Colpevole di omicidio stradale l'automobilista che investe un pedone causandogli diversi traumi e costringendolo così ad un'immobilizzazione forzata che conduce poi ad un'embolia fatale.
In una sera d'agosto del 2016, la persona offesa – una donna –, mentre attraversava la strada perpendicolarmente alla carreggiata, da sinistra verso destra, in un tratto ove non erano presenti strisce pedonali, giunta in prossimità della linea di mezzeria, era stata investita da una vettura, condotta da un uomo, che stava procedendo a bassa velocità in un tratto in cui il sole era radente; per effetto dell'urto, la donna aveva sbattuto, dapprima sul cofano e con la testa sul parabrezza e, successivamente, era caduta a terra, riportando lesioni non letali, ovvero trauma cranico e fratture multiple; nei giorni successivi, la donna era stata ricoverata presso varie strutture ospedaliere, poi presso una RSA, e infine aveva fatto rientro a casa, dove, due giorni dopo, era stata colpita da embolia polmonare ed era deceduta. Per i giudici di merito non ci sono dubbi: l'embolia fatale, arrivata quarantaquattro giorni dopo l'incidente, è stata causata dalla protratta immobilizzazione della donna, a sua volta causata dal politrauma riportato a seguito dell'incidente stradale. E questo filo rosso conduce alla colpevolezza dell'automobilista, condannato per omicidio stradale, a fronte di evidenti profili di colpa, ossia negligenza, imprudenza e imperizia. A fronte delle obiezioni sollevate dalla difesa, però, anche per la Cassazione è indiscutibile la responsabilità penale dell'automobilista. Confermata in via definitiva, quindi, la condanna per omicidio stradale. Ciò partendo innanzitutto dalla prospettazione medico-scientifica acquisita durante il processo: «il fattore di rischio trombotico era da collegare alla immobilizzazione successiva all'evento traumatico, quale quello delle lesioni riportate a seguito di un incidente stradale, come reso evidente, del resto, dalla profilassi prescritta» alla donna e «basata sulla somministrazione di anticoagulanti, che, tuttavia, non possono azzerare il relativo rischio». Per quanto concerne, invece, la condotta di guida tenuta dall'automobilista, a risultare decisive sono le condizioni ambientali presenti al momento dell'incidente rivelatosi, a distanza di tempo, mortale. Nello specifico, si è appurato che «la visuale dell'automobilista, al momento del sinistro, non era ostacolata dai raggi del sole, e che, anche a voler prestare fede alla sua versione, corroborata dalla deposizione di un teste (il quale ha ricordato la presenza del sole radente), in ogni caso tale circostanza non lo esonerava da colpa, giacché avrebbe dovuto ulteriormente decelerare o, addirittura, arrestare la marcia, proprio per non esporre a rischio la incolumità di terze persone». Peraltro, «l'attraversamento» compiuto dalla persona offesa «non era evenienza imprevedibile, visto che la strada presentava passaggi pedonali e attraversava una zona abitata, costeggiata da negozi in orario in cui erano ancora aperti, sicché tutte tali circostanze avrebbero dovuto allertare il conducente, soprattutto se alla guida in condizioni ambientali disagevole». Lampante, quindi, secondo i Giudici, la colpa attribuibile all'automobilista, avendo egli violato il Codice della Strada , che «impone di tenere una condotta di guida tale da consentire di compiere tutte le manovre in condizioni di sicurezza e di arrestarsi di fronte a ostacoli prevedibili e in presenza di pedoni» e che «detta regole di guida volte specificamente alla salvaguardia del pedone». Evidente, quindi, il comportamento negligente tenuto dall'automobilista, che «avrebbe, viste le condizioni ambientali, dovuto moderare maggiormente la velocità, fino ad arrestarsi». In definitiva, «la presenza della vittima sulla sede stradale era evenienza prevedibile» e «le condizioni concrete non hanno compromesso la visuale dell'automobilista», palesemente colpevole, perciò, per l'incidente. Per maggiore chiarezza, comunque, i Giudici richiamano alcuni rilevanti principi in materia di responsabilità colposa del conducente nel caso di investimento di un pedone, partendo da quello secondo cui «in tema di circolazione stradale, il principio dell'affidamento trova un temperamento nell'opposto principio, secondo cui l'utente della strada è responsabile arche del comportamento imprudente altrui, purché questo rientri nel limite della prevedibilità». Poi, con particolare riferimento al tema dell'investimento del pedone, «il conducente del veicolo va esente da responsabilità quando, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell'oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile». E, ragionando in quest'ottica, «il conducente di un veicolo è tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone, implicando il relativo avvistamento la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale è tenute a porre in essere una serie di accorgimenti (in particolare, moderare la velocità e, all'occorrenza, arrestare la marcia del veicolo) al fine di prevenire il rischio di un investimento. Da ciò consegue che, nel caso di investimento di un pedone, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per le lesioni subite o per la morte, rileva la sua avvistabilità da parte del conducente del veicolo investitore, cioè è necessario che quest'ultimo si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso. Occorre, inoltre, che nessuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente del veicolo. Di contro, il rispetto del limite massimo di velocità consentito non esclude la responsabilità del conducente qualora la causazione dell'evento sia comunque riconducibile alla violazione delle regole di condotta stabilite dal Codice della Strada ».
Presidente Bellini - Relatore Ricci Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 19 gennaio 2024, ha confermato la sentenza del Tribunale di Lucca del 20 gennaio 2023 di condanna di T.P. in ordine al reato di cui all'articolo 589 bis cod. pen. in danno di L.P.R. (commesso in (OMISSIS) il (OMISSIS) con evento morte in (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia. Il processo ha ad oggetto un incidente stradale ricostruito nelle conformi sentenze di merito nel modo seguente. Il 22 agosto 2016, verso le ore 19:25, la persona offesa, nel mentre attraversava la strada perpendicolarmente alla carreggiata, da sinistra verso destra, in un tratto ove non erano presenti strisce pedonali, giunta in prossimità della linea di mezzeria, era stata investita dall'autovettura Renault Clio condotta da T.P., che stava procedendo a bassa velocità (circa 30-35 Km/h) in un tratto in cui il sole era radente; per effetto dell'urto la donna aveva sbattuto, dapprima sul cofano e con la testa sul parabrezza e, successivamente, era caduta a terra, riportando lesioni non letali, ovvero trauma cranico e fratture multiple; la vittima, nei giorni successivi, era stata ricoverata presso varie strutture ospedaliere e, infine, presso una RSA, per poi fare rientro a casa il 3 ottobre 2016; due giorni dopo, era stata colpita da embolia polmonare ed era deceduta. Secondo i giudici di merito, l'embolia era stata causata dalla protratta immobilizzazione, a sua volta causata dal politrauma riportato a seguito dell'incidente stradale. Nei confronti dell'imputato sono stati ravvisati quali profili di colpa, la negligenza, l'imprudenza e l'imperizia, nonché la violazione dell'articolo 141 e 191 d.lgs 30 aprile 1992 n. 285. 2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo di difensore, formulando cinque motivi. 2.1 Con il primo e il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge, e in specie degli articolo 40 e 41 cod. pen., e il vizio di motivazione, per non avere la Corte di Appello valutato l'embolia come fattore causale sopravvenuto autonomo e imprevedibile, sufficiente a interrompere la catena causale originata dal traumatismo osseo, anche e soprattutto in ipotesi della volontaria interruzione della profilassi antitrombotica. Secondo il difensore, la Corte avrebbe erroneamente valutato la sussistenza del nesso causale tra il sinistro e il decesso della vittima, pur in assenza di rapporto causale diretto tra l'azione e l'evento morte, avvenuta a distanza di 44 giorni dal sinistro. La sola distanza temporale basterebbe a giustificare l'estraneità dell'evento rispetto ad una causa così remota come il sinistro stradale contestato all'imputato. La vittima durante il ricovero ospedaliero aveva seguito regolarmente la terapia farmacologica prescritta per prevenire il rischio trombotico; tuttavia tale profilassi potrebbe essere stata interrotta dopo la dimissione, quando la paziente era tornata a casa, verosimilmente per difficoltà di somministrazione autonoma del farmaco. La morte, dunque, doveva essere attribuita ad una condotta successiva e indipendente, non addebitabile all'imputato, ovvero all'omissione della terapia domiciliare, probabilmente dovuta ad una trascuratezza associata al quadro clinico complesso della vittima, (affetta da sindrome depressiva, declino cognitivo e problemi cardiaci). È nozione di comune esperienza che l'evento morte, nel caso di fratture non interessanti organi vitali, assume carattere anomalo ed eccezionale e che il traumatismo articolare, nella normalità dei casi, non costituisce fattore di maggior rischio di morte. In base al giudizio controfattuale, se fosse stata eseguita la corretta terapia antitrombotica con elevato grado di credibilità razionale non si sarebbe sviluppata la trombosi venosa, causa dell'embolia polmonare fatale. Se, dunque, il nesso causale si rinviene fra l'omissione della terapia e l'evento morte, allora la condotta contestata al ricorrente degrada ai sensi dell'articolo 41, comma 2, cod. pen. da fattore causale a mero fattore occasionale privo di rilevanza penale. Il consulente del Pubblico Ministero aveva affermato che l'evento morte non era direttamente riferibile al trauma iniziale e in tale contesto non era stato dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che il decesso della vittima si sarebbe verificato indipendentemente dall'evento sopravvenuto e con le sole fratture traumatiche dell'apparato locomotore. 2.2. Con il terzo e il quarto motivo, ha dedotto la violazione di leggi e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della colpa dell'imputato. Il difensore ribadisce che la condotta di T.P. era stata diligente perita, essendosi trovato in condizioni oggettive che rendevano impossibile l'avvistamento del pedone e l'adozione di manovre utili a evitare l'investimento. Neppure potevano ravvisarsi violazioni di norme del codice della strada. Quanto all'articolo 141 CdS, l'imputato procedeva a velocità adeguata alle condizioni ambientali di traffico e non vi è prova che una velocità inferiore avrebbe evitato l'evento. Quanto all'articolo 191 CdS, doveva essere esclusa l'avvistabilità del pedone sulla base delle circostanze accertate in sede di giudizio di merito, ovvero il traffico intenso, l'abbagliamento solare, l'occultamento visivo determinato dai veicoli incolonnati. 2.3. Con il quinto motivo, ha dedotto la violazione di legge (e in specie dell'articolo 603 cod. proc. pen.) e il vizio di motivazione per non avere la Corte di appello disposto la rinnovazione istruttoria e in specie la perizia sulla dinamica dell'incidente. Il difensore rileva, a tale fine, che la perizia disposta in sede di incidente probatorio era stata eseguita in assenza di sopralluogo sul luogo del sinistro e sulla base dei dati astratti, mediante un software di simulazione, ed era giunta a conclusioni in contrasto con la deposizione del teste oculare F., il quale aveva descritto il traffico come intenso, la velocità di guida del veicolo dell'imputato come estremamente ridotta e la posizione del sole radente, tale da impedire una chiara visibilità del pedone. La mancata verifica diretta delle condizioni del luogo e la sostituzione della realtà fenomenica con una realtà virtuale ricostruita in modo astratto, costituiscono, secondo il difensore, gravi lacune che incidono sulla affidabilità della perizia in atti e depongono per la necessità di una nuova perizia. 3. In esito alla discussione orale, le parti hanno concluso come indicato in epigrafe. Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto Lucia Odello, ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere rigettato. 2. Il primo e il secondo motivo, volti ad affermare la portata interruttiva, rispetto alla condotta colposa dell'imputato, del ricovero della vittima e della insorgenza della embolia, sono inammissibili o comunque manifestamente infondati. La Corte di Appello ha ritenuto, in coerenza con il Tribunale che aveva aderito alla prospettazione medico scientifica acquisita al processo, che il fattore li rischio trombotico fosse da collegarsi alla immobilizzazione successiva a un evento traumatico, quale quello delle lesioni riportate a seguito di incidente stradale, come del resto reso evidente dalla profilassi prescritta basata sulla somministrazione di anticoagulanti, che, tuttavia, non azzerano il relativo rischio. L'ipotesi alternativa proposta dalla difesa, secondo cui l'interruzione volontaria del protocollo terapeutico da parte della persona offesa, che, rientrata a casa con un principio di decadimento cognitivo, non avrebbe assunto l'eparina, anche per la difficoltà di autosomministrazione, rimane - ha proseguito la Corte una mera congettura priva di qualsivoglia elemento di riscontro. La Corte, nell'individuare, dunque, la condotta colposa del ricorrente quale causa dell'evento morte e nell'escludere che tale evento fosse da ricondurre ad eventi eccezionali, ha adottato un percorso argomentativo esente da censure e conforme agli insegnamenti della Suprema Corte in tema di esclusione del nesso di causalità ai sensi dell'articolo 41, comma 2, cod. proc. pen. Secondo la teoria della causalità umana , per l'imputazione oggettiva dell'evento sono necessari due elementi, uno positivo e uno negativo: quello positivo è che l'uomo con la sua condotta abbia posto in essere un fattore causale del risultato, vale a dire un fattore senza il quale il risultato medesimo nel caso concreto non si sarebbe avverato; il negativo è che il risultato non sia dovuto al concorso li fattori eccezionali. Soltanto quando concorrono queste due condizioni l'uomo può considerarsi autore dell'evento. Con l'ulteriore precisazione che, perché possa parlarsi di causa sopravvenuta idonea ad escludere il rapporto di causalità si deve trattare, secondo questa ricostruzione, di un percorso causale ricollegato all'azione (od omissione) dell'agente, ma completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale; di un evento che non si verifica, se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta (Sez. 4, n. 26020 del 29/12/2009, Cipiccia, Rv. 243933 già citata relativa proprio ad ipotesi di folgorazione). Nello stesso senso si è precisato che ai fini dell'apprezzamento dell'eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l'evento, il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento si riferisce non solo al caso di un processo causale del tutto autonomo ma anche all'ipotesi di un processo non completamente avulso dall'antecedente e tuttavia sufficiente a determinare l'evento (Sez. 4, n. 10626 del 19.2.2013, Morgando, Rv. 256391; da ultimo Sez. 4, n. 10656 del 13/02/2024, Parodi Rv. 286013 in relazione a fattispecie relativa a responsabilità per omicidio colposo per violazione di norme antinfortunistiche, in cui la Corte ha escluso rilevanza deterministica esclusiva alle sopravvenute complicanze nosocomiali, causa ultima del decesso del lavoratore, per il lungo periodo di immobilizzazione patito in conseguenza di gravi fratture vertebrali) e che in tema di rapporto di causalità, non può ritenersi causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento il comportamento negligente di un oggetto che trovi la sua origine e spiegazione nella condotta colposa altrui (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la condanna per omicidio colposo plurimo del ricorrente perché, non provvedendo ad un'idonea manutenzione dell'impianto frenante di un autobus, aveva cooperato a cagionare la morte di alcuni dei passeggeri unitamente all'autista del veicolo che, ignorando il segnale acustico relativo a cattivo funzionamento dell'impianto frenante, aveva proseguito la marcia, perdendo successivamente il controllo del mezzo che era fuoriuscito dalla carreggia a ed era precipitato in un dirupo) (Sez. 4, n 18800 del 13/04/2016, Bonanni, Rv 267255- 01). Se è vero, dunque, che nel ricostruire il nesso causale, il giudice deve porsi il tema dell'eventuale sussistenza di fattori causali alternativi, è altrettanto vero che tali fattori non possono assumere rilievo quando - come nel caso di specie - siano prospettati in termini di mera possibilità, ed addirittura di mera congettura. Perché ipotesi causali alternative possano essere prese in considerazione, infatti, è necessario che le stesse abbiano un supporto probatorio, tale da minare il giudizio di certezza sulla riconducibilità dell'evento alla condotta e ciò non è avvenuto nel caso di specie. La giurisprudenza di legittimità è inequivoca in tal senso quando afferma che, a fronte di una spiegazione causale logica, perché dedotta da circostanze correttamente evidenziate e motivatamente ritenute, una spiegazione causale alternativa e diversa, capace di inficiare o caducare quella conclusione, non può essere affidata alla prospettazione di una mera possibilità astratta. E' necessario, quindi, che quell'accadimento alternativo, prospettato come astrattamente possibile, divenga anche, hic et nunc , concretamente probabile alla stregua delle acquisizioni processuali (Sez. 4 n. 16754 del 21/02/2023, Catalfamo, Rv. 284564 - 01; Sez. 4, n. 15558 del 13/02/2008, Nlaggini, Rv. 239809; v. anche Sez. 4, n. 30057 del 19/06/2006, Talevi, Rv. 23437). Nel caso in esame, come evidenziato dalla Corte, la ricostruzione per cui la morte sarebbe avvenuta per la interruzione della assunzione della eparina è stata prospettata dalla stessa difesa dell'imputato in termini congetturali, in totale assenza di elementi probatori, fatta eccezione per un generico richiamo alla condizione di salute, anche psichica, della donna, che non valgono, tuttavia, a trasformare la congettura in una circostanza di fatto provata. 3. Il terzo e il quarto motivo, con cui si censurano gli addebiti di colpa mossi all'imputato, sono infondati. La Corte di appello, sulla scorta delle condizioni ambientali presenti al momento del sinistro descritte dal perito, ha ritenuto di ravvisare nella condotta di guida dell'imputato profili di colpa causalmente collegati al sinistro mortale. I giudici hanno rilevato che la visuale di T.P., al momento del sinistro, non era ostacolata dai raggi del sole e che, anche a voler prestare fede alla sua versione, corroborata dalla deposizione del teste F., il quale aveva fatto ricordato la presenza del sole radente , in ogni caso tale circostanza non lo esonerava da colpa, giacché avrebbe dovuto ulteriormente decelerare o, addirittura, arrestare la marcia, proprio per non esporre a rischio la incolumità di terzi. I giudici hanno anche osservato come l'attraversamento non fosse evenienza imprevedibile, visto che la strada presentava passaggi pedonali e attraversava una zona abitata, costeggiata da negozi in orario in cui erano ancora aperti, sicché tutte tali circostanze avrebbero dovuto allertare un conducente soprattutto se alla guida in condizioni ambientali disagevole. La Corte, sulla scorta di tali rilievi, dunque, ha ritenuto sussistenti i profili di colpa consistiti nella violazione dell'articolo 141 CdS, che impone di tenere una condotta di guida tale da consentire di compiere tutte le manovre in condizioni di sicurezza e arrestarsi di fronte a ostacoli prevedibili e in presenza di pedoni, e nella violazione dell'articolo 191 CdS, che detta regole di guida volte specificamente alla salvaguardia del pedone l'elemento psicologico con riferimento specifico al comportamento negligente tenuto dall'imputato in violazione delle norme del codice della strada e in particolare dell'articolo 141, atteso che le condizioni ambientali avrebbero dovuto indurre l'imputato a moderare maggiormente la velocità fino ad arrestarsi e dell'articolo 191 codice della strada. La motivazione adottata è coerente con la elaborazione giurisprudenziale in ordine alla responsabilità colposa del conducente nel caso di investimento di pedone. In linea generale si è consolidato l'assunto per cui in tema di circolazione stradale, il principio dell'affidamento trova un temperamento nell'opposto principio, secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nei limiti e della prevedibilità (ex plurimis Sez.4 n. 24414 del 06/05/2021, Busdrachi Rv. 281399; Sez. 4, n. 5691 del 02/02/2016, Tettamanti, Rv. 265981; Sez. 4, n. 27513 del 6 10/05/2017, Mulas, Rv. 269997; Sez. 4, n. 7664 del 06/12/2017, dep. 2018, Bonfrisco, Rv. 272223). Con particolare riferimento al tema dell'investimento del pedone, si è sostenuto che il conducente del veicolo va esente da responsabilità quando, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell'oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile (Sez. 4, n. 33207 del 02/07/2013, Corigliano, Rv. 255995; Sez. 4, n. 10635 del 20/02/2013, Calarco, Rv. 255288). Il conducente di un veicolo è tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone, implicando il relativo avvistamento la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale è tenute a porre in essere una serie di accorgimenti (in particolare, moderare la velocità e, all'occorrenza, arrestare la marcia del veicolo) al fine di prevenire il rischio di un investimento. Da ciò consegue che, nel caso di investimento di un pedone, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per le lesioni subite o per la morte, rileva la sua avvistabilità da parte del conducente del veicolo investitore. È cioè necessario che quest'ultimo si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso; occorre, inoltre, che nessuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente del veicolo. Di contro il rispetto del limite massimo di velocità consentito non esclude la responsabilità del conducente qualora la causazione dell'evento sia comunque riconducibile alla violazione delle regole di condotta stabilità dall'articolo 141 cod. strada. (Sez. 4 n. 7093 del 27/01/2021, Di Liberto Rv. 280549). Nel caso in esame, alla doglianza relativa alla non avvistabilità del pedone, la Corte ha replicato sulla base degli atti, interpretati in maniera non illogica, che la presenza della vittima sulla sede stradale era evenienza prevedibile e che le condizioni concrete non avevano compromesso la visuale del conducente dell'auto. 5. Il quinto motivo, con cui si lamenta la mancata rinnovazione della perizia in ordine alla ricostruzione dell'incidente in grado di appello, è inammissibile per difetto di specificità. Il principio generale, dettato dall'articolo 603, comma 1, cod. proc. pen è quello per cui, quando una parte ha chiesto la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado, ovvero l'assunzione di nuove prove, il giudice di appello, se non è in grado di decidere allo stato degli atti, dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. Ai sensi dell'articolo 603, comma 3, cod. proc. pen., il giudice dispone di ufficio la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, e quando la ritiene assolutamente necessaria ai fini della decisione, perché potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti. In entrambi i casi l'accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 6 n. 48093 del 10/10/2018, Aniello, Rv. 274230; Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, Leoni, Rv. 262620; sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013, Bommarito, Rv. 257062; sez. 4, n. 18660 del 19/02/2004, Montanari, Rv. 228353). Nel caso di specie la Corte, alla luce della ricostruzione del sinistro attuata attraverso perizia, ha ritenuto superflua la rinnovazione istruttoria (pag. 7). Il ricorrente, di contro, si è limitato ad avversare tale affermazione, senza contrapporre ad essa alcun argomento in fatto o in diritto, se non una asserita e indimostrata inattendibilità astratta della ricostruzione operata del perito nominato tramite software. 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.