La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ritiene di dare seguito al recente orientamento giurisprudenziale secondo cui integra il delitto di furto e non quello di appropriazione indebita la condotta del condominio che, tramite allaccio abusivo al contatore condominiale, si impossessa dell’energia destinata alla proprietà comune.
La sentenza in commento trae origine dalla condotta, qualificata e punita come furto, posta in essere da un condomino, il quale si impossessava, previo allaccio abusivo alle cassette elettriche del condominio, di un impreciso quantitativo di energia elettrica sottraendola al condominio, al fine di alimentare il proprio esercizio commerciale. Il difensore, sul punto, con ricorso per cassazione si doleva dell'erronea qualificazione del fatto, il quale, a suo dire, doveva essere qualificato come appropriazione indebita e non come furto poiché non vi era prova che la manomissione avesse prodotto una deviazione del flusso di energia a seguito del transito attraverso il contatore condominiale. Inoltre, il tecnico incaricato dal condominio aveva accertato il malfunzionamento di un lampione condominiale a causa della presenza di due cavi, i quali alimentavano il gazebo esterno dell'esercizio commerciale dell'imputato. Secondo il tecnico infatti, il malfunzionamento non riguardava l'intero impianto elettrico condominiale, ma solo il faro a causa di un surplus di assorbimento di energia. Nessuna deviazione di elettricità dunque, per il ricorrente, veniva attuata rispetto alla funzionalità dell'intera rete condominiale, la quale risultava appunto, funzionante. Per il Collegio il motivo di ricorso è infondato. Sottolineando il corretto iter motivazionale del Tribunale e della Corte di appello, la Suprema Corte ritiene di dare continuità al più recente orientamento giurisprudenziale secondo il quale «integra il delitto di furto e non quello di appropriazione indebita, la condotta del condomino che mediante allaccio abusivo a balle del contatore condominiale, si impossessi di energia elettrica destinata all'alimentazione di apparecchi ed impianti di proprietà comune». Ciò posto, prosegue la Corte, «l'energia su cui ciascun condomino ha un autonomo potere di fatto, esercitato al di fuori del controllo altrui, ossia quell'autonomo potere dispositivo in presenza del quale la condotta di indebita fruizione per costante giurisprudenza deve essere qualificata come appropriazione indebita e non come furto è soltanto quella che transitando attraverso il contatore serve in concreto gli impianti condominiali». Per cui, quando il condomino pone in essere una condotta che devia il flusso di energia che è transitato dal contatore al fine di alimentare soltanto gli apparecchi e gli impianti proprio, non esercita il potere dispositivo che gli è attribuito in qualità di condomino, ma compie una sottrazione dell'energia destinata a fini condominiali e, per tal motivo solo in questi limiti di disponibilità comune, a beneficio invece del proprio consumo individuale che, appunto, «esorbita dai limiti di disponibilità comune dell'energia, la quale può ravvisarsi solo limitatamente al flusso effettivamente utilizzato per alimentare gli impianti comuni». Tale impossessamento integra il reato previsto e punito dall'articolo 624 c.p. poiché sull'energia deviata, la quale riveste qui la qualità di refurtiva, viene conseguita una signoria piena, autonoma ed effettiva da parte dell'agente.
Presidente Miccoli - Relatore Romano Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe La Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del 13 maggio 2022 del Tribunale di Paola che aveva affermato la penale responsabilità di G.G. per il reato di furto aggravato dalla violenza sulle cose ai danni di un condominio e, applicate le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti all'aggravante, lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia, nonché al risarcimento del danno, da liquidarsi separatamente, in favore del condominio costituitosi parte civile. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso G.G., a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento ed articolando due motivi. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente sostiene che il fatto andrebbe qualificato come appropriazione indebita e non come furto. Evidenzia che il fatto a lui contestato consiste nell'essersi impossessato, previo allaccio abusivo alle cassette elettriche del condominio, di un imprecisato quantitativo di energia elettrica sottraendola al condominio ed alimentato con essa il proprio esercizio commerciale (OMISSIS) e che nel caso di specie mancherebbe la prova che la manomissione abbia prodotto una deviazione del flusso di energia dopo che essa era transitata attraverso il contatore condominiale. Il tecnico incaricato dal condominio aveva accertato che un lampione condominiale non funzionava a causa della presenza di due cavi che alimentavano il gazebo esterno dell'esercizio commerciale dell'imputato. Il malfunzionamento riguardava non l'intero impianto elettrico condominiale, ma solo un faro ed esso era dovuto ad un corto circuito dovuto ad un surplus di assorbimento di energia; nessuna deviazione di elettricità era stata attuata rispetto alla funzionalità dell'intera rete elettrica condominiale, che risultava perfettamente funzionante, ad eccezione di un faro a causa di un surplus di energia e non perché scollegato. Pertanto, la querela sporta dal condominio doveva ritenersi tardiva. 2.2. Con il secondo motivo si duole del difetto di querela, essendo il reato divenuto procedibile a querela dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, e sostiene che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto equiparabile alla manifestazione della volontà punitiva tipica della querela la mancata revoca della costituzione di parte civile, atteso che il condominio aveva già sporto querela prima della entrata in vigore del citato d.lgs. e quindi era in relazione alla querela originariamente sporta che doveva valutarsi la tempestività. Peraltro, nella querela originariamente sporta, i fatti portati a conoscenza delle forze dell'ordine venivano solo descritti, ma non giuridicamente qualificati. Poiché i fatti erano avvenuti in data 20 luglio 2017, la querela, sporta in data 11 novembre 2017, doveva ritenersi tardiva. Considerato in diritto 1. Il secondo motivo di ricorso è infondato. Questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di condizioni di procedibilità, che la volontà punitiva tardivamente manifestata dalla persona offesa in relazione a reati originariamente perseguibili d'ufficio, divenuti procedibili a querela a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. riforma «Cartabia»), equivale a presentazione della querela, non rilevando la sua tardività, in quanto trattasi di irregolarità afferente a un momento procedimentale anteriore, in cui essa non era richiesta a fini di procedibilità (Sez. 2, n. 50672 del 10/11/2023, Ongaro, Rv. 285691). Si è osservato che le Sezioni Unite, con riferimento alla disciplina transitoria prevista dall'articolo 12, comma 2, del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, che prevede che ai titolari del diritto di querela dei reati per i quali è stato modificato il regime di procedibilità deve essere somministrato un avviso per potere esercitare il loro «nuovo» diritto, hanno affermato che l'avviso non debba essere dato quando l'offeso abbia, in qualsiasi atto del procedimento, manifestato la volontà di instare per la punizione dell'imputato, e, dunque anche quando si sia costituito parte civile (Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273552, § 3.2.). Si è quindi evidenziato che la ratio di tale decisione è estensibile all'ipotesi della querela sporta «tardivamente» in un momento in cui il reato era ancora procedibile d'ufficio ed è divenuto, successivamente, procedibile a querela, sicché la modifica del regime di procedibilità, con l'introduzione della necessità della querela, non osta al riconoscimento della sussistenza della volontà di punire quando la stessa sia già stata espressa dall'offeso con la costituzione di parte civile o con una querela, apparentemente «tardiva», ma in realtà proposta quando essa non condizionava la procedibilità del reato. Poiché, nel caso di specie, al momento dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022 la querela era già stata sporta ed in ogni caso era già intervenuta la costituzione di parte civile, mai revocata, non occorreva alcuna ulteriore manifestazione di volontà punitiva. 2. Il primo motivo di ricorso è infondato. Come correttamente osservato dal Tribunale e poi dalla Corte di appello, secondo il più recente orientamento di questa Corte di cassazione - che questo Collegio condivide ed al quale intende assicurare continuità - integra il delitto di furto e non quello di appropriazione indebita la condotta del condomino che, mediante allaccio abusivo a valle del contatore condominiale, si impossessi di energia elettrica destinata all'alimentazione di apparecchi ed impianti di proprietà comune (Sez. 5, n. 17773 del 21/02/2022, Talarico, Rv. 283078; Sez. 5, n. 115 del 07/10/2021, dep. 2022, Insolia, Rv. 282394; Sez. 5, n. 117 del 13/10/2021 dep. 2022, n.m.). In particolare, si è osservato che deve considerarsi che l'energia su cui ciascun condomino ha un autonomo potere di fatto - esercitato al di fuori del controllo altrui - ossia quell'«autonomo potere dispositivo» in presenza del quale la condotta di indebita fruizione per costante giurisprudenza deve essere qualificata come appropriazione indebita e non come furto (Sez. 4, n. 54014 del 25/10/2018, Veccari, Rv. 274749 - 01) - è soltanto quella che transitando attraverso il contatore serve in concreto gli impianti condominiali. Quando, invece, il condomino (o il conduttore) ponga in essere una condotta che distoglie (devia) il flusso dell'energia che è transitato dal contatore, di guisa che essa alimenti (soltanto) gli apparecchi e gli impianti propri, non esercita il potere dispositivo che anche a lui (come agli altri condomini o conduttori) è attribuito ma compie una sottrazione dell'energia destinata a fini condominiali (e solo entro tali limiti nella disponibilità comune) a beneficio invece del proprio consumo individuale, che - si ribadisce - esorbita dai limiti della disponibilità comune dell'energia la quale può ravvisarsi solo limitatamente al flusso effettivamente utilizzato per alimentare gli impianti comuni. E, in tal modo, pone in essere quell'impossessamento dell'energia deviata, sanzionato dall'articolo 624 cod. pen., conseguendo la signoria su di essa «intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell'agente» (Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014, Prevete, Rv. 261186 - 01). Laddove poi il ricorrente sostiene che non sono provati l'impossessamento e la sottrazione, egli solleva censure attinenti al fatto, invocandone una diversa ricostruzione sulla base di una rivalutazione del materiale istruttorio non consentita in questa sede. 3. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato, ai sensi dell'articolo 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali. Non può essere accolta la istanza di condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile, poiché quest'ultima ha fatto pervenire tardivamente (il 14 marzo 2025) la sua memoria difensiva, in assenza di memoria depositata dal ricorrente (il che impedisce di qualificare l'atto trasmesso dalla parte civile come una memoria di replica), cosicché questa non può essere valutata da questa Corte di cassazione e, quindi, in definitiva, la parte civile non ha svolto alcuna utile attività processuale. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese di parte civile.