La P.A. non può detrarre l’IRAP dai compensi professionali pagati ai propri avvocati dipendenti

Gli importi dovuti all’avvocatura interna delle P.A. hanno natura retributiva e spettano al netto dell’IRAP, imposta che rimane in capo esclusivamente alla P.A., senza che quest’ultima possa farla gravare sui propri dipendenti in via diretta o indiretta. L’Avvocato dipendente è tenuto a provare la fonte del diritto ed il termine di scadenza.

La ricorrente, dipendente della Provincia di Grosseto con funzioni di avvocato, lamentava l'indebita trattenuta dell'IRAP da parte della Provincia dai suoi compensi professionali, a decorrere dal 2011. Tale trattenuta trovava la propria origine nella considerazione che il fondo utilizzato per gli emolumenti sarebbe stato comprensivo di IRAP. Veniva, quindi, richiesta la restituzione delle somme in questione. Il Tribunale di primo grado accoglieva il ricorso, mentre, in sede di Appello, la sentenza veniva integralmente riformata. La sentenza della Corte d'Appello di Firenze veniva impugnata da parte della dipendente della Provincia, la quale eccepiva la violazione/falsa applicazione delle norme afferenti l'IRAP, sostenendo che tale imposta, non rientrando fra gli “oneri riflessi”, non potrebbe essere trattenuta dallo stipendio degli avvocati dipendenti pubblici, dovendo invece essere a carico della Pubblica Amministrazione. Nell'ordinanza in commento, dopo un'approfondita analisi della normativa, la Suprema Corte osserva come siano desumibili quattro regole che governano la materia ovvero: la retribuzione degli avvocati dipendenti delle P.A. è in parte costituita da quote delle somme riscosse dall'ente a titolo di onorari; la disciplina di tale componente retributiva è contenuta, oltre che nella legge, nella contrattazione collettiva e nei regolamenti interni delle amministrazioni;  le somme erogabili dalle P.A. agli avvocati dipendenti sono limitate dalle disposizioni di legge (generali e speciali) che in via permanente o anno per anno impongono i vincoli di spesa alla P.A.;  le somme destinate alla corresponsione dei compensi professionali sono comprensive degli oneri riflessi, mentre l'IRAP è un'imposta che colpisce il valore aggiunto delle attività autonomamente organizzate e grava come tale sulla P.A. datrice di lavoro e non sui redditi personali, sicché una volta rispettati i limiti imposti dalle leggi ed operati i dovuti accantonamenti le P.A. non possono traslare l'imposta sull'avvocato dipendente.   Pertanto, una volta accertato il diritto dell'avvocato dipendente– il quale è tenuto a dimostrare (i) la fonte, legale, contrattuale o regolamentare e (ii) la prestazione alla quale la fonte ricollega il sorgere del credito retributivo e ad allegare l'inadempimento della P.A. - al pagamento di un determinato importo per compensi professionali, lo stesso importo sarà da considerarsi comprensivo degli oneri riflessi, ma non dell'IRAP che grava inderogabilmente sulla P.A. datrice di lavoro. Osserva, poi, la Corte di Cassazione che tale ricostruzione trova conforto anche nella giurisprudenza contabile, amministrativa e ordinaria ed infatti: la Corte dei Conti a Sezioni Riunite con parere n. 33/2010 ha osservato come le disponibilità di bilancio destinate ai “fondi” da ripartire debbano essere quantificate al netto delle somme che la P.A. è tenuta a versare a titolo di IRAP, poiché un'interpretazione differente confliggerebbe con le previsioni normativa. Al riguardo è necessario considerare che tale imposta è calcolata sulla spesa per il personale e, pertanto, l'incremento della retribuzione accessoria dei dipendenti aumenta l'importo dovuto dalla P.A. a titolo di IRAP. L'ammontare dovuto a titolo di IRAP dovrà essere accantonato dalla P.A., ma non detratto dal compenso del dipendente; la settima Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 5817/2024, ha stabilito che la P.A. può far confluire nei fondi destinati ai compensi per gli avvocati dipendenti gli importi dovuti a titolo di IRAP, ma ciò non può valere a ridurre i compensi dovuti agli avvocati dipendenti; parimenti, anche la giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione conferma i principi enunciati dalla giurisprudenza contabile ed amministrativa ed in particolare che l'incidenza dell'IRAP deve ritenersi a carico della sola P.A. datrice di lavoro senza possibilità di operare una traslazione sul lavoratore.   In applicazione dei principi richiamati ed in accoglimento del ricorso presentato dall'avvocato dipendente, la Suprema Corte, nell'ordinanza in commento ha, quindi, stabilito che la Corte di Appello di Firenze non avrebbe correttamente applicato i principi in materia, poiché la P.A. non può addebitare l'IRAP direttamente, con una ritenuta alla fonte, ma nemmeno indirettamente, deducendola dal diritto di credito del lavoratore. La P.A., per corrispondere all'Erario l'IRAP, può utilizzare le risorse presenti nel fondo destinato ai compensi degli avvocati dipendenti soltanto nella misura in cui queste eccedano i limiti fissati dalla legge per la retribuzione degli avvocati dipendenti che, quindi, non può essere intaccata dal pagamento di detta imposta. Quanto all'azione esercitata dagli avvocati dipendenti della P.A., la pronuncia in commento precisa che trattasi di un'azione di adempimento e pertanto, il creditore ha l'onere di provare solamente la fonte del proprio diritto ed il relativo termine di scadenza, allegando l'inadempimento della controparte, mentre la P.A. è tenuta a provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa.

Presidente Di Paolantonio - Relatore Cavallari Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.