In materia di elezioni locali, è stato chiarito che può candidarsi anche chi ha patteggiato, ma solo dal 30 dicembre 2022. Lo ha affermato la Suprema Corte, negando un’applicazione retroatttiva della novità prevista dalla Riforma Cartabia.
La Suprema Corte ha considerato «plausibile», aderendo sul punto alla tesi della Procura generale, che - a seguito della Riforma Cartabia - ci sia stata una tacita abrogazione della legge Severino, sottolineando che la sentenza frutto di patteggiamento, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata come prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso quello per accertare la responsabilità contabile. La peculiarità della pronuncia in commento sul tema è il chiarimento circa l'impatto della novità sui giudizi già in corso, come nel caso di specie, accertando se la pendenza del procedimento consente la riammissione di un candidato già legittimamente escluso sulla base delle norme allora in vigore oppure se le modifiche normative intervenute possono essere applicate esclusivamente per le successive tornate elettorali. I Giudici hanno chiarito che l'impugnazione dell'atto amministrativo che ha dichiarato l'incandidabilità di un soggetto, ancorché fondata su una norma successivamente abrogata, non modifica il momento temporale di riferimento, che resta fissato alla data di adozione dell'atto stesso. Ne deriva che la valutazione di legittimità del provvedimento impugnato deve avvenire alla luce della situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, nel caso in esame luglio 2022, con la conseguenza che eventi sopravvenuti – inclusa l'abrogazione della norma applicata – risultano irrilevanti, non potendo retroattivamente incidere sulla validità degli atti amministrativi già adottati. In tale prospettiva, le nuove norme risultano applicabili solo dal 30 dicembre 2022 e non possono retroagire, ad avviso della Corte, sino a rendere nulle le decisioni dell'Ufficio elettorale che ha correttamente applicato la disciplina allora in vigore. Pertanto, la Cassazione, rigettando il ricorso, ha enunciato i seguenti principi di diritto: «In materia elettorale e di applicazione del D.Lgs. n. 235 del 31 dicembre 2012, c.d. Legge Severino, non si può attribuire efficacia di estinzione anticipata della ragione di incandidabilità, oltre che alla sentenza di riabilitazione, ex articolo 178 c.p., anche all'estinzione del reato, ai sensi del disposto dell'articolo 445, co. 2, c.p.p., stante la diversità dei due istituti quanto agli effetti penali ed extra-penali». «In materia elettorale e di applicazione del D.Lgs. n. 235 del 31 dicembre 2012, c.d. Legge Severino, il novellato comma 1bis dell'articolo 445 c.p.p. (Effetti dell'applicazione della pena su richiesta: «… se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi, diverse da quelle penali, che equiparano la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna»), introdotto con l'articolo25 del d.lgs. 150/2022, comporta, nella materia elettorale, una ipotesi di abrogazione tacita dell'articolo 15 comma 1 d.lgs. 235/2012, che equiparava la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, c.p.p. alle sentenze di condanna, ma opera per i soggetti, per i quali sia stata pronunciata sentenza di patteggiamento ex articolo444 cit., solo a far data dall'entrata in vigore della riforma (30 dicembre 2022, ai sensi del D.L. n. 162/2022), non essendo l'articolo445 comma 1 bis c.p.p. applicabile retroattivamente, in quanto legge più favorevole per il candidato incandidabile secondo la disciplina vigente al tempo della presentazione delle liste, non avendo le misure previste dalla Legge n. 235/2012 natura penale».
Presidente Acierno - Relatore Iofrida Fatti di causa La Corte d'Appello di Lecce, Sez.Dist. Taranto, con sentenza n. 258/2024, pubblicata il 5/7/2024, h confermato, respingendo il gravame di Ca.Al., la decisione di primo grado, ex articolo22 D.Lgs. 150/2011, che aveva, nel contraddittorio delle parti (il Ca.Al., quale ricorrente, da un lato, e il Comune di Martina Franca, Ba.Vi., soggetto effettivamente proclamato, intervenuto volontariamente, e PG, dall'altro lato), respinto il ricorso del Ca.Al., candidato alla carica di consigliere comunale alle elezioni amministrative del 12 giugno 2022 del Comune di Martina Franca e maggior suffragato nella lista (Omissis) (destinataria di due seggi), volto a sentire accertare l'insussistenza dei motivi ostativi alla proclamazione per incandidabilità rilevati nel provvedimento dell'Ufficio Elettorale centrale dell'1 luglio 2022, per essersi il Ca.Al., condannato per patteggiamento per il delitto di cui all'articolo 73 D.P.R. n. 309/1990 con sentenza irrevocabile in data 9 febbraio 2016, candidato alle elezioni comunali senza previamente chiedere ed ottenere la riabilitazione. In particolare, il Tribunale di Taranto aveva rilevato che l'articolo 15 del D.Lgs. n. 235/2012 stabilisce, quale regola comune a qualunque livello di rappresentanza e di governo, che la sentenza di riabilitazione è l'unica causa di estinzione anticipata dell'incandidabilità, idonea come tale ad incidere sulla presentazione delle candidature successive alla pronuncia giudiziale che, una volta intervenuta, impedisce per il tempo residuo l'operare dell'incandidabilità fondata sulla commissione del reato presupposto (Cass. n. 21582/2020) e così disponendo il legislatore ha ritenuto imprescindibile, per ogni candidato che ambisce a cariche elettive, l'accertamento delle condizioni soggettive (articolo 178 c.p.) utili a rimuovere il giudizio di inidoneità morale a svolgere l'incarico, essendo insussistente un profilo di irragionevolezza, né potendosi equiparare alla riabilitazione - quoad effectum - le ipotesi di estinzione del reato e degli effetti penali della sentenza, anche ai sensi dell'articolo 445 c.p.p. Invero, la Legge c.d. Severino ha ritenuto necessario, proprio in applicazione dell'articolo 51 Cost., per la rimozione del giudizio di indegnità ed il conseguente riacquisto dei requisiti morali e della piena considerazione sociale del candidato, una completa valutazione post factum sull'effettiva rieducazione del reo, demandata al giudice il quale è chiamato a verificare che, nel periodo minimo considerato dalla legge, il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta (articolo 179, co. 1, c.p.) ovvero ad accertare l'esistenza di fatti sintomatici dell'avvenuto recupero del soggetto ad un corretto modello di vita, non assumendo rilievo la mera astensione dal compimento di fatti costituenti reato. In ultimo, nel caso di specie non rilevava il conseguimento da parte del Ca.Al., a competizione elettorale già conclusa, della riabilitazione poiché il provvedimento costitutivo del beneficio ha efficacia ex nunc e, pertanto, deve intervenire prima della presentazione della candidatura e si escludeva che la sopravvenuta modifica dell'articolo 445, co. 1 bis, c.p.c. ad opera del D.Lgs. n. 150/2022, potesse condurre a diverse valutazioni non avendo natura interpretativa e non potendo incidere, ratione temporis, sulla vicenda in esame. Neppure il Ca.Al. poteva utilmente invocare la lesione del diritto all'elettorato attivo poiché, in presenza di una candidatura invalida e della violazione del principio di autoresponsabilità che impone a chi dichiara una circostanza all'autorità amministrativa di accertarsi che quanto affermato risponda al vero, l'Ufficio centrale non aveva operato valutazioni discrezionali ma aveva applicato puntualmente il D.Lgs. n. 235 cit. secondo l'interpretazione dell'impianto normativo più volte offerta dal giudice delle leggi . I giudici d'appello hanno respinto tutte le doglianze dell'appellante Ca.Al., osservando che, pacifica l'equiparazione ai fini dell'incandidabilità, quanto meno al tempo dei fatti, ai sensi dell'articolo15 della Legge Severino , della sentenza c.d. di patteggiamento a quelle di condanna, dalla lettura delle disposizioni si ricava in maniera chiara ed inequivoca che solo per le cariche elettive parlamentari nazionali ed europee e per le cariche di governo nazionali è stata prevista una durata dell'incandidabilità, salva la cessazione anticipata riconnessa alla pronuncia di sentenza di riabilitazione ex articolo 178 e ss. c.p., mentre alcuna durata predeterminata è stata prevista per le cariche locali e la proposta di integrazione del comma 3 da parte del Ca.Al., nel senso di attribuzione dell'efficacia di estinzione dell'incandidabilità, oltre che alla sentenza di riabilitazione ex articolo 178 c.p., anche al disposto dell'articolo 445, co. 2, c.p.p. (secondo cui, nel testo vigente ratione temporis: Il reato è estinto, ove sia irrogata una pena detentiva non superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso di estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena ), gli consentirebbe di beneficiare di un effetto estintivo automatico già verificatosi, a prescindere da ogni domanda - di riabilitazione - del medesimo, al tempo della candidatura quale consigliere del Comune di Martina Franca nel 2022, essendo trascorsi i cinque anni previsti dalla anzidetta norma senza che si sia verificata la commissione di delitti della stessa indole . E comunque i due istituti, la riabilitazione ai sensi dell'articolo179 c.p. e l'estinzione del reato ex articolo 445, co. 2, c.p.p., sono diversi seppure anche l'estinzione prevista dall'articolo 445, co 2., cit., automatica, implica la mancata commissione di delitti o contravvenzione della stessa specie: la riabilitazione - la quale estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna salvo che la legge disponga altrimenti - trova il suo duplice presupposto nel decorso del tempo dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia in altro modo estinta e nella buona condotta di cui il condannato deve dare prove effettive e costanti, con un più approfondito esame della condotta del soggetto ed una favorevole considerazione del percorso rieducativo del condannato e ciò è confermato dal fatto che il riconoscimento della meritevolezza del beneficio dipende da una valutazione del giudice che è invece del tutto assente nella pronuncia di estinzione del reato a seguito di patteggiamento. Tant'è che chi ha ottenuto una pronuncia di estinzione a seguito di patteggiamento ha interesse ed è legittimato a richiedere il provvedimento di riabilitazione ove maturi i requisiti necessari. Peraltro, la Legge Severino risale al 2012, quando la fattispecie della estinzione automatica del reato prevista dall'articolo 445, co. 2, c.p.p. era già stata introdotta, e tuttavia non ne tenne conto ai fini della disciplina della cessazione della condizione di incandidabilità ed anzi con espressione chiara ed univoca all'articolo 15 T.U. individuò la sentenza di riabilitazione quale unica causa di sua estinzione anticipata. La questione di legittimità costituzionale non era, ad avviso della Corte di merito, fondata, come già chiarito in primo grado, considerato che la differente disciplina dell'incandidabilità dettata per le cariche degli enti locali si giustifica per la natura prevalentemente amministrativa delle funzioni svolte da questi ultimi e dunque per la finalità di tutela del buon andamento e della legalità della pubblica amministrazione tale da giustificare un trattamento di maggior severità nel peso assegnato alle condanne subite dai candidati a cariche politico-amministrative locali (sentenze Corte cost. n. 276/2016 e n. 214/2017) e, in aggiunta, si doveva mettere in evidenza che la diversità di disciplina costituisce il frutto di una libera scelta del legislatore ordinario a fronte di situazioni eterogenee che va giudicata legittima ove si escluda, come nella vicenda in esame, la violazione di precetti costituzionali e dunque sovraordinati . Inoltre, non poteva operare nel caso in esame la modifica dell'articolo 445, co. 1 bis, c.p.p., frutto di novella introdotta con il D.Lgs. n. 150/2022 ed applicabile a far tempo dal 30 dicembre 2022, secondo cui La sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l'accertamento della responsabilità contabile. Se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna. Salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna . Ma la detta disposizione non ha natura interpretativa e non può disciplinare per ragioni cronologiche la vicenda in esame, in cui operava il dato testuale dell'articolo 15, co. 1, T.U. sopra riportato, il quale prescrive che ogni tipologia di incandidabilità prevista dal T.U., e quindi relativa a cariche nazionali, europee o locali, insorga anche nel caso di sentenza definitiva di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 c.p.p.; soltanto a seguito dell'articolo 445, co. 1 bis, che ora prevede espressamente che non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall'articolo 444, co. 2, c.p.p. alla sentenza di condanna, si è prodotto l'effetto di abrogazione tacita dell'articolo 15, co. 1, T.U. Nel senso predetto depone anche la stessa circolare ministeriale n. 29/2023 del Ministero dell'Interno che si riferisce all'incidenza della modifica dell'articolo 445, co. 1 bis, c.p.p. per il futuro. Neppure poteva rilevare l'incidenza del nuovo articolo445, comma 1 bis, c.p.p., come norma processuale, immediatamente operante nel processo su ricorso ex articolo22 D.Lgs. 150/2011 pendente al tempo della sua entrata in vigore , in quanto, a prescindere dalla effettiva natura processuale della disposizione, il nuovo disposto era intervenuto quando il procedimento era ormai definito con la mancata proclamazione del Ca.Al., in quanto il ricorso ex articolo 22 D.Lgs. n. 150/2011 è destinato, infatti, a provocare l'intervento dell'autorità giudiziaria sulla mancata proclamazione e non costituisce certo la prosecuzione o la riapertura della fase amministrativa, non senza segnalare che l'incandidabilità rileva già con riferimento all'epoca di presentazione delle liste elettorali ai sensi dell'articolo 12 T.U. . Infine, non avendo la incandidabilità prevista dalla Legge Severino natura penale e neppure punitiva, non si può ritenere che l'articolo 445 co. 1 bis c.p.p. debba essere applicato retroattivamente in quanto legge più favorevole per il candidato incandidabile secondo la disciplina vigente al tempo della presentazione delle liste. Irrilevanti erano poi le doglianze in punto elettorato attivo, proprio o del corpo elettorale, poiché anche in tal caso non ne potrebbero derivare le conseguenze invocate da ultimo descritte e comunque il disposto dell'articolo 12, co. 1, T.U. richiede al candidato, come già visto, di presentare una dichiarazione attestante l'insussistenza delle cause di incandidabilità di cui all'articolo 10 in occasione della presentazione delle liste dei candidati per le elezioni, cosicché il Ca.Al. non può dolersi del fatto di non aver potuto esercitare l'elettorato attivo nei confronti di soggetto candidabile. In ultimo, in punto spese e di mancata compensazione parziale, la doglianza è stata ritenuta infondata, dovendo la soccombenza essere valutata rispetto all'esito del giudizio e non anche con riguardo a singole eccezioni o questioni, come pure la censura in punto di refusione delle spese in favore del Comune, malgrado la mancata formulazione di esplicita domanda di condanna al pagamento delle spese di lite, dovendo essa essere adottata discendendo la disciplina delle spese di lite secondo soccombenza dall'articolo 91 c.p.c., applicabile anche alla vicenda in esame, né deponendo in senso contrario la circostanza che i procedimenti ex articolo 22 D.Lgs. n. 150/2011 siano esenti da contributo, non comportando tale esenzione, a fronte della loro natura contenziosa, la mancata soggezione alla disciplina generale in materia di spese di lite (articolo 91 e ss. c.p.c.), o quella in punto di mancata compensazione integrale delle spese, non ricorrendone i presupposti. Avverso la suddetta pronuncia, Ca.Al. propone ricorso per cassazione, notificato il 4/9/2024, affidato a sei motivi, nei confronti di Ba.Vi. (che resiste con controricorso), del Comune di Martina Franca, del Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica di Taranto e del Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Taranto (che non svolgono difese). Il P.G. ha depositato memoria, chiedendo il rigetto del ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell'articolo 13, comma 1 e dell'articolo 15, comma 3 e 4, del Capo V del T.U. n. 235/2012 c.d. Legge Severino, e contrarietà ai principi di ragionevolezza, proporzionalità, uguaglianza, buon andamento e imparzialità tutelati con gli articolo 3 e 97 della Costituzione; b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione degli articolo 10 e 15 del D.Lgs. n. 235/2012, in relazione all'articolo 1, comma 64 della L. 190/2012 per violazione dell'articolo 76 della Costituzione; c) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione degli articolo 10 e 15 co. 3 del D.Lgs. n. 235/2012 per contrasto con gli articolo 3,27, co.3, 51, co.1, della Costituzione; d) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione degli articolo 444 e 445 c.p.p., anche come riformato, in ossequio al principio del tempus regit actum, con il D.Lgs. n. 150/2022 (attuativo della L. 134/2021 Riforma Cartabia ), in contrasto con l'articolo 15 D.Lgs. 235/2012; e) con il quinto motivo, la violazione o falsa applicazione dell'articolo 22 del D.Lgs. n. 150 del 01.09.2011 e conseguenziale errata individuazione delle parti processuali legittimate passivamente, violazione dei diritti di elettorato attivo; f) con il sesto motivo, la violazione o falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c. e dell'articolo 22, comma 14 e 15, del D.Lgs. n. 150 del 01.09.2011 per erronea regolamentazione delle spese giudiziali. 2. In generale, il D.Lgs. n. 235 del 31 dicembre 2012, c.d. Legge Severino, contenente il Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190, detta la disciplina della vicenda in esame. Va ricordato che il D.Lgs. n. 235 del 2012 è stato adottato nell'esercizio della delega disposta all'articolo 1, commi 63, 64 e 65, della L. 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione). Con le disposizioni indicate il legislatore delegante ha inteso affidare al delegato il compito di predisporre un corpus organico della normativa concernente le cause ostative all'assunzione e allo svolgimento di tutte le cariche elettive e di governo, riunendo in un unico testo la disciplina già vigente e introducendone nello stesso testo una nuova riguardante le cariche per le quali dette cause ostative non erano previste. Al contempo, il legislatore delegante ha voluto escludere dall'operazione di riordino e innovazione la disciplina delle sanzioni penali accessorie, prevedendo che restano ferme le disposizioni del codice penale in materia di interdizione perpetua dai pubblici uffici (articolo 1, comma 64, lettera a, L. n. 190 del 2012). Il testo unico adottato nell'esercizio della richiamata delega ha dunque un carattere in parte compilativo (in particolare, quanto alla normativa in materia di incandidabilità nelle elezioni regionali e degli enti locali) e in parte innovativo (in particolare, quanto alla previsione di ipotesi di incandidabilità per le elezioni politiche e per quelle del Parlamento europeo, non presenti nella normativa precedente). Esso si compone così di norme relative: alle ipotesi di incandidabilità alle elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e a quelle di membro italiano del Parlamento europeo (articolo 1-5); alle cause ostative all'assunzione e allo svolgimento di incarichi di Governo (articolo 6); all'incandidabilità alle elezioni regionali e alle connesse ipotesi di sospensione e di decadenza dalla carica (articolo 7-9); all'incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e alle connesse ipotesi di sospensione e di decadenza dalla carica (articolo 10-12). Infine, gli articolo 13-18 recano Disposizioni comuni, transitorie e finali , e tra queste rileva la previsione dell'articolo 17, che dispone l'abrogazione della preesistente normativa in materia e in particolare degli articolo 58 e 59 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) e dell'articolo 15 della L. 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale). In particolare l'articolo 10 prevede, per quel che qui interessa, l'incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali per chi abbia riportato una condanna definitiva per il reato con riferimento al quale nei confronti di Ca.Al. è stata pronunciata la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (articolo 10 co. 1 lett. a). L'articolo 10 al comma 3, inoltre, prescrive: L'eventuale elezione o nomina di coloro che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1 è nulla. L'eventuale elezione o nomina di coloro che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1 è nulla. L'organo che ha provveduto alla nomina o alla convalida dell'elezione è tenuto a revocare il relativo provvedimento non appena venuto a conoscenza dell'esistenza delle condizioni stesse . L'articolo 15, relativo alle disposizioni comuni a tutte le incandidabilità, sempre per quel che qui interessa, al comma 1, stabilisce che L'incandidabilità di cui al presente testo unico opera anche nel caso in cui la sentenza definitiva disponga l'applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale . Lo stesso articolo 15, al comma 3, prevede: La sentenza di riabilitazione, ai sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale, è l'unica causa di estinzione anticipata dell'incandidabilità e ne comporta la cessazione per il periodo di tempo residuo. La revoca della sentenza di riabilitazione comporta il ripristino dell'incandidabilità per il periodo di tempo residuo . L'articolo 13 recita: 1. L'incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo spettante all'Italia, derivante da sentenza definitiva di condanna per i delitti indicati all'articolo 1, decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa ed ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice. In ogni caso l'incandidabilità, anche in assenza della pena accessoria, non è inferiore a sei anni. 2. Il divieto ad assumere e svolgere incarichi di Governo nazionale, derivante da sentenza di condanna definitiva per i delitti indicati all'articolo 1, opera con la medesima decorrenza e per la stessa durata prevista dal comma 1. 3. Nel caso in cui il delitto che determina l'incandidabilità o il divieto di assumere incarichi di governo è stato commesso con abuso dei poteri o in violazione dei doveri connessi al mandato elettivo, di parlamentare nazionale o europeo, o all'incarico di Governo, la durata dell'incandidabilità o del divieto è aumentata di un terzo . Il secondo comma dell'articolo445 c.p.p. prescrive che: Il reato è estinto, ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena . 3. Le prime quattro censure del ricorso, da trattare unitariamente in quanto connesse, involgendo sotto vari profili l'asserita erronea interpretazione della Legge n. 235 del 2012 nella pronuncia impugnata, sono infondate. 3.1. Il ricorrente, in sintesi, propone una interpretazione confacente ai principi di ragionevolezza, proporzionalità, uguaglianza, buon andamento e imparzialità tutelati con gli articolo 3 e 97 della Costituzione , da considerare, in uguale misura, sia per i parlamentari che per le cariche elettive locali, affermando che la durata dell'incandidabilità dovrebbe essere legata ad un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice e, comunque, non minore di sei anni ovvero del termine di estinzione del reato ascritto. Il dettato normativo, solo in questi termini interpretato ed applicato, realizzerebbe appieno il principio di proporzionalità . Si tratta, a dire del ricorrente, di limitazioni che hanno natura eccezionale e che devono essere tutte compiutamente disciplinate sicché l'incandidabilità prevista dall'articolo 10 D.Lgs. n. 235/2012, per come interpretata, presenta profili di incostituzionalità per violazione degli articolo 3,27, co. 3, e 51, co. 1, Cost., poiché viola il principio di legalità ed il principio di proporzionalità; si insiste per il rilievo della dedotta incostituzionalità. La parte ricorrente, inoltre, contesta la decisione nella parte in cui ha escluso che gli effetti estintivi della incandidabilità possano essere collegati unicamente alla riabilitazione (e non anche all'estinzione) sul presupposto che estinzione e riabilitazione non siano istituti sovrapponibili; al contrario, afferma che la riabilitazione ex articolo 178 c.p. e l'estinzione conseguente al patteggiamento, ai sensi dell'articolo 445 c.p.p., al fine di una corretta interpretazione delle norme in oggetto, non andrebbero distinti nella valutazione delle cause di incandidabilità. 3.2. La Corte d'Appello ha affermato che il D.Lgs. n. 235/2012 prevede in maniera chiara ed inequivoca che solo per le cariche elettive parlamentari nazionali ed europee e per le cariche di governo nazionali è stata prevista una durata dell'incandidabilità, salva la cessazione anticipata riconnessa alla pronuncia di sentenza di riabilitazione ex articolo 178 e ss. c.p., mentre alcuna durata predeterminata è stata prevista per le cariche locali . In questo contesto, la Corte di merito ha ben chiarito che un'interpretazione del T.U. basata su una integrazione estensiva dell'articolo 15, comma 3, quale proposta nel ricorso ex articolo22 D.Lgs. 150/2011, non sarebbe conforme al dettato normativo vigente ratione temporis. Infatti, la volontà di attribuire efficacia di estinzione della ragione di incandidabilità, oltre che alla sentenza di riabilitazione ex articolo 178 c.p., anche al disposto dell'articolo 445, co. 2, c.p.p. sarebbe un'operazione ermeneutica complessa e giustificabile solo nella prospettiva soggettiva ( l'integrazione per via di interpretazione suggerita dal Ca.Al. gli consentirebbe di avvalersi di un effetto estintivo automatico già verificatosi, a prescindere da ogni domanda del medesimo, al tempo della candidatura quale consigliere del Comune di Martina Franca nel 2022, essendo trascorsi i cinque anni previsti dalla anzidetta norma senza che si sia verificata la commissione di delitti della stessa indole ). Ma il dato normativo chiaro non è superabile, stante la diversità dei due istituti che si vorrebbero assimilare ai fini del superamento delle ragioni di incandidabilità. La riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti, e trova il suo duplice presupposto nel decorso del tempo dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia in altro modo estinta e nella buona condotta di cui il condannato deve dare prove effettive e costanti, come testualmente richiesto dall'articolo 179 c.p., a differenza di quanto è richiesto per l'estinzione del reato ex articolo 445, co. 2, c.p.p. Quest'ultima considerazione non può essere superata, come correttamente rimarcato dal giudice di merito, neppure utilizzando l'argomento secondo cui anche l'estinzione prevista dall'articolo 445, co 2., cit., nonostante sia automatica, implica la mancata commissione di delitti o contravvenzione della stessa specie. Ed infatti il provvedimento di riabilitazione richiede un più approfondito esame della condotta del soggetto ed una favorevole considerazione del percorso rieducativo del condannato e ciò è confermato dal fatto che il riconoscimento della meritevolezza del beneficio dipende da una valutazione del giudice che è invece del tutto assente nella pronuncia di estinzione del reato a seguito di patteggiamento. I due istituti sono al punto diversi, per esempio anche sotto il profilo delle ricadute sul casellario giudiziale, che chi ha ottenuto una pronuncia di estinzione a seguito di patteggiamento ha interesse ed è legittimato a richiedere il provvedimento di riabilitazione ove maturi i requisiti necessari . Peraltro la non equiparazione, quanto agli effetti penali ed extra-penali, tra riabilitazione ed estinzione del reato ha trovato conferma nella giurisprudenza penale formatasi sul punto (Cassazione penale, Sez. 1, n. 31089 del 18/6/2009; Sez. 1, n. 35893 del 18/7/2012; sez. I, 13/09/2022, n. 1836). In particolare, secondo la sentenza da ultimo citata del 2022, sussiste l'interesse ad ottenere la riabilitazione, pur in presenza di estinzione del reato ai sensi dell'articolo 445 c.p.p., ... perché la pronuncia di riabilitazione postula un ampio accertamento circa il completo ravvedimento del soggetto, da condurre attraverso la valutazione del suo comportamento nel periodo intercorso tra l'espiazione della pena inflitta e il momento della decisione e manifestatosi anche nell'eliminazione delle conseguenze civili del reato, quando possibile. Ed invero, l'accoglimento dell'istanza di riabilitazione implica una favorevole considerazione del percorso rieducativo seguito dal condannato col concreto reinserimento nel contesto sociale e, quindi, il riconoscimento della meritevolezza del beneficio, oggetto di valutazione discrezionale da parte del giudice, che, al contrario, manca nella pronuncia di estinzione del reato. L'apprezzamento di tali profili fattuali, presupposto della riabilitazione, nonché la conseguente possibilità di ottenere l'iscrizione nel casellario della relativa pronuncia, secondo quanto stabilito dall'articolo 686 c.p.p., comma 3, nella formulazione modificata dal D.P.R. n. 313 del 2002, che lo ha abrogato e sostituito con diversa previsione, devono essere, pertanto, ritenuti idonei a conferire l'interesse sostanziale per accordare la riabilitazione anche al condannato la cui pena sia stata, medio tempore, estinta per effetto della norma di cui all'articolo 445 c.p.p., comma 2 . E il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3067/2018, ha seguito tale orientamento giurisprudenziale, chiarendo che: il comma 3 dell'articolo 15, D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235 ha previsto che la sentenza di riabilitazione, ai sensi dell'articolo 178 e seguenti del codice penale, è l'unica causa di estinzione anticipata dell'incandidabilità : la norma non reca un'analoga previsione con riferimento all'estinzione del reato ex articolo 445 c.p.p., ma anzi il riferimento all'aggettivo unica depone nel senso di ritenere che soltanto la riabilitazione sia stata considerata dal legislatore idonea a far venir meno l'incandidabilità. Riabilitazione ex articolo 178 c.p. ed estinzione conseguente al patteggiamento ai sensi dell'articolo 445 c.p.p. non sono equivalenti. Ed invero, ai fini della riabilitazione non è sufficiente la mancata commissione di altri reati, come nel caso dell'estinzione conseguente al patteggiamento ai sensi dell'articolo 445 c.p.p., ma occorre l'accertamento del completo ravvedimento dispiegato nel tempo e mantenuto sino al momento della decisione, e tradotto anche nella eliminazione (ove possibile) delle conseguenze civili del reato (Cass. pen., sez. I, 18 giugno 2009, n. 31089). La Cassazione ha precisato, infatti, che mentre l'estinzione della pena patteggiata si produce con il solo mancato avveramento della condizione risolutiva nel previsto arco temporale la riabilitazione viene pronunziata all'esito di un effettivo approdo rieducativo del reo . Ha inoltre riconosciuto al condannato, la cui pena sia stata medio tempore estinta ex articolo 445, comma 2, c.p.p., l'interesse a chiedere la riabilitazione, in quanto correlato ad una completa valutazione post factum, non irrilevante sul piano dei diritti della persona. Da tale premessa consegue, come corollario obbligato, che sebbene entrambi gli istituti assicurino al condannato la cessazione degli effetti penali della condanna, non possono però ritenersi sovrapponibili, in quanto solo con la riabilitazione si acquista la certezza dell'effettiva rieducazione del reo, poiché l'estinzione ex articolo 445 c.p.p. deriva dal solo dato fattuale del mero decorso del tempo. Come si è detto, ai fini del venir meno della incandidabilità il Legislatore ha previsto che rilevi solo la sentenza di riabilitazione ex articolo 178 c.p.: è dunque necessaria la prova dell'effettiva rieducazione del reo per il riacquisto dei requisiti di onorabilità richiesti dall'articolo 54, comma 2, Cost. per l'accesso alle funzioni pubbliche; prova che peraltro può essere chiesta anche dal condannato con sentenza di patteggiamento dopo il decorso del termine quinquennale di estinzione del reato, facendo così venire meno la condizione di incandidabilità . 3.3. Riguardo alle censure di incostituzionalità, si deve rilevare che la Corte Costituzionale ha già scrutinato la materia, ritenendo la normativa compatibile con la Costituzione (Corte Costituzionale n. 276/2016 e n. 214/2017). Con la sentenza n. 276/2016 è dichiarata inammissibile - per difetto di motivazione in ordine ai parametri evocati - la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 8, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 235 del 2012, censurato dalla Corte d'Appello di Bari, in riferimento agli articolo 76 e 77 Cost., in quanto non prevede - ai fini della sospensione dalle cariche elettive regionali in caso di condanna per determinati reati (e, in particolare, per il delitto di abuso d'ufficio) - una soglia di pena superiore ai due anni, come invece stabilito per i parlamentari nazionali ed europei ai fini dell'incandidabilità; si è rilevato che il rimettente aveva motivato la non manifesta infondatezza argomentando esclusivamente sulla irragionevolezza della disparità di trattamento normativo fra cariche regionali e parlamentari, senza fornire alcun argomento di supporto all'ulteriore invocazione degli articolo 76 e 77 Cost., già posti a fondamento dell'autonoma censura di eccesso di delega. In particolare, quanto alle doglianze mosse dai remittenti ex articolo76 Cost. per eccesso di delega rispetto alla legge n. 190 de 2012, la Corte ha precisato: In mancanza di una chiara formulazione letterale della norma delegante e di fronte alla possibilità di attribuirle due diversi sensi, il suo esatto significato va individuato con i consueti criteri ermeneutici, che fanno riferimento al testo della legge in cui si inserisce e alla sua ratio. In relazione all'interpretazione delle leggi di delega, la giurisprudenza costituzionale è costante nel ribadire fra l'altro come (...) il contenuto della delega non possa essere individuato senza tenere conto del sistema normativo nel quale la stessa si inserisce, poiché soltanto l'identificazione della sua ratio consente di verificare, in sede di controllo, se la norma delegata sia con essa coerente (ex plurimis, sentenze n. 134 del 2013, n. 272 del 2012, n. 230 del 2010, n. 98 del 2008, n. 163 del 2000) (sentenza n. 210 del 2015; v. anche le sentenze n. 98 del 2015, n. 229 e n. 50 del 2014, n. 119 del 2013, n. 341 del 2007, n. 425 del 2000) . E si è ribadito che con la legge-delega si era inteso affidare al legislatore delegato compiti di riordino e armonizzazione degli istituti esistenti, senza stravolgere l'assetto anteriore, e che l'incandidabilità temporanea prevista alle lettere a) e b) - dell'articolo 1, comma 64, legge-delega n. 190 - riguarda solo i parlamentari (come risulta espressamente dall'articolo 1, comma 64, della legge n. 190 del 2012 e dall'articolo 13 del D.Lgs. n. 235 del 2012), mentre l'incandidabilità alle cariche politiche nelle regioni e negli enti locali è definitiva, salva la riabilitazione (articolo 15, comma 3, del D.Lgs. n. 235 del 2012) . Sempre la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 214 del 12 ottobre 2017, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 8, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 235 del 2012, sollevata dal Tribunale di Napoli, in riferimento agli articolo 3 e 51 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento normativo fra consiglieri regionali e parlamentari, derivante dalla previsione, solo per i primi, della sospensione dalla carica in caso di condanna non definitiva per determinati reati. Si è ribadito, come già affermato dalla giurisprudenza costituzionale, che non appare configurabile, sotto il profilo della disparità di trattamento, un raffronto tra la posizione dei titolari di cariche elettive nelle Regioni e negli enti locali e quella dei membri del Parlamento e del Governo, essendo evidente il diverso livello istituzionale e funzionale degli organi costituzionali ora citati . E neppure può ritenersi irragionevole la scelta del legislatore di prevedere la sospensione con esclusivo riferimento ai titolari di cariche elettive non nazionali, poiché tale scelta si fonda su dati di esperienza oggettivi, i quali dimostrano che i fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata trovano le loro principali manifestazioni nel tessuto istituzionale locale . Nemmeno l'esercizio di funzioni legislative da parte dei consigli regionali fa venir meno la diversità del loro livello istituzionale e funzionale rispetto al Parlamento e l'oggettiva differenza, per molti e decisivi aspetti, della condizione dei componenti dei due organi legislativi. E la finalità di tutela del buon andamento e della legalità nella pubblica amministrazione perseguita dalla disciplina in esame può anzi giustificare un trattamento di maggiore severità nella valutazione delle condanne per reati contro la pubblica amministrazione inflitte ai consiglieri regionali, dal momento che parte delle funzioni da essi svolte ha natura amministrativa . Il Parlamento è sede esclusiva della rappresentanza politica nazionale, che imprime alle sue funzioni una caratterizzazione tipica ed infungibile; quindi, la commissione di reati che offendono la pubblica amministrazione può rischiare di minarne l'immagine e la credibilità e di inquinarne l'azione in modo particolarmente incisivo al livello degli enti regionali e locali, per la prossimità dei cittadini al tessuto istituzionale locale e la diffusività del fenomeno in tale ambito. La Corte Costituzionale, nella recente sentenza n. 56 del 2022, con la quale ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, ha ricordato che già l'articolo 15 della L. 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), che - come la Corte Costituzionale ha precisato nelle decisioni in cui è stata chiamata a giudicare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale di varie disposizioni del D.Lgs. n. 235 del 2012 (sentenze n. 230 e n. 35 del 2021, n. 36 del 2019, n. 214 del 2017, n. 276 del 2016 e n. 236 del 2015 e ordinanza n. 46 del 2020) -, al fine di tutelare la trasparenza dell'attività delle regioni e degli enti locali (così il Titolo del Capo II della legge), ... prevedeva la sospensione degli amministratori regionali, provinciali e comunali che risultassero sottoposti a procedimento penale per il delitto previsto dall'articolo 416-bis del codice penale, ovvero a una misura di prevenzione, anche non definitiva, perché indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso. Alla sospensione seguiva la decadenza in conseguenza del passaggio in giudicato della sentenza o della definitività del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione (sentenza n. 276 del 2016) . Si è quindi evidenziato come, nella convinzione che tale disciplina fosse insufficiente ad arginare il fenomeno delle infiltrazioni di stampo mafioso all'interno degli organi degli enti territoriali, il legislatore si fosse risolto, con la L. 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), da un lato, attraverso l'istituto della incandidabilità alle elezioni, a impedire che persone gravemente indiziate di reati di stampo mafioso potessero ricoprire cariche elettive, dall'altro, a estendere l'ambito dei reati ostativi, comprendendo in esso anche quelli legati agli stupefacenti e alle armi, nonché alcuni reati contro la pubblica amministrazione (sempre sentenza n. 276 del 2016). Dopo modifiche minori e dopo che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 141 del 1996, dichiarò illegittimo l'articolo 15 della L. n. 55 del 1990, là dove prevedeva l'incandidabilità prima della condanna definitiva, la L. n. 475 del 1999 collegò l'incandidabilità alla condanna definitiva, mentre causa della sospensione dalla carica rimase la condanna non definitiva e la durata della sospensione fu però limitata a diciotto mesi; tali norme sono poi confluite negli articolo 58 e 59 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali). Stante la preoccupazione per il permanere di una situazione di grave e diffusa illegalità nella pubblica amministrazione, il D.Lgs. n. 235 del 2012 ha riordinato e innovato la materia, dando attuazione alla delega di cui alla legge n. 190 del 2012. In relazione alla suddetta disciplina adottata nel 2012, la Corte Costituzionale con diverse pronunce (sentenze n. 230 e n. 35 del 2021, n. 36 del 2019, n. 214 del 2017, n. 276 del 2016 e n. 236 del 2015), ha sottolineato, fra l'altro, come le misure in esse previste non costituissero e non costituiscano sanzioni o effetti penali della condanna, e siano piuttosto da ricollegare al venir meno di un requisito soggettivo per l'accesso alle cariche in questione o per il loro mantenimento. La Corte Costituzionale ha altresì precisato che, se in origine lo scopo della disciplina era quello di costituire una sorta di difesa avanzata dello Stato contro il crescente aggravarsi del fenomeno della criminalità organizzata e dell'infiltrazione dei suoi esponenti negli enti locali , avendo come finalità la salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche (sentenza n. 407 del 1992), successivamente il carattere di diffusa illegalità nella pubblica amministrazione ha indotto ad allargare l'ambito soggettivo e oggettivo della disciplina, a tutela degli interessi costituzionali protetti dagli articolo 54, secondo comma, e 97, secondo comma, Cost. (sentenza n. 276 del 2016, ma nello stesso senso anche sentenze n. 230 e n. 35 del 2021, n. 36 del 2019 e n. 236 del 2015). In questo contesto, dunque, legittimamente, il legislatore, operando le proprie valutazioni discrezionali, ha ritenuto che, in determinati casi, una condanna penale precluda il mantenimento della carica, dando luogo alla decadenza o alla sospensione da essa, a seconda che la condanna sia definitiva o non definitiva (sentenza n. 236 del 2015). In conclusione, la questione di legittimità costituzionale reiterata in ricorso è manifestatamente infondata, non essendo configurabile, sotto il profilo della disparità di trattamento, un raffronto tra la posizione dei titolari di cariche elettive negli enti locali e quella dei membri del Parlamento e del Governo in relazione alla mancata previsione per i primi di un termine di durata dell'incandidabilità, essendo evidente il diverso livello istituzionale e funzionale degli organi costituzionali predetti e avendo legislatore con la disciplina in esame inteso essenzialmente contrastare il fenomeno dell'infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto istituzionale locale e, in generale, perseguire l'esclusione dalle amministrazioni locali di coloro che per gravi motivi non possono ritenersi degni della fiducia popolare. Invero, la finalità di tutela del buon andamento e della legalità nella pubblica amministrazione perseguita dalla disciplina in esame può giustificare un trattamento più severo per le cariche politico-amministrative locali, in quanto la commissione di reati che offendono la pubblica amministrazione può infatti rischiare di minarne l'immagine e la credibilità e di inquinarne l'azione (ex plurimis, sentenza n. 236 del 2015) in modo particolarmente incisivo al livello degli enti regionali e locali, per la prossimità dei cittadini al tessuto istituzionale locale e la diffusività del fenomeno in tale ambito (Corte Cost. nn. 276/2016 e n. 214/2017). In ogni caso, l'indeterminatezza temporale della incandidabilità prevista per gli amministratori degli enti locali è esclusa proprio per effetto della previsione della causa estintiva data dalla riabilitazione in sede penale. Quanto poi all'eccesso di delega e all'asserita violazione degli articolo 76 e 77 Cost., per mancato rispetto del criterio direttivo di cui alla lett. e) della legge delega n. 190/2012 (che imponeva di coordinare le disposizioni sull'incandidabilità con quelle sull'interdizione dai pubblici uffici e sulla riabilitazione) o g) della stessa legge (che imponeva di operare una completa ricognizione della normativa vigente in materia di incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali... determinata da sentenze definitive di condanna ), il ricorrente procede a una interpretazione dei criteri direttivi predetti, secondo cui, riguardo alla lett. e), dal coordinamento suddetto sarebbe dovuta derivare la scelta per tutte le cariche elettive dell'incandidabilità temporanea come disposto per l'interdizione dai pubblici uffici ovvero, riguardo alla lett. g), dalla ricognizione prescritta non si sarebbe potuto equiparare le sentenze ex articolo444 c.p.p. alle sentenze definitive di condanna, interpretazione non fondata su argomenti testuali e logico-sistematici, per quanto già in precedenza chiarito dalla Corte Costituzionale. 3.4. Il ricorrente lamenta poi la violazione e falsa applicazione degli articolo 444 e 445 c.p.p. quali riformati dal D.Lgs. n. 150/2022 (attuativo della c.d. Riforma Cartabia), che si porrebbero in contrasto con l'articolo 15 D.Lgs. 235/2012. Il D.Lgs. 159 del 2022, con l'articolo25, ha apportato modifiche al Titolo II del Libro VI del codice di procedura penale (articolo444/448 c.p.p.) e in particolare con il comma 1, lett. b) del decreto legislativo ha novellato, tra l'altro, il comma 1bis dell'articolo 445 c.p.p. (Effetti dell'applicazione della pena su richiesta) prevedendo che: se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi, diverse da quelle penali, che equiparano la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna . Dal tenore testuale della novellata disposizione si ricava che, salvo il caso di applicazione di pene accessorie, tutte quelle disposizioni legislative non qualificabili come penali, nelle quali la sentenza resa ex articolo 444 c.p.p. è equiparata alla sentenza di condanna, non trovano più applicazione a far data dall'entrata in vigore della riforma Cartabia (30 dicembre 2022, ai sensi del D.L. n. 162/2022). E quindi si tratta di valutare se in base al tenore testuale delle nuove disposizioni del codice di procedura penale sia possibile escludere l'incandidabilità nei casi di patteggiamento (salvo il caso di applicazione di pene accessorie). Come osserva il PG, seppure sembra plausibile che la novella del 2022 abbia determinato una ipotesi di abrogazione tacita dell'articolo 15 comma 1 D.Lgs. 235/2012, in quanto a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 150 del 2022 (c.d. riforma Cartabia) al comma 1-bis dell'articolo 445 c.p.p. (secondo cui La sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l'accertamento della responsabilità contabile. Se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna. Salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna ), non sarebbe più applicabile (in quanto implicitamente abrogato) l'articolo 15, comma 1, D.Lgs. n. 235 del 2012 (che equiparava la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, c.p.p. alle sentenze di condanna), con la conseguenza che tutti i soggetti, per i quali sia stata pronunciata sentenza di patteggiamento ex articolo 444, senza applicazione di pene accessorie, non incorreranno più in una situazione di incandidabilità, potendo così concorrere alle elezioni (vedasi TAR Campania Salerno n. 937 del 24/4/2023, in cui si era impugnato un provvedimento della Commissione Elettorale Circondariale competente, notificato il 18/4/2023 , di esclusione di un candidato da una lista per le elezioni amministrative del 14 e 15 maggio 2023 , in relazione a una riportata sentenza di condanna definitiva a seguito di richiesta di patteggiamento, e si è accolto il relativo motivo di ricorso fondato sulla novellata disposizione, con annullamento del provvedimento impugnato), tuttavia, nel caso in esame è importante stabilire se e come retroagiscano gli effetti delle norme sopraggiunte. In altre parole, occorre verificare se la pendenza del giudizio ai sensi dell'articolo 22 D.Lgs. 235/2012 sia tale da poter riammettere un candidato già escluso legittimamente sulla base delle norme vigenti ratione temporis o, al contrario, se le modifiche normative possano dirsi applicabili solo per le tornate elettorali successive alla disposizione normativa. La Corte d'Appello ha affermato che l'impugnazione dell'atto amministrativo in sede giurisdizionale non sposta il momento temporale di riferimento che resta sempre quello di emanazione dell'atto amministrativo impugnato; ne consegue che correttamente la legittimità dell'atto amministrativo è stata correlata, in base al principio tempus regit actum , allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione (nel luglio 2022), con la conseguente irrilevanza delle circostanze successive, sia pure abrogative della norma, che non possono incidere ex post sugli atti amministrativi precedenti. Si deve ritenere che in effetti tale soluzione adottata è conforme a diritto e che le nuove norme, pure se ritenute abrogative del cit. articolo 15, siano applicabili solo a partire dalla loro entrata in vigore e non possono retroagire al punto di divenire applicabili ai provvedimenti dell'Ufficio elettorale che, in base al criterio temporale, abbiano correttamente applicato le incandidabilità allora vigenti. Riferimenti interpretativi in questo senso possono essere desunti anche dalla Circolare Ministero dell'Interno DAIT n.29/2023 del 17 marzo 2023 laddove, previa acquisizione di un parere reso dall'Avvocatura dello Stato, è stato affermato che tutti i soggetti, per i quali sia stata pronunciata sentenza di patteggiamento ex articolo444 cit, non incorrono più in una situazione di incandidabilità, potendo così concorrere alle prossime elezioni . In conclusione: il venir meno della situazione di incandidabilità opera per i soggetti, per i quali sia stata pronunciata sentenza di patteggiamento ex articolo444 cit., solo a decorrere dall'entrata in vigore della novella perché, come osservato nel provvedimento impugnato, non si può ritenere che l'articolo 445 co. 1 bis c.p.p. debba essere applicato retroattivamente in quanto legge più favorevole per il candidato incandidabile secondo la disciplina vigente al tempo di presentazione delle liste . Tale soluzione adottata, inoltre, appare conforme ad un criterio di ragionevole stabilità dei risultati elettorali pregressi, i quali, ove non viziati da palese illegittimità, meritano di essere confermati facendo corretta applicazione delle leggi vigenti ratione temporis (dovendosi assumere come utile criterio di riferimento temporale il provvedimento di incandidabilità emesso dalla commissione elettorale). Neppure l'articolo445 comma 1 bis c.p.p. dovrebbe essere applicato retroattivamente in quanto legge più favorevole per il candidato incandidabile secondo la disciplina vigente al tempo della presentazione delle liste, in quanto, come ribadito anche dalla Corte Costituzionale, la Legge n. 235/2012 non ha natura penale e neppure punitiva. 4. Il quinto motivo, in punto di legittima mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti del Ba.Vi., primo dei canditati non eletti subentrato di diritto nel consiglio comunale all'esito della sua proclamazione, (questione proposta in appello ma non esaminata funditus dalla Corte territoriale), per essere nel procedimento elettorale, il Comune l'unico portatore istituzionale dell'interesse alla conservazione dei propri organi nella composizione ad essi conferita con l'atto di proclamazione degli eletti, nonché in punto di mancata trattazione con urgenza del procedimento, posto a tutela degli interessi soggettivi dell'elettorato attivo e passivo o di lesione del diritto soggettivo all'elettorato attivo del Comune , per mancata trasmissione della sentenza di primo grado, a cura del cancelliere, al Sindaco del Comune, al Presidente della giunta provinciale ovvero al presidente della Regione, affinché gli stessi potessero provvedere alla pubblicazione per quindici giorni del dispositivo nell'albo dell'ente, è infondato. Invero, si deve ribadire che per giurisprudenza costante in materia elettorale sono parti necessarie i candidati della cui avvenuta elezione si discute e che possono essere pregiudicati dalla richiesta modificazione del provvedimento, in quanto titolari di un diritto soggettivo alla conservazione del risultato elettorale e che, quindi, devono essere chiamati a partecipare al relativo giudizio. Nel caso in esame, l'eventuale accoglimento dell'impugnazione ai sensi e per gli effetti dell'articolo 22 co 12 D.Lgs. n.150 del 2011 comporterebbe la correzione del risultato delle elezioni e la sostituzione del candidato già proclamato (Ba.Vi.) con eventualmente il candidato oggi ricorrente Ca.Al., ragione questa per cui l'interesse alla conservazione del posto del sig. Ba.Vi. è considerato di diritto soggettivo. Ma in ogni caso, nella specie, si è dato atto dell'intervento in giudizio del Ba.Vi. che aveva sanato ogni nullità per difetto del contraddittorio. Quanto alla denuncia di violazione dell'articolo22 comma 6 del D.Lgs. 150/2011, per non essere stata trasmessa la sentenza di primo grado, a cura del cancelliere, al Sindaco del Comune, al Presidente della giunta provinciale ovvero al presidente della Regione, con lesione del diritto di elettorato attivo, in quanto avverso l'ordinanza qualunque cittadino elettore o chiunque vi abbia interesse possono proporre appello, la Corte d'Appello ha ritenuto (pag.18 in ultimo periodo) che la doglianza non poteva incidere nel presente giudizio tenuto conto delle sue finalità . E, in conformità, la censura deve essere ritenuta inammissibile oltre perché non si confronta con tale statuizione anche per carenza di interesse. 5. Il sesto motivo in punto di erronea regolamentazione delle spese e di condanna alla refusione delle spese, è infondato. Nella specie, la condanna alle spese è stata operata in applicazione del principio della soccombenza in uno con il principio di causalità, in virtù del quale non è esente da onere delle spese la parte che abbia provocato la necessità del processo. Nella materia elettorale, l'esenzione dal versamento del contributo unificato, previsto anche per altro genere di controversie, non comporta per ciò stesso l'esenzione dalle spese di lite in caso di soccombenza. 6. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Si devono affermare i seguenti principi di diritto: In materia elettorale e di applicazione del D.Lgs. n. 235 del 31 dicembre 2012, c.d. Legge Severino, non si può attribuire efficacia di estinzione anticipata della ragione di incandidabilità, oltre che alla sentenza di riabilitazione, ex articolo 178 c.p., anche all'estinzione del reato, ai sensi del disposto dell'articolo 445, co. 2, c.p.p., stante la diversità dei due istituti quanto agli effetti penali ed extra-penali . In materia elettorale e di applicazione del D.Lgs. n. 235 del 31 dicembre 2012, c.d. Legge Severino, il novellato comma 1bis dell'articolo 445 c.p.p. (Effetti dell'applicazione della pena su richiesta: se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi, diverse da quelle penali, che equiparano la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna ), introdotto con l'articolo25 del D.Lgs. 150/2022, comporta, nella materia elettorale, una ipotesi di abrogazione tacita dell'articolo 15 comma 1 D.Lgs. 235/2012, che equiparava la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, c.p.p. alle sentenze di condanna, ma opera per i soggetti, per i quali sia stata pronunciata sentenza di patteggiamento ex articolo444 cit., solo a far data dall'entrata in vigore della riforma (30 dicembre 2022, ai sensi del D.L. n. 162/2022), non essendo l'articolo445 comma 1 bis c.p.p. applicabile retroattivamente, in quanto legge più favorevole per il candidato incandidabile secondo la disciplina vigente al tempo della presentazione delle liste, non avendo le misure previste dalla Legge n. 235/2012 natura penale . 7. In ragione della novità e complessità delle questioni di diritto trattate, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. Essendo il procedimento esente, non si applica l'articolo 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.