Gli importi dovuti all’avvocatura interna delle P.A. hanno natura retributiva e spettano al netto dell’IRAP, imposta che rimane in capo esclusivamente alla P.A., senza che quest’ultima possa farla gravare sui propri dipendenti in via diretta o indiretta. L’Avvocato dipendente è tenuto a provare la fonte del diritto ed il termine di scadenza.
La ricorrente, dipendente della Provincia di Grosseto con funzioni di avvocato, lamentava l'indebita trattenuta dell'IRAP da parte della Provincia dai suoi compensi professionali, a decorrere dal 2011. Tale trattenuta trovava la propria origine nella considerazione che il fondo utilizzato per gli emolumenti sarebbe stato comprensivo di IRAP. Veniva, quindi, richiesta la restituzione delle somme in questione. Il Tribunale di primo grado accoglieva il ricorso, mentre, in sede di Appello, la sentenza veniva integralmente riformata. La sentenza della Corte d'Appello di Firenze veniva impugnata da parte della dipendente della Provincia, la quale eccepiva la violazione/falsa applicazione delle norme afferenti l'IRAP, sostenendo che tale imposta, non rientrando fra gli “oneri riflessi”, non potrebbe essere trattenuta dallo stipendio degli avvocati dipendenti pubblici, dovendo invece essere a carico della Pubblica Amministrazione. Nell'ordinanza in commento, dopo un'approfondita analisi della normativa, la Suprema Corte osserva come siano desumibili quattro regole che governano la materia ovvero: la retribuzione degli avvocati dipendenti delle P.A. è in parte costituita da quote delle somme riscosse dall'ente a titolo di onorari; la disciplina di tale componente retributiva è contenuta, oltre che nella legge, nella contrattazione collettiva e nei regolamenti interni delle amministrazioni; le somme erogabili dalle P.A. agli avvocati dipendenti sono limitate dalle disposizioni di legge (generali e speciali) che in via permanente o anno per anno impongono i vincoli di spesa alla P.A.; le somme destinate alla corresponsione dei compensi professionali sono comprensive degli oneri riflessi, mentre l'IRAP è un'imposta che colpisce il valore aggiunto delle attività autonomamente organizzate e grava come tale sulla P.A. datrice di lavoro e non sui redditi personali, sicché una volta rispettati i limiti imposti dalle leggi ed operati i dovuti accantonamenti le P.A. non possono traslare l'imposta sull'avvocato dipendente. Pertanto, una volta accertato il diritto dell'avvocato dipendente– il quale è tenuto a dimostrare (i) la fonte, legale, contrattuale o regolamentare e (ii) la prestazione alla quale la fonte ricollega il sorgere del credito retributivo e ad allegare l'inadempimento della P.A. - al pagamento di un determinato importo per compensi professionali, lo stesso importo sarà da considerarsi comprensivo degli oneri riflessi, ma non dell'IRAP che grava inderogabilmente sulla P.A. datrice di lavoro. Osserva, poi, la Corte di Cassazione che tale ricostruzione trova conforto anche nella giurisprudenza contabile, amministrativa e ordinaria ed infatti: la Corte dei Conti a Sezioni Riunite con parere n. 33/2010 ha osservato come le disponibilità di bilancio destinate ai “fondi” da ripartire debbano essere quantificate al netto delle somme che la P.A. è tenuta a versare a titolo di IRAP, poiché un'interpretazione differente confliggerebbe con le previsioni normativa. Al riguardo è necessario considerare che tale imposta è calcolata sulla spesa per il personale e, pertanto, l'incremento della retribuzione accessoria dei dipendenti aumenta l'importo dovuto dalla P.A. a titolo di IRAP. L'ammontare dovuto a titolo di IRAP dovrà essere accantonato dalla P.A., ma non detratto dal compenso del dipendente; la settima Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 5817/2024, ha stabilito che la P.A. può far confluire nei fondi destinati ai compensi per gli avvocati dipendenti gli importi dovuti a titolo di IRAP, ma ciò non può valere a ridurre i compensi dovuti agli avvocati dipendenti; parimenti, anche la giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione conferma i principi enunciati dalla giurisprudenza contabile ed amministrativa ed in particolare che l'incidenza dell'IRAP deve ritenersi a carico della sola P.A. datrice di lavoro senza possibilità di operare una traslazione sul lavoratore. In applicazione dei principi richiamati ed in accoglimento del ricorso presentato dall'avvocato dipendente, la Suprema Corte, nell'ordinanza in commento ha, quindi, stabilito che la Corte di Appello di Firenze non avrebbe correttamente applicato i principi in materia, poiché la P.A. non può addebitare l'IRAP direttamente, con una ritenuta alla fonte, ma nemmeno indirettamente, deducendola dal diritto di credito del lavoratore. La P.A., per corrispondere all'Erario l'IRAP, può utilizzare le risorse presenti nel fondo destinato ai compensi degli avvocati dipendenti soltanto nella misura in cui queste eccedano i limiti fissati dalla legge per la retribuzione degli avvocati dipendenti che, quindi, non può essere intaccata dal pagamento di detta imposta. Quanto all'azione esercitata dagli avvocati dipendenti della P.A., la pronuncia in commento precisa che trattasi di un'azione di adempimento e pertanto, il creditore ha l'onere di provare solamente la fonte del proprio diritto ed il relativo termine di scadenza, allegando l'inadempimento della controparte, mentre la P.A. è tenuta a provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa.
Presidente Di Paolantonio - Relatore Cavallari Svolgimento del processo Ca.Ch., dipendente della Provincia di Grosseto con funzioni di avvocato presso l'ufficio legale dell'ente, ha adito il Tribunale di Grosseto, lamentando di avere subito l'indebita trattenuta dell'IRAP da parte della Provincia medesima a partire dal 2011. La ricorrente ha chiesto, quindi, la restituzione delle somme in questione. Il Tribunale di Grosseto, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 79/2017, ha accolto il ricorso. La Provincia di Grosseto ha proposto appello che la Corte d'Appello di Firenze, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 699/2018, ha accolto. Ca.Ch. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. La Provincia di Grossetto si è difesa con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione 1) Secondo la descrizione dei fatti di causa contenuta nel ricorso per cassazione, il presente giudizio è stato introdotto da una dipendente della Provincia di Grosseto con funzioni di avvocato presso l'ufficio legale dell'ente. Senza alcun preavviso, la P.A. aveva iniziato, a decorrere dall'anno 2011, a trattenere l'IRAP sui suoi compensi professionali, senza neppure farlo risultare dalle buste paga. Ciò in quanto la Provincia di Grosseto aveva considerato il fondo da utilizzare per tali emolumenti come comprensivo dell'IRAP, accantonando le somme a questo fine necessarie e distribuendo il residuo. La presente controversia attiene, quindi, alla pretesa della ricorrente di vedersi corrispondere le somme che la Provincia di Grosseto non aveva versato (a titolo di salario accessorio), sul presupposto che servissero a pagare l'IRAP gravante sul datore di lavoro. 2) Con il primo e il secondo motivo che, per ragioni di connessione, possono essere trattati congiuntamente, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 1, comma 208, della legge n. 266 del 2005 e degli articolo 2, 3 e 4 della legge n. 446 del 1997. Sostiene che l'IRAP, non rientrando fra gli oneri riflessi, non potrebbe essere trattenuta sullo stipendio degli avvocati pubblici dipendenti, dovendo restare a carico della P.A. datrice di lavoro, e che la Provincia di Grosseto avrebbe male interpretato la giurisprudenza contabile in materia. La P.A., in particolare, avrebbe errato nel decurtare l'IRAP sulla medesima gravante dal fondo ove erano presenti le risorse per pagare i compensi professionali dei detti avvocati. In realtà, avrebbe solo potuto accantonare importi pari a tale IRAP, conformemente alla normativa in tema di bilancio, al fine di adempiere ai suoi obblighi tributari, ma, comunque, questa operazione non avrebbe potuto condurre al risultato pratico di ridurre i compensi de quibus in misura pari all'imposta citata. Piuttosto, sarebbe stato onere della Provincia di Grosseto accantonare risorse sufficienti sia a pagare integralmente i lavoratori sia a soddisfare l'Erario. Nella specie, la P.A. avrebbe realizzato un'indebita traslazione dell'imposta dall'ente al lavoratore, trasformando l'IRAP da tributo reale a prelievo sul reddito. 3) Preliminarmente, occorre ricostruire la disciplina applicabile nella fattispecie. 3.1) L'articolo 69, comma 2, del D.P.R. n. 268 del 13 maggio 1987, Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo sindacale, per il triennio 1985-1987, relativo al comparto del personale degli enti locali, intitolato Professionisti legali , prevedeva che al predetto personale spettano altresì i compensi di natura professionale previsti dal R.D. 27/11/1933, n. 1578, recuperati a seguito di condanna della parte avversa soccombente . L'articolo 69 citato è stato confermato, a livello nazionale, dall'articolo 50 del D.P.R. n. 333 del 1990 e recepito dall'articolo 52 della legge Regione Toscana n. 62 del 1987, denominato Professionisti legali , per il quale: 1. Fermi restando gli inquadramenti nei profili professionali previsti dalla normativa vigente, ai professionisti legali della Regione Toscana al conseguimento rispettivamente della qualifica di avvocato e avvocato cassazionista è riconosciuto un compenso pari all'1% dello stipendio tabellare base indicato nel precedente articolo 31 da aggiungere al maturato economico di anzianità. 2. Al predetto personale spettano altresì i compensi di natura professionale previsti dal RD 27 novembre 1933, n. 1578 recuperati a seguito di condanna della parte avversa soccombente . Successivamente, la legge Regione Toscana n. 51 del 1989, Testo unico delle Leggi sul personale (poi abrogato dall'articolo 1 della legge Regione Toscana n. 11 del 2002), pur abrogando, con l'articolo 164, la legge Regione Toscana n. 62 del 1987, ha sostanzialmente confermato, con l'articolo 134 (Professionisti legali), la previsione del menzionato articolo 52 di quest'ultima legge. Il CCNL normativo 1998 - 2001 economico 1998 - 1999 del 1 aprile 1999 ha stabilito, quindi, all'articolo 28 (Disapplicazioni), che: 1. Dalla data di stipulazione del presente CCNL e del CCNL sulla revisione del sistema di classificazione del personale stipulato in data 31.3.1999 sono inapplicabili, nei confronti del personale del comparto, tutte le norme previgenti con essi incompatibili in relazione ai soggetti ed alle materie dalle stesse contemplate e, in particolare, le seguenti disposizioni: (...); - articolo 10, 21, escluso comma 4, 57, 58, 59, 62, comma 1, 69, comma 1, 71 e 73 del D.P.R. 268/87 . In seguito, l'articolo 37 ( Norma per gli enti provvisti di Avvocatura ) del CCNL del 23 dicembre 1999, Comparto Regioni - enti locali contratto collettivo nazionale di lavoro area della dirigenza 1998 - 2001, ha disposto che: 1. Gli enti provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'ente, secondo i principi di cui al regio decreto legge 27.11.1933 n. 1578 valutando l'eventuale esclusione, totale o parziale, dei dirigenti interessati, dalla erogazione della retribuzione di risultato. Sono fatti salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi enti abbiano applicato la disciplina vigente per l'Avvocatura dello Stato anche prima della stipulazione del presente CCNL . L'articolo 27 del CCNL del 14 settembre 2000 per il personale non dirigenziale del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali successivo a quello del 1 aprile 1999, ha prescritto, poi, che: Gli enti provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'ente, secondo i principi di cui al regio decreto legge 27.11.1933 n. 1578 e disciplinano, altresì, in sede di contrattazione decentrata integrativa la correlazione tra tali compensi professionali e la retribuzione di risultato di cui all'articolo 10 del CCNL del 31.3.1999. Sono fatti salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi enti abbiano applicato la disciplina vigente per l'Avvocatura dello Stato anche prima della stipulazione del presente CCNL . L'articolo 51 ( Disapplicazioni ), di quest'ultimo CCNL ha anche disposto che: 1. Dalla data di stipulazione del presente CCNL, ai sensi dell'articolo 72, comma 1, del D.Lgs.n.29/1993, cessano di produrre effetti le norme generali e speciali del pubblico impiego ancora vigenti, limitatamente agli istituti del rapporto di lavoro. 2. Dalla data di cui al comma 1 sono inapplicabili le norme dei contratti collettivi nazionali di lavoro e quelle emanate dai singoli enti del comparto, in esercizio di potestà legislativa o regolamentare, incompatibili con il presente CCNL . Pertanto, con l'entrata in vigore del CCNL del 14 settembre 2000, tutte le disposizioni precedenti che regolavano la materia in esame hanno cessato di avere applicazione. Il compenso degli avvocati degli enti locali è stato regolato, quindi, da tale data, direttamente dagli enti provvisti di avvocatura, secondo i principi di cui al regio decreto-legge n. 1578 del 1933, ma Sono fatti salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi enti abbiano applicato la disciplina vigente per l'Avvocatura dello Stato anche prima della stipulazione del presente CCNL . La disciplina vigente per l'Avvocatura dello Stato (che, dunque, è fatta salva dalla contrattazione collettiva) era contenuta nell'articolo 21 del regio decreto n. 1611 del 1933, Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato che, all'epoca della sottoscrizione del CCNL del 14 settembre 2000, per quel che rileva, stabiliva che: L'Avvocatura generale dello Stato e le avvocature distrettuali nei giudizi da esse rispettivamente trattati curano la esazione delle competenze di avvocato e di procuratore nei confronti delle controparti quando tali competenze siano poste a carico delle controparti stesse per effetto di sentenza, ordinanza, rinuncia o transazione. Con l'osservanza delle disposizioni contenute nel titolo II della legge 25 novembre 1971, n. 1041, tutte le somme di cui al precedente comma e successivi vengono ripartite per otto decimi tra gli avvocati e procuratori di ciascun ufficio in base alle norme del regolamento e per due decimi in misura uguale fra tutti gli avvocati e procuratori dello stato. La ripartizione ha luogo dopo che i titoli, in base ai quali le somme sono state riscosse siano divenuti irrevocabili: le sentenze per passaggio in giudicato, le rinunce per accettazione e le transazioni per approvazione. Negli altri casi di transazione dopo sentenza favorevole alle Amministrazioni dello Stato e nei casi di pronunciata compensazione di spese in cause nelle quali le Amministrazioni stesse non siano rimaste soccombenti, sarà corrisposta dall'Erario all'Avvocatura dello Stato, con le modalità stabilite dal regolamento, la metà delle competenze di avvocato e di procuratore che si sarebbero liquidate nei confronti del soccombente. Quando la compensazione delle spese sia parziale, oltre la quota degli onorari riscossa in confronto del soccombente, sarà corrisposta dall'Erario la metà della quota di competenze di avvocato e di procuratore sulla quale cadde la compensazione . 3.2) Nel 2014 si è avuta una rivisitazione globale della materia, con l'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014. Si tratta di una normativa complessa che, nel periodo che qui interessa, stabilisce, al comma 1, che I compensi professionali corrisposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato, sono computati ai fini del raggiungimento del limite retributivo di cui all'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni . Il comma 3 prescrive che Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni di cui al comma 1, esclusi gli avvocati e i procuratori dello Stato, nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi del comma 5 e comunque nel rispetto dei limiti di cui al comma 7. La parte rimanente delle suddette somme è riversata nel bilancio dell'amministrazione . I commi 5 e 6, poi, dispongono che I regolamenti dell'Avvocatura dello Stato e degli altri enti pubblici e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo periodo del comma 3 e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualità negli adempimenti processuali. I suddetti regolamenti e contratti collettivi definiscono altresì i criteri di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi, da operare ove possibile attraverso sistemi informatici, secondo principi di parità di trattamento e di specializzazione professionale e che In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, ai dipendenti, ad esclusione del personale dell'Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non può superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013. Nei giudizi di cui all'articolo 152 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, possono essere corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali delle relative amministrazioni e nei limiti dello stanziamento previsto. Il suddetto stanziamento non può superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013 . Infine, il comma 7 precisa che I compensi professionali di cui al comma 3 e al primo periodo del comma 6 possono essere corrisposti in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo . 3.3) Ulteriori disposizioni importanti nella fattispecie sono quelle di cui ai commi da 176 a 208 dell'articolo 1 della legge n. 266 del 2005, fra le quali rilevano quelle contenute nei seguenti commi: 178. In deroga a quanto stabilito dall'articolo 48, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, i maggiori oneri di personale del biennio contrattuale 2004-2005 derivanti dall'attuazione del protocollo di intesa sottoscritto dal Governo e dalle organizzazioni sindacali il 27 maggio 2005, per il personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall'amministrazione statale, sono posti a carico del bilancio dello Stato per un importo complessivo di 220 milioni di Euro a decorrere dall'anno 2006. La presente disposizione non si applica alle regioni a statuto speciale, alle province autonome di Trento e di Bolzano, nonché agli enti locali ricadenti nel territorio delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Per gli enti del Servizio sanitario nazionale si applica il comma 182. 181. Le somme indicate ai commi 176, 177 e 178, comprensive degli oneri contributivi e dell'IRAP di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, concorrono a costituire l'importo complessivo massimo di cui all'articolo 11, comma 3, lettera h), della legge 5 agosto 1978, n. 468. (...) 185. Le somme di cui ai commi 183 e 184, comprensive degli oneri contributivi e dell'IRAP di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, concorrono a costituire l'importo complessivo massimo di cui all'articolo 11, comma 3, lettera h), della legge 5 agosto 1978, n. 468. (...) 189. A decorrere dall'anno 2009, l'ammontare complessivo dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni dello Stato, delle agenzie, incluse le Agenzie fiscali di cui agli articoli 62,63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, degli enti pubblici non economici, inclusi gli enti di ricerca e quelli pubblici indicati all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e delle università, determinato ai sensi delle rispettive normative contrattuali, non può eccedere quello previsto per l'anno 2004 come certificato dagli organi di controllo di cui all'articolo 48, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e, ove previsto, all'articolo 39, comma 3-ter, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ridotto del 10 per cento. (...) 192. A decorrere dal 1 gennaio 2006, al fine di uniformare i criteri di costituzione dei fondi, le eventuali risorse aggiuntive ad essi destinate devono coprire tutti gli oneri accessori, ivi compresi quelli a carico delle amministrazioni, anche se di pertinenza di altri capitoli di spesa. (...) 198. Le amministrazioni regionali e gli enti locali di cui all'articolo 2, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché gli enti del Servizio sanitario nazionale, fermo restando il conseguimento delle economie di cui all'articolo 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1 per cento. A tal fine si considerano anche le spese per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni. 199. Ai fini dell'applicazione del comma 198, le spese di personale sono considerate al netto: a) per l'anno 2004 delle spese per arretrati relativi ad anni precedenti per rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro; b) per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 delle spese derivanti dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro intervenuti successivamente all'anno 2004. 200. Gli enti destinatari del comma 198, nella loro autonomia, possono fare riferimento, quali indicazioni di principio per il conseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa di cui al comma 198, alle misure della presente legge riguardanti il contenimento della spesa per la contrattazione integrativa e i limiti all'utilizzo di personale a tempo determinato, nonché alle altre specifiche misure in materia di personale. (...) 206. Le disposizioni dei commi da 198 a 205 costituiscono principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione. (...) 208. Le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali comunque dovuti al personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro . 3.4) Pertanto, è dato individuare tre periodi rilevanti nella presente materia, cronologicamente parlando. Il primo, che termina il 31 dicembre 2005, durante il quale tale materia è disciplinata dall'articolo 69, comma 2, del D.P.R. n. 268 del 13 maggio 1987 e dall'articolo 27 del CCNL del 14 settembre 2000 per il personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali successivo a quello del 1 aprile 1999, secondo i principi di cui al regio decreto-legge n. 1578 del 1933 e la regolamentazione vigente per l'Avvocatura dello Stato contenuta nell'articolo 21 del regio decreto n. 1611 del 1933. L'avvocato-dipendente riceve un compenso accessorio tratto delle somme riscosse dall'ente datore di lavoro a titolo di competenze di procuratore e onorari di avvocato poste a carico delle controparti, conformemente alla citata normativa, alla contrattazione collettiva e al regolamento interno del datore di lavoro. A tale quota si somma un ulteriore importo, eventualmente stabilito nei regolamenti interni e con i limiti ivi indicati, relativo alle controversie definite con sentenza favorevole per l'ente, ma con compensazione delle spese legali. Il secondo, che decorre dal 1 gennaio 2006, con l'entrata in vigore della legge n. 166 del 2005, nel quale, alla disciplina sopra menzionata, si aggiunge la prescrizione (contenuta nell'articolo 1, comma 208, di quest'ultima legge) per la quale gli oneri riflessi gravano sull'avvocato-dipendente della P.A. Il terzo e ultimo, che inizia con l'entrata in vigore dell'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014, che riforma gli onorari dell'Avvocatura generale dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici. 4) Dalla normativa trascritta possono ricavarsi le prescrizioni che consentono di definire la controversia. 4.1) Innanzitutto, le disposizioni elencate pongono una prima regola generale, in base alla quale parte della retribuzione degli avvocati dipendenti delle pubbliche amministrazioni è costituita da quote delle somme riscosse dall'ente a titolo di competenze di procuratore e onorari di avvocato e poste a carico delle controparti, eventualmente maggiorate degli importi previsti dalle disposizioni regolamentari quanto alle controversie definite con sentenza favorevole, ma con compensazione delle spese. L'articolo 21 del regio decreto n. 1611 del 1933 indicava in otto decimi, per gli avvocati e procuratori di ciascun ufficio, questo importo, nelle ipotesi di soccombenza delle controparti; nei casi di pronunciata compensazione di spese e di pronunce favorevoli andava corrisposta, con le modalità stabilite dal regolamento, la metà delle competenze di avvocato e di procuratore che si sarebbero liquidate nei confronti del soccombente (se la compensazione era parziale, oltre la quota degli onorari riscossa in confronto del soccombente, sarebbe stata pagata la metà della quota di competenze di avvocato e di procuratore sulla quale cadde la compensazione ). Questa disciplina è stata confermata dall'articolo 27 del CCNL del 14 settembre 2000, che, pur rimettendo al regolamento interno la determinazione dei compensi, faceva salvi gli atti di recepimento della disciplina fissata per gli avvocati ed i procuratori dello Stato appena ricordata. Analoghe indicazioni possono trarsi dai commi 3 e 6 dell'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, riportati al paragrafo 3.2), al quale si rinvia. 4.2) Un secondo precetto essenziale per definire la lite è quello in base al quale la disciplina di questa componente delle entrate degli avvocati dipendenti degli enti pubblici è contenuta, oltre che, chiaramente, nella legge, nella contrattazione collettiva e nei regolamenti interni degli enti interessati. In questo senso depongono i citati articolo 21 del regio decreto n. 1611 del 1933 e 27 del CCNL del 14 settembre 2000, la cui impostazione complessiva è stata confermata dall'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, il quale ha stabilito, al comma 3, che detti compensi spettino nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi del comma 5 e comunque nel rispetto dei limiti di cui al comma 7 (...) , al comma 5, che I regolamenti dell'Avvocatura dello Stato e degli altri enti pubblici e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo periodo del comma 3 e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualità negli adempimenti processuali e, al comma 6, che sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto . Nessun collegamento con la normativa sulla contabilità pubblica è ricavabile dalle disposizioni citate. 4.3) Terza prescrizione rilevante e che si ricava dal complessivo sistema normativo sopra riportato è che esistono dei limiti all'erogazione di somme da parte della P.A. in favore dei suoi avvocati-dipendenti che, comunque, non possono essere superati e che impediscono ab initio il sorgere del diritto al compenso del lavoratore oltre un dato importo, che non è valicabile. Già la disciplina vigente per l'Avvocatura dello Stato, richiamata dall'articolo 27 del CCNL del 14 settembre 2000, indicava limiti massimi della ripartizione, attraverso il riferimento al riscosso e ai criteri di attribuzione in caso di pronunce favorevoli con compensazione delle spese. L'articolo 1 della legge n. 266 del 2005 contiene prescrizioni di analogo tenore, alcune concernenti i dipendenti in generale, altre categorie specifiche, come gli avvocati. In questo senso, possono, esemplificativamente, menzionarsi: - il comma 181, per il quale Le somme indicate ai commi 176, 177 e 178, comprensive degli oneri contributivi e dell'IRAP di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, concorrono a costituire l'importo complessivo massimo di cui all'articolo 11, comma 3, lettera h), della legge 5 agosto 1978, n. 468 ; - il comma 185, secondo cui Le somme di cui ai commi 183 e 184, comprensive degli oneri contributivi e dell'IRAP di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, concorrono a costituire l'importo complessivo massimo di cui all'articolo 11, comma 3, lettera h), della legge 5 agosto 1978, n. 468 ; - il comma 189, secondo il quale A decorrere dall'anno 2009, l'ammontare complessivo dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni dello Stato, delle agenzie, incluse le Agenzie fiscali di cui agli articoli 62,63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, degli enti pubblici non economici, inclusi gli enti di ricerca e quelli pubblici indicati all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e delle università, determinato ai sensi delle rispettive normative contrattuali, non può eccedere quello previsto per l'anno 2004 come certificato dagli organi di controllo di cui all'articolo 48, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e, ove previsto, all'articolo 39, comma 3-ter, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ridotto del 10 per cento; - il comma 198, il quale impone che Le amministrazioni regionali e gli enti locali di cui all'articolo 2, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché gli enti del Servizio sanitario nazionale, fermo restando il conseguimento delle economie di cui all'articolo 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1 per cento. A tal fine si considerano anche le spese per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni . Infine, prescrizioni di ugual tipo sono presenti ai commi 1 e 7 dell'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014, riportati al paragrafo 3.2), al quale si rinvia. Se ne ricava che, a prescindere da quanto previsto dalla contrattazione collettiva e dai regolamenti interni, il diritto dell'avvocato dipendente non può sorgere in misura maggiore di quanto imposto dalle disposizioni sopra menzionate e da altre analoghe prescrizioni che, di anno in anno, impongono limiti alla capacità di spesa della P.A., che o possono essere direttamente fissate dalla legge in via inderogabile e determinata o devono essere stabiliti dalla medesima P.A. con atti organizzativi interni, la cui sussistenza va allegata e dimostrata dall'ente che ne voglia eccepire la vigenza. 4.4) Da ultimo, il quarto precetto che va osservato è quello imposto dall'articolo 1, comma 208, della legge n. 266 del 2005, per il quale Le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali comunque dovuti al personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro , e dalla consolidata interpretazione giurisprudenziale (Corte costituzionale n. 156 del 2001; Cass., SU, n. 12111 del 26 maggio 2009; Cass., Sez. 6-5, n. 23333 del 16 novembre 2016; Cass., Sez. L, n. 20010 del 21 giugno 2022), secondo cui l'IRAP è un'imposta che colpisce non i redditi personali, ma il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, con la conseguenza che essa, pertanto, non può che gravare sul datore di lavoro. Ne deriva che non sono ammesse condotte della P.A. datrice di lavoro che, dopo avere tenuto necessariamente conto dei limiti all'erogazione di somme, da parte sua in favore dei propri avvocati-dipendenti, gravanti complessivamente sul suo bilancio, e avere operato i correlati dovuti accantonamenti, realizzino, in via diretta o indiretta, la traslazione dell'imposta in esame dalla medesima P.A. all'avvocato dipendente. 5) Ricapitolando, vi sono quattro regole generali che disciplinano la materia e che conducono alla decisione della controversia: 1) parte della retribuzione degli avvocati dipendenti delle pubbliche amministrazioni è costituita da quote delle somme riscosse dall'ente a titolo di competenze di procuratore e onorari di avvocato e da importi attribuiti dal datore di lavoro, in base alle previsioni contenute nel regolamento interno approvato, per le controversie definite con sentenza favorevole, ma con spese compensate; 2) la disciplina di questa componente delle entrate degli avvocati dipendenti di siffatti enti è contenuta, oltre che nella legge, nella contrattazione collettiva e nei regolamenti interni delle amministrazioni interessate e prescinde dalla normativa sulla contabilità pubblica; 3) vi sono dei limiti all'erogazione di somme da parte della P.A. in favore dei suoi avvocati-dipendenti che, comunque, non possono essere superati e che impediscono ab initio il sorgere del diritto al compenso del lavoratore oltre un dato importo, che non è valicabile: a prescindere, quindi, dalle prescrizioni della contrattazione collettiva e dei regolamenti interni, il diritto dell'avvocato dipendente non può esistere in misura maggiore di quanto imposto dalle disposizioni, generali o speciali, di legge che, o in via permanente o di anno in anno, impongono vincoli alla capacità di spesa della P.A., che o possono essere direttamente fissati dalla legge in via inderogabile e determinata o devono essere stabiliti dalla medesima P.A. con atti organizzativi interni, la cui sussistenza va allegata e dimostrata dall'ente che ne voglia eccepire la vigenza; 4) le somme finalizzate alla corresponsione di compensi professionali comunque dovuti al personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro, mentre l'IRAP, essendo un'imposta che colpisce non i redditi personali, ma il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, grava inderogabilmente sulla P.A. datrice di lavoro con la conseguenza che, una volta rispettati i limiti di cui sub 3) e operati i correlati dovuti accantonamenti, non sono ammesse condotte della stessa P.A. che, in via diretta o indiretta, comportino la traslazione dell'imposta in esame da essa all'avvocato dipendente. Tali regole portano delle conseguenze. Innanzitutto, la pretesa degli avvocati-dipendenti al pagamento degli importi in questione, avanzata nei confronti della P.A. datrice di lavoro, ha natura retributiva. Inoltre, il giudizio introdotto per ottenere detto pagamento ha ad oggetto un'azione di adempimento. Ne deriva che, in tale giudizio, troveranno applicazione i principi espressi da Cass., SU, n. 13533 del 30 ottobre 2001, secondo la quale, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile all'eventualità in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex articolo 1460 c.c. (risultando, in questo caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). Anche qualora sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento. L'avvocato dipendente, quindi, agirà indicando la fonte, legale, contrattuale o regolamentare del suo diritto, dimostrerà di avere eseguito, con riguardo all'annualità di riferimento, la prestazione alla quale siffatta fonte ricollega la nascita del suo credito retributivo e allegherà l'inadempimento della P.A. Quest'ultima, a sua volta, per provocare il rigetto del ricorso, oltre a provare il suo adempimento (o l'impossibilità assoluta e oggettiva dello stesso), potrà contestare la sussistenza in sé del credito, sostenendo che, in base all'interpretazione della legge, della contrattazione collettiva o del regolamento interno esso non è sorto, in assoluto o nei termini prospettati. In aggiunta, potrà prospettare la presenza di limiti all'erogazione di somme in favore dei suoi avvocati-dipendenti che, comunque, non possono essere superati e che impediscono ab initio il sorgere del diritto al compenso del lavoratore oltre un dato importo, che non è valicabile. Ciò perché, a prescindere dalle previsioni della contrattazione collettiva e dei regolamenti interni, il diritto dell'avvocato dipendente non può sorgere in misura maggiore di quanto imposto dalle disposizioni, generali o speciali, di legge che, o in via permanente o di anno in anno, impongono vincoli alla capacità di spesa della P.A. I menzionati limiti possono o essere direttamente fissati dalla legge in via inderogabile e determinata o essere stabiliti dalla medesima P.A. con atti organizzativi interni. Nel primo caso, il giudice potrà accertare d'ufficio la presenza del vincolo, in base al principio iura novit curia, e tenerne conto; nel secondo, la sussistenza del citato atto organizzativo interno va allegata e, soprattutto, dimostrata dall'ente che ne eccepisca la concreta vigenza. Avvenuto l'accertamento del diritto dell'avvocato dipendente al pagamento di un dato importo per la causale oggetto di causa sulla base della previsione di legge, contratto collettivo o regolamento interno, le somme in questione sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro, ma non dell'IRAP, che grava inderogabilmente sulla P.A. datrice di lavoro, la quale non può addebitarla all'avvocato dipendente né direttamente, con una ritenuta alla fonte, né indirettamente, deducendo la prevalenza, sul diritto di credito del lavoratore, degli obblighi derivanti dalla normativa in tema di contabilità pubblica e di redazione dei bilanci. Per l'esattezza, occorre evidenziare che, una volta rispettati i vincoli esistenti alla capacità di spesa della P.A., qualora dalla contrattazione collettiva o dal regolamento interno risulti che sul fondo oggetto di causa è presente una certa somma destinata agli avvocati dipendenti, senza la precisazione che l'IRAP andrà compresa in questa, i lavoratori avranno diritto (salva, come precisato, la prova dell'adempimento o dell'impossibilità non imputabile dello stesso) a detta somma, mentre il tributo dovrà essere pagato dalla P.A. o con ulteriori risorse allocate sul medesimo fondo o con importi di diversa provenienza. Ciò perché, avvenuto l'accertamento del diritto dell'avvocato dipendente al pagamento di un dato importo per la causale oggetto di causa sulla base della previsione di legge, contratto collettivo o regolamento interno, le somme de quibus sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro, ma non dell'IRAP, che grava inderogabilmente sulla P.A. datrice di lavoro, la quale non può addebitarla all'avvocato dipendente né direttamente, con una ritenuta alla fonte, né indirettamente, deducendo la prevalenza, sul diritto di credito del lavoratore, degli obblighi derivanti dalla normativa in tema di contabilità pubblica e di redazione dei bilanci, la violazione della quale, eventualmente, potrà emergere sotto forma di responsabilità del dirigente, del funzionario o del dipendente che l'abbiano causata. 6) Questa ricostruzione trova conforto anche nella giurisprudenza contabile, amministrativa e ordinaria in materia. 6.1) Iniziando da quella contabile, va menzionato il parere n. 33 del 2010 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, al quale si riferiscono le parti e, soprattutto, la corte territoriale. Detto parere è stato emesso all'esito di una vicenda che ha riguardato delle problematiche sottoposte dalle Sezioni regionali di controllo per il Veneto e per il Piemonte all'ufficio di Coordinamento della Sezione delle autonomie per avviare il procedimento di deferimento delle questioni alle Sezioni riunite in sede di controllo ex articolo 17, comma 31, del D.L. n. 78 del 2009. Venivano in rilievo delle fattispecie similari, relative alla computabilità dell'IRAP in sede di determinazione: a) dei compensi professionali incentivanti dovuti agli avvocati dipendenti delle pubbliche amministrazioni (articolo 1, comma 208, legge n. 266 del 1995); b) delle somme spettanti a titolo di incentivo al personale tecnico dipendente delle pubbliche amministrazioni per l'attività di direzione lavori, progettazione, ecc. delle opere e dei lavori (articolo 92, comma 5, del D.Lgs. n. 163 del 2006). Le due fattispecie, pur nella diversità delle fonti normative che le disciplinano, sono caratterizzate da un comune elemento, costituito dall'esigenza di chiarire se i compensi dovuti dall'amministrazione ai detti soggetti dipendenti della pubblica amministrazione debbano essere corrisposti al netto o al lordo dell'IRAP (ossia se l'IRAP debba rimanere a carico del lavoratore ovvero dell'amministrazione). Il parere de quo affronta, soprattutto, le argomentazioni portate dalla Sezione regionale per la Lombardia (deliberazioni n. 4 dell'11 febbraio 2008, e n. 101 del 4 dicembre 2008), secondo la quale, in sede di corresponsione degli emolumenti agli aventi titolo, l'amministrazione deve trattenere dalla somma ad essi spettante la quota necessaria a pagare l'IRAP. Quest'ultima tesi muove, nella sostanza, dalla considerazione che, in base alle disposizioni della legge finanziaria, le risorse per fronteggiare gli oneri di personale comprendono anche l'IRAP a carico dell'amministrazione. Ne discende che, se dal calcolo del fondo di progettazione interna o di quello destinato agli avvocati interni non fosse sottratta la quota IRAP, l'ente locale si troverebbe a corrispondere ai dipendenti un importo superiore, con conseguente maggiore aggravio di oneri di imposta a titolo IRAP che, peraltro, rimarrebbero privi di adeguata copertura. In proposito, secondo la Sezione di controllo per la Regione Lombardia, pur tenendo conto che gli enti pubblici sono autonomi soggetti passivi ai fini dell'Irap e che l'ammontare delle retribuzioni di lavoro dipendente costituisce unicamente la base imponibile per la determinazione dell'imposta, non si può fare a meno di osservare che se dal calcolo del fondo di progettazione interna fosse esclusa l'Irap, l'ente locale si troverebbe a corrispondere ai dipendenti un importo superiore, con conseguente maggior aggravio di imposta Irap. Si tratterebbe di una duplicazione dell'onere a carico del Comune che non trova alcuna giustificazione nel contesto del contenimento della spesa pubblica (deliberazione n. 4 dell'11 febbraio 2008). La Sezione per la Lombardia aggiunge che, nell'ambito delle risorse finanziarie per la contrattazione collettiva del personale della pubblica amministrazione (articolo 181 e 185 della legge n. 266 del 2005), l'onere relativo all'IRAP è espressamente compreso e che tra le componenti del costo del personale che gli enti locali devono prendere in considerazione al fine del contenimento è inclusa l'IRAP (articolo 198 ss. della legge n. 266 del 2005). Pertanto, se si considera che l'Irap viene commisurata per le amministrazioni pubbliche alla spesa per il personale, ne consegue che l'incremento per retribuzione accessoria, a qualsiasi titolo, del personale determina anche l'espansione dell'imposta, che non troverebbe più copertura sul bilancio dello Stato (deliberazione n. 101 del 4 dicembre 2008). Nel rispondere a questa ricostruzione, molto simile a quella della Corte d'Appello di Firenze nella presente controversia e non lontana dalla tesi della P.A., il parere n. 33 del 2010 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti evidenzia che, nell'ambito della legge n. 266 del 1995, si possono individuare due blocchi di norme: il primo, che comprende i commi dal 176 al 206, regolamenta i fondi per il finanziamento dei contratti collettivi integrativi e le connesse modalità di copertura degli oneri; il secondo, composto dai commi 207 e 208, disciplina i compensi professionali; questi ultimi commi, si è già detto, prendono in considerazione il trattamento economico dei lavoratori, senza che si faccia riferimento all'Irap, costituendo un onere fiscale che grava sull'ente datore di lavoro (Corte conti, sez. reg. di controllo per il Veneto, n. 022/2008/Cons; n. 049/2008/Cons; sez. reg. di controllo per l'Emilia-Romagna, n. 34/2007/parere 4; sez. reg. controllo per l'Umbria, n. 1/2008/P). Diversamente, il primo blocco di disposizioni disciplina la provvista delle risorse finanziarie per far fronte a tutti gli oneri derivanti dalle spese di personale, ivi inclusi i fondi per l'incentivazione alla progettazione e per il pagamento dei compensi professionali dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche ; sicché, ai sensi delle richiamate disposizioni, le somme da destinare a detti fondi devono essere calcolate accantonando, a fini di copertura, la quota parte occorrente all'amministrazione per fronteggiare gli oneri che sulla stessa gravano a titolo di Irap (Corte conti, sez. reg. di controllo per la Lombardia, n. 4/pareri/2008 e n. 101/pareri/2008; sez. reg. di controllo per il Veneto, n. 049/2008/Cons). Difatti, detti compensi concorrono alla determinazione della base imponibile dell'ente, ai sensi dell'articolo 10-bis del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, secondo cui le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 30 maggio 2001, n. 165, ai fini della determinazione della base imponibile Irap, devono tenere conto anche delle retribuzioni da erogare al personale dipendente (Agenzia delle entrate, Risoluzione n. 327/E del 14 novembre 2007). In effetti, dalle norme da ultimo citate (commi da 176 a 206) viene in rilevo che, in coerenza con quanto stabilito nell'articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, le somme indicate per fronteggiare in materia di pubblico impiego gli oneri di spesa, ivi inclusi i fondi di produttività e per i miglioramenti economici, costituiscono le disponibilità complessive massime e, pertanto, non superabili. In sostanza, sui bilanci dello Stato o degli altri enti pubblici, non potranno gravare ulteriori oneri che non trovino adeguata copertura. Può dunque ritenersi che i c.d. due blocchi di disposizioni sono tra loro coerenti, in quanto le une disciplinano le quantificazioni e le coperture degli oneri del personale; le altre riguardano la determinazione dei compensi spettanti ad avvocati interni e personale tecnico. Ne discende che le disponibilità di bilancio da destinare ai fondi da ripartire non possono che essere quantificate al netto delle somme destinate (o destinabili) a coprire gli oneri che gravano sull'amministrazione a titolo di Irap, poiché, diversamente, una discorde interpretazione confliggerebbe non solo con il chiaro disposto delle richiamate disposizioni, ma anche con il principio di copertura degli oneri finanziari (articolo 81, quarto comma, Cost.). Infatti, se si considera che l'Irap viene commisurata per le amministrazioni pubbliche alla spesa per il personale, l'incremento della retribuzione accessoria spettante, a qualsiasi titolo, determina anche l'espansione dell'imposta che deve, comunque, trovare copertura nell'ambito delle risorse quantificate e disponibili, in linea con l'obiettivo del contenimento di ogni effetto di incremento degli oneri di personale gravanti sui bilanci degli enti pubblici. Pertanto, ai fini della quantificazione dei fondi per l'incentivazione e per le avvocature interne, vanno accantonate, a fini di copertura, rendendole indisponibili, le somme che gravano sull'ente per oneri fiscali, nella specie, a titolo di Irap. Quantificati i fondi nel modo indicato, i compensi vanno corrisposti al netto, rispettivamente, degli oneri assicurativi e previdenziali e degli oneri riflessi , che non includono, per le ragioni sopra indicate, l'Irap. Può concludersi nel senso che, mentre sul piano dell'obbligazione giuridica, rimane chiarito che l'IRAP grava sull'amministrazione (secondo blocco delle citate disposizioni), su un piano strettamente contabile, tenuto conto delle modalità di copertura di tutti gli oneri , l'amministrazione non potrà che quantificare le disponibilità destinabili ad avvocati e professionisti, accantonando le risorse necessarie a fronteggiare l'onere IRAP, come avviene anche per il pagamento delle altre retribuzioni del personale pubblico (primo blocco delle citate disposizioni). Pertanto, le disposizioni sulla provvista e la copertura degli oneri di personale (tra cui l'Irap) si riflette, in sostanza, sulle disponibilità dei fondi per la progettazione e per l'avvocatura interna ripartibili nei confronti dei dipendenti aventi titolo, da calcolare al netto delle risorse necessarie alla copertura dell'onere Irap gravante sull'amministrazione . Il significato da attribuire alle affermazioni sopra riportate è alla base del contrasto fra le parti della presente lite. Per individuarlo occorre tenere conto, innanzitutto, che il parere in questione ha avuto a oggetto l'inclusione, o meno, dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) dovuta dall'ente tra gli oneri che, come quelli riflessi, vanno a diminuire i compensi professionali da erogare (ai sensi dell'articolo 1, comma 208, della legge 23 dicembre 2005, n. 266) ai propri dipendenti che rivestono la qualifica di avvocato, in relazione al patrocinio di cause concluse con sentenza favorevole e che la risposta data dalle Sezioni Riunite è stata nel senso di negare detta inclusione. Pertanto, l'operatività dell'IRAP dal punto di vista tributario non poteva comportare una diminuzione, dal lato civilistico, del compenso degli avvocati dipendenti pubblici. Inoltre, da quanto chiarito dalla Corte dei conti, non è prospettabile alcuna forma di traslazione dell'IRAP, dovuta dall'ente pubblico, a carico del lavoratore. La traslazione delle imposte è il fenomeno che si verifica quando il contribuente (cosiddetto contribuente di diritto o percosso), riversa parte o l'intera quota del tributo dovuto su un altro contribuente (cosiddetto contribuente di fatto o inciso). Perché possa verificarsi la traslazione occorre, però, che l'imposta abbia determinate caratteristiche. Infatti, deve avere ad oggetto beni o servizi che il contribuente di diritto produce per lo scambio e il prezzo dei quali possa essere aumentato. Per queste ragioni, ad esempio, sono imposte non trasferibili le imposte dirette personali sul reddito globale o sul patrimonio. Questo aspetto è di estrema importanza perché, essendo l'IRAP un'imposta sul patrimonio, essa, per sua natura, non può essere traslata su un contribuente di fatto, potendo incidere, alla fine, solo su quello di diritto. Alla luce di questi rilievi vanno intese le affermazioni presenti nel parere n. 33 del 2010. Così, quando recita che ai fini della quantificazione dei fondi per l'incentivazione e per le avvocature interne, vanno accantonate, a fini di copertura, rendendole indisponibili, le somme che gravano sull'ente per oneri fiscali, nella specie, a titolo di Irap , il participio accantonate non equivale a detratte dal compenso dei dipendente , ma indica la necessità di tenere separati, contabilmente, questi importi da quelli, presenti nel medesimo fondo, ma destinati agli avvocati interni. Non a caso, la Corte dei conti continua evidenziando che Quantificati i fondi nel modo indicato, i compensi vanno corrisposti al netto, rispettivamente, degli oneri assicurativi e previdenziali e degli oneri riflessi , che non includono, per le ragioni sopra indicate, l'Irap . Il pagamento al netto non interessa, allora, l'IRAP che, invece, non può, per il solo fatto di dovere essere contabilmente accantonata , avere l'effetto di diminuire il compenso spettante, in base alla normativa e alla contrattazione vigenti, al dipendente. Il parere n. 33 del 2010 ha chiaramente scisso il profilo giuridico-contrattuale, che attiene all'esecuzione del rapporto di lavoro e al diritto dell'avvocato dipendente a ricevere esattamente il compenso dovutogli senza subire detrazioni in ragione dell'operare dell'IRAP, da quello contabile, che concerne l'allocazione delle risorse a bilancio e la loro destinazione. D'altronde, se si prescindesse da tale distinzione e si seguisse la tesi della Sezione regionale per la Lombardia, si verificherebbe l'inconsueto fenomeno per il quale l'effetto economico dell'imposta (che, alla fine, è quello che rileva dal punto di vista del diritto tributario) colpirebbe, riducendolo, il reddito di un soggetto diverso da quello tenuto al pagamento. Ciò, però, si tradurrebbe, in fatto, nella realizzazione di un'inammissibile traslazione che, se consentita, renderebbe atipiche le modalità operative dell'IRAP, che si comporterebbe, in concreto, non più come un tributo sul patrimonio del datore di lavoro, ma come un prelievo sul reddito del lavoratore. A nulla rileverebbe che, formalmente, non vi sia stata una trattenuta a titolo di IRAP nella busta paga dei lavoratori, ma, in teoria, una riduzione, a monte e in proporzione all'ammontare IRAP, delle risorse che, in base alla regolamentazione interna, sono distribuibili tra detti dipendenti a titolo di compensi professionali. Quello che conta è che parte dei fondi che sarebbero serviti a corrispondere al dipendente quanto legalmente e contrattualmente dovutogli non siano stati destinati a questo scopo, a prescindere dalla ragione della condotta della P.A. Quest'ultima, infatti, nell'ambito del rapporto di lavoro, è il debitore della retribuzione e, quindi, è tenuta a pagarla o, eventualmente, a dare prova di essersi trovata nell'impossibilità, ad essa non imputabile, di corrisponderla. Al contrario, non può giustificare quello che, nella sostanza, è un inadempimento, opponendo l'operare delle regole sulla contabilità pubblica atteso che esse non concernono il profilo dell'adempimento, ma, come chiarito dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti, operano in un ambito ben distinto e non possono incidere sull'esecuzione dell'obbligazione contrattuale. Alla fine, la materia dei fondi (e dell'allocazione delle risorse fra di loro) è questione che interessa la P.A., la quale ne determinerà il contenuto ex ante, tenendo conto, per quel che qui rileva, di ciò che spetterà agli avvocati dipendenti e dell'IRAP da versare di conseguenza. Non riguarda, invece, il dipendente, che non può patire le conseguenze della condotta del datore di lavoro che, nel quantificare, in precedenza, le somme destinate al fondo oggetto di lite (è il fondo specifico per l'Avvocatura contenuto nel più ampio fondo destinato alle politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività di cui all'articolo 17 del CCNL 1 aprile 1999) non le determini in una misura che consenta sia il completo pagamento delle retribuzioni dovute (già note, essendo prefissate dalla legge, dalla contrattazione collettiva o dal regolamento della medesima P.A.) sia quello dell'IRAP. In conclusione, questo Collegio reputa che la giurisprudenza contabile citata confermi, sostanzialmente, le quattro regole generali sopra enunciate, ossia: 1) la natura retributiva delle somme de quibus; 2) l'estraneità del profilo della corresponsione dei compensi professionali dovuti ex articolo 1, comma 208, legge n. 266 del 2005 (richiamato espressamente dal parere n. 33 del 2010 delle Sezioni riunite della Corte dei conti), al personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche sulla base di specifiche disposizioni contrattuali (e, si deve ritenere, della regolamentazione interna) rispetto alla fase attinente alla determinazione dei fondi e all'individuazione dei costi complessivi che l'ente pubblico dovrà sostenere; 3) l'esistenza di limiti all'erogazione di somme da parte della P.A. in favore dei suoi avvocati-dipendenti; 4) l'inderogabile incidenza dell'IRAP a carico della P.A. 6.2) Questa ricostruzione trova conforto anche dall'esame della giurisprudenza amministrativa in materia. In particolare, è opportuno tenere conto della sentenza n. 5817 del 2 luglio 2024 della settima sezione del Consiglio di Stato, che ha affermato la legittimità della disciplina regolamentare adottata dal Comune di Firenze (articolo 16, comma 7, del regolamento, come modificato nel 2017), secondo cui Dall'ammontare complessivo delle risorse come sopra quantificate deve essere dedotta e accantonata l'IRAP gravante sulle retribuzioni erogate al personale. I compensi si determinano e si erogano al netto di quanto necessario a coprire gli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell'Ente . Questa decisione ha considerato che i compensi erogati agli avvocati delle pubbliche amministrazioni erano, nel caso in esame, regolati dall'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014 e che il regolamento del Comune di Firenze costituiva attuazione del comma 3 di detto articolo 9, in base al quale Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni di cui al comma 1, esclusi gli avvocati e i procuratori dello Stato, nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi del comma 5 e comunque nel rispetto dei limiti di cui al comma 7. La parte rimanente delle suddette somme è riversata nel bilancio dell'amministrazione . Il Consiglio di Stato ha evidenziato che l'impianto complessivo della citata normativa del 2014 era visibilmente correlato all'esigenza di coprire il maggiore trattamento retributivo spettante al personale dell'Avvocatura esclusivamente attraverso le entrate derivanti dai compensi professionali effettivamente recuperati dall'amministrazione. In questo senso, quindi, è del tutto coerente col disposto normativo una previsione regolamentare attuativa che imputi al fondo i costi e gli oneri correlati alla percezione degli stessi oneri professionali e che, quindi, consenta la parziale decurtazione del medesimo fondo per soddisfare gli oneri fiscali. Ha riconosciuto, altresì, che, fermi restando i vincoli della contrattazione collettiva, spetta a ciascuna amministrazione il potere di definire la misura complessiva dei compensi da ripartire tra gli Avvocati, beninteso nel rispetto di adeguati criteri di ragionevolezza . Il Consiglio di Stato, allora, non ha stabilito che l'IRAP potesse gravare sugli avvocati dipendenti, ma ha solo ammesso la possibilità di fare confluire sul fondo destinato a compensarli le risorse destinate al tributo. Non a caso, ha messo in evidenza che proprio la norma primaria indicata disciplinava l'evenienza che il fondo, ove non completamente utilizzato per il trattamento economico integrativo degli Avvocati, fosse riversato al bilancio dell'amministrazione. Ciò significava, evidentemente, che, per la detta norma primaria, l'insieme delle somme confluite nel fondo avrebbe potuto legittimamente non essere impegnato, nella sua interezza, per integrare il compenso dell'attività professionale degli Avvocati Pubblici. Peraltro, il Consiglio di Stato ha confermato, così dissentendo dall'impostazione della P.A., che, comunque, la previsione legislativa non impone affatto l'obbligo incondizionato di attingere al fondo per coprire gli oneri dell'IRAP, ma solo comporta la legittimità di norme regolamentari che contengano siffatta previsione. Simmetricamente, quindi, l'amministrazione potrebbe stabilire di farsi carico di tali oneri se in possesso di adeguate fonti di copertura . Coerentemente, dà il giusto peso, in questo ambito, alla contrattazione collettiva, chiarendo che questa ben potrebbe introdurre diverse modalità di alimentazione del fondo e, certamente, potrebbe stabilire che l'IRAP resti a carico integrale dell'amministrazione, senza intaccare il fondo . Il Consiglio di Stato, pertanto, ha radicalmente escluso che dalla normativa in tema di contabilità pubblica discenda un obbligo per la P.A. di sottrarre, ab origine, l'IRAP dai compensi dovuti agli avvocati dipendenti e ha ribadito il divieto di qualsiasi trattenuta in sede di liquidazione dei compensi a tale titolo, osservando che la giurisprudenza prevalente della Cassazione è orientata nel senso di individuare nell'amministrazione e non nei singoli Avvocati, il soggetto passivo dell'obbligazione tributaria in questione. Ha, quindi, semplicemente reputato legittimo il preventivo accantonamento della provvista, destinata a copertura delle somme da versare dall'Ente a titolo di IRAP . Da quanto esposto si evince che la P.A. può utilizzare risorse presenti nel fondo de quo per soddisfare l'Erario, ma non può ridurre, in questo modo, gli importi comunque formalmente destinati, secondo la regolamentazione interna o la contrattazione collettiva, a retribuire gli avvocati dipendenti. La giurisprudenza amministrativa commentata, allora, consente di confermare le quattro regole base sopra riportate, ossia: 1) la natura retributiva dei compensi in questione; 2) il fondamento nella contrattazione collettiva e nella regolamentazione interna dell'ente pubblico del diritto degli avvocati dipendenti a questi corrispettivi e la non vincolatività della normativa in tema di contabilità pubblica; 3) la possibilità che detto diritto sia ab origine limitato; 4) l'obbligo per la P.A., quale datore di lavoro, di corrispondere all'Erario l'IRAP, con divieto di qualsiasi ritenuta al momento della liquidazione. 6.3) A identiche conclusioni conduce l'esame della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione. a) Viene in rilievo, innanzitutto, Cass., Sez. L, n. 4681 del 21 febbraio 2024, ordinanza che si è occupata della tematica in esame con riferimento a un periodo anteriore all'entrata in vigore dall'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014. Infatti, la fattispecie era disciplinata dall'articolo 1, comma 208, della legge n. 266 del 2005 (e, dunque, riguardava il tempo successivo al 31 dicembre 2005, essendo tale disposizione divenuta operativa a fare data dal 1 gennaio 2006) e andava letta alla luce anche dell'articolo 27 del CCNL del Comparto delle Regioni e delle autonomie locali del 14 settembre 2000. Tale ordinanza chiarisce che Nella disamina delle disposizioni contenute nell'articolo 27 del CCNL del Comparto delle Regioni e delle autonomie locali del 14.9.2000 questa Corte ha inoltre evidenziato che tale previsione lascia ampio spazio al potere degli Enti, provvisti di Avvocatura, di disciplinare la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all'Ente, fermo il rispetto dei principi contenuti nel R.D.L. n. 1578 del 1933, e, al contempo, affida alla contrattazione collettiva decentrata la sola materia del coordinamento tra le due voci retributive accessorie (i compensi professionali e la retribuzione di risultato: Cass. n. 27316/2021) . La decisione, quindi, ha censurato la condotta del Comune di Lanciano che non aveva né effettuato a priori l'accantonamento ai fini dell'IRAP né fissato dei limiti ai compensi spettanti ai difensori dipendenti in base ad un regolamento o alla contrattazione collettiva. La pronuncia dimostra che, nel sistema regolato ancora dall'articolo 27 del CCNL del Comparto delle Regioni e delle autonomie locali del 14 settembre 2000, in assenza della previsione di detti limiti, che conformino ad origine il corrispettivo accessorio dell'avvocato, fissando un tetto massimo allo stesso, l'IRAP debba essere totalmente sostenuta dalla P.A., eventualmente con risorse proprie. b) Si tratta di un approccio che trova ulteriore conferma nell'ordinanza n. 21398 del 13 agosto 2019 di questa sezione, con la quale la S.C. ha espresso il principio così massimato: L'incentivo, di cui all'articolo 8 della L. n. 109 del 1994 (ora articolo 92, comma 5, del D.Lgs. n. 163 del 2006), previsto per i dipendenti che hanno partecipato alle opere di progettazione, direzione o collaudo di opere pubbliche, va calcolato al netto dell'IRAP, quale onere posto ad esclusivo carico dell'amministrazione, tenuta al versamento del tributo; tuttavia, per il principio di necessaria copertura della spesa pubblica, le amministrazioni dovranno quantificare le somme che gravano sull'ente a titolo di IRAP, rendendole indisponibili, e successivamente procedere alla ripartizione dell'incentivo, corrispondendo lo stesso ai dipendenti interessati al netto degli oneri assicurativi e previdenziali . In questa occasione, il Suprema Collegio, infatti, ha precisato che, in tutte le versioni succedutesi nel tempo il legislatore ha quantificato la somma massima da destinare all'incentivazione rapportandola in termini percentuali al costo dell'opera o del lavoro, senza precisare se l'importo così determinato dovesse essere al lordo o al netto degli oneri fiscali, previdenziali ed assistenziali che gravano sull'obbligazione retributiva . Ha affermato che bisogna considerare i principi generali ai quali, in tema di spesa, deve sempre essere orientata l'azione delle pubbliche amministrazioni; 8.1. al riguardo va, infatti, osservato che le disposizioni della richiamata legge n. 266/2005, specificatamente volte a disciplinare le modalità di costituzione dei fondi destinati a spese relative al personale, includono in modo espresso nell'ammontare complessivo anche i maggiori oneri che ne derivano a titolo di IRAP (commi 181, 185 e 198), e ciò perché, se così non fosse, sui bilanci dello Stato e degli enti pubblici graverebbero spese prive della necessaria copertura . In pratica, poiché l'imposta è commisurata all'ammontare della spesa per il personale, ogni incremento della retribuzione accessoria determina anche una maggiorazione del tributo, della quale non può non tenersi conto ai fini del rispetto del tetto massimo delle risorse disponibili ; nella specie, detto obbligo di accantonamento, infatti, discendeva già in precedenza dalla disciplina vigente, da interpretare nei termini sopra indicati, sicché non poteva l'ente corrispondere ai dipendenti l'intero ammontare del fondo stanziato, quantificato nella misura massima, ponendo in essere un atto dispositivo in contrasto con norma imperativa . La Suprema Corte ha completato il suo ragionamento richiamando il divieto per il datore di corrispondere trattamenti economici che non trovino fondamento nella contrattazione collettiva o nella legge (ciò, perché entrambe dette fonti presuppongono la previa valutazione della sostenibilità finanziaria), dall'altro la previsione di nullità delle clausole della contrattazione integrativa non compatibili con i vincoli di bilancio delle amministrazioni , tutti principi ricavabili dal D.Lgs. n. 165 del 2001. Si tratta di una pronuncia che non affronta esplicitamente la questione della determinazione del compenso accessorio degli avvocati dipendenti della P.A. (la cui natura retributiva e la dipendenza del quale dalla contrattazione collettiva integrativa e dal regolamento interno è pacificamente ammessa in giurisprudenza: Cass., Sez. L, n. 14641 del 24 maggio 2024) quando la legge ponga espressamente dei limiti direttamente applicabili alla fattispecie. Infatti, nella controversia, concernente la liquidazione degli incentivi ex articolo 18 della legge n. 109 del 1994 e 92 del D.Lgs. n. 163 del 2006, la legge aveva quantificato la somma massima da destinare all'incentivazione rapportandola in termini percentuali al costo dell'opera o del lavoro, con l'effetto che, pur tenendo conto che l'IRAP non poteva gravare sul lavoratore, comunque l'esborso complessivo della P.A. non avrebbe potuto superare il limite imposto ab origine dalla stessa normativa che costituiva il diritto retributivo vantato dai dipendenti. c) Ulteriore decisione di interesse è la sentenza della IV sezione civile della Corte di cassazione n. 20010 del 21 giugno 2022 la quale, in tema di attività libero professionali rese dai dirigenti sanitari in regime di intra moenia, ha affermato che: a) l'imposta regionale sulle attività produttive grava, ai sensi della legge n. 446 del 1997, sul datore di lavoro pubblico che eroga il servizio e, pertanto, non sono legittimi atti unilaterali del datore di lavoro pubblico o pattuizioni collettive che ne prevedano la traslazione a carico del dipendente; b) la determinazione delle tariffe e la ripartizione dei compensi inerenti alle attività libero professionali rese dai dirigenti sanitari in regime di intra moenia, che le Aziende Sanitarie stabiliscono in conformità alle previsioni della contrattazione nazionale (che, a sua volta, rinvia a quella integrativa decentrata), devono tener conto dei costi diretti ed indiretti sostenuti dalle Aziende stesse, ivi compreso il maggior esborso a titolo di IRAP derivante dall'aumento della base imponibile per effetto dell'attività libero professionale, importo che va detratto dal quantum ripartibile in quote fra le parti del rapporto; c) le Aziende Sanitarie non possono unilateralmente modificare i criteri di quantificazione dei compensi concordati in sede di contrattazione decentrata; d) il maggiore esborso, non previsto né prevedibile, derivato dalla maggiorazione dell'aliquota IRAP non può gravare sul solo personale medico e sanitario e deve essere ripartito fra il dipendente e l'azienda in rapporto alle rispettive quote di partecipazione alla suddivisione dei proventi dell'attività libero professionale. La menzionata sentenza ha chiarito che l'ammontare dell'imposta non può essere oggetto di traslazione , nel senso che l'Azienda non può pretendere di porla ad esclusivo carico del dipendente, una volta determinate le quote rispettivamente spettanti, e detrarla dal compenso a quest'ultimo dovuto, perché in tal caso e, a maggior ragione nell'ipotesi in cui si chieda la restituzione di somme già corrisposte, si finirebbe per far gravare l'obbligo impositivo su un soggetto diverso da quello che esercita l'attività produttiva del servizio . Il principio enunciato è stato precisato con l'affermazione che dallo stesso non discende l'assoluta irrilevanza dell'ammontare dell'imposta ai fini della determinazione delle tariffe e delle quote rispettivamente spettanti all'Azienda e al sanitario che rende la prestazione professionale. Si è già detto, nel ricostruire il quadro normativo e contrattuale, che l'attività libero professionale in regime di intra moenia non può risolversi in un aggravio di costi per il Servizio Sanitario Nazionale, tenuto, quanto agli aspetti contabili della gestione, al rispetto del principio del necessario pareggio . Per l'esattezza, la Suprema Corte ha evidenziato che Tutte le disposizioni richiamate nei punti che precedono obbligano le aziende e le parti collettive a tener conto, dapprima in sede di contrattazione decentrata e, poi, nell'adozione degli atti datoriali che le indicazioni concordate recepiscono, dell'ammontare complessivo dei costi, diretti e indiretti, che gravano sull'Azienda, ossia di tutte le voci di spesa che, a livello contabile, derivano, direttamente o indirettamente, dall'attività intramuraria, fra le quali rientra il maggior importo dell'imposta che l'Azienda è tenuta a versare in conseguenza dell'aumento della base imponibile determinata ai sensi dell'articolo 10 bis della legge n. 446/1997. Quell'importo va apprezzato sia nella determinazione delle tariffe, che devono essere satisfattive delle spese e delle quote rispettivamente spettanti alle parti del rapporto, sia nella ripartizione di quanto incassato per effetto dell'attività intramuraria, ripartizione che deve essere effettuata sulla quota che residua dopo avere assicurato la copertura delle spese. In altri termini, così come accade in altri comparti della Pubblica Amministrazione, dell'IRAP occorre tener conto ai fini della copertura degli oneri del personale e della determinazione della provvista (cfr. Cass. n. 21398/2019), nel rispetto dei principi sui quali si incentra il D.Lgs. n. 165/2001, le cui disposizioni, pur nella diversità delle formulazioni succedutesi nel tempo, hanno sempre perseguito l'obiettivo di armonizzare l'avvenuta contrattualizzazione del rapporto di impiego pubblico con l'esigenza primaria di garantire il controllo ed il contenimento della spesa, esigenza dalla quale derivano, da un lato, il divieto per il datore di corrispondere trattamenti economici che non trovino fondamento nella contrattazione collettiva o nella legge (ciò, perché entrambe dette fonti presuppongono la previa valutazione della sostenibilità finanziaria), dall'altro la previsione di nullità delle clausole della contrattazione integrativa non compatibili con i vincoli di bilancio delle amministrazioni . La sentenza de qua, quindi, ha ritenuto che Sulla base dei richiamati principi, pertanto, non si ravvisa alcuna violazione di norma imperativa nell'ipotesi in cui la contrattazione integrativa e gli atti regolamentari che la stessa recepiscono prevedano la detrazione dal quantum ripartibile del maggior importo gravante sull'Azienda a titolo di IRAP, posto che una previsione siffatta non realizza una non consentita traslazione dell'imposta, che resta a carico dell'ente, bensì attua il principio, al quale più volte si è fatto riferimento, secondo cui dall'esercizio dell'attività libero professionale non devono derivare oneri aggiuntivi per il Servizio Sanitario Nazionale . d) La giurisprudenza di legittimità, pertanto, come quella amministrativa e contabile, conferma le regole base prima enunciate, ossia: la natura retributiva del compenso qui rilevante; il fondamento nella contrattazione collettiva e nella regolamentazione interna del relativo diritto, a prescindere dalla normativa sulla contabilità pubblica; l'esistenza di limiti di legge, in grado di determinare a priori l'ammontare massimo del compenso in questione; l'incidenza dell'IRAP a carico della sola P.A. datrice di lavoro, senza possibilità di operare una traslazione della stessa sul lavoratore. 7) Applicando i quattro principi sopra individuati, la normativa riportata e la correlata giurisprudenza è possibile, quindi, decidere la controversia. Le parti non mettono in discussione il principio, enunciato da questa Suprema Corte (ad esempio, da Cass., Sez. L, n. 27315 del 7 ottobre 2021), per il quale l'IRAP sui compensi professionali dovuti all'avvocatura interna della P.A. grava sulla stessa pubblica amministrazione datrice di lavoro. La P.A., in questo seguita dalla Corte d'Appello di Firenze, però, sostiene che, nella specie, l'IRAP non sarebbe stata posta a carico dell'avvocato dipendente, ma, più semplicemente, essendo essa obbligata, per pagare l'imposta in esame, ad accantonare somme presenti nel fondo utilizzato per le retribuzioni dei suoi avvocati, alla fine parte di tali somme avrebbe potuto andare esclusivamente all'Erario piuttosto che alla lavoratrice. La ricorrente, al contrario, afferma che, in questo modo, si sarebbe avuta una traslazione, vietata dalla legge, dell'IRAP dal datore di lavoro al dipendente. L'impugnazione merita di essere accolta. La corte territoriale, che ha dato ragione alla Provincia di Grosseto, valorizza alcuni passaggi del parere n. 33 del 2010 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, in precedenza commentato, non recependone, però, correttamente il significato. Infatti, il giudice del merito li interpreta nel senso che porterebbero a ritenere come, nella specie, non si avrebbe una indiretta trattenuta operata sulla busta paga del lavoratore , ma, al contrario, una preventiva individuazione delle somme spettanti complessivamente alla lavoratrice dopo che il datore di lavoro ha assolto agli obblighi tributari. L'ente pubblico, quindi, dovrebbe, nel costituire il fondo destinato al pagamento dei compensi incentivanti agli avvocati interni, quantificare le somme che restano a suo carico a titolo di IRAP e accantonarle, per poi pagare tali compensi al netto degli oneri riflessi, ossia dei contributi previdenziali e assistenziali. Sempre il giudice di appello sostiene vi sia un principio generale per cui qualunque stanziamento o destinazione di bilancio deve intendersi al lordo delle imposte, ove non sia previsto specificamente il contrario, ovvero siano state reperite altre risorse per pagare separatamente le imposte . Ne deriva che, per la Corte d'Appello di Firenze, l'IRAP deve essere integralmente coperta con le somme destinate al fondo costituito per pagare siffatti compensi, senza attingere a un fondo diverso, in modo di evitare un raddoppio del tributo, che, altrimenti, sarebbe calcolato anche su sé stesso. Tale ricostruzione si pone, però, in chiaro contrasto con le regole base sopra individuate ai paragrafi 4) e 5) e con le conseguenze che ne derivano. La Corte d'Appello di Firenze parte, indubbiamente, dal corretto assunto secondo cui l'IRAP grava sulla P.A. datrice di lavoro. Non considera sino in fondo, però, gli effetti della natura completamente retributiva delle somme de quibus. Da questa, infatti, deriva l'estraneità, rispetto alla materia della contabilità pubblica e alla fase attinente alla determinazione dei fondi e all'individuazione dei costi complessivi che l'ente pubblico dovrà sostenere, del diritto alla corresponsione degli importi professionali dovuti, ai sensi dell'articolo 1, comma 208, della legge n. 266 del 2005 e dell'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014, al personale dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche, che trova, piuttosto, il suo esclusivo fondamento nella contrattazione collettiva e nella regolamentazione interna della P.A. La corte territoriale non si è posta assolutamente il problema di verificare il contenuto di detta contrattazione collettiva e della citata regolamentazione interna, nonostante gli avvocati difensori della Provincia di Grosseto avessero diritto a ricevere proprio le somme lì indicate. Inoltre, il giudizio introdotto per ottenere il pagamento de quo ha ad oggetto un'azione di adempimento, ma la Corte d'Appello di Firenze non ha applicato i principi espressi da Cass., SU, n. 13533 del 30 ottobre 2001, riportati al paragrafo 5), al quale si rinvia. Alla luce dei principi de quibus, l'avvocato dipendente, quindi, nella specie, doveva agire indicando la fonte, legale, contrattuale o regolamentare del suo diritto, dimostrare di avere eseguito, con riguardo all'annualità di riferimento, la prestazione alla quale siffatta fonte ricollegava la nascita del suo credito retributivo e allegare l'inadempimento della P.A. Quest'ultima, a sua volta, per provocare il rigetto del ricorso, oltre a provare il suo adempimento (o l'impossibilità assoluta e oggettiva dello stesso), poteva contestare la sussistenza in sé del credito, sostenendo che, in base all'interpretazione della legge, della contrattazione collettiva o del regolamento interno esso non era sorto, in assoluto o nei termini prospettati. Non poteva bastare, però, a giustificare il rigetto della richiesta della lavoratrice la semplice esistenza della normativa di contabilità pubblica opposta dalla Provincia di Grosseto. Infatti, qualora dalla contrattazione collettiva o dal regolamento interno risulti che sul fondo in esame è presente una certa somma destinata agli avvocati dipendenti, senza la precisazione che l'IRAP andrà compresa in questa, i lavoratori avranno diritto (salva, come detto, la prova dell'adempimento o dell'impossibilità non imputabile dello stesso) a detta somma, mentre il tributo dovrà essere pagato dalla P.A. o con ulteriori risorse allocate sul medesimo fondo o con importi di diversa provenienza. Ciò perché, avvenuto l'accertamento del diritto dell'avvocato dipendente al pagamento di un dato importo per la causale oggetto di causa sulla base della previsione di legge, contratto collettivo o regolamento interno, le somme in questione sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro, ma non dell'IRAP, che grava inderogabilmente sulla P.A. datrice di lavoro, la quale non può addebitarla all'avvocato dipendente né direttamente, con una ritenuta alla fonte, né indirettamente, deducendo la prevalenza, sul diritto di credito del lavoratore, degli obblighi derivanti dalla normativa in tema di contabilità pubblica e di redazione dei bilanci, la violazione della quale, eventualmente, potrà emergere sotto forma di responsabilità del dirigente, del funzionario o del dipendente che l'abbiano causata. In nessun caso, invece, il giudice del merito avrebbe potuto affermare, come fatto dalla Corte d'Appello di Firenze, che non si avrebbe una indiretta trattenuta operata sulla busta paga del lavoratore , ma, al contrario, una preventiva individuazione delle somme spettanti complessivamente alla lavoratrice dopo che il datore di lavoro ha assolto agli obblighi tributari. Allo stesso tempo, il giudice di appello non avrebbe potuto richiamare un ipotetico principio generale per cui qualunque stanziamento o destinazione di bilancio deve intendersi al lordo delle imposte, ove non sia previsto specificamente il contrario, ovvero siano state reperite altre risorse per pagare separatamente le imposte , con la conseguenza che l'IRAP dovrebbe essere integralmente pagata con le somme destinate al fondo costituito per corrispondere i compensi de quibus, senza attingere a un fondo diverso. La corte di secondo grado non ha, poi, neppure accertato se esistessero limiti all'erogazione di somme in favore dei suoi avvocati-dipendenti che, comunque, non potessero essere superati e che impedissero ab initio il sorgere del diritto al compenso del lavoratore oltre un dato importo non valicabile. Essa avrebbe dovuto, a prescindere dalle previsioni della contrattazione collettiva e dei regolamenti interni, verificare se vi fossero disposizioni, generali o speciali, di legge che, o in via permanente o di anno in anno, avessero imposto vincoli alla capacità di spesa della P.A. I menzionati limiti potevano o essere direttamente fissati dalla legge in via inderogabile e determinata o essere stabiliti dalla medesima P.A. con atti organizzativi interni. Nel primo caso, il giudice di appello avrebbe dovuto accertare d'ufficio la presenza del vincolo, in base al principio iura novit curia, e tenerne conto; nel secondo, la sussistenza del citato atto organizzativo interno avrebbe dovuto essere allegata e, soprattutto, dimostrata dall'ente che ne avesse eccepito la concreta vigenza. A questo punto, in ipotesi di rinvenimento di un vincolo di tal fatta, l'avvocato dipendente della Provincia di Grosseto non avrebbe potuto chiedere il pagamento di somme maggiori di quelle fissate dal vincolo citato. La Corte d'Appello di Firenze, ad esempio, avrebbe potuto considerare che: a) per l'epoca posteriore al 1 gennaio 2006 (e finché non è stato vigente l'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014), la retribuzione accessoria dell'avvocato dipendente va calcolata in una misura che rispetti i limiti stabiliti dai commi da 176 a 206 dell'articolo 1 legge n. 266 del 2005, che regolano i fondi per il finanziamento dei contratti collettivi integrativi e le connesse modalità di copertura degli oneri e la provvista delle risorse finanziarie per far fronte a tutti gli oneri derivanti dalle spese di personale, ivi inclusi i fondi per l'incentivazione alla progettazione e per il pagamento dei compensi professionali dell'avvocatura interna delle amministrazioni pubbliche , nonché la correlata contrattazione collettiva, sicché, ai sensi delle richiamate disposizioni, le somme da destinare a detti fondi vanno computate accantonando, a fini di copertura, la quota parte occorrente all'amministrazione per fronteggiare gli oneri che sulla stessa gravano a titolo di IRAP; b) per le annualità relative al periodo di operatività dell'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014, la medesima retribuzione va determinata, invece, ai sensi del suo comma 1, osservando il limite retributivo di cui all'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni , oltre che quelli imposti espressamente dalla contrattazione collettiva, dal regolamento interno e da altra normativa imperativa, come quello fissato dal comma 7 dell'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014. Infatti, detti limiti e altri similari comunque esistenti conformano e predeterminano ex ante l'entità massima della retribuzione accessoria spettante ai difensori avvocati con l'effetto che, per la parte delle risorse presenti sul fondo de quo che li superino, non è preclusa l'individuazione di somme da rendere indisponibili e destinare a pagare l'IRAP, non spettando esse ai lavoratori a titolo di retribuzione. Deve essere chiaro, però, che, in linea di principio, gli avvocati dipendenti hanno diritto a percepire gli importi loro dovuti a titolo accessorio nella misura stabilita, a seconda dei casi, dalla legge, dalla contrattazione collettiva e dalla regolamentazione interna dell'ente. A sua volta, il datore di lavoro non può trattenere direttamente l'IRAP dagli importi liquidati e da corrispondere, ma, comunque, può legittimamente accantonare, quando forma il proprio bilancio, le somme relative a questo tributo nel fondo dal quale detti importi vanno prelevati e versarle non ai dipendenti, ma all'Erario. Nel fare ciò, la P.A. non può ridurre, al netto dei contributi previdenziali, l'ammontare stanziato ai singoli lavoratori al di sotto di quanto a loro spettante in base alla predeterminazione dello stesso ricavabile dalla legge, dalla contrattazione e dalla regolamentazione interna, alla stregua degli articolo 45 D.Lgs. n. 165 del 2001 e 1, comma 208, della legge n. 266 del 2005, per il periodo dal 1 gennaio 2006 all'entrata in vigore dell'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014, e in base a quest'ultima disposizione per il tempo successivo. I limiti sopra enunciati assumono valore, pertanto, quando abbiano conformato ab origine il credito del lavoratore, ma, dopo che questo è sorto, nei termini indicati dalla legge, dalla contrattazione collettiva o dal regolamento interno, ad esempio perché i detti limiti non esistono o non sono operativi o non sono stati allegati e provati - ove non rilevabili d'ufficio - per l'annualità in questione, tale credito non può essere negato applicando, per di più ex post, come fatto dalla corte territoriale, la semplice normativa in tema di contabilità pubblica e di formazione dei fondi a bilancio, gravando l'IRAP solo sulla P.A. 8) Il ricorso è accolto e la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Firenze, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di legittimità, in applicazione dei seguenti principi di diritto: Gli importi dovuti, ai sensi dell'articolo 27 del CCNL 14 settembre 2000 per il personale del comparto regioni ed autonomie locali, dell'articolo 1, comma 208, della legge n. 266 del 2005 e dell'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014, all'avvocatura interna degli enti locali hanno natura retributiva e spettano al netto dell'IRAP, che resta a carico della pubblica amministrazione datrice di lavoro, la quale non può fare gravare tale imposta sui suoi dipendenti né in via diretta né indiretta, riducendo a monte e in proporzione all'ammontare della menzionata IRAP le risorse che, in base alla legge, alla contrattazione collettiva o al regolamento dell'ente, sono specificamente destinate ai detti dipendenti a titolo di compensi professionali ; La P.A. datrice di lavoro può utilizzare, per corrispondere all'Erario l'IRAP dovuta sulle retribuzioni dei suoi avvocati interni, le risorse presenti nel fondo esistente per pagare tali avvocati, per la parte in cui esse superino i limiti della retribuzione di detti dipendenti fissati dalla vigente normativa imperativa, dalla contrattazione collettiva o dal regolamento interno, e, ove queste somme non siano sufficienti, ulteriori risorse proprie esterne a siffatto fondo ; L'azione esercitata dagli avvocati dipendenti degli enti locali per ottenere il pagamento dei compensi loro dovuti ai sensi dell'articolo 27 del CCNL 14 settembre 2000 per il personale del comparto regioni ed autonomie locali, dell'articolo 1, comma 208, della legge n. 266 del 2005 e dell'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 14 del 2014, è un'azione di adempimento. Pertanto, il creditore deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento (totale o inesatto) della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento o dall'impossibilità dello stesso per causa non imputabile, senza che alcun rilievo assumano la normativa sulla contabilità pubblica e quella concernente la formazione dei fondi indicati a bilancio e la distribuzione delle risorse ad essi destinate, la cui violazione può eventualmente originare una responsabilità del dirigente, del funzionario o del dipendente che l'abbiano causata ; Gli importi dovuti, ai sensi dell'articolo 27 del CCNL 14 settembre 2000 per il personale del comparto regioni ed autonomie locali, dell'articolo 1, comma 208, della legge n. 266 del 2005 e dell'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014, all'avvocatura interna degli enti locali spettano nella misura stabilita dalla legge, dalla contrattazione collettiva e dal regolamento interno. Peraltro, essi non possono comunque superare i limiti all'erogazione di somme stabiliti da disposizioni, generali o speciali, di legge che, o in via permanente o di anno in anno, impongano vincoli alla capacità di spesa della P.A. che impediscono ab initio ed ex ante il sorgere del diritto al compenso del lavoratore oltre un dato ammontare, che non è valicabile: tali limiti possono o essere direttamente fissati dalla legge in via inderogabile e determinata, nel qual caso possono essere conosciuti d'ufficio dal giudice adito per l'adempimento in base al principio iura novit curia, o dovere essere individuati dalla medesima P.A. con atti organizzativi interni, la cui sussistenza, però, va allegata e dimostrata dall'ente, che ne eccepisca la concreta vigenza . Una volta accertata l'esistenza del diritto dell'avvocato dipendente di enti locali al pagamento di un compenso professionale ai sensi dell'articolo 27 del CCNL 14 settembre 2000 per il personale del comparto regioni ed autonomie locali, dell'articolo 1, comma 208, della legge n. 266 del 2005 e dell'articolo 9 del D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 114 del 2014, sulla base di previsione di legge, contratto collettivo o regolamento interno, le somme in questione sono da considerare comprensive degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro, ma non dell'IRAP, che grava inderogabilmente sulla P.A., la quale non può addebitarla all'avvocato dipendente né direttamente, con una ritenuta alla fonte, né indirettamente, deducendo la prevalenza, sul diritto di credito del lavoratore, degli obblighi derivanti dalla normativa in tema di contabilità pubblica e di redazione dei bilanci, la violazione della quale può semmai rilevare sotto forma di responsabilità del dirigente, del funzionario o del dipendente che l'abbiano causata. Infatti, l'accantonamento della menzionata imposta sul fondo destinato alla retribuzione accessoria in esame è consentito solo se le risorse complessive ivi allocate superino o i limiti massimi di spesa eventualmente fissati da norme inderogabili di legge o, qualora siffatti limiti non esistano o non siano stati allegati o dimostrati, l'ammontare complessivo di tale credito, come riconosciuto dalla contrattazione collettiva e dai regolamenti interni dell'ente . P.Q.M. La Corte, - accoglie il ricorso; - cassa la decisione impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Firenze, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito anche in ordine alle spese di legittimità.