamento delle reticenze fraudolenti del soggetto attivo, secondo la sentenza in commento, deve tuttavia passare attraverso la valutazione in concreto di tutte le circostanze significative idonee a configurare un comportamento raggirante. La sentenza stimola altresì una più amplia riflessione sulla qualificazione giuridica della condotta delittuosa del medico che trae ingiusto profitto dal regime di c.d. intramoenia e sugli effetti della sua omessa rendicontazione, ritenuta integrante il delitto di peculato da parte di altra giurisprudenza di Cassazione. I fatti La Corte di appello meneghina ha parzialmente riformato la pena inflitta all’imputato nel giudizio di prime cure ma ne ha confermato la condanna per falso e truffa aggravata. Un dirigente medico, contrattualizzato in rapporto di esclusiva ed autorizzato all’attività intramoenia, con artifici e raggiri consistiti nella falsità in scrittura privata e autocertificazione, nonché mediante l’omessa rendicontazione delle prestazioni eseguite in violazione dell'esclusiva e del regime di autorizzazione intramuraria, induceva in errore l’Azienda Sanitaria. Da tale condotta ne derivava un ingiusto profitto e un danno erariale, individuati sia nella corresponsione da parte dell’ospedale dell’indennità di esclusiva sia nel mancato versamento della quota percentuale all’ente per le visite eseguite in intramoenia. Il ricorso per Cassazione A mezzo del proprio difensore, l’imputato ricorreva per Cassazione lamentando, fra i vari motivi di gravame, l’insussistenza del requisito dell’induzione in errore della persona offesa ai fini dell’integrazione del delitto di truffa aggravata. Secondo il ricorrente la Corte territoriale non avrebbe individuato la condotta attiva e “raggirante” del reo, dal momento che l’omessa rendicontazione doveva ritenersi un silenzio “non eloquente” e quindi inidoneo a costituire un raggiro all’Azienda sanitaria. La sentenza di merito veniva altresì impugnata relativamente alla contestazione di falso per l’assenza dell’elemento soggettivo, la sua grossolanità nonché l’incapacità a produrre effetti fraudolenti. Il “silenzio eloquente” che integra il reato di truffa Rigettando i motivi di ricorso, la Corte ha ribadito come il silenzio serbato dall’agente ben poteva sussumersi nella nozione di raggiro. Ciò avverrebbe infatti in tutte quelle ipotesi in cui la reticenza del reo non costituisce espressione di una mera inerzia ma, al contrario, acquisisce un significato differente (definito “parlante”) in ragione del contesto e delle circostanze concrete che trasformano il silenzio in fatto concludente il raggiro. Va da sé che, data la forma omissiva di tale condotta ingannatoria, si impone la preventiva individuazione in capo all’agente dell’obbligo giuridico di comunicazione, anche di origine extra-penale, a cui volontariamente si sottrae. Le circostanze al silenzio dell’imputato La Suprema Corte individua così tutte quelle circostanze fattuali «che “colorano” di significato decettivo il silenzio serbato». Nel caso di specie, potevano individuarsi nella reiterazione del silenzio adottato, nell’omessa rendicontazione dell’attività di intramoenia e del rapporto di lavoro dipendente al di fuori del regime autorizzato, nelle modalità di pagamento non tracciabili dei servizi prestati e nella gestione delle prenotazioni che avveniva all’oscuro dell’ente ospedaliero. Rapporti con il reato di peculato Si badi che la fattispecie sottesa alla sentenza in commento è stata più volte qualificata da altra parte della giurisprudenza nel differente delitto di peculato. Ci si riferisce fra le tante a Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 23792 del 20/06/2022 in cui il silenzio serbato dall’agente non è stato ritenuto idoneo a trarre in errore l’Azienda Ospedaliera. Pertanto, a giudizio della Corte, doveva dirsi integrato il reato di cui all’articolo 314 c.p. mediante l’appropriazione del denaro che il medico avrebbe dovuto riversare all'Asl e di cui aveva disponibilità dopo il pagamento del compenso dal paziente. Il discrimen fra le due differenti fattispecie delittuose viene individuato nella differente interpretazione del silenzio serbato dal soggetto agente e nel momento in cui lo stesso intervenga. Se infatti l’attività fraudolenta viene finalizzata a “mascherare” l’illecita appropriazione ricorrerà lo schema del peculato, al contrario, qualora operi per conseguire il possesso del denaro sarà integrata la truffa aggravata. Evidente allora la marcata labilità delle imprevedibili interpretazioni che possono fornirsi al silenzio del reo; investendo la stessa tipicità di due differenti fattispecie delittuose.

Presidente Pezzullo - Relatore Brancaccio Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.