La Consulta conferma la legittimità dell’imposizione IMU anche per gli “immobili merce”

I “beni merce” costituiscono un valido indice di capacità contributiva ai fini IMU, in quanto rileva la disponibilità giuridica del bene, indipendentemente dal suo effettivo utilizzo. Lo ha chiarito la Consulta rigettando le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio.

Con la sentenzanumero 49 del 17 aprile 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità sollevate sull'articolo 13 del d.l.numero 201/2011 (convertito in l.n. 214/2011), in relazione agli articolo 3 e 53 Cost. Il caso trae origine da un ricorso di una società contro un avviso di accertamento IMU relativo all'anno 2012, riguardante immobili destinati esclusivamente alla vendita, i cosiddetti beni merce , e non concessi in locazione. La Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio aveva rimesso la questione alla Consulta, ipotizzando un contrasto con i principi costituzionali di capacità contributiva, uguaglianza tributaria e ragionevolezza, anche alla luce delle normative europee in materia di concorrenza. La Corte ha respinto le censure, ribadendo che l'IMU è un'imposta patrimoniale il cui presupposto è il possesso di un immobile, indipendentemente dalla sua redditività. L'elemento decisivo è la disponibilità giuridica del bene: ciò che rileva è l'astratta possibilità di esercitare i diritti connessi al possesso, non il loro concreto utilizzo, che resta una libera scelta del titolare. Secondo i giudici costituzionali, il legislatore dispone di un ampio margine discrezionale nell'introdurre, modulare o modificare benefici e agevolazioni fiscali, purché nel rispetto del limite della non manifesta irragionevolezza (come già affermato Cort. Cost. 72/2018). Il principio espresso trova coerenza anche con il precedente orientamento della stessa Consulta che, con la sentenzanumero 60/2024, aveva chiarito che l'IMU è un'imposta sul patrimonio immobiliare, avente come presupposto il possesso, la proprietà o la titolarità di un altro diritto reale e che un immobile non costituisce un valido indice di capacità contributiva solo se sia inutilizzabile nonostante uno sforzo diligente per tornarne in possesso (come in caso di occupazione abusiva denunciata all'autorità giudiziaria). In definitiva, dunque, la Consulta, con la pronuncia in commento, ha confermato che il solo fatto di poter disporre di un immobile costituisce un valido indice di capacità contributiva, giustificando l'obbligo di versamento dell'IMU anche per gli immobili merce non locati, senza che rilevi l'effettiva generazione di reddito.

Presidente Amoroso - Redattore Buscema Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza del 22 maggio 2024, iscritta alnumero 138 del registro ordinanze 2024, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, sezione quinta, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011,numero 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011,numero 214, nel testo applicabile ratione temporis, in riferimento agli articolo 3 e 53 della Costituzione, in relazione ai principi di ragionevolezza, uguaglianza tributaria e capacità contributiva, con ricadute sulla tutela della concorrenza, anche secondo la disciplina unionale, nella parte in cui non prevede l’esenzione dall’imposta municipale unica (IMU) a favore dell’impresa che possieda immobili destinati alla vendita e non utilizzati ad altri fini. Stabiliva il comma 1 del suddetto articolo 13 che «[l]’istituzione dell’imposta municipale propria è anticipata […] a decorrere dall’anno 2012, ed è applicata in tutti i comuni del territorio nazionale fino al 2014 in base agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011,numero 23»; in base all’articolo 9, comma 1, di quest’ultimo, sempre nel testo applicabile ratione temporis, «[s]oggetti passivi dell’imposta municipale propria sono il proprietario di immobili, inclusi i terreni e le aree edificabili, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi». Inoltre, lo stesso articolo 13, comma 9-bis, del d.l.numero 201 del 2011, introdotto dall’articolo 56, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012,numero 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012,numero 27, disponeva che «[i] comuni possono ridurre l’aliquota di base fino allo 0,38 per cento per i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, e comunque per un periodo non superiore a tre anni dall’ultimazione dei lavori». Riferisce il rimettente che Astrea Tre srl ha proposto ricorso avverso un avviso di accertamento con il quale il Comune di Monterosi aveva richiesto il pagamento dell’IMU, per l’annualità 2012, relativamente a immobili di proprietà della suddetta società posseduti al solo scopo di essere ceduti a terzi. Il giudice a quo afferma che il dato letterale delle sopracitate disposizioni includerebbe inequivocabilmente, nell’ambito applicativo dell’imposta, tutti i beni immobili posseduti dall’impresa, a prescindere dalla funzione svolta da questi ultimi, in tal modo parificando le ipotesi in cui l’impresa li possieda come strumenti dell’apparato produttivo (beni strumentali) a quelle in cui siano destinati a una futura cessione (beni merce). Siffatta equiparazione, secondo il rimettente, sarebbe irragionevole, a causa del differente rapporto materiale con il bene, dal momento che, nel caso di beni strumentali, si verterebbe nell’ambito di una relazione utilitaristica (essendo il bene immobile destinato alla realizzazione dell’attività di impresa), mentre la mera titolarità di beni destinati alla vendita integrerebbe un’ipotesi di detenzione vincolata, che escluderebbe ogni forma di utilità immediata. 1.1.– La questione sarebbe rilevante in quanto il rimettente, ai fini della decisione del giudizio a quo, dovrebbe fare applicazione della disposizione censurata. 1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, la disposizione in esame violerebbe gli articolo 3 e 53 Cost. e, in particolare, i principi di ragionevolezza, uguaglianza tributaria e capacità contributiva, con ricadute sulla tutela della concorrenza, anche secondo la disciplina unionale. La disposizione censurata si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali evocati poiché presupporrebbe che il bene rientri materialmente nella disponibilità del possessore, di talché quest’ultimo eserciti le relative prerogative. Nella fattispecie in esame, invece, Astrea Tre srl, sebbene proprietaria degli immobili, non avrebbe esercitato sugli stessi alcun diritto. Sottolinea il rimettente che, con sentenzanumero 60 del 2024 di questa Corte, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011,numero 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), in cui si afferma che gli immobili non rappresentano, per il periodo in cui sono abusivamente occupati, un valido indice rivelatore di ricchezza per il proprietario spogliato del possesso. La pronuncia esprimerebbe il principio per cui l’utilità ritraibile dal bene immobile oggetto di imposizione costituirebbe un valido parametro per il sindacato di arbitrarietà delle scelte legislative. L’irragionevolezza della disposizione discenderebbe, infine, anche dall’impossibilità di applicare retroattivamente il comma 9-bis dell’articolo 13 del d.l.numero 201 del 2011, come convertito, e come modificato dall’articolo 2, comma 2, lettera a), del decreto-legge del 31 agosto 2013,numero 102 (Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 ottobre 2013,numero 124, il quale ha previsto che «[a] decorrere dal 1° gennaio 2014 sono esenti dall’imposta municipale propria i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati». Con quest’ultima modifica, infatti, il legislatore ha introdotto una esenzione dall’IMU per gli immobili cosiddetti “beni-merce” solo a partire dal 2014. L’“ondivago” incedere del legislatore, manifestatosi nell’escludere i “beni-merce” per determinati periodi d’imposta, per poi reintrodurne l’imponibilità e, infine, scongiurarla definitivamente, risulterebbe arbitrario, perché tali beni non dovrebbero mai entrare nell’ambito impositivo dell’IMU. 2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate. 2.1.– Le questioni sarebbero innanzitutto inammissibili per insufficiente motivazione sulla rilevanza, perché il giudice rimettente avrebbe omesso di chiarire se fosse pacifico e incontroverso che gli immobili oggetto di imposizione costituissero “beni-merce”. 2.2.– Le questioni sarebbero, poi, manifestamente infondate, in quanto l’IMU avrebbe natura di imposta patrimoniale. Ne conseguirebbe che il possesso di un bene-merce costituirebbe un sicuro indice rivelatore di ricchezza. Il fatto che il legislatore abbia successivamente esentato dall’IMU gli immobili “beni-merce” non implicherebbe il riconoscimento dell’inidoneità di tali beni a esprimere una capacità contributiva, ma sarebbe espressione di una scelta discrezionale del legislatore volta ad agevolare le imprese immobiliari in relazione alle esigenze finanziarie che, di volta in volta, lo Stato è costretto ad affrontare. 3.– Si è costituita in giudizio la Astrea Tre srl, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate fondate. Secondo la parte, in relazione a un continuo mutamento di regime impositivo, sarebbe condivisibile quanto sostenuto nell’ordinanza di rimessione, secondo cui il legislatore avrebbe operato in modo “ondivago”. Dall’evoluzione normativa, difatti, emergerebbe che il legislatore ha ritenuto, talvolta, di considerare i fabbricati-merce alla stregua di qualsiasi altro immobile di pertinenza dell’impresa, talaltra, di consentirne una tassazione agevolata, altre volte ancora, di garantire loro un regime di piena “esenzione”. Ebbene, il rispetto dei principi di ragionevolezza e di capacità contributiva imporrebbe che la disciplina sia adeguatamente razionalizzata mediante l’esenzione dall’imposta dei “beni-merce”, dal momento che il presupposto del tributo in esame sarebbe da individuare nell’effettivo utilizzo degli elementi patrimoniali che più direttamente beneficiano dei servizi dell’ente locale. 3.1.– Con memoria depositata in data 5 marzo 2025, la Astrea Tre srl ribadiva e sviluppava le argomentazioni già esposte nella precedente difesa, sostenendo altresì la non fondatezza dell’eccezione di inammissibilità per insufficiente motivazione sulla rilevanza, sollevata dalla difesa statale. Difatti, nell’ordinanza di rimessione sarebbe chiaramente affermato che gli immobili realizzati dall’impresa erano detenuti al solo scopo di essere ceduti a terzi ed erano appartenenti alla categoria dei “beni-merce”. La parte, inoltre, afferma che l’emergenza finanziaria potrebbe assumere rilievo solo se e nella misura in cui si presenti razionalmente collegata a un ragionevole indice di capacità contributiva e i beni immobili rilevino per l’utilità che il possessore ne ritragga; circostanza che nell’ipotesi dei “beni-merce” non si verificherebbe, in quanto il rapporto con l’impresa si ridurrebbe, a differenza di quanto avverrebbe per i beni strumentali, a quello di semplice risultato del processo produttivo.   Considerato in diritto 1.– La Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, sezione quinta, con l’ordinanza indicata in epigrafe solleva questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 13 del d.l.numero 201 del 2011, come convertito, in riferimento agli articolo 3 e 53 Cost., in relazione ai principi di ragionevolezza, uguaglianza tributaria e capacità contributiva, con ricadute sulla tutela della concorrenza anche secondo la disciplina unionale, nella parte in cui non prevede l’esenzione dall’IMU per i beni immobili destinati alla vendita e non utilizzati ad altri fini. Riferisce il giudice a quo che la controversia su cui è chiamato a decidere è originata dal ricorso, presentato da Astrea Tre srl, avverso un avviso di accertamento, con il quale il Comune di Monterosi aveva richiesto il pagamento dell’IMU per l’annualità 2012, relativamente a immobili di proprietà della suddetta società posseduti al solo scopo di essere ceduti a terzi. Il rimettente ritiene la questione non manifestamente infondata, innanzitutto perché vi sarebbe violazione dei principi di capacità contributiva e di uguaglianza tributaria, in quanto il possesso legittimante il sorgere della soggettività passiva ai fini dell’IMU presupporrebbe – circostanza che invece non avverrebbe nel caso dei “beni-merce” – che l’immobile rientri materialmente nella disponibilità del possessore, cosicché quest’ultimo possa esercitare le prerogative possessorie sul bene, mentre il proprietario dei “beni-merce” non eserciterebbe sugli stessi alcun diritto. Inoltre, sarebbero equiparati, ai fini dell’IMU, gli immobili strumentali all’esercizio dell’impresa e gli immobili merce, in violazione del principio di uguaglianza sostanziale, con ricadute sulla disciplina a tutela della concorrenza di rilevanza anche unionale. Si duole infine il giudice rimettente che i beni destinati alla vendita sarebbero sottoposti all’IMU per alcune annualità d’imposta, come il 2012, anno relativo alla controversia oggetto del giudizio a quo, e non per altre, come il 2014, anno a cui si riferisce la modifica del comma 9-bis dell’articolo 13 censurato, con lesione del principio di ragionevolezza. 2.– Occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di inammissibilità per insufficiente motivazione sulla rilevanza, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, secondo cui il rimettente avrebbe omesso di chiarire se fosse pacifico e incontroverso che gli immobili oggetto di imposizione costituissero “beni-merce”, o se tale circostanza fosse contestata dal Comune impositore. L’eccezione non è fondata perché, per un verso, il rimettente afferma chiaramente trattarsi di “beni-merce” e, per un altro verso, dall’ordinanza di rimessione non emerge alcuna contestazione in questo senso da parte del Comune impositore. Il giudice a quo fornisce, dunque, una ricostruzione dei fatti non implausibile, che supera il vaglio esterno svolto da questa Corte sulla sussistenza della rilevanza (ex plurimis, sentenzenumero 211 enumero 70 del 2024,numero 193 del 2022,numero 258 enumero 61 del 2021). 3.– Prima di affrontare il merito della questione, è opportuno ripercorrere brevemente l’evoluzione dell’imposta sugli immobili destinati dalle imprese esclusivamente alla vendita. Con il decreto legislativo 30 dicembre 1992,numero 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992,numero 421), istitutivo dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), nessuna disposizione al riguardo era prevista; con l’articolo 3, comma 55, della legge 23 dicembre 1996,numero 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), che ha modificato l’articolo 8 del d.lgs.numero 504 del 1992, è stata inserita, nell’ultimo periodo del comma 1, una disposizione che prevedeva il pagamento dell’ICI in misura ridotta. Quest’ultima disposizione è rimasta immutata fino al 2012, anno in cui gli articolo 8 e 9 del d.lgs.numero 23 del 2011 hanno previsto la soppressione dell’ICI, sostituendola con l’IMU, senza alcuna previsione relativa agli immobili costituenti “beni-merce”. Successivamente, l’articolo 56, comma 1, del d.l.numero 1 del 2012, come convertito, ha introdotto nell’articolo 13 del d.l.numero 201 del 2011, come convertito, una prima versione del comma 9-bis, applicabile all’anno d’imposta oggetto del giudizio a quo, ossia al 2012, che prevedeva una riduzione dell’IMU per i “beni-merce”. In seguito, con l’articolo 1 del decreto-legge 30 novembre 2013,numero 133 (Disposizioni urgenti concernenti l’IMU, l’alienazione di immobili pubblici e la Banca d’Italia), convertito, con modificazioni, nella legge 29 gennaio 2014,numero 5, è stata abolita, per tutti gli immobili, la seconda rata dell’IMU per il 2013. In un secondo momento, il citato comma 9-bis è stato integralmente sostituito dall’articolo 2, comma 2, lettera a), del d.l.numero 102 del 2013, come convertito, secondo cui, «[a] decorrere dal primo gennaio 2014, sono esenti dall’imposta municipale propria i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano, in ogni caso, locati». Infine, l’articolo 1, comma 751, della legge 27 dicembre 2019,numero 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), tuttora in vigore, ha reintrodotto l’IMU sui “beni-merce” per gli anni 2020 e 2021, sia pure con un regime di favore, ma ha al contempo previsto che «[a] decorrere dal 1° gennaio 2022, i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, finché permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, sono esenti dall’IMU». 4.– Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 13 del d.l.numero 201 del 2011, come convertito, sollevate in riferimento agli articolo 3 e 53 Cost., non sono fondate. 4.1.– La prima censura del giudice a quo si concentra sulla circostanza che gli immobili dell’impresa destinati alla vendita e non locati non costituirebbero un valido indice di capacità contributiva in quanto non produttivi di reddito e non utili al funzionamento dell’impresa; ciò nonostante, sono stati considerati suscettibili di imposizione IMU. Occorre evidenziare che la giurisprudenza costituzionale ha affermato che per «“capacità contributiva” ai sensi dell’articolo 53 Cost., si deve intendere l’idoneità del soggetto all’obbligazione d’imposta, desumibile dal presupposto economico cui l’imposizione è collegata, presupposto che consiste in qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di legittimità costituzionale sotto il profilo della loro arbitrarietà o irrazionalità» (sentenzenumero 34 del 2025 enumero 108 del 2023). Questa Corte ha inoltre affermato che «ogni prelievo tributario deve avere una causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza» (ex plurimis, sentenzenumero 34 del 2025,numero 60 del 2024 enumero 10 del 2023). Con riferimento in particolare all’IMU, è stato osservato che trattasi di un’imposta sul patrimonio immobiliare, avente «come presupposto il possesso, la proprietà o la titolarità di altro diritto reale in relazione a beni immobili», che «riveste la natura di imposta reale e non ricade nell’ambito delle imposte di tipo personale, quali quelle sul reddito» (sentenzanumero 209 del 2022). Spetta al legislatore, nell’ambito della sua discrezionalità e nei limiti della non palese irragionevolezza, decidere in merito a eventuali esenzioni o agevolazioni relative a tale imposta. Ha infatti affermato questa Corte che l’IMU ha sostituito, «per la componente immobiliare, l’imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non locati» e che «l’introduzione del regime tributario in questione rientra nel potere discrezionale del legislatore di “decidere non solo in ordine all’an, ma anche in ordine al quantum e ad ogni altra modalità e condizione” afferente alla determinazione di agevolazioni e benefici fiscali» (sentenzanumero 72 del 2018). In effetti, la deducibilità «va concretata e commisurata dal legislatore ordinario secondo un criterio che concili le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva, non meno pressanti di quelli della vita individuale» (sentenzenumero 108 del 1983 enumero 134 del 1982). Deve altresì osservarsi che questa Corte, nella sentenzanumero 60 del 2024, ha chiaramente espresso il principio che un immobile non costituisce un valido indice di capacità contributiva solo se è inutilizzabile per fatti estranei rispetto alla sfera di controllo diligente del proprietario, mentre nel caso oggetto del giudizio a quo la scelta di non utilizzare l’immobile è dipesa esclusivamente da una libera scelta dell’imprenditore. Occorre inoltre ricordare che ciò che rileva è la possibilità di avvalersi delle facoltà proprie del diritto reale e non il loro effettivo esercizio. 4.2.– Per un secondo e differente profilo, il giudice a quo sostiene che pretendere il pagamento dell’IMU in relazione a beni dell’impresa destinati alla vendita e non utilizzati ad altri fini, contrasterebbe con il principio di uguaglianza, in quanto beni diversi (i beni strumentali e i “beni-merce”) verrebbero trattati in maniera uguale dal punto di vista fiscale poiché entrambi assoggettati all’IMU. Tale equiparazione non è invece irragionevole perché in entrambi i casi è l’imprenditore possessore dell’immobile a decidere autonomamente e liberamente la destinazione di quest’ultimo e a mantenerne il possesso entro la sua sfera di controllo, potendo sempre esercitare tutte le prerogative possessorie. Tra l’altro, sotto un profilo più squisitamente aziendalistico, anche per i “beni-merce” può predicarsi la loro funzionalità rispetto alle esigenze economiche dell’impresa nel momento in cui si realizzi la loro vendita. 4.3.– Per un terzo e ultimo profilo, il giudice a quo dubita della ragionevolezza della disposizione censurata in considerazione del fatto che il legislatore ha mutato negli anni la disciplina dell’IMU, prevedendo, in tutto o in parte, per alcune annualità di imposta, l’esenzione per i beni immobili destinati alla vendita. La doglianza si sostanzia in una asserita disparità di trattamento che sarebbe derivata dal mutamento della disciplina legislativa nel corso degli anni. Anche questa doglianza non è fondata. Questa Corte ha affermato, infatti, che applicare alla stessa categoria di soggetti, per effetto di un sopravvenuto mutamento di disciplina, un trattamento differenziato non contrasta con l’articolo 3 Cost., poiché il trascorrere del tempo costituisce, già di per sé, un elemento idoneo a giustificare un diverso trattamento (ex plurimis, sentenzenumero 108 del 2023,numero 240 del 2019 enumero 104 del 2018). 5.– In definitiva, alla luce di quanto sopra esposto, devono ritenersi non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 13 del d.l.numero 201 del 2011, come convertito, sollevate in riferimento agli articolo 3 e 53 Cost.   per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011,numero 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011,numero 214, sollevate, in riferimento agli articolo 3 e 53 della Costituzione, dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, sezione quinta, con l’ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2025.