Reperibilità notturna: il confine tra orario lavorativo e periodo di riposo

Il pernottamento obbligatorio presso il luogo di lavoro costituisce orario lavorativo ai sensi della direttiva 2003/88/CE. Lo ha chiarito la Suprema Corte pronunciandosi sulla qualificazione del tempo trascorso in reperibilità notturna di un educatore impiegato presso una cooperativa sociale.

L'ordinanza in commento si concentra sul significato di orario di lavoro , un concetto chiave regolato dalla direttiva 2003/88/CE e interpretato dalla Corte di Giustizia UE. Nel caso di un educatore, impiegato presso una cooperativa sociale, la controversia ha riguardato la qualificazione del tempo trascorso in reperibilità notturna con obbligo di pernottamento presso il luogo di lavoro. La direttiva europea, supportata da giurisprudenza consolidata, stabilisce che qualsiasi periodo di reperibilità che limiti significativamente la libertà di gestione del tempo del lavoratore rientra nella definizione di orario di lavoro. Questo principio viene ribadito in numerose cause europee che evidenziano come l'obbligo di presenza fisica al luogo di lavoro durante i turni di guardia comporti il riconoscimento del periodo come orario lavorativo, con conseguenti obblighi retributivi per il datore di lavoro. La Corte di Cassazione italiana ha accolto il ricorso del lavoratore, confermando che tali periodi devono essere adeguatamente remunerati, anche in conformità all'articolo 36 Cost., che garantisce una retribuzione proporzionata e sufficiente. Equità retributiva: adeguamento alle norme europee e nazionali Nel caso in esame, è stato criticato l'approccio della Corte d'Appello di Palermo per aver escluso il riconoscimento del lavoro straordinario notturno, limitandosi a considerare il turno di reperibilità come non computabile ai fini dell'orario lavorativo. La Suprema Corte, ponendo l'accento sulla necessità di un'interpretazione costituzionalmente orientata del CCNL applicabile, ha ribadito che la normativa europea e italiana adottano un approccio binario, distinguendo tra orario di lavoro e periodo di riposo e che la contrattazione collettiva deve rispettare i princìpi fondamentali di proporzionalità e sufficienza della retribuzione. Inoltre, è stato evidenziato che qualsiasi disposizione contrattuale in contrasto con le direttive europee, come la 2003/88/CE, può essere disapplicata. Pertanto, i Giudici hanno chiarito che, pur non essendo necessario retribuire i periodi di reperibilità notturna come lavoro straordinario (come aveva chiesto e ottenuto in primo grado il ricorrente), è fondamentale garantirne una remunerazione adeguata, rispettando i diritti dei lavoratori e la dignità professionale, come sancito dall'articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

Presidente Doronzo Relatore Michelini Rilevato che 1. il Tribunale di Agrigento condannava la coop. sociale (OMISSIS) al pagamento della somma di € 41.003,89 a titolo di compenso per lavoro straordinario e notturno (e correlate differenze di 13a mensilità) in favore del dipendente C.G., educatore 5° livello CCNL Cooperative sociali, in relazione ai servizi di reperibilità notturna, svolti 2 notti a settimana immediatamente dopo il turno di lavoro pomeridiano/serale, per complessive 48 ore settimanali; 2. la Corte d'Appello di Palermo riformava la sentenza di primo grado, con rigetto del ricorso di primo grado, ritenendo le modalità di presenza notturna quali emerse dal compendio probatorio sussumibili nell'articolo 57 CCNL applicato al rapporto (che disciplina la reperibilità con pernottamento) e non nell'articolo 53 (lavoro straordinario, ovvero oltre l'orario settimanale ordinario di lavoro stabilito in 38 ore settimanali, ai sensi dell'articolo 51); 3. per la cassazione della sentenza della Corte d'Appello di Palermo ha proposto ricorso il lavoratore, sulla base di 8 motivi; la cooperativa sociale ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza; Considerato che 1. con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione o falsa applicazione di legge ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all'articolo 56 CCNL del 2002 (o 57 del CCNL del 2010) ai sensi degli articolo 1362 e ss. c.c. in combinato disposto con l'articolo1 d.lgs. n. 66/2003, e articolo 43 c.c.; 2. con il secondo motivo deduce violazione o falsa applicazione di legge ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all'articolo 56 CCNL del 2002 (o 57 del CCNL del 2010) ai sensi all'articolo 2 della direttiva 2003/88/CE; 3. con il terzo motivo deduce violazione o falsa applicazione di legge ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell'articolo 56 CCNL del 2002 (o 57 del CCNL del 2010) ai sensi dell'articolo 1363 c.c. e in relazione agli articolo51, 54, 57 CCNL; 4. con il quarto motivo deduce errore in iudicando, violazione o falsa applicazione di legge ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all'articolo 56 CCNL del 2002 (o 57 del CCNL del 2010) in relazione agli articolo 2697 c.c. e 116 c.p.c. per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto non provato dal ricorrente il lavoro straordinario svolto; 5. con il quinto motivo contesta i criteri interpretativi degli articolo dei CCNL effettuati dal datore di lavoro, in riferimento alle norme di diritto europeo recepite; 6. con il sesto motivo deduce errore in iudicando per omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione in ordine a un fatto decisivo ex articolo 360 c.p.c., n. 5, che non permette il minimo controllo costituzionalmente necessario; 7. con il settimo motivo sostiene che le direttive europee recepite con legge sono norme imperative e che, nell'ipotesi in cui un contratto contrasti con le direttive europee, la legge italiana o il CCNL vanno disapplicati; 8. con l'ottavo motivo deduce violazione del principio di tutela dell'effettività del diritto di difesa (articolo 24 Cost.), avendo la Corte di Appello omesso di condannare (OMISSIS) alle spese legali per il rigetto della domanda di sospensiva (articolo 360, n. 4, c.p.c.); 9. i primi sette motivi, da trattare congiuntamente per connessione, tutti implicando l'esame della nozione di orario di lavoro ai sensi della Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, sono fondati per quanto di ragione; 10. l'odierno ricorrente ha allegato di avere effettuato, nel periodo in contestazione, turni di lavoro che determinavano il superamento dell'orario di lavoro settimanale di 38 ore, in forza di pernottamenti notturni presso la struttura in regime di reperibilità, e di non essere stato correttamente o adeguatamente retribuito, richiedendo il pagamento di straordinari notturni; 11. la Corte d'Appello ha ritenuto la fattispecie compiutamente disciplinata dall'articolo 57 del CCNL cooperative sociali applicato al rapporto, che dispone che: “Nei casi di servizi residenziali continuativi alle lavoratrici e ai lavoratori cui è richiesta la reperibilità con obbligo di residenza nella struttura secondo un'apposita programmazione, oltre alla normale retribuzione, verrà riconosciuta un'indennità fissa mensile lorda di €. 77,47.... Gli orari di reperibilità compresi nelle ore di riposo, notturno e/o diurno, nonché per la consumazione dei pasti non sono ovviamente conteggiati ai fini del computo dell'orario di lavoro così come definito all'articolo 51”; 12. osserva il, Collegio che, in base ai principi espressi dalla Corte di Giustizia UE (Sentenze Simap 3 ottobre 2000, causa C-303/98; Jaeger 9 settembre 2003, causa C-151/02), i periodi di reperibilità, anche senza permanenza sul luogo di lavoro, devono essere qualificati come “orario di lavoro”; a maggior ragione, se il lavoratore è obbligato alla presenza fisica sul luogo indicato dal datore di lavoro, manifestando una sostanziale disponibilità nei confronti di quest'ultimo, al fine di intervenire immediatamente in caso di necessità: 13. anche in più recenti decisioni del 21 febbraio 2018 (causa C518/15, Ville de Nivelles c. R. Matzak) e del 9 marzo 2021 (causa C-344/19 D.J. contro Radiotelevizija Slovenija e causa C-580/19 – R.J. contro Stadt Offenbach am Main) è stato riaffermato che la reperibilità costituisce orario di lavoro (con le corrispondenti obbligazioni datoriali sul pagamento della retribuzione) nel caso in cui i vincoli imposti al lavoratore in regime di reperibilità comprimano significativamente la facoltà del medesimo lavoratore di gestire liberamente, nel corso dello stesso periodo, il proprio tempo libero; 14. è utile richiamare in proposito alcuni significativi passaggi delle conclusioni dell'Avvocato Generale nella causa C580/19 (recepite nella relativa sentenza), che riassumono e aggiornano i principi elaborati dalla giurisprudenza CGUE in materia: “38. La direttiva 2003/88 ha come obiettivo quello di fissare prescrizioni minime destinate a migliorare la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, obiettivo che viene raggiunto, tra l'altro, mediante il ravvicinamento delle disposizioni nazionali riguardanti l'orario di lavoro. 39. Questa aspirazione è un elemento chiave nella costruzione del diritto sociale europeo (…) 41. Attraverso le suddette previsioni è attuato l'articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali, che, dopo avere riconosciuto, al suo paragrafo 1, che «ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose», dispone, al paragrafo 2, che «ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie retribuite». Tale diritto si collega direttamente al rispetto della dignità umana tutelata in modo più ampio nel titolo I della Carta (…) 48. Come precisato in più occasioni dalla Corte, le nozioni di «orario di lavoro» e di «periodo di riposo», ai sensi della direttiva 2003/88, costituiscono nozioni di diritto dell'Unione che occorre definire secondo criteri oggettivi, facendo riferimento al sistema e alla finalità di tale direttiva, intesa a stabilire prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei dipendenti (…) 49. La Corte adotta, dunque, un approccio decisamente binario: il tempo del lavoratore è lavoro o è riposo. 50. Le nozioni di «orario di lavoro» e «periodo di riposo», infatti, «si escludono a vicenda». Allo stato attuale del diritto dell'Unione, «le ore di guardia trascorse da un lavoratore nell'ambito delle sue attività svolte per il datore di lavoro devono essere qualificate come “orario di lavoro” o come “periodo di riposo”» (…) 59. La Corte, già dalle prime pronunce sul tema, ha distinto le due ipotesi di: 1) servizio di guardia svolto secondo un regime di presenza fisica sul luogo di lavoro (periodo di guardia sul luogo di lavoro) e 2) servizio di guardia secondo il sistema per cui i lavoratori devono essere reperibili in permanenza senza per questo essere obbligati ad essere presenti nel luogo di lavoro (periodo di reperibilità continuativa). 60. La prima ipotesi non crea particolari problemi interpretativi, essendo ormai pacifico che un lavoratore, obbligato a essere presente e disponibile sul luogo di lavoro per prestare la sua opera professionale, dev'essere considerato nell'esercizio delle sue funzioni e, pertanto, in orario di lavoro, anche per il tempo in cui non svolge in concreto attività lavorativa”; 15. dunque, secondo la nozione UE, la definizione di “orario di lavoro” va intesa in opposizione a quella di “riposo”, con reciproca esclusione delle due nozioni; e, all'evidenza, l'obbligo di pernottamento presso il luogo di lavoro, anche se non determinante interventi di assistenza, comprime significativamente la gestione del proprio tempo, che non è più tempo libero, da parte del lavoratore interessato; come spiegato dalla CGUE (§ 36, sentenza del 9 marzo 2021 in causa C580/19, cit.), la “Corte ha considerato che, nel corso di un periodo di guardia del genere, il lavoratore, tenuto a permanere sul luogo di lavoro all'immediata disposizione del suo datore di lavoro, deve restare lontano dal suo ambiente familiare e sociale e beneficia di una minore libertà di gestire il tempo in cui non è richiesta la sua attività professionale. Pertanto, l'integralità di siffatto periodo deve essere qualificata come «orario di lavoro», ai sensi della direttiva 2003/88, a prescindere dalle prestazioni di lavoro realmente effettuate dal lavoratore nel corso di suddetto periodo (cfr. Cass n. 32418/2023, n. 34125/2019; 16. nella stessa decisione, peraltro, viene affermato (§ 56) che “è necessario ricordare che, eccezion fatta per l'ipotesi particolare di ferie annuali retribuite, di cui all'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, quest'ultima si limita a disciplinare taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro al fine di garantire la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, cosicché, in linea di principio, essa non si applica alla retribuzione dei lavoratori (…); pertanto (§ 57) “la modalità di retribuzione dei lavoratori per i periodi di guardia rientra nell'ambito non della direttiva 2003/88, bensì di quello delle disposizioni pertinenti di diritto nazionale. Suddetta direttiva non osta di conseguenza all'applicazione della disciplina di uno Stato membro, di un contratto collettivo di lavoro o di una decisione di un datore di lavoro il quale, ai fini della retribuzione di un servizio di guardia, prenda in considerazione in modo differente i periodi nel corso dei quali sono state realmente effettuate prestazioni di lavoro e quelli durante i quali non è stato realizzato nessun lavoro effettivo, anche quando i periodi in parola devono essere considerati, nella loro integralità, come «orario di lavoro» ai fini dell'applicazione della summenzionata direttiva”; 17. dunque, la ricostruzione in termini di dicotomia tra orario di lavoro e periodo di riposo, in base alla normativa dell'Unione europea, come interpretata dalla Corte di Giustizia e come attuata nella normativa italiana, non determina di per sé che il turno di reperibilità notturno debba essere retribuito come lavoro straordinario notturno (come richiesto in via principale da parte ricorrente); ma nemmeno giustifica la sua mancata considerazione ai fini retributivi (o quantomeno adeguatamente indennitari), approdo al quale sembra, invece, giunta la sentenza gravata sussumendo la fattispecie nella previsione di cui all'articolo 57 CCNL applicato al rapporto; 18. infatti, la Corte territoriale non ha considerato, ai fini dell'eventuale disapplicazione, l'entità del compenso prevista su base giornaliera o mensile dal CCNL per i servizi di reperibilità notturna prestati presso la struttura costituente luogo di lavoro, entità che, in ogni caso, deve essere conforme al principio di retribuzione proporzionata e dignitosa, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa; 19. in proposito, questa Corte ha di recente chiarito che, nell'attuazione dell'articolo 36 Cost., il giudice deve fare riferimento, quali parametri di commisurazione, in via preliminare alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può motivatamente discostarsi, anche ex officio, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall'articolo 36 Cost. (Cass. n. 27711, n. 27713, n. 27769/2023; cfr. anche Cass. n. 28320, n. 28321, n. 28323/2023); 20. pertanto, in accoglimento dei primi sette motivi di ricorso per quanto di ragione, con assorbimento dell'ottavo, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte d'Appello in diversa composizione, per il riesame della fattispecie concreta attenendosi ai seguenti principi di diritto: “in base alla normativa dell'Unione europea, come interpretata dalla Corte di Giustizia e come attuata nella normativa italiana, la definizione di “orario di lavoro” va intesa in opposizione a quella di “riposo”, con reciproca esclusione delle due nozioni; l'obbligo, per il lavoratore, di svolgere turni di pernottamento presso il luogo di lavoro, anche se non determinante interventi di assistenza, va considerato orario di lavoro e deve essere adeguatamente retribuito; la retribuzione dovuta per tali prestazioni deve essere conforme ai criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall'articolo 36 Cost.”; 21. alla Corte di rinvio è demandata anche la regolazione delle spese di lite, incluse quelle del presente giudizio di legittimità; P.Q.M. La Corte accoglie i primi sette motivi di ricorso nei sensi di cui in motivazione, assorbito l'ottavo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d'Appello di Palermo in diversa composizione, anche per le spese.