«In tema di ordinanze ingiunzione, la notifica diretta, operata dalla Pubblica Amministrazione, a mezzo di posta elettronica certificata è valida anche quando manchi della relata, dell'attestazione di conformità o della firma digitale, salvo che detta mancanza abbia inficiato o anche solo reso verosimilmente sospetta o incerta l'idoneità della specifica comunicazione eseguita ad espletare la propria funzione o a rendere poco agevole l'esercizio del diritto di difesa».
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in commento, ha ribadito il principio secondo cui le notifiche delle ordinanze ingiunzione effettuate tramite posta elettronica certificata (PEC) dalla Pubblica Amministrazione sono valide, anche in assenza di relata di notifica, firma digitale o attestazione di conformità, purché queste carenze non compromettano il raggiungimento dello scopo legale dell'atto. Tale orientamento si fonda sull'articolo 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che disciplina le notificazioni delle ordinanze ingiunzione. Viene sottolineato che il rispetto delle formalità processuali non deve essere visto come un valore fine a sé stesso, ma piuttosto come un mezzo per garantire il diritto di difesa degli interessati. La giurisprudenza della Corte, incluse le Sezioni Unite, ha più volte chiarito che l'assenza di determinati requisiti formali non necessariamente determina la nullità della notificazione, a meno che non siano stati compromessi il diritto di difesa o la funzione stessa della notifica. L'ordinanza si inserisce infatti, in un contesto evolutivo del diritto processuale, in cui le tecnologie dell'informazione e della comunicazione assumono un ruolo centrale, come previsto dal d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, noto come Codice dell'Amministrazione Digitale. La Corte ha richiamato precedenti giurisprudenziali, tra cui la sentenza delle Sezioni Unite n. 7665 del 2016, che sanciscono il principio secondo cui la trasmissione telematica di comunicazioni, se conforme ai requisiti essenziali, equivale alla notifica per mezzo della posta. Tuttavia, il destinatario della notifica può contestare la validità della stessa solo dimostrando che le carenze formali hanno effettivamente impedito un adeguato esercizio del diritto di difesa. La decisione del Collegio sottolinea l'importanza di bilanciare l'efficienza dei procedimenti amministrativi con la tutela dei diritti processuali, indicando chiaramente che nessuno ha diritto al rispetto formale delle regole processuali se non dimostra un concreto pregiudizio derivante dalla loro violazione. Così, la Suprema Corte ha ritenuto di enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di ordinanze ingiunzione, la notifica diretta, operata dalla Pubblica Amministrazione, ai sensi dell'articolo 18 della legge n. 689 del 1981, a mezzo di posta elettronica certificata è valida anche quando manchi della relata, dell'attestazione di conformità o della firma digitale, salvo che detta mancanza abbia inficiato o anche solo reso verosimilmente sospetta o incerta l'idoneità della specifica comunicazione eseguita ad espletare la propria funzione o a rendere poco agevole l'esercizio del diritto di difesa, atteso che, trattandosi di violazione di norme processuali, non è tutelabile l'interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, non rilevando, peraltro, l'elemento psicologico del destinatario in ordine alla finalità della comunicazione ricevuta». Il principio sancito dalla Corte di Cassazione conferma un orientamento innovativo in materia di notificazioni telematiche. Esso rafforza il concetto secondo cui le irregolarità formali non pregiudicano necessariamente la validità della notifica, purché non compromettano la funzione della comunicazione e il diritto di difesa. Questo approccio bilancia l'efficienza amministrativa con le garanzie processuali, promuovendo una visione pragmatica del diritto processuale in linea con l'evoluzione tecnologica e le esigenze pratiche dell'amministrazione della giustizia.
Presidente Orilia - Relatore Pirari Fatti di causa 1. la Prefettura di Alessandria emise, nei confronti di Vi.An., ordinanza ingiunzione, per avere questi commesso atti contrari alla pubblica decenza ai sensi dell'articolo 726 cod. pen., depenalizzato con D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, secondo quanto accertato dai Carabinieri di V in data 20/9/2015. Il giudizio di opposizione, instaurato dal medesimo Vi.An., si concluse con la sentenza di rigetto n. 65/2020 emessa dal Giudice di Pace di Tortona il 1/12/2020, confermata in appello dal Tribunale di Alessandria con la sentenza n. 367/2022, pubblicata il 28/4/2022. In proposito, il giudice di merito ritenne che l'ordinanza ingiunzione fosse stata correttamente notificata presso l'indirizzo PEC dell'avv. Patrizia Tuis, la quale aveva presentato, in nome e per conto dell'ingiunto, l'istanza di annullamento in autotutela e ricevuto la notifica via PEC della data di convocazione del proprio assistito per il giorno 5 marzo 2018, mentre quest'ultimo aveva sollevato soltanto in appello la questione della mancata dimostrazione della sua domiciliazione presso il difensore, essendosi fino ad allora difeso sostenendo che l'elezione di domicilio nell'ambito del procedimento amministrativo non producesse effetti sulla notifica dell'ordinanza ingiunzione e che l'elezione di domicilio ex articolo 18 legge 24 novembre 1981, n. 689 costituisse il luogo di possibile notificazione dell'ordinanza ingiunzione, ancorché priva di effetti nel successivo giudizio contenzioso. 2. Contro la predetta sentenza, il Vi.An. propone ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. Il Ministero dell'Interno-Prefettura di Alessandria sono rimasti intimati. Ragioni della decisione Occorre preliminarmente rilevare che, nonostante la notifica del ricorso sia avvenuta nei confronti dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, in luogo dell'Avvocatura Generale dello Stato, l'infondatezza del ricorso - come si vedrà a breve - rende inutilmente dispendioso e defatigante procedere alla sua rinnovazione. Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone, infatti, al giudice (ai sensi degli articolo 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato a produrre i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l'integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell'effettività dei diritti processuali delle parti (v. Cass. Sez. U. 22/03/2010, n. 6826; Cass. 21/05/2018, n. 12515; 10/05/2018, n. 11287; 17/06/2013, n. 15106). 1. Ciò chiarito e passando all'esame del ricorso, con l'unico motivo si lamenta la violazione dell'articolo 156 cod. proc. civ. e del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, in relazione all'articolo 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice di merito considerato tardivo il ricorso introduttivo, così come aveva precedentemente ritenuto il giudice di pace, equivocando sul motivo d'appello, allorché aveva ritenuto che il ricorrente avesse contestato alla Pubblica Amministrazione il mancato rispetto delle modalità di notifica previste dalla legge n. 53 del 1994 per le notifiche eseguite direttamente agli avvocati, non applicabile al caso di specie, e che, anche a voler considerare sussistente la violazione delle regole tecniche per le notificazioni a mezzo PEC, non sarebbe comunque derivata da ciò alcuna nullità, avendo l'atto raggiunto lo scopo. Il ricorrente ha, sul punto, evidenziato che invece, con la censura in appello, aveva criticato la sentenza di primo grado, in quanto emessa in violazione degli articolo 20, comma 1-bis (sulla firma digitale), 6, comma 1-quater (sull'attestazione di conformità), D.Lgs. n. 82 del 2005 (il c.d. codice dell'amministrazione digitale), nonché dell'articolo 4 D.M. 18 dicembre 2017 (sulla relata di notifica) e dei principi generali in materia di notifica, per avere la Prefettura di Alessandria inviato la comunicazione a mezzo PEC, priva della relata di notifica, della firma digitale e di qualsiasi attestazione di conformità, con conseguente violazione dell'articolo 6 D.Lgs. n. 150 del 2011, in quanto il giudice di pace aveva ritenuto tardivo il ricorso avverso l'ordinanza-ingiunzione, benché la predetta comunicazione non potesse dirsi sufficiente a far decorrere il termine di impugnazione, con conseguente lesione del diritto di difesa, giacché tale modalità di comunicazione dell'ordinanza aveva determinato la proposizione del ricorso oltre i trenta giorni previsti dalla legge, atteso che il difensore, in assenza di relata di notifica, aveva considerato la comunicazione inviata solo per conoscenza, in attesa della rituale notifica al proprio assistito. Il messaggio inviato non poteva, peraltro, considerarsi valida notifica neppure ai sensi dei principi generali dell'ordinamento giuridico in materia di notifica e di nullità, circa la necessità che la notifica a mezzo pec renda percepibile al destinatario la funzione assolta dall'atto di invio ai fini del decorso del termine per l'impugnazione, con la conseguenza che, se non inesistente, doveva quantomeno considerarsi nullo e irregolare. Né - prosegue il ricorrente - detta nullità poteva dirsi sanata per raggiungimento dello scopo, non avendo egli proposto tempestiva opposizione e restando la nullità sanata solo in caso di tempestivo esercizio del diritto di opposizione. 2. Il motivo è infondato. Innanzitutto, non può dirsi più contestata la facoltà per l'Amministrazione di provvedere alla notifica dell'ordinanza anche presso il domicilio eletto nella fase che ha preceduto l'adozione del provvedimento opposto, alla luce del principio affermato da questa Corte, a mente del quale l'elezione di domicilio effettuata nel procedimento amministrativo ai sensi dell'articolo 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che prelude all'emanazione dell'ordinanza-ingiunzione, sebbene non produca effetti nel successivo procedimento contenzioso debba essere ricondotta, nel silenzio della legge, all'ambito di disciplina di cui all'articolo 141 cod. proc. civ. e non a quella di cui all'articolo 170 cod. proc. civ., con la conseguenza che il domicilio eletto rappresenta un luogo di possibile notificazione dell'ordinanza-ingiunzione come scelta facoltativa e non obbligatoria (Cass., Sez. 6-2, 16/12/2020, n. 28829; Cass., Sez. 6-3, 5/9/2014, n. 18812). Inoltre, questa Corte ha avuto più volte modo di affermare, anche a Sezioni Unite, che la notificazione delle ordinanze-ingiunzione ai sensi dell'articolo 18 della legge n. 689 del 1981 può avvenire direttamente da parte della P.A. a mezzo di posta elettronica certificata, rappresentando questa una modalità idonea a garantire al destinatario la conoscibilità dell'atto e la finalità della notificazione, senza che possa farsi riferimento alla necessità del rispetto anche delle formalità di cui alla legge n. 53 del 1994, che attiene alla diversa ipotesi di notifiche eseguite direttamente dagli avvocati, atteso che il rinvio compiuto dall'articolo 14 della legge n. 689 del 1981 alle modalità previste dal codice di procedura civile si riferisce anche all'articolo 149-bis, cod. proc. civ. che, in assenza di espresso divieto, consente in alternativa alla posta ordinaria, di poter far ricorso anche alla notificazione a mezzo posta elettronica certificata, ma direttamente da parte della P.A., senza quindi l'intermediazione dell'ufficiale giudiziario (Cass., Sez. 6-2, 16/12/2020, n. 28829). Peraltro, come osservato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 20685 del 9/8/2018, il D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, stabilisce all'articolo 48, primi due commi, (il primo dei quali come modificato dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, articolo 33, comma 1), da un lato, che la trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata ai sensi del D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, o mediante altre soluzioni tecnologiche individuate con le regole tecniche adottate ai sensi dell'articolo 71 , e, dall'altro lato, che la trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta , sicché il processo (retto da regole sue proprie) - amministrativo telematico costituisce un approdo irrinunciabile dell'ordinamento proprio in base al più volte citato D.Lgs. 82 del 2005, di recente ulteriormente emendato col D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 179, di pieno adeguamento dell'ordinamento interno al Regolamento UE n. 910/2014 del 23 luglio 2014 (del Parlamento Europeo e del Consiglio, in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno, che abroga la Direttiva 1999/99/CE; entrato in vigore il 10 luglio 2016), in base al quale può affermarsi quale principio generale (articolo 41) che le pubbliche amministrazioni gestiscono i procedimenti amministrativi utilizzando le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nei casi e nei modi previsti dalla normativa vigente . Orbene, l'irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell'atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass., Sez. U, 18/4/2016, n. 7665), sicché non si riverberano sulla validità della notificazione la mera carenza delle specifiche attestazioni di provenienza e simili da apporre all'atto comunicato o notificato o, comunque, trasmesso (Cass., Sez. 6-2, 16/12/2020, n. 28829), né la carenza di attestazione di conformità allorché questa non abbia effettivamente inciso sul diritto di difesa, senza che rilevi l'aspetto psicologico del ricevente allorché l'atto abbia comunque raggiunto il suo scopo. Come anche chiarito dalle citate Sezioni Unite, la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela, infatti, l'interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione, sicché è inammissibile l'impugnazione con cui si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l'erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass. 18/12/2015, n. 26831; Cass. Sez. U., 08/05/2017, n. 11141, p. 6 delle ragioni della decisione), dovendo trovare applicazione il generale principio di diritto processuale, elaborato da questa Corte (Cass. 22/02/2016, n. 3432; Cass. 24/09/2015, n. 18394; Cass. 16/12/2014, n. 26450; Cass. 13/05/2014, n. 10327; Cass. 22/04/2013, n. 9722; Cass. 19/02/2013, n. 4020; Cass. 14/11/2012, n. 19992; Cass. 23/07/2012, n. 12804; Cass. 09/03/2012, n. 3712; Cass. 12/09/2011, n. 18635; Cass. Sez. U. 19/07/2011, n. 15763; Cass. 21/02/2008, n. 4435; Cass. 13 /07/2007, n. 15678), per il quale nessuno ha diritto al rispetto delle regole del processo in quanto tali, ma solo se, appunto in dipendenza della loro violazione, ha subito un concreto pregiudizio. Deve allora enunciarsi il seguente principio di diritto: In tema di ordinanze ingiunzione, la notifica diretta, operata dalla Pubblica Amministrazione, ai sensi dell'articolo 18 della legge n. 689 del 1981, a mezzo di posta elettronica certificata è valida anche quando manchi della relata, dell'attestazione di conformità o della firma digitale, salvo che detta mancanza abbia inficiato o anche solo reso verosimilmente sospetta o incerta l'idoneità della specifica comunicazione eseguita ad espletare la propria funzione o a rendere poco agevole l'esercizio del diritto di difesa, atteso che, trattandosi di violazione di norme processuali, non è tutelabile l'interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, non rilevando, peraltro, l'elemento psicologico del destinatario in ordine alla finalità della comunicazione ricevuta . Nella specie, il ricorrente, destinatario di questa forma di notifica presso il domicilio eletto, non ha dedotto i motivi per i quali la mancata relata, l'assenza di firma digitale e la mancata attestazione di conformità abbiano inficiato o anche solo reso verosimilmente sospetta od incerta l'idoneità della specifica comunicazione eseguita ad espletare tale funzione o a rendere poco agevole l'esercizio del diritto di difesa rispetto alla modalità specificamente descritta nella norma, ciò che comporta l'inammissibilità della censura, non avendo alcuna rilevanza il fatto che questi o il suo difensore domiciliatario abbiano errato sulla funzione della comunicazione ricevuta per il tramite di siffatta notifica. 3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Nulla deve disporsi sulle spese, non avendo l'intimato spiegato difese. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto - ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 - della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. Rigetta il ricorso.