La Cassazione puntualizza i confini della responsabilità dell’appaltatore quale “nudus minister”

In materia di appalto, l'appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle.

Con l'ordinanza in commento, i Giudici, ripercorrendo un consolidato cammino giurisprudenziale di legittimità, ribadiscono alcuni punti chiave in materia di responsabilità dell'appaltatore con riferimento agli aspetti della dinamica applicativa della disciplina del diritto comune. La vicenda I proprietari di un fabbricato, confinante con un'area su cui era stato realizzato un manufatto residenziale, avevano citato in giudizio il titolare di impresa edile lamentando che, nell'ambito dell'attività di costruzione, era stato realizzato uno scavo con palificazione che aveva provocato fessurazioni e crepe nel fabbricato di loro proprietà, e per le quali avevano chiesto il risarcimento dei danni. Il titolare dell'impresa aveva a propria volta agito nei confronti dell'appaltatore al quale aveva affidato i lavori di scavo e palificazione, per essere tenuto indenne di quanto eventualmente condannato a pagare. Veniva, tuttavia confermato anche nel giudizio di secondo grado «il rigetto della domanda di manleva proposta dagli appellanti nei confronti dell'appaltatore». L'appaltatore quale nudus minister L'appalto viene classificato come un contratto di scambio, a prestazioni corrispettive, tra l'oggetto dell'obbligazione principale dell'appaltatore consistente nell'esecuzione di un'opera o un servizio ed il pagamento del prezzo dovuto dal committente. A norma dell'articolo 1655 c.c. l'appaltatore è «la parte che si assume, con organizzazione dei mezzi necessari ed a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio (…)». La norma puntualizza, quindi, le principali caratteristiche che devono caratterizzare il modus operandi dell'appaltatore nell'adempimento dell'obbligazione di fare: «organizzazione di mezzi necessari» da un lato e «gestione a proprio rischio» dall'altro. Elementi, questi, che costituiscono declinazioni del requisito fondamentale caratterizzante la figura dell'appaltatore sul piano soggettivo: l'“autonomia”, intesa come la totale padronanza dell'appaltatore nell'organizzare e regolare lo svolgimento del lavoro finalizzato all'esecuzione dell'opera. Diversamente, il termine nudus minister si riferisce all'appaltatore che, durante l'esecuzione dei lavori, sia stato privato della libertà di decisione e di determinazione direttamente dal committente. Secondo quanto riferito dall'articolo 1667 c.c. «l'appaltatore è tenuto alla garanzia per i vizi e le difformità dell'opera». Sul punto consolidata giurisprudenza ritiene che, nel caso in cui l'appaltatore non raggiunga il risultato sperato dal committente - realizzando un'opera con dei difetti - lo stesso è da considerarsi ex lege inadempiente sulla base di una presunzione di colpevolezza del tutto analoga a quella di cui all'articolo 1218 c.c., mentre il committente matura la possibilità di esercitare l'azione di garanzia secondo le modalità ed i termini di cui agli articolo 1667 e 1668 c.c. L'articolo 1667 c.c. non trova applicazione qualora il committente si sia ingerito talmente nell'esecuzione dell'opera da ridurre l'appaltatore a nudus minister, ovvero abbia incaricato di detta esecuzione un'impresa che egli sapeva priva delle capacità tecniche ed organizzative necessarie (Cass. n. 11149/2003). Le argomentazioni della Suprema Corte Il Collegio giudicante di legittimità ha considerato insufficienti le motivazioni della Corte d' Appello alla base del rigetto della domanda di manleva: la mancata predisposizione del progetto geotecnico e la mancata attivazione della procedura di nomina di un collaudatore strutturale non costituiscono di per sé motivazioni rilevanti ai fini della valutazione della responsabilità dell'appaltatore, considerata «l'assenza dell'allegazione, prima ancora che della prova, ad onere dell'appaltatore stesso, di limiti stringenti alla libera operatività imprenditoriale posti dalla committenza e alla comunque intervenuta segnalazione, da parte sua, di carenze documentali e progettuali pur evidenti». In materia di appalto, stante il disposto dell'articolo 1176, comma 2 c.c., l'appaltatore ha l'obbligo di realizzare l'opera oggetto del contratto a regola d'arte, impiegando le energie ed i mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell'attività esercitata. Pertanto - argomentano i Giudici di legittimità - dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, egli è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente. Ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest'ultimo. Ne deriva che l'appaltatore, in mancanza di tale prova, è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell'opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l'efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori (cfr. Cass. n.777/2020).

Presidente Bertuzzi Relatore Maccarrone Fatti di causa 1. M.G., titolare di impresa edile, aveva realizzato un fabbricato residenziale su un'area (già in comproprietà con R.G. e poi divenuta) di esclusiva proprietà sita nel Comune di (OMISSIS): progettista e direttore dei lavori era stato il geom. B.L.. G.A., C.M. e M.L.C., proprietari di un immobile confinante, avevano citato in giudizio sia M.G., sia B.L. -e, inizialmente, anche R.G. quale proprietaria dell'arealamentando che, nell'ambito dell'attività di costruzione del fabbricato residenziale posta in essere dai convenuti nelle vesti sopra specificate, era stato realizzato uno scavo con palificazione che aveva provocato fessurazioni e crepe nel fabbricato di loro proprietà, per le quali avevano chiesto il risarcimento dei danni. M.G. aveva a propria volta agito nei confronti di I.V., al quale aveva affidato i lavori di scavo e palificazione, per essere tenuto indenne di quanto eventualmente condannato a pagare. Le cause erano state riunite e istruite con assunzione di prove orali e con disposizione di una consulenza tecnica d'ufficio -che era stata preceduta da un accertamento tecnico preventivo ante causam, disposto su iniziativa dei signori A., M. e C.-. All'esito il Tribunale di Padova (per quanto ancora interessa): aveva rilevato che il CTU aveva individuato la causa dei danni nell'abbassamento della falda acquifera durante l'esecuzione dei lavori dell'interrato e l'errato dimensionamento della palificata di contenimento del terreno, in modo tale che la costruzione dell'interrato in adiacenza ai fabbricati esistenti senza la adeguata palificazione di sostegno dei terreni aveva provocato il cedimento temporaneo del terreno sottostante le fondamenta del fabbricato degli attori; aveva dato atto che il CTU aveva ritenuto responsabili M.G. nella misura del 50%, B.L. nella misura del 20% e I.V. nella misura del 30%; aveva attribuito la responsabilità dei danni subiti dagli attori a M.G., quale proprietario e costruttore, e a B.L., quale progettista e direttore dei lavori; aveva respinto la domanda di manleva svolta nei confronti di I.V. perché “non risulta provato il relativo patto, né, come si è accertato in sede di CTU può ascriversi all'appaltatore diretta e prevalente azione causale dei provocati danni a terzi, sicchè l'eventuale rivalsa potrà concernere unicamente la quota parte di responsabilità causativa del danno complessivo”. 2. In sede di impugnazione, erano stati riuniti gli appelli separati proposti avverso la sentenza di primo grado da M.G. e B.L., i quali avevano contestato l'accertamento di responsabilità a loro rispettivo carico con reiterazione, per l'ipotesi di conferma delle rispettive responsabilità, della domanda di manleva svolta nei confronti di I.V.; questi si era costituito instando per la conferma della sentenza del Tribunale di Padova; G.A., C.M. e M.L.C. avevano proposto appello incidentale in relazione alla quantificazione del danno subito. All'esito del giudizio di secondo grado la Corte d'Appello di Venezia aveva accolto l'appello incidentale di G.A., C.M. e M.L.C. e respinto gli appelli proposti da M.G. e B.L.. Per quanto ancora di interesse, la Corte di merito, dopo aver dato atto in sede di svolgimento del processo di quanto osservato dal primo Giudice in ordine alla posizione di I.V. (“il restante 30% di responsabilità era da attribuirsi al I.V., titolare dell'impresa subappaltatrice, cui era stata affidata la messa in posa della palificazione eseguita erroneamente e causa così del cedimento del terreno”, ma la domanda di manleva era stata respinta, ferma restando la possibilità di rivalsa in separati giudizi, “causa l'assenza di prova del patto di subappalto”), aveva coì motivato la decisione di reiterato rigetto della domanda di manleva svolta nei confronti di I.V.: -confermato il nesso di causalità tra l'attività di sbancamento realizzata dagli appellanti e i danni arrecati agli edifici confinanti e la responsabilità solidale, secondo le percentuali individuate nella CTU svolta in primo grado, tra il committente, anche appaltatore/esecutore dell'intervento, e il progettista e direttore dei lavori, doveva essere respinta l'azione di garanzia proposta dal committente appaltatore M.G. nei confronti di I.V.; il primo Giudice, ripartita la responsabilità tra gli appellanti per le quote del 50% e del 20, “non ha riconosciuto invece, almeno espressamente, una concorrente responsabilità anche dell'impresa I.V., incaricata dell'installazione dei pali di sostegno in calcestruzzo e ferro nell'interrato. In realtà la CTU ha imputato anche all'impresa I.V. di aver contribuito alla produzione dei danni per avere realizzato le opere di fondazione in calcestruzzo armato senza il prescritto progetto geotecnico, la relazione sui materiali e di calcolo e gli elaborati grafici, e quindi sarebbe tenuta a rispondere anch'esso verso i proprietari confinanti dei danni, ma non ha accertato in concreto l'inadeguatezza dei pali di fondazione installati perché in mancanza di progetto geotecnico, ‘nulla si può affermare relativamente della loro lunghezza, diametro, armatura in acciaio'”; a fronte degli oneri comunque a carico di M.G. quale committente, comprendenti anche la richiesta “all'Albo professionale competente” del “nominativo di tre tecnici abilitati tra cui scegliere il collaudatore delle opere strutturali, cosa che non risulta essere stata eseguita”, non vi era prova dell'inidoneità delle opere di fondazione eseguite da I.V., rispetto alle quali comunque M.G. avrebbe dovuto richiedere un collaudatore per la valutazione di idoneità; doveva essere confermato “il rigetto della domanda di manleva proposta dagli appellanti nei confronti di I.V.”. 3. Avverso la sentenza della Corte d'Appello di Venezia hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione M.G. e B.L., affidandolo a tre motivi: Nessuno dei soggetti intimati, tutti destinatari di rituale notificazione del ricorso, ha presentato controricorso. I ricorrenti hanno depositato anche memoria illustrativa. Ragioni della decisione 4. Appare opportuno premettere che non è più questione sulla responsabilità di M.G. e B.L. nei confronti di G.A., C.M. e M.L.C. in relazione ai danni, come infine quantificati dal Giudice d'Appello, derivati al fabbricato di proprietà di questi nell'ambito dell'intervento edificatorio posto in essere dal primo, rispetto al quale il secondo ha svolto l'incarico di progettista e direttore dei lavori. Ciò che è ancora oggetto di controversia tra le parti è se vi sia o meno, e in che misura, un obbligo di manleva a carico di I.V. e a favore di M.G. e B.L., sul presupposto di una quantomeno corresponsabilità di I.V. nella produzione del danno subito da G.A., C.M. e M.L.C.  esclusa dalla Corte d'Appello di Venezia con la sentenza impugnata. 5. Con il primo motivo di ricorso prospettato M.G. e B.L. lamentano la “nullità della sentenza o del procedimento ex articolo360 co 1 n.4 c.p.c. (per violazione dell'articolo132 comma 2 n.4 c.p.c.; 118 disp. att. c.p.c. in relazione all'articolo111 co 6 Cost.) per motivazione apparente, ovvero per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ovvero motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile (attesa la contestuale affermazione della inidoneità delle opere di fondazione causative del danno per sostenere la responsabilità verso terzi dei ricorrenti ed il contemporaneo assunto del difetto di prova della loro inidoneità per escludere la garanzia dell'appaltatore)”. Secondo i ricorrenti la motivazione della sentenza impugnata sarebbe apparente, o comunque intrinsecamente contraddittoria e incomprensibile, perché, da una parte, riconoscerebbe che la causa dei danni subiti dal fabbricato di G.A., C.M. e M.L.C. sarebbe da identificare nei lavori e nel conseguente emungimento della falda acquifera in assenza di adeguate opere precauzionali che sarebbero dovute essere predisposte sulla base di un necessario progetto geotecnico -tanto che il CTU avrebbe riconosciuto la corresponsabilità di I.V., quale incaricato dell'installazione dei pali di sostegno in calcestruzzo e ferro nell'interrato-; dall'altra, affermerebbe che, non essendo stata possibile alcuna verifica sulla lunghezza, diametro e armatura in acciaio dei pali, non ci sarebbe prova “dell'inidoneità delle opere di fondazione eseguite da I.V.”. La contraddittorietà starebbe nel fatto che se i danni siano attribuibili ai lavori di scavo in assenza di adeguate opere precauzionali, che I.V. avrebbe dovuto realizzare, si sarebbe dovuto concludere nel senso che le opere di fondazione eseguite dal I.V. fossero obiettivamente inidonee perché, diversamente, non si sarebbe verificato alcun fenomeno di cedimento della falda. Questa Corte si è più volte pronunciata per individuare e caratterizzare l'ambito di rilevanza da attribuire ai vizi della motivazione dopo la riforma dell'articolo360 co 1 n.5 c.p.c. con d.lgs n.83/2012: si richiama in particolare, la sentenza della Corte di Cassazione a SSUU n.8053/2014, che ha evidenziato come “La riformulazione dell'articolo 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'articolo 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'articolo 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. …”; è di conseguenza denunciabile in cassazione ai sensi dell'articolo360 n.4 c.p.c. solo “l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione”, e deve essere tale da comportare la nullità della sentenza per sostanziale mancanza della motivazione ex articolo132 co 2 n.4 c.p.c. Seguono il solco tracciato dalle SSUU l'ordinanza della Corte n.16611/201 che ha rilevato come “Sussiste il vizio di assenza della motivazione, di cui al n. 4 del comma 1 dell'articolo 360 c.p.c., allorché la sentenza sia nulla per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendono incomprensibili le ragioni poste a base della decisione. …”; e ancora l'ordinanza n.26764/2019 secondo la quale “Nel caso in cui il giudice del merito abbia ritenuto, senza ulteriori precisazioni, che le circostanze dedotte per sorreggere una certa domanda (o eccezione) siano generiche ed inidonee a dimostrare l'esistenza dei fatti costitutivi del diritto stesso (o dell'eccezione), non può ritenersi sussistente né la violazione dell'articolo 132 n. 4 c.p.c. per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente, né la violazione dell'articolo 112 c.p.c. per omessa pronuncia, mentre, qualora si assuma che una tale pronuncia comporti la mancata valorizzazione di fatti che si ritengano essere stati affermati dalla parte con modalità sufficientemente specifiche, può ammettersi censura, da articolare nel rigoroso rispetto dei criteri di cui agli articolo 366 e 369 c.p.c., ai sensi dell'articolo 360 n. 3 c.p.c., qualora uno o più dei predetti fatti integrino direttamente elementi costitutivi della fattispecie astratta e dunque per violazione della norma sostanziale, oppure ai sensi dell'articolo 360 n. 5 c.p.c., per omesso esame di una o più di tali circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell'accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata”. Dalle indicazioni che precedono consegue che il vizio di motivazione ex articolo132 co 2 n.4 c.p.c. mantiene un ambito di rilevanza all'interno dell'articolo360 co 1 n.4 c.p.c. quando siano totalmente omesse o siano apparenti o intrinsecamente contraddittorie e/o incomprensibili le ragioni della decisione nel suo complesso, in modo tale che questa risulti sostanzialmente apodittica; diversamente, le carenze attribuibili alla motivazione dei provvedimenti giudiziali e relative alla valutazione del materiale istruttorio in tanto possono avere rilevanza in sede di legittimità in quanto si inquadrino nell'ambito di operatività dell'articolo360 co 1 n.5 c.p.c. -o, quando si tratti di fatti costitutivi ella fattispecie, nell'ambito dell'articolo360 co 1 n.3 c.p.c.e consistano cioè nell'omessa considerazione di specifiche circostanze di fatto, univocamente individuate, oggetto di discussione e dotate di idoneità decisività, non invece in una pretesa generica inadeguatezza nell'esame delle risultanze istruttorie. Se si valuta il motivo di ricorso in esame alla luce delle indicazioni emergenti dalla giurisprudenza di legittimità richiamata, si rileva un'effettiva contraddizione insuperabile nella motivazione della sentenza d'appello, che non permette di comprendere se la responsabilità di I.V. sia stata esclusa per ragioni inerenti ad una ritenuta assenza di prova del nesso di causalità tra il suo intervento e i danni subiti dagli originari attori, oppure per motivi riguardanti l'identificazione della sua responsabilità quale imprenditore in base ai rapporti negoziali intercorsi con M.G., il quale avrebbe tenuto un comportamento tale da escludere la possibilità di ricostruire responsabilità a carico del I.V.. Non è dato, in particolare, comprendere attraverso quale ragionamento logico la Corte di merito sia giunta a confermare la responsabilità di M.G. e B.L., ripartendo la responsabilità tra di essi “secondo le percentuali individuate nella CTU” (così a pag.15 della sentenza: quindi 50% a carico del primo e 20% a carico del secondo, senza imputazione ad alcuno del rimanente 30% che secondo il CTU sarebbe stato da imputare a I.V.) e ad escludere la fondatezza dell'azione di manleva promossa da M.G. e B.L. nei confronti del I.V., incaricato dal M.G. di effettuare “l'installazione dei pali di sostegno in calcestruzzo e ferro nell'interrato”. In particolare, nella stessa sentenza si legge, a pag.8 (ove si sintetizzano i motivi della decisione del primo Giudice), che il CTU aveva accertato che i danni lamentati “fossero effettivamente conseguenza dell'emungimento della falda freatica effettuato nell'ambito dei lavori edili compiuti” dai ricorrenti, e in particolare “dell'abbassamento della falda acquifera e dell'errato dimensionamento della palificata di contenimento dei terreni”; la Corte ha quindi confermato, a pag.15, la sussistenza di “nesso di causalità tra i lavori di sbancamento eseguiti dall'impresa M.G. e i danni arrecati agli edifici confinanti” -con percentuali di responsabilità a carico di M.G. e B.L. individuate, come detto, con richiamo alla CTU-, senza l'emergenza di alcun elemento motivazionale che permetta di ipotizzare la sua volontà di discostarsi dagli esiti della CTU -che ha considerato rilevante causalmente il complesso dell'intervento di scavo e posizionamento dei pali di fondazione-, nel cui contesto valutativo tecnico la Corte sembra invece volersi mantenere; nell'escludere la corresponsabilità di I.V. la Corte ha rilevato come non fosse valutabile l'idoneità dei pali di sostegno per assenza di progetto geotecnico e per mancata attivazione per la nomina del collaudatore strutturale da parte di M.G., così apparendo attribuire l'impossibilità di un riscontro positivo della responsabilità del I.V. non tanto al profilo del nesso causale ma, appunto, al ritenuto fatto colposo del M.G., consistito nelle omissioni riportate. L'intrinseca contraddizione motivazionale evidenziata comporta l'accoglimento del motivo in esame. 6. Con il secondo motivo di doglianza M.G. e B.L. lamentano la “Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto articolo360 n.3 (articolo1669, 1670 c.c.; nonché 2967 cc in relazione agli articolo1669, 1670 c.c.) in punto di responsabilità dell'appaltatore e di oneri della prova, in quanto non era onere del committente M.G. provare che l'appaltatore I.V. non aveva agito quale nudus minister”. Poiché non è questione sull'esistenza di un contratto di appalto per le opere di fondazione, al fine di escludere ogni responsabilità dell'appaltatore I.V. sarebbe stato onere di questi dimostrare di aver agito come nudus minister, a fronte delle insistenze del committente e a rischio di quest'ultimo e pur avendo manifestato il proprio dissenso, e non invece onere del committente dimostrare di aver impartito istruzioni e di averle impartite in modo sufficiente o esatto; in concreto invece la Corte di merito non avrebbe rispettato il disposto dell'articolo2697 c.c. in relazione agli articolo1667 e 1669 c.c., in base ai quali sarebbe stato onere di I.V. dimostrare di aver manifestato il proprio dissenso per l'esecuzione delle fondazioni senza un preliminare progetto geotecnico e senza la preventiva richiesta di un collaudatore delle opere strutturali, eseguendo comunque l'intervento su insistenza della committenza; la Corte di merito nemmeno avrebbe tenuto conto del fatto che anzi I.V. avrebbe garantito la bontà dell'esecuzione dell'opera commissionatagli, manlevando espressamente il committente da ogni responsabilità. Anche la critica esposta appare fondata. L'appaltatore ha l'obbligo di realizzare l'opera oggetto del contratto a regola d'arte, poiché “ln tema di contratto di appalto, la diligenza qualificata ex articolo 1176, comma 2, c.c., che impone all'appaltatore (sia egli professionista o imprenditore) di realizzare l'opera a regola d'arte, impiegando le energie ed i mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell'attività esercitata, onde soddisfare l'interesse creditorio ed evitare possibili eventi dannosi, rileva anche se egli si attenga alle previsioni di un progetto altrui, sicché, ove sia il committente a predisporre il progetto e a fornire indicazioni per la sua realizzazione, l'appaltatore risponde dei vizi dell'opera se, fedelmente eseguendo il progetto e le indicazioni ricevute, non ne segnali eventuali carenze ed errori, il cui controllo e correzione rientra nella sua prestazione, mentre è esente da responsabilità ove il committente, edotto di tali carenze ed errori, richieda di dare egualmente esecuzione al progetto o ribadisca le indicazioni, riducendo così l'appaltatore a proprio mero nudus minister , direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute senza possibilità di iniziativa o vaglio critico” -così Cass. n.1981/2016-. Ne consegue che “L'appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister , per le insistenze del committente ed a rischio di quest'ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l'appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell'opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l'efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori” -così Cass. n.23597/2017; cfr., in termini, Cass. n.777/2020-. Ancora di recente questa Corte ha ribadito, con l'ordinanza n.27526/2024, che “L'appaltatore è responsabile dei danni occorsi a terzi in conseguenza dell'esecuzione di opere poste in essere in conformità a un progetto o a direttive del committente palesemente errate, salvo che dimostri di aver manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente e a rischio di quest'ultimo. …”. Non appare di per sé utile, quindi, ad escludere la responsabilità di I.V., alla luce dei principi esposti espressione di un orientamento interpretativo consolidato, la valorizzazione operata dalla Corte di merito in ordine alle inadempienze di M.G. per la mancata predisposizione del progetto geotecnico asseritamente necessario per procedere correttamente all'intervento di palificazione e per la mancata attivazione della procedura di nomina di un collaudatore strutturale: si tratta infatti di circostanze da sole non rilevanti per la valutazione della responsabilità dell'appaltatore, in assenza dell'allegazione, prima ancora che della prova, ad onere dell'appaltatore stesso, di limiti stringenti alla libera operatività imprenditoriale posti dalla committenza e alla comunque intervenuta segnalazione, da parte sua, di carenze documentali e progettuali pur evidenti. 7. Il terzo motivo di critica è relativo ad “Omesso esame di plurimi fatti/documenti oggetto di discussione fra le parti (360 co 1 n.5 c.p.c.) che, ove esaminati e considerati, avrebbero condotto a decisione affatto diversa (ossia all'affermazione della responsabilità dell'esecutore delle opere di palificazione, esclusiva o, subordinatamente, concorrente)”. La Corte non avrebbe tenuto conto del fatto che lo stesso I.V., costituendosi in appello, avrebbe ammesso di aver ricevuto tramite B.L. l'elaborato dell'indagine geognostica di (OMISSIS) s.r.l. , contenente tutte le prescrizioni utili per l'intervento de quo; sarebbe altresì dimostrato che I.V. avrebbe dato esecuzione all'appalto delle fondazioni con la formula “chiavi in mano” e che avrebbe provveduto nei primi mesi del 2006 alla posa in opera di micropali trivellati del diametro di cm.22 ciascuno con armatura in ferro e calcestruzzo finalizzata al tamponamento del terreno e al rinforzo delle proprietà a confine, perché lo avrebbe riconosciuto lo stesso appaltatore nella comparsa di costituzione in appello; I.V. avrebbe pure riconosciuto di aver rilasciato a M.G. una dichiarazione di conformità dei lavori in data 22.2.2006; sarebbe provata anche la nomina di un collaudatore delle opere statiche da parte di M.G., come da denuncia di opere in cemento armato depositata presso il Comune di (OMISSIS) il 19.10.2004. Tutti questi fatti, decisivi e risultanti dagli atti, sarebbero stati, secondo i ricorrenti, omessi dalla Corte di merito. Il motivo, che riguarda la valutazione del materiale probatorio acquisito da parte della Corte di merito, è assorbito dall'accoglimento dei motivi che precedono. 8. In conclusione, debbono essere accolti il primo e il secondo motivo di ricorso, dovendosi per quest'ultimo la Corte di merito attenere al principio di diritto già emergente dalle pronunce sopra richiamate, secondo cui “l'appaltatore è responsabile dei danni occorsi a terzi in conseguenza dell'esecuzione di opere poste in essere anche in eventuale assenza della documentazione tecnica necessaria, salvo che dimostri di aver manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente e a rischio di quest'ultimo”. Il terzo motivo rimane assorbito. La sentenza della Corte d'Appello di Venezia deve essere conseguentemente cassata con rinvio alla stessa Corte d'Appello, in diversa composizione, che dovrà rivalutare la controversia alla luce delle indicazioni che precedono; il Giudice del rinvio provvederà altresì alla liquidazione delle spese processuali anche del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. la Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, cassa e rinvia alla Corte d'Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.