Risoluzione del contratto e restituzioni: il giudice può pronunciarsi solo su domanda di parte?

In tema di risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare di compravendita, è stata affrontata la delicata questione delle restituzioni, chiarendo se il giudice possa disporle d'ufficio o solo su domanda di parte.

Il caso riguarda un contratto preliminare di compravendita, rimasto inadempiuto dal promissario acquirente che, convenuto in giudizio, solleva l'eccezione di inadempimento, pur essendo rimasto nella disponibilità anticipata dell'immobile di cui ha goduto. Ipotesi “comune e ricorrente”. Accertato l'inadempimento e pronunziata la risoluzione, quali sono gli obblighi restitutori? Il giudice può pronunciarsi solo su domanda di parte? Preliminarmente, la Cassazione affronta la questione se l'eccezione di inadempimento non sia idonea a paralizzare la contrapposta domanda di risoluzione. Solo nel caso di domande contrapposte di risoluzione del contratto per inadempimento deve essere compiuta una valutazione comparativa ed unitaria degli inadempimenti. Nel caso di specie era stata dimostrata la prevalenza dell'inadempimento del promissario acquirente, il cui rifiuto di procedere alla stipula del definitivo sembrava ispirato al fine di procrastinare il pagamento del dovuto, accampando l'esistenza di difformità e difetti che, nell'economia del contratto, non incidevano in maniera determinante. Dunque, i vizi pur accertati non legittimavano causalmente e proporzionalmente la sospensione dell'adempimento dell'altra parte. D'altra parte, l'eccezione di inadempimento non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione, in quanto la gravità dell'inadempimento è un requisito specificamente previsto dalla legge per la risoluzione e trova ragione nella radicale definitività di tale rimedio, mentre l'eccezione d'inadempimento non estingue il contratto. Altra questione è se la pronuncia di risoluzione del contratto preliminare di compravendita immobiliare comporti automaticamente, e pur in mancanza della natura abusiva dell'occupazione, la condanna del promissario acquirente, immesso nell'immobile con il consenso della promittente alienante, a corrispondere a quest'ultima l'equivalente pecuniario dell'uso e del godimento del bene, a far data dall'immissione effettiva nell'immobile. In realtà, sul piano contrattuale, venendo meno la causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite per effetto della risoluzione per inadempimento, era insorto, a carico di ciascun contraente, l'obbligo di restituzione della prestazione ricevuta, indipendentemente dall'imputabilità dell'inadempimento. I profili sistematici sono due: da una parte, il promissario acquirente inadempiente provoca la risoluzione del contratto preliminare, è tenuto al “risarcimento del danno” in favore della parte promittente venditrice, atteso che la legittimità originaria della detenzione viene meno a seguito della risoluzione, lasciando che l'occupazione dell'immobile si configuri come sine titulo. Consegue che tali “danni”, originati dal lucro cessante per il danneggiato che non ha potuto trarre frutti né dal pagamento del prezzo né dal godimento dell'immobile, sono legittimamente liquidati dal giudice di merito, con riferimento all'intera durata dell'occupazione e, dunque, non solo a partire dalla domanda giudiziale di risoluzione contrattuale;  dall'altra parte, non si tratta di danno da occupazione in re ipsa, posto che l'efficacia retroattiva della risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare comporta l'insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell'obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi della ripetizione dell'indebito ex articolo 2033 c.c., e, pertanto, implica che il promissario acquirente che abbia ottenuto la consegna e la detenzione anticipate del bene promesso in vendita debba non solo restituirlo al promittente alienante, ma altresì corrispondere a quest'ultimo i frutti per l'anticipato godimento dello stesso. Consegue che, nel caso di occupazione di un immobile fondata su un titolo contrattuale venuto meno per effetto della risoluzione giudiziale del contratto, va esclusa la funzione risarcitoria degli obblighi restitutori. Dunque, all'obbligo di restituire la prestazione ricevuta si associa, nel caso in esame di cosa fruttifera, all'obbligo di restituire i relativi frutti, naturali o civili, ovvero, qualora di essi non sia possibile la restituzione, di corrispondere l'equivalente in danaro, dal giorno dell'ottenuta disponibilità. È il godimento in sé del cespite – rivelatosi illegittimo con efficacia retroattiva all'esito della declaratoria di risoluzione del preliminare di vendita – a giustificare che alla restituzione del bene si accompagni il riconoscimento dei frutti indebitamente percepiti. La questione degli interessi e della compensazione Altra questione risolta dalla Cassazione è se il giudice può d'ufficio, in assenza di domanda di parte, riconoscere il diritto del promissario acquirente ad ottenere la restituzione della somma pecuniaria, oltre interessi legali dalla data del pagamento ex articolo 1282,1458 e 2033 c.c., nonché disporre d'ufficio la compensazione c.d. impropria tra i crediti delle parti, a prescindere dalla domanda creditoria di parte, dichiarando estinti per compensazione i rispettivi crediti delle parti, sino alla reciproca concorrenza. Al riguardo la Suprema Corte evidenzia che: la risoluzione del contratto, pur comportando – per l'effetto retroattivo sancito dall'articolo 1458 c.c. – l'obbligo del contraente di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere il provvedimento restitutorio in assenza di domanda dell'altro contraente, atteso che rientra nell'autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione, chiedendo, o meno, la restituzione della prestazione rimasta senza causa; senza la domanda di parte, non può disporsi la compensazione impropria o atecnica, pur avendo origine i rispettivi debiti e crediti da un unico – ancorché complesso – rapporto: se – per un verso – in tali casi non vi è luogo ad una ipotesi di compensazione “propria”, bensì ad un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, cui il giudice può procedere senza che siano necessarie l'eccezione di parte o la domanda riconvenzionale; per altro verso – tale operazione contabile non può essere effettuata con riferimento a controcrediti che il creditore non abbia fatto valere in giudizio, deducendone tempestivamente i requisiti fattuali (ossia le ragioni su cui essi si innestano) ed esprimendo l'intenzione di azionarli. Concludendo, secondo la Cassazione, quest'ultima affermazione non è assoluta e viene precisata:  - «la risoluzione del contratto, pur comportando – per l'effetto retroattivo sancito dall'articolo 1458 c.c. – l'obbligo del contraente di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere il provvedimento restitutorio in assenza di domanda dell'altro contraente, atteso che rientra nell'autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione, chiedendo, o meno, la restituzione della prestazione rimasta senza causa». - «Ove i rispettivi debiti e crediti abbiano origine da un unico – ancorché complesso – rapporto, non vi è luogo ad una ipotesi di compensazione “propria”, bensì ad un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza (compensazione “impropria” o atecnica), cui il giudice può procedere senza che siano necessarie l'eccezione di parte o la domanda riconvenzionale, sempre che i controcrediti oggetto di tale operazione contabile siano stati fatti valere in giudizio, deducendone tempestivamente i requisiti fattuali (ossia le ragioni su cui essi si innestano) ed esprimendo l'intenzione di azionarli».

Presidente Orilia - Relatore Trapuzzano Fatti di causa 1.- Con atto di citazione notificato il 10 dicembre 1997, la EDILMARE di Ri. E Mo. Snc conveniva, davanti al Tribunale di Bari, Li.Si., al fine di sentire pronunciare, ai sensi dell'articolo 2932 c.c., il trasferimento del bene immobile promesso in vendita al convenuto, come da preliminare concluso il 12 novembre 1992, integrato e modificato con scrittura privata del 22 novembre 1993, per il prezzo di vecchie Lire 285.000.000, con la condanna del promissario acquirente al saldo del prezzo residuo, pari a vecchie Lire 115.000.000, oltre IVA. Si costituiva in giudizio Li.Si., il quale contestava la fondatezza delle pretese avversarie, in ragione dei molteplici inadempimenti addebitati alla promittente alienante, e proponeva - in via riconvenzionale - domanda di esecuzione in forma specifica ex articolo 2932 c.c., previa riduzione del prezzo convenuto in funzione dei vizi riscontrati, con quantificazione da svolgersi in corso di causa, oltre al risarcimento dei danni da inadempimento e da ritardo nella consegna. Nel prosieguo del processo la EDILMARE modificava la propria originaria domanda di adempimento coattivo in domanda di risoluzione contrattuale, chiedendo che fosse chiamato in manleva il Comune di Polignano a Mare, quale responsabile del ritardo nella stipula del definitivo. Chiedeva altresì che il convenuto fosse condannato: - al pagamento della penale pattuita per l'inadempimento, oltre interessi legali e salvi i maggiori danni; - alla restituzione del bene oggetto della promessa, occupato sine titulo dal promissario acquirente; - e al risarcimento dei danni cagionati dall'abusiva occupazione dell'appartamento e del garage promessi in vendita; - ovvero subordinatamente al pagamento delle somme di cui si era indebitamente arricchito senza titolo, occupando i cespiti, da quantificarsi secondo il valore dell'equo canone dal momento dell'occupazione sino alla materiale restituzione. Si costituiva il Comune di Polignano a Mare, il quale eccepiva la nullità della sua citazione per omessa indicazione dei fatti specifici addebitatigli e, nel merito, negava qualsivoglia responsabilità. Nel corso del giudizio era esperito procedimento di accertamento tecnico preventivo atto a verificare i vizi dell'immobile; era poi assunta la prova per interpello e testimoniale ammessa ed era espletata consulenza tecnica d'ufficio. Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1862/2014, depositata l'11 aprile 2014, pronunciava la risoluzione del preliminare per inadempimento del promissario acquirente, respingeva le spiegate riconvenzionali e condannava il promissario acquirente al pagamento, in favore del promittente alienante, della penale prevista nel preliminare per l'inadempimento, limitata ad Euro 25.822,84, oltre che al rilascio del bene e al risarcimento per la sua occupazione, dal dicembre 1996 sino al rilascio effettivo, nella misura pari ad Euro 600,00 mensili, oltre interessi legali da ciascuna scadenza. 2.- Con atto di citazione notificato il 19 agosto 2014, Li.Si. proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure, lamentando: 1) l'omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale di esecuzione specifica, proposta anche per il caso di rigetto della domanda di riduzione del prezzo; 2) l'omessa ed errata valutazione del comportamento del promissario acquirente e delle circostanze che integravano l'eccezione di inadempimento del medesimo; 3) l'omessa ed errata valutazione dell'esistenza dei vizi strutturali che necessitavano di un intervento statico sull'intera palazzina e giustificavano l'eccezione di inadempimento e la richiesta di riduzione del prezzo; 4) l'omessa ed errata valutazione delle risultanze istruttorie in ordine alla consistenza dell'immobile; 5) la compiuta violazione dell'articolo 1492, secondo comma, c.c., per avere ritenuto che il Li.Si. fosse in malafede, sebbene la norma impedisse al medesimo di chiedere la risoluzione del contratto dopo aver chiesto la riduzione del prezzo; 6) l'errata valutazione di circostanze che escludevano l'abusività dell'occupazione dell'immobile; 7) l'inammissibilità delle domande nuove formulate da EDILMARE con la memoria istruttoria ex articolo 183, ultimo comma, c.p.c. del 19 novembre 1999 e, dunque, dopo la maturazione delle preclusioni. Si costituiva nel giudizio d'appello la EDILMARE di Mo.Vi. e Pa. Snc, già EDILMARE di Ri. E Mo. Snc, la quale chiedeva la declaratoria di inammissibilità dell'appello ovvero il suo rigetto, con la conferma della sentenza impugnata. Nel corso del giudizio di impugnazione era disposta la comparizione personale delle parti ai fini di esperire un tentativo di conciliazione, non riuscito, ed era espletata altra consulenza tecnica d'ufficio. Decidendo sul gravame interposto, la Corte d'Appello di Bari, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l'appello e confermava la pronuncia impugnata in ordine alla declaratoria di risoluzione del preliminare, accertando che Li.Si. aveva diritto alla restituzione della somma di vecchie Lire 170.000.000, pari ad Euro 87.797,67, oltre interessi legali dal pagamento, ed estinguendo per compensazione i rispettivi crediti delle parti sino alla reciproca concorrenza. A sostegno dell'adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che, in presenza di una domanda di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promissario acquirente, il giudice avrebbe dovuto comunque valutare tale domanda, qualora le contestazioni sollevate dal promissario acquirente fossero risultate prive di fondamento o comunque non di tale gravità da giustificare il rifiuto di stipulare il contratto definitivo, pagando la somma prevista nel preliminare; b) che il promissario acquirente aveva contestato la presenza di vizi nell'immobile, rifiutandosi di acquistarlo al prezzo indicato nel preliminare; c) che, valutando l'incidenza che i fattori negativi individuati esplicavano sul valore dell'immobile oggetto della promessa di vendita, il consulente tecnico d'ufficio, richiamando anche il responso dell'accertamento tecnico preventivo - secondo il quale lo stato di dissesto denunciato non appariva pericoloso per la stabilità dell'immobile e tuttavia richiedeva un intervento urgente di riparazione -, aveva determinato il costo complessivo delle opere necessarie al ripristino degli immobili promessi in vendita nella misura di Euro 13.000,00, somma equivalente a circa il 9% del prezzo di vendita a suo tempo concordato tra le parti, cui doveva aggiungersi la somma di Euro 1.500,00 per l'incidenza negativa della servitù passiva di passaggio dei tubi di fognatura all'interno del box auto, il che equivaleva a circa l'1% del prezzo di vendita; d) che, dunque, vi sarebbe stato in totale un deprezzamento del 10% del valore dell'immobile alla data di stipula del preliminare, che doveva essere adeguato al fine di operare un raffronto tra dati omogenei, incidendo così nella misura del 5,46% del prezzo dell'immobile; e) che, pur volendo determinare il deprezzamento derivante dai difetti e fattori negativi nella misura del 7% del prezzo, il promissario acquirente avrebbe avuto motivo di chiedere la riduzione dell'importo complessivo di vecchie Lire 285.000.000 nella misura di vecchie Lire 19.950.000, sicché, avendo già versato l'acconto di vecchie Lire 170.000.000, la differenza ancora dovuta si sarebbe ridotta da vecchie Lire 115.000.000 a vecchie Lire 95.050.000; f) che, per l'effetto, rimaneva dimostrata la prevalenza dell'inadempimento del promissario acquirente, il cui rifiuto di procedere alla stipula del definitivo sembrava ispirato piuttosto al fine di procrastinare il pagamento del dovuto, accampando l'esistenza di difformità e difetti che, nell'economia del contratto, non incidevano in maniera determinante; g) che, venendo meno la causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite per effetto della risoluzione per inadempimento, era insorto, a carico di ciascun contraente, l'obbligo di restituzione della prestazione ricevuta, indipendentemente dall'imputabilità dell'inadempimento, sicché il promissario acquirente era obbligato a corrispondere l'equivalente pecuniario dell'uso e del godimento del bene che gli era stato consegnato anticipatamente, per il tempo compreso tra la consegna e la restituzione, quale naturale conseguenza della risoluzione del contratto e dei suoi effetti restitutori; h) che, in assenza di un'espressa domanda di parte, non poteva essere adottato alcun provvedimento restitutorio conseguente alla risoluzione, tuttavia poteva essere operata la compensazione impropria tra il credito della promittente venditrice relativo alla penale e al corrispettivo del godimento del bene e quello contrapposto relativo alla somma corrisposta a titolo di anticipo dal promissario acquirente, con il riconoscimento degli interessi legali; i) che, con la memoria depositata il 20 novembre 1999, la EDILMARE aveva rinnovato la domanda di risoluzione contrattuale già proposta all'udienza del 2 dicembre 1998, chiedendo inoltre la condanna del convenuto Li.Si. al pagamento della penale contrattualmente pattuita per l'inadempimento e alla restituzione dei beni occupati senza titolo, con la conseguenza che le domande strettamente collegate a quella di risoluzione erano ammissibili, poiché tale ultima domanda era stata proposta all'udienza del 2 dicembre 1998 nella fase processuale relativa ad un procedimento cautelare per sequestro giudiziario in corso di causa, sicché ben poteva essere esercitato lo ius variandi, con la contestuale richiesta di restituzione della prestazione eseguita e di risarcimento dei danni. 3.- Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, Li.Si. Ha resistito, con controricorso, l'intimata EDILMARE di Mo.Vi. e Pa. Snc, la quale - a sua volta - ha proposto ricorso incidentale, articolato in cinque motivi. Il Pubblico Ministero ha presentato conclusioni scritte insistendo per il rigetto dei ricorsi. Le parti hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione 1.- Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 1453,1455,1460,1490,1492 e 1538, primo comma, c.c., per avere la Corte di merito confermato la fondatezza della domanda di risoluzione promossa dalla promittente venditrice in via prioritaria rispetto all'eccezione di inadempimento sollevata dal promissario acquirente, nonché per avere valutato l'insussistenza della buona fede del promissario acquirente, nel formulare l'eccezione di inadempimento, in base a criteri diversi da quelli previsti dalla legge e finanche sul presupposto dell'assenza di tentativi di composizione della lite, applicando alla fattispecie concreta un principio di valutazione comparativa dei reciproci inadempimenti non applicabile all'ipotesi di eccezione di inadempimento, ma solo a quella di contrapposte domande di risoluzione. Obietta l'istante che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto che l'azione di riduzione del prezzo della compravendita immobiliare sarebbe legittimamente proposta solo se i vizi sussistenti nell'immobile abbiano un'incidenza notevole e determinante, anziché un rilievo semplicemente apprezzabile. 1.1.- Il motivo è infondato. E ciò sebbene l'eccezione d'inadempimento sia invocabile, oltre che per paralizzare la domanda di adempimento, anche al fine di escludere il diritto della controparte di far accertare e richiedere la risoluzione del contratto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5933 del 14/03/2011; Sez. 2, Sentenza n. 4529 del 28/03/2001; Sez. 2, Sentenza n. 4809 del 13/04/2000; Sez. 2, Sentenza n. 7480 del 11/08/1997; Sez. 2, Sentenza n. 3400 del 23/05/1980). Nondimeno, nella fattispecie, all'esito della preventiva disamina di tale eccezione, si è ritenuto che essa non fosse idonea a paralizzare la contrapposta domanda di risoluzione. Siffatto esame prioritario è desumibile dall'esplicito riferimento al fatto attestato dalla sentenza impugnata, secondo cui, in presenza di una domanda di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promissario acquirente, il giudice avrebbe dovuto comunque valutare tale domanda, qualora le contestazioni sollevate dal promissario acquirente fossero risultate prive di fondamento o comunque non di tale gravità da giustificare il rifiuto di stipulare il contratto definitivo, pagando la somma prevista nel preliminare. Pertanto, l'esame della pretesa di risoluzione è stato espressamente subordinato alla verifica che l'eccezione di inadempimento sollevata dal promissario acquirente - insita nel rifiuto di stipulare il definitivo senza la previa riduzione del prezzo originariamente concordato - non avesse assunto una fisionomia tale da giustificare il veto alla conclusione del definitivo. Solo all'esito di tale verifica l'attenzione è stata focalizzata sulla fondatezza della risoluzione per inadempimento spiegata dal promittente venditore, anziché sulla contrapposta domanda di esecuzione specifica avanzata dal promissario acquirente, in osservanza del principio a mente del quale, ove alla domanda di esecuzione specifica del contratto preliminare di vendita, proposta dal promissario acquirente, si contrapponga quella del promittente venditore diretta ad ottenere la risoluzione dello stesso contratto per inadempimento della controparte, il giudice deve, secondo un criterio di priorità logica, esaminare quest'ultima, in quanto l'eventuale positività dell'accertamento in ordine alle condizioni della risoluzione rende inutile l'ulteriore esame di una domanda che abbia come obiettivo il relativo adempimento, se pur coattivo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3455 del 12/02/2020; Sez. 2, Sentenza n. 13739 del 31/07/2012; Sez. 2, Sentenza n. 138 del 09/01/1984; Sez. 2, Sentenza n. 3182 del 14/05/1980). Infatti, solo nel caso di domande contrapposte di risoluzione del contratto per inadempimento deve essere compiuta una valutazione comparativa ed unitaria degli inadempimenti (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 987 del 21/01/2010; Sez. 2, Sentenza n. 26943 del 15/12/2006). 1.2.- Senonché, tornando all'eccezione di inadempimento sollevata dal promissario acquirente, consistente nel rifiuto di stipulazione del definitivo in mancanza della riduzione del corrispettivo, in ragione dei vizi da cui l'immobile promesso in vendita era affetto - eccezione, come detto, esaminata prioritariamente -, il giudice di merito ha escluso che la sua proposizione fosse conforme a buona fede, attesa l'esigua incidenza dei fattori negativi accertati in sede di indagini tecniche - e tale da determinare una diminuzione del prezzo complessivo convenuto, al più, nella misura del 7% - sul compimento dell'operazione negoziale, ossia sull'equilibrio sinallagmatico. Al riguardo, la pronuncia impugnata ha osservato che rimaneva dimostrata la prevalenza dell'inadempimento del promissario acquirente, il cui rifiuto di procedere alla stipula del definitivo sembrava ispirato piuttosto al fine di procrastinare il pagamento del dovuto, accampando l'esistenza di difformità e difetti che, nell'economia del contratto, non incidevano in maniera determinante. E tanto conformemente all'orientamento a mente del quale, per stabilire se l'eccezione di inadempimento è stata sollevata in buona fede, il giudice di merito deve verificare se la condotta della parte in concreto inadempiente abbia influito sull'equilibrio sinallagmatico del contratto, avuto riguardo all'interesse della controparte, valutando la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, non già in rapporto alla rappresentazione soggettiva delle parti, bensì in relazione alla situazione oggettiva (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 4134 del 18/02/2025; Sez. 2, Sentenza n. 36295 del 28/12/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 14986 del 28/05/2021; Sez. 1, Sentenza n. 2720 del 04/02/2009). Con l'effetto che, per le ragioni anzidette, è stato escluso - con valutazione connessa ad un accertamento in fatto debitamente argomentato e, come tale, non sindacabile in questa sede - che l'integrazione dei vizi accertati abbia legittimato causalmente e proporzionalmente la sospensione dell'adempimento dell'altra parte. Conclusione, questa, compatibile con il rilievo in forza del quale l'eccezione di inadempimento non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione, in quanto la gravità dell'inadempimento è un requisito specificamente previsto dalla legge per la risoluzione e trova ragione nella radicale definitività di tale rimedio, mentre l'eccezione d'inadempimento non estingue il contratto, pur potendo il creditore avvalersi dell'eccezione anche nel caso di inesatto inadempimento (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 18587 del 08/07/2024; Sez. 6-2, Ordinanza n. 12719 del 13/05/2021; Sez. 2, Sentenza n. 2022 del 19/02/1993; Sez. 2, Sentenza n. 2230 del 21/04/1979). Il che non esclude che, allorché, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto di esecuzione della prestazione - nella specie la stipula del definitivo - sia contrario a buona fede, in quanto appunto non influente sull'equilibrio sinallagmatico, in base ad una ponderazione oggettiva, tale rifiuto è ingiustificato ex articolo 1460, secondo comma, c.c. e, dunque, non è inibitorio della prospettazione della controparte circa la risoluzione per inadempimento grave. 2.- Con il secondo motivo il ricorrente principale prospetta, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione agli articolo 1490 e 1492 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che le domande di condanna del promissario acquirente al pagamento della penale di cui al contratto preliminare e di restituzione dell'immobile, proposte da EDILMARE dopo la maturazione delle relative preclusioni processuali, fossero ammissibili, in ragione della formulazione dell'articolo 183 c.p.c., antecedente al 2005, e data la loro connessione con la domanda di risoluzione del contratto. Osserva l'istante che EDILMARE avrebbe, già in sede di prima udienza di comparizione del 2 dicembre 1998, modificato la domanda originaria di adempimento coattivo in domanda di risoluzione e solo con la memoria integrativa del thema decidendum del 19 novembre 1999, volta alla precisazione o modificazione delle domande già proposte, avrebbe proposto le domande di pagamento della penale e di restituzione dell'immobile, ammesse dal giudice in ragione della stretta connessione con la domanda principale di risoluzione, benché la proposizione di domande nuove potesse avvenire esclusivamente fino alla prima udienza di trattazione. 2.1.- Il motivo è inammissibile. Infatti, la doglianza non aggredisce lo specifico rilievo della sentenza impugnata, secondo cui la domanda di risoluzione del preliminare era stata proposta all'udienza del 2 dicembre 1998, nella fase processuale relativa ad un procedimento cautelare per sequestro giudiziario in corso di causa, sicché ben poteva essere esercitato lo ius variandi, con la contestuale richiesta di restituzione della prestazione eseguita e di risarcimento dei danni con la memoria integrativa. In proposito è stato evidenziato che, preannunciato l'esercizio dello ius variandi nell'ambito dell'udienza deputata alla trattazione del procedimento cautelare assicurativo in corso di causa (di autorizzazione del sequestro giudiziario dell'immobile), il mutamento della domanda era avvenuto, con la richiesta di risoluzione, mediante la richiamata memoria integrativa, cui era stata accompagnata la proposizione delle domande accessorie e strettamente connesse di pagamento della penale e di restituzione del bene. E tanto in conformità all'assunto secondo cui l'articolo 1453 c.c., derogando ai principi di ordine processuale che vietano la mutatio libelli in corso di causa, consente di sostituire in qualsiasi fase e grado del giudizio alla originaria domanda di adempimento in forma specifica quella di risoluzione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10927 del 24/05/2005; Sez. 2, Sentenza n. 4830 del 18/05/1994; Sez. 2, Sentenza n. 5065 del 29/04/1993; Sez. 2, Sentenza n. 11279 del 15/10/1992; Sez. 3, Sentenza n. 3906 del 16/06/1981; Sez. 2, Sentenza n. 3758 del 03/07/1979; Sez. 3, Sentenza n. 583 del 06/03/1970). Ora, il regime derogatorio innanzi richiamato si estende anche alle domande connesse alla domanda di risoluzione. Ed invero, la facoltà di mutare la domanda di adempimento in quella di risoluzione, consentita dall'articolo 1453, secondo comma, c.c. in deroga al divieto della mutatio libelli, si estende anche alla conseguente domanda di risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale, nonché a quella di restituzione della prestazione eseguita, essendo tali domande accessorie alla domanda sia di risoluzione che di adempimento (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16682 del 25/06/2018; Sez. U, Sentenza n. 8510 del 11/04/2014; Sez. 2, Sentenza n. 26325 del 31/10/2008). 3.- Con il terzo motivo il ricorrente principale contesta, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 1458 e 2033 c.c., in relazione all'articolo 112 c.p.c., per avere la Corte distrettuale ritenuto che la pronuncia di risoluzione del contratto preliminare di compravendita immobiliare comportasse automaticamente, e pur in mancanza della natura abusiva dell'occupazione, la condanna del promissario acquirente, immesso nell'immobile con il consenso della promittente alienante, a corrispondere a quest'ultima l'equivalente pecuniario dell'uso e del godimento del bene, a far data dall'immissione effettiva nell'immobile. Espone, inoltre, l'istante che alla condanna alla corresponsione dell'indennità di occupazione - che non avrebbe potuto essere riconosciuta in re ipsa - si sarebbe associata la condanna al pagamento degli interessi legali su tale indennità, benché questi ultimi non fossero stati mai richiesti da EDILMARE. 3.1.- Il motivo è infondato. 3.1.1.- In proposito, la sentenza impugnata ha sostenuto che, venendo meno la causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite per effetto della risoluzione per inadempimento, era insorto, a carico di ciascun contraente, l'obbligo di restituzione della prestazione ricevuta, indipendentemente dall'imputabilità dell'inadempimento, sicché il promissario acquirente era obbligato a corrispondere l'equivalente pecuniario dell'uso e del godimento del bene che gli era stato consegnato anticipatamente, per il tempo compreso tra la consegna e la restituzione, quale naturale conseguenza della risoluzione del contratto e dei suoi effetti restitutori. E, per l'effetto, ha confermato la condanna disposta dal giudice di primo grado nella misura di Euro 600,00 mensili dal dicembre 1996 sino all'effettivo rilascio, oltre interessi. Questo in risposta al motivo di gravame con cui specificamente era stata chiesta la riforma della sentenza del Tribunale, nella parte in cui aveva disposto tale condanna per occupazione abusiva (sicché nessun giudicato interno si era formato). Il pregiudizio riconosciuto si è consacrato, dunque, in quello derivante dalla circostanza che il bene di proprietà del promittente alienante - oggetto di restituzione - è stato goduto senza titolo dal promissario acquirente (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 5651 del 23/02/2023). Ora, per un verso, il promissario acquirente di un immobile, che, immesso nel possesso all'atto della firma del preliminare (o anche successivamente), si renda inadempiente e provochi la risoluzione del contratto preliminare, è tenuto al risarcimento del danno in favore della parte promittente venditrice, atteso che la legittimità originaria del possesso (recte detenzione) viene meno a seguito della risoluzione, lasciando che l'occupazione dell'immobile si configuri come sine titulo. Ne consegue che tali danni , originati dal lucro cessante per il danneggiato che non ha potuto trarre frutti né dal pagamento del prezzo né dal godimento dell'immobile, sono legittimamente liquidati dal giudice di merito, con riferimento all'intera durata dell'occupazione e, dunque, non solo a partire dalla domanda giudiziale di risoluzione contrattuale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 30594 del 20/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 24510 del 21/11/2011; Sez. 2, Sentenza n. 1307 del 29/01/2003). Per altro verso, non si tratta di danno da occupazione in re ipsa, posto che l'efficacia retroattiva della risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare comporta l'insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell'obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi della ripetizione dell'indebito ex articolo 2033 c.c., e, pertanto, implica che il promissario acquirente che abbia ottenuto la consegna e la detenzione anticipate del bene promesso in vendita debba non solo restituirlo al promittente alienante, ma altresì corrispondere a quest'ultimo i frutti per l'anticipato godimento dello stesso. Ne consegue che, nel caso di occupazione di un immobile fondata su un titolo contrattuale venuto meno per effetto della risoluzione giudiziale del contratto, va esclusa la funzione risarcitoria degli obblighi restitutori (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 35280 del 30/11/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 28381 del 28/11/2017; Sez. 2, Sentenza n. 6575 del 14/03/2017; Sez. 2, Sentenza n. 550 del 18/01/2002; Sez. 2, Sentenza n. 4465 del 20/05/1997; Sez. 2, Sentenza n. 10632 del 29/11/1996; Sez. 2, Sentenza n. 2135 del 24/02/1995; Sez. 2, Sentenza n. 875 del 25/01/1995; Sez. 2, Sentenza n. 2802 del 05/04/1990). Pertanto, all'obbligo di restituire la prestazione ricevuta si associa, nel caso in cui questa abbia avuto per oggetto una cosa fruttifera, l'obbligo di restituire i relativi frutti, naturali o civili, ovvero, qualora di essi non sia possibile la restituzione, di corrispondere l'equivalente in danaro, dal giorno dell'ottenuta disponibilità. È il godimento in sé del cespite - rivelatosi illegittimo con efficacia retroattiva all'esito della declaratoria di risoluzione del preliminare di vendita - a giustificare che alla restituzione del bene si accompagni il riconoscimento dei frutti indebitamente percepiti. 3.1.2.- Con riferimento, invece, al riconoscimento degli interessi sul valore figurativo del bene, la questione è nuova, in quanto non proposta in modo specifico nel giudizio di gravame, né affrontata in appello, e - dunque - il suo esame è precluso in questa sede. Infatti, nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1474 del 23/01/2007; Sez. L, Sentenza n. 5620 del 15/03/2006; Sez. 2, Sentenza n. 4486 del 08/07/1981; Sez. 2, Sentenza n. 402 del 19/01/1979; Sez. L, Sentenza n. 1170 del 08/03/1978; Sez. 2, Sentenza n. 2315 del 15/07/1971; Sez. 3, Sentenza n. 3862 del 03/12/1969; Sez. 3, Sentenza n. 2309 del 29/10/1965). 4.- Passando al ricorso incidentale, con il primo motivo la controricorrente assume, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione degli articolo 99,112 e 156 c.p.c., per avere la Corte del gravame erroneamente riconosciuto d'ufficio, in assenza di domanda di parte, il diritto del promissario acquirente ad ottenere la restituzione della somma di vecchie Lire 170.000.000, pari ad Euro 87.797,67, oltre interessi legali dalla data del pagamento ex articolo 1282,1458 e 2033 c.c., nonché disposto d'ufficio la compensazione c.d. impropria tra i crediti delle parti, a prescindere dalla domanda creditoria di parte, dichiarando estinti per compensazione i rispettivi crediti delle parti, sino alla reciproca concorrenza. 5.- Con il secondo motivo la ricorrente incidentale si duole, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 4, c.p.c., della nullità della sentenza per violazione degli articolo 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. nonché 24 e 111 Cost., per avere la Corte d'Appello fornito una motivazione inadeguata, perplessa, contraddittoria e obiettivamente incomprensibile circa il riconoscimento d'ufficio, in assenza di domanda di parte, del diritto del promissario acquirente ad ottenere la restituzione da EDILMARE della somma di vecchie Lire 170.000.000, pari ad Euro 87.797,67, oltre interessi legali dalla data di pagamento, nonché la compensazione c.d. impropria disposta d'ufficio dei crediti delle parti, anche se non azionati né in giudizio, né in via stragiudiziale, dichiarando estinti per compensazione i rispettivi crediti, sino alla reciproca concorrenza. 6.- Con il terzo e il quarto motivo la ricorrente incidentale adduce rispettivamente, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli articolo 1224,1282,1458,2033 e 2909 c.c. e, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli articolo 99,112,329 e 342 c.p.c., per avere la Corte di secondo grado, nella parte qua impugnata della sentenza, riconosciuto d'ufficio, in assenza di domanda di parte, il diritto del Li.Si. alla restituzione della somma di vecchie Lire 170.000.000, pari ad Euro 87.797,67, oltre interessi legali dalla data di pagamento, operando l'illegittima compensazione c.d. impropria tra i crediti delle parti, anche se non azionati in giudizio, né in via stragiudiziale, dichiarando estinti per compensazione i rispettivi crediti, sino alla reciproca concorrenza, in presenza del giudicato interno formatosi per effetto della mancata impugnazione, da parte del Li.Si., della sentenza di primo grado in merito alla mancata compensazione impropria da parte del Tribunale circa i reciproci crediti derivanti dalla pronuncia di risoluzione dichiarata dal Tribunale con la sentenza di primo grado. 7.- Il quinto motivo del ricorso incidentale investe, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 1224,1282,1458 e 2033 c.c., per avere la Corte barese liquidato d'ufficio, in favore del Li.Si., gli interessi legali sulla somma di vecchie Lire 170.000.000 (in ordine all'acconto versato), a decorrere dalla data di pagamento della somma, anziché dalla data della domanda. 8.- Devono essere esaminati, in via pregiudiziale, il terzo e il quarto motivo, che attengono al profilo processuale della formazione del giudicato. Essi sono infondati. In difetto di alcuna richiesta di statuizione nel giudizio di primo grado sulla domanda di restituzione dell'anticipo corrisposto dal promissario acquirente, non poteva formarsi alcun giudicato interno per effetto della mancata impugnazione, da parte del Li.Si., della sentenza del Tribunale in merito alla mancata compensazione impropria da parte del Tribunale circa i reciproci crediti derivanti dalla pronuncia di risoluzione. 9.- All'esito, devono essere affrontati il primo e il secondo motivo, che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto avvinti da evidenti ragioni di connessione logica e giuridica. Le censure sono fondate. Ed invero, la risoluzione del contratto, pur comportando - per l'effetto retroattivo sancito dall'articolo 1458 c.c. - l'obbligo del contraente di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere il provvedimento restitutorio in assenza di domanda dell'altro contraente, atteso che rientra nell'autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione, chiedendo, o meno, la restituzione della prestazione rimasta senza causa (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 31127 del 04/12/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 12846 del 10/05/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 11654 del 04/05/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 28722 del 04/10/2022; Sez. 2, Sentenza n. 24915 del 18/08/2022; Sez. 2, Sentenza n. 10109 del 29/03/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 4928 del 15/02/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 39117 del 09/12/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 20156 del 25/07/2019; Sez. 3, Sentenza n. 2075 del 29/01/2013; Sez. 1, Sentenza n. 2439 del 03/02/2006; Sez. 2, Sentenza n. 7829 del 19/05/2003; Sez. 2, Sentenza n. 16021 del 14/11/2002; Sez. 2, Sentenza n. 341 del 14/01/2002; Sez. 2, Sentenza n. 6880 del 18/06/1991). Per l'effetto, la disposta compensazione impropria o atecnica non avrebbe potuto fondarsi sul computo dei rispettivi debiti e crediti aventi origine da un unico - ancorché complesso - rapporto, senza che tali poste fossero state richieste o, comunque, allegate. Infatti, se - per un verso - in tali casi non vi è luogo ad una ipotesi di compensazione propria , bensì ad un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, cui il giudice può procedere senza che siano necessarie l'eccezione di parte o la domanda riconvenzionale (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 26365 del 09/10/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 6700 del 13/03/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 33872 del 17/11/2022; Sez. 1, Ordinanza n. 28568 del 18/10/2021; Sez. 2, Sentenza n. 4825 del 19/02/2019; Sez. 3, Sentenza n. 16994 del 20/08/2015) - per altro verso - tale operazione contabile non può essere effettuata con riferimento a controcrediti che il creditore non abbia fatto valere in giudizio, deducendone tempestivamente i requisiti fattuali (ossia le ragioni su cui essi si innestano) ed esprimendo l'intenzione di azionarli. 10.- In conseguenza il quinto motivo è assorbito. 11.- In definitiva, devono essere accolti i primi due motivi del ricorso incidentale mentre il ricorso principale e il terzo e il quarto motivo del ricorso incidentale vanno respinti e il rimanente motivo del ricorso incidentale è assorbito. La sentenza impugnata va, dunque, cassata, limitatamente ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d'Appello di Bari, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai seguenti principi di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. La risoluzione del contratto, pur comportando - per l'effetto retroattivo sancito dall'articolo 1458 c.c. - l'obbligo del contraente di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere il provvedimento restitutorio in assenza di domanda dell'altro contraente, atteso che rientra nell'autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione, chiedendo, o meno, la restituzione della prestazione rimasta senza causa . Ove i rispettivi debiti e crediti abbiano origine da un unico - ancorché complesso - rapporto, non vi è luogo ad una ipotesi di compensazione propria , bensì ad un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza (compensazione impropria o atecnica), cui il giudice può procedere senza che siano necessarie l'eccezione di parte o la domanda riconvenzionale, sempre che i controcrediti oggetto di tale operazione contabile siano stati fatti valere in giudizio, deducendone tempestivamente i requisiti fattuali (ossia le ragioni su cui essi si innestano) ed esprimendo l'intenzione di azionarli . Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale nonché il terzo e il quarto motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbito il restante motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Bari, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.