Le controversie, ai sensi dell’art.9, comma 3, l. n. 898/1970, aventi ad oggetto la ripartizione in quote dell'unica pensione di reversibilità fra il coniuge superstite e il coniuge divorziato non hanno «natura previdenziale», in ragione dell’oggetto e della causa petendi, nonché della complessa qualificazione giuridica dei diritti in contesa, tutti scaturenti dalla solidarietà post coniugale da un lato (coniuge divorziato) e dalla posizione di parentela giuridicamente qualificata (coniuge superstite).
Seppure l'assegno di reversibilità, in sé, ha natura previdenziale e il diritto autonomo attribuito dall'ordinamento al coniuge superstite é «d'indole previdenziale», ma limitato quantitativamente dell'omologo diritto spettante al coniuge superstite, la controversia che ne deriva concerne la quantificazione di siffatte quote in applicazione dei criteri stabiliti dalla legge n. 898 del 1970 e non involge profili strettamente concernenti il rapporto assicurativo e previdenziale con l'ente previdenziale. Di conseguenza trova applicazione, per esse, il termine di sospensione feriale, secondo la regola generale, dettata dalla l. n. 742 del 1969 in relazione all'articolo 92 ord. giud., ciò anche in ragione del principio per cui l'istituto della sospensione dei termini processuali in periodo feriale costituisce un presidio della tutela giurisdizionale dei diritti e del principio dell'ultrattività del rito. Inoltre, quando l'ex coniuge e il coniuge superstite abbiano entrambi i requisiti per la pensione di reversibilità, la determinazione della quota spettante a ciascuno di essi deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio legale della durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, e individuati dalla giurisprudenza, quali l'entità dell'assegno riconosciuto al coniuge divorziato, le condizioni economiche di entrambi e l'eventuale convivenza prematrimoniale. Fatti di causa avanti il Tribunale di Roma Nel 2021 una donna adiva il Tribunale di Roma chiedendo, ex articolo 9, comma 3, l. 898/1970, l'accertamento del di lei diritto a percepire quota della pensione di reversibilità dell'ex marito con il quale aveva contratto matrimonio nel 1992 e dal quale aveva divorziato nel 2009 a seguito del quale la signora aveva iniziato a percepire un assegno divorzile. L'uomo poi, si era rispostato con un'altra donna nel 2016. Il Tribunale di Roma, a seguito di adeguata istruttoria, emetteva sentenza con la quale riconosceva alla ricorrente il diritto a percepire il 65% della pensione e attribuiva il restante 35% alla coniuge superstite. Quest'ultima adiva pertanto, la Corte d'Appello di Roma che, nel 2023 in parziale riforma della sentenza di primo grado, rideterminava le quote di pensione, assegnando il 35% alla ex moglie ed il 65% alla coniuge superstite. La Corte d'Appello basava la decisione su una valutazione comparativa di diversi fattori, tra cui la durata dei matrimoni, della convivenza, le condizioni economiche delle parti e l'assistenza prestata al de cuius dalle donne. In particolare, aveva dato rilievo alla maggiore durata della convivenza tra il de cuius e la seconda moglie e all'assistenza da questa prestata, ritenendo di dover riequilibrare il consistente e non giustificabile divario tra l'importo della quota di pensione e quello dell'assegno divorzile percepito dalla ex moglie. Natura del procedimento La ex moglie ricorreva pertanto in Cassazione, articolando quattro motivi di censura. I motivi riguardavano, in sostanza, i criteri di ripartizione della pensione, contestando il peso attribuito alla durata della convivenza rispetto alla durata legale del matrimonio, l'omessa considerazione di alcuni periodi di convivenza, e l'erronea equiparazione tra assegno divorzile e quota di pensione di reversibilità. Tuttavia, la Cassazione, prima di esaminare il merito delle censure, ha dovuto affrontare la questione preliminare della tempestività del ricorso, sollevata dalla controricorrente la quale sosteneva l'inapplicabilità della sospensione feriale dei termini alla causa in oggetto in quanto rientrante nelle controversie di natura previdenziale. Gli Ermellini, dopo aver ripercorso tutti gli orientamenti giurisprudenziali che si sono succeduti nel tempo, addivenivano alla conclusione che le controversie in materia di accertamento del diritto a ricevere una quota della pensione di reversibilità non hanno effettiva natura (esclusivamente) previdenziale, tale da qualificare la lite come previdenziale, perché non è in discussione il diritto ad ottenere un trattamento economico indennitario di natura previdenziale ma il diritto dell'ex coniuge divorziato ad ottenere una quota del trattamento pensionistico, nella comparazione con il diritto e la posizione del coniuge superstite. Criteri per la ripartizione della pensione di reversibilità Risolta pertanto la questione preliminare, in merito alla ripartizione della pensione di reversibilità la Cassazione ribadiva alcuni principi fondamentali. In primo luogo veniva sottolineato che la ripartizione non può avvenire esclusivamente sulla base della durata del matrimonio ma vanno considerati anche altri elementi: la convivenza prematrimoniale, l'entità dell'assegno di mantenimento (o assegno divorzile), le condizioni economiche delle parti e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali. Evidenzia pertanto la Corte che, la decisione sulla ripartizione in armonia con la finalità solidaristica dell'istituto, richiede una valutazione complessiva e un prudente apprezzamento da parte del giudice di merito. Conclusione La Corte di Cassazione infine, ribadendo i principi ormai consolidati in materia di ripartizione delle pensione di reversibilità, evidenziando che la Corte d'Appello non aveva pienamente rispettato i principi di diritto nella parte in cui, da un lato aveva comparato il solo periodo di durata della convivenza del primo matrimonio e dall'altro aveva ritenuto che l'importo dell'assegno divorzile percepito dalla signora fosse un limite insuperabile nell'attribuzione della quota della pensione di reversibilità, evidenziando che il riferimento all'assegno di divorzio non può costituire un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, accoglieva il ricorso della donna e rinviava la causa alla Corte d'Appello. La sentenza della Corte di Cassazione offre un'importante conferma dell'orientamento giurisprudenziale sulla natura previdenziale delle controversie in materia di ripartizione della pensione di reversibilità. Tale qualificazione, con le sue conseguenze in termini di inapplicabilità della sospensione feriale dei termini processuali, risponde all'esigenza di assicurare una rapida definizione di queste controversie, che incidono su diritti fondamentali legati alla sicurezza economica dei soggetti coinvolti. La decisione, pur non entrando nel merito dei criteri di ripartizione della pensione, richiama indirettamente i principi che devono guidare il giudice in questa delicata valutazione, quali la durata dei matrimoni, la convivenza, le condizioni economiche delle parti e l'eventuale assistenza prestata al de cuius.
Presidente Acierno - Relatore Iofrida Fatti di causa Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 70/2021 pubblicata il 6 agosto 2021, definitivamente provvedendo sulla domanda formulata da Va.Gi., con ricorso, ex articolo 9, comma 3, L. 898/1970, depositato il 15 gennaio 2020, di accertamento del diritto a percepire quota della pensione di reversibilità di Ca. (Omissis), con il quale la predetta aveva contratto matrimonio in data 27 aprile 1992 e dal quale aveva divorziato in virtù di sentenza del 13 novembre 2009 del Tribunale di Roma, e di quantificazione del relativo ammontare, in favore della ricorrente, sulla premessa che l'ex coniuge della ricorrente era deceduto dopo aver contratto nuovo matrimonio con Pi.Ma., in data 6 ottobre 2016, aveva attribuito alla ricorrente la quota del 65 per cento della pensione INPS goduta in vita dall'ex coniuge e alla resistente la quota del 35 per cento, con integrale compensazione tra le parti delle spese di lite. La Corte d'Appello di Roma, con sentenza n. 3394/2023, pubblicata il 12/5/2023, ha parzialmente riformato la prima decisione ed ha determinato la quota di pensione di reversibilità di Ca. spettante alla Va.Gi. nella misura del 35 per cento e la quota del medesimo trattamento di reversibilità spettante alla Pi.Ma. nella misura del 65 per cento, compensando le spese del grado di appello. In particolare, si è rilevato che il matrimonio tra la Va.Gi. e il Thomas era durato dal 1992 al 2009, anno del deposito della sentenza di divorzio, ma i coniugi si erano separati dal 2001 e quindi la convivenza era durata 11 anni, mentre il matrimonio con la Pi.Ma. era durato tre anni (dal 2016 al 2019, ma i due avevano stabilmente convissuto da dopo il 2005 , anno in cui la Pi.Ma. aveva ottenuto la separazione dal primo marito. Quindi, comparate le situazioni reddituali e patrimoniali delle parti (essendo, da un lato, la Va.Gi. titolare di assegno divorzile di Euro 1.100,00 mensili e di reddito da lavoro, variabile negli anni, oltre che proprietaria di un appartamento in Roma e pro-quota di alcuni terreni, e, dall'altro, la Pi.Ma., proprietaria dell'immobile in cui attualmente vive e titolare di un reddito lordo annuale di Euro 30.000,00), tenuto conto, quanto alla Pi.Ma., della durata della convivenza prematrimoniale e dell'assistenza prestata all'anziano marito nonché, quanto alla Va.Gi., della durata della convivenza e dell'entità dell'assegno divorzile percepito, appariva congruo attribuire alla coniuge superstite Pi.Ma. una quota della pensione di reversibilità pari al 65% e alla Va.Gi., ex coniuge divorziata, una quota pari al 35%, così riducendosi il consistente e non giustificabile divario tra l'importo della quota di pensione e quello dell'assegno divorzile . Avverso la suddetta pronuncia, notificata il 30/5/2023, Va.Gi. propone ricorso per cassazione, notificato il 27/7/2023 (e depositato però il 13/9/2023), affidato a quattro motivi, nei confronti di Pi.Ma. e dell'Inps (che resistono con separati controricorsi). Con ordinanza, ex articolo380 bis c.p.c., comunicata l'11/12/2023, la consigliera delegata ha proposto, su eccezione formulata dal controricorrente, la declaratoria di improcedibilità del ricorso, per tardività, in applicazione del principio con cui questa Corte (Cass. n.10668/2023, ribadendo un principio già affermato nel 2015) ha affermato che le controversie aventi ad oggetto la ripartizione in quote dell'unica pensione di reversibilità fra il coniuge superstite e il coniuge divorziato hanno natura previdenziale, con la conseguenza che non trova applicazione, per esse, il termine di sospensione feriale; tale esclusione, dovendo intendersi riferita all'intero corso del procedimento giudiziario, riguarda anche il giudizio di cassazione ; è stata ravvisata la fondatezza dell'eccezione di improcedibilità per tardivo deposito del ricorso (avvenuto il 13/9/23 a fronte della notifica del ricorso avvenuta il 27/7/23), in assenza della operatività, nella materia previdenziale, della sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale. La ricorrente Va.Gi. ha chiesto la decisione della causa. La causa, chiamata all'adunanza camerale del 3/7/2024, con ordinanza interlocutoria n. 24808/2024, è stata rimessa alla pubblica udienza del 20/3/2025. Il Collegio, sulla questione, di particolare rilevanza, di come debba essere applicata la disposizione in tema di sospensione feriale dei termini processuali durante il periodo feriale in una causa, quale la presente, in cui l'accertamento sia stato richiesto ai sensi dell'articolo9 della legge n.898/1970, dovendosi stabilire se la natura previdenziale della pensione riverberi i suoi effetti, al fine della esclusione dell'applicazione della sospensione feriale dei termini, anche nel giudizio in cui si chiede l'accertamento del diritto alla quota della pensione di reversibilità dell'ex coniuge deceduto e la sua eventuale quantificazione, come previsto dall'articolo 9 della legge n. 898/1970, osservando che in detta controversia emerge la prevalenza del conflitto patrimoniale tra due soggetti privati, mentre non è in contestazione la posizione di obbligato l'INPS, interessato a pagare bene all'effettivo creditore , ha ritenuto opportuna la trattazione in pubblica udienza. Il P.G. ha depositato memoria, chiedendo dichiararsi l'improcedibilità del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato ulteriori memorie. Ragioni della decisione 1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, violazione dell'articolo 9 c. 3 L. 1970 n. 898 e succ. mod. in relazione all'articolo 360, c. 1, n. 3 c.p.c., per aver ritenuto la durata della convivenza prevalente sulla durata legale (fino al divorzio) del matrimonio, modificando il criterio normativamente stabilito, e lamentando che, in ogni caso, quanto alla Va.Gi. non si era tenuto conto del periodo di convivenza prematrimoniale (fin dal 1987); b) con il secondo motivo, violazione dell'articolo 360, c. 1, n. 5 c.p.c., per omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio, già oggetto di discussione fra le parti, circa la durata della convivenza fra Marina Pi.Ma. e Ca. a partire dal 2005 e non dalla successiva data del 2013, ritenuta provata nella sentenza del Tribunale; c) con il terzo motivo, violazione dell'articolo 9, c. 3, L. 1970 n. 898 e succ. mod., in relazione all'articolo 360 c. 1 n. 3) c.p.c., per avere considerato l'importo dell'assegno divorzile come limite legale della quota di pensione di reversibilità attribuibile al coniuge divorziato, andando contro la giurisprudenza di legittimità che lo esclude (Cass. 10391/2012; Cass. 25656/2020), non essendo in nessuna disposizione prevista la necessità del mantenimento di un rapporto ideale e astratto tra l'entità dell'assegno divorzile e quota di pensione di reversibilità ; d) con il quarto motivo, la violazione dell'articolo 9, c. 3, L. 1970 n. 898 e succ. mod., in relazione all'articolo 360, c. 1, n. 3 c.p.c. e con riferimento al principio solidaristico che costituisce la ratio della norma, in conseguenza dello squilibrio operato immotivatamente sulla simmetria delle posizioni economiche dei due coniugi. 2. Preliminarmente, vista la proposta di definizione accelerata comunicata l'11/12/2023 e l'ordinanza interlocutoria n. 24808/2024, in cui si è ritenuto necessario un approfondimento ulteriore in pubblica udienza, occorre verificare se la causa relativa alla ripartizione delle quote di pensione di reversibilità - rispettivamente spettanti ai coniugi del titolare defunto - possieda o meno natura previdenziale e, di conseguenza, se possa essere applicato a questa controversia il regime speciale e derogatorio previsto dall'articolo 92 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, richiamato dall'articolo 4 legge 7 ottobre 1969, n. 742 (inapplicabilità della sospensione nel periodo feriale) oppure se la controversia segua il regime ordinario con la sospensione feriale dei termini per impugnare. Nella specie, nella proposta ex articolo380 bis c.p.c., di improcedibilità del ricorso per cassazione si è fatta applicazione del principio, da ultimo, espresso da questa Corte nella ordinanza n.10668/2023, che ha affermato, ribadendo un principio già affermato in Cass. n. 8092/2015 (che pure aveva ritenuto fondata l'eccezione di inammissibilità formulata dalla controricorrente sul presupposto della decadenza dal diritto alla proposizione del ricorso), secondo cui Le controversie aventi ad oggetto la ripartizione in quote dell'unica pensione di reversibilità fra il coniuge superstite e il coniuge divorziato hanno natura previdenziale, con la conseguenza che non trova applicazione, per esse, il termine di sospensione feriale; tale esclusione, dovendo intendersi riferita all'intero corso del procedimento giudiziario, riguarda anche il giudizio di cassazione . Nella fattispecie in esame, non applicandosi il periodo di sospensione feriale alla controversia in oggetto, vertente, sulla base di tale orientamento, su diritti di natura previdenziale, è stata accolta l'eccezione della controricorrente di improcedibilità del ricorso a causa del mancato rispetto del termine perentorio di venti giorni fissato dall'articolo 369 c.p.c. Invero, il ricorso per cassazione, notificato in data 27 luglio 2023, non risulta essere stato depositato nel rispetto del termine di venti giorni dalla notifica ex articolo 369, comma 1, c.p.c. Il ricorso, infatti, nel periodo compreso tra 27 luglio 2023 ed il 16 agosto 2023 (termine ultimo per ricorrere) non veniva utilmente iscritto a ruolo. 3.La parte ricorrente, nell'istanza di decisione, contesta la natura previdenziale della presente controversia e afferma che, una volta individuata la somma che l'ente previdenziale deve corrispondere, cessa il carattere previdenziale della controversia qualora si tratti, come nel caso in esame, di stabilire in diversa misura le quote da ripartire; quest'ultimo aspetto sarebbe irrilevante per l'ente erogatore che assumerebbe una posizione del tutto neutra. Ancora, la parte ricorrente afferma che l'interpretazione della norma, qualora si tratti di valutare le cause da far rientrare nel perimetro delineato dal legislatore, deve essere molto cauta perché il carattere eccezionale della disposizione non è compatibile con una interpretazione analogica estesa e, per certi versi, una siffatta interpretazione è persino incompatibile con il rito di cassazione: nella estensione per ragioni sistematiche della normativa in oggetto non è stato considerato che la trattazione nel periodo feriale, funzionale ai provvedimenti urgenti dei giudici del merito, è del tutto ininfluente sul giudizio di mero diritto . 4. Il P.G. ha concluso per la declaratoria di improcedibilità del ricorso, osservando che il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità al quale occorre fare riferimento non può essere rimesso in discussione da una diversa attribuzione della natura giuridica delle controversie, così distinguendo tra le controversie strettamente previdenziali e quelle in cui si debba meglio definire la quota da ripartire tra gli aventi diritto , risultando una simile distinzione priva di logica coerenza perché opera attraverso uno sdoppiamento inconsueto della natura giuridica della controversia, attribuendo la caratteristica della previdenzialità solo in presenza di un effettivo interesse dell'Inps alla erogazione delle somme, lasciando nell'irrilevanza il profilo ulteriore relativo alla diversa ripartizione delle somme . Nelle pronunce Cass. n. 23880 del 2008, Cass. n. 22259 del 2013, Cass. n. 10668 del 2023, è stata rimarcata la natura previdenziale anche nelle ipotesi di ripartizione in quote dell'unica pensione di reversibilità tra il coniuge superstite ed il coniuge divorziato. Nella specie, la natura previdenziale della controversia va desunta dalla natura dell'obbligazione di pagamento che, in questo caso, è strettamente previdenziale e non viene meno anche qualora si debba modificare l'originaria ripartizione delle somme tra gli aventi diritto perché si tratta di ripartire quote di obbligazioni aventi natura previdenziale. Da qui deriva l'interesse pubblico, non trattandosi di una mera controversia fra due soggetti privati, alla più celere definizione del giudizio alla cui tutela - stante la natura previdenziale - concorre anche la non applicabilità del periodo di sospensione feriale. Contrariamente a quanto afferma la ricorrente, l'interesse non è di natura strettamente privata e rimesso nella mera disponibilità della ricorrente stessa, essendo piuttosto diretto a definire i trattamenti pensionistici di entrambe le avanti diritto e, nel contempo, l'esigenza pubblica più generale sottesa alla gestione delle risorse complessive, pur con riferimento al maturato trattamento pensionistico del de cuius. Quindi, come anche evidenziato dalla P.G., l'obbligazione relativa alla pensione di reversibilità ha natura ben definita in quanto agganciata ad un diritto autonomo di natura previdenziale e, nelle vicende successive all'erogazione, questo diritto permane inalterato nella sua peculiare natura autonoma, sia pure nella richiesta di diversa distribuzione in capo a due soggetti. 5. Si deve osservare che la natura della controversia (previdenziale o meno) non può derivare dalle caratteristiche delle parti (pubbliche o private), essendo piuttosto strettamente connessa con la tipologia del diritto in contestazione. Nel caso in esame, l'oggetto del giudizio è l'accertamento del diritto alla quota della pensione di reversibilità dell'ex coniuge deceduto. Il comma 3 dell'articolo 9 L. 1 dicembre 1970 n. 898, dopo l'intervento di cui alla legge 6 marzo 1987 n. 74, prevede che qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal Tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell'assegno di cui all'articolo 5. Se in tale condizione si trovano più persone, il Tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze . Il conflitto patrimoniale è insito nella contrapposizione delle parti in contesa, in quanto l'attribuzione di una determinata quota di pensione ha ovviamente risvolti che incidono sulla sfera patrimoniale dei soggetti, ma da un mero effetto conseguente non può però discendere la natura della controversia. 6. Si afferma, in via maggioritaria, che il trattamento di reversibilità si configura quale diritto autonomo di natura previdenziale , che trova titolo nel rapporto coniugale, anche pregresso, e che - con riguardo al coniuge divorziato - evidenzia profili di carattere assistenziale , nella misura in cui il legislatore ne ha subordinato l'attribuzione alla titolarità dell'assegno di divorzio, visto come indice dell'accertamento giudiziale di una esigenza di sostentamento, senza, però, che il successivo trattamento pensionistico possa essere inteso come prosecuzione post mortem dell'assegno. Si sostiene anche, in dottrina, la tesi secondo cui il fondamento dell'attribuzione di tutta o parte della pensione di reversibilità, essendo il meccanismo giuridico quello di sostituire un'attribuzione ad altra estinta (rectius: all'assegno di divorzio) in conseguenza della morte dell'erogatore, è innegabilmente risarcitorio: l'attribuzione de qua al coniuge divorziato si fonderebbe sull'esigenza di compensare l'ex coniuge economicamente debole per la perdita dell'assegno di divorzio. Laddove il coniuge divorziato si trovi a concorrere con il coniuge superstite (e/o, eventualmente, con uno o più altri coniugi divorziati), la necessità dell'intervento dell'autorità giudiziaria dipende dal fatto che non si tratta di fare mera applicazione di un calcolo aritmetico , occorrendo, in coerenza con la funzione solidaristica del trattamento di reversibilità, tener conto, unitamente alla durata dei rapporti, anche di criteri concorrenti, quali le condizioni economiche delle parti, la misura dell'assegno di divorzio goduto, i periodi di convivenza prematrimoniale, il contributo dato da ciascuno dei coniugi e ogni altro elemento ritenuto rilevante. Sul piano processuale, la decisione relativa alla ripartizione tra gli aventi diritto a titolo coniugale è rimessa al Tribunale ordinario per espressa previsione dell'articolo9, comma 3, che ha sempre competenza (anche nel caso di pensioni a carico dello Stato, cfr. Cass. S.U. n. 5429/1993, Cass. S.U. 25456/2013, che distingue, ai fini della giurisdizione, la controversia afferente all'erogazione della prestazione stessa, allorché il relativo trattamento sia a carico dello Stato, devoluta alla giurisdizione della Corte dei Conti, dall'ipotesi del concorso tra più coniugi succedutesi nel tempo, la cui giurisdizione è espressamente attribuita al giudice ordinario, affermando che la disposizione di cui all'articolo 9, comma 2, della legge 1 dicembre 1970 n. 898, nel testo modificato dall'articolo 13 della legge 6 marzo 1987 n. 74, stabilendo, in caso di morte dell'ex coniuge ed in assenza di un coniuge superstite di questi avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il diritto del coniuge divorziato a tale pensione, definisce la natura della prestazione dovuta a quest'ultimo soggetto, escludendo che possa assimilarsi all'assegno divorzile e, di conseguenza, implicitamente, sottrae alla giurisdizione ordinaria, per devolverla a quella della Corte dei conti in materia di pensione, la controversia afferente all'erogazione della prestazione stessa, allorché il relativo trattamento sia a carico dello Stato ) e che decide con rito camerale. 7.Questa Corte di Cassazione in più occasioni, in presenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, ha affermato che il diritto del coniuge divorziato ad una quota del trattamento di reversibilità dell'ex coniuge deceduto costituisce diritto autonomo d'indole previdenziale , limitato solo quantitativamente dall'omologo diritto spettante al coniuge superstite. Il trattamento pensionistico all'ex coniuge divorziata, determinato solo nel quantum in relazione alla suddivisione delle quote dell'unico trattamento pensionistico del defunto, prende vita solo in forza dell'accertamento giudiziario in cui l'INPS è litisconsorte necessario ed indefettibile. La domanda avanzata dalla ricorrente Va.Gi. è volta proprio ad accertare e dichiarare il diritto alla percezione della quota della pensione di riversibilità, ordinando per l'effetto all'INPS la corresponsione diretta in favore della richiedente, oltre la restituzione della quota parte stabilita e maturata a decorrere dalla data del decesso. Tanto che l'ente erogatore della pensione, all'esito del decesso del percettore del trattamento pensionistico, riconosce la vedova come unico soggetto destinatario della erogazione del precitato trattamento e non riconosce invece la ex coniuge divorziata, la quale, infatti, deve attivare un procedimento per ottenere il riconoscimento della quota del trattamento pensionistico di che trattasi, e ciò pur allegando la titolarità del diritto a percepire l'assegno di divorzio, che peraltro potrebbe anche avere avuto delle vicende modificative ed estintive successivamente alla statuizione. Ne deriva che l'oggetto del giudizio, in relazione all'obbligazione dedotta, ha sicuramente anche natura previdenziale , mentre, sotto il profilo soggettivo, l'INPS, ente erogatore, è contraddittore necessario e vanta l' interesse ad una corretta erogazione delle somme dovute nei confronti del soggetto legittimato ad incassare, nonché a partecipare effettivamente all'accertamento del titolare di un autonomo diritto previdenziale dal momento che le caratteristiche soggettive del titolare del diritto non sono indifferenti e potrebbero diversamente incidere sull'estinzione delle relative obbligazioni (sulla partecipazione necessaria dell'Inps: Cass. n. 15111 del 18/07/2005, ove si è messo in risalto che, anche se si controverte solo in ordine alla spettanza pro quota di un trattamento di reversibilità, già riconosciuto e del quale non viene in discussione l'ammontare complessivo, la lite non può mai configurarsi solo come una questione tra ex coniuge e coniuge superstite, non essendo indifferente per l'ente erogatore che si accerti la sussistenza dei presupposti di un diritto previdenziale azionatale nei suoi confronti, e, quindi, la sussistenza dei presupposti perché esso ente assuma, nei confronti di un ulteriore soggetto, un'obbligazione previdenziale autonoma, ancorché nell'ambito di una erogazione già dovuta (ma ad un unico soggetto), non foss'altro perché le vicende e caratteristiche soggettive dei diversi titolari di autonomi diritti previdenziali, sia pure riferiti ad un unico trattamento di reversibilità, potrebbero diversamente incidere sull'estinzione delle relative obbligazioni ; Cass. n. 9493 del 22/05/2020: La controversia tra l'ex coniuge e il coniuge superstite per l'accertamento della ripartizione - ai sensi dell'articolo 9, comma 3, della L. n. 898 del 1970, come sostituito dall'articolo 13 della L. n. 74 del 1987 - del trattamento di reversibilità deve necessariamente svolgersi in contraddittorio con l'ente erogatore atteso che, essendo il coniuge divorziato, al pari di quello superstite, titolare di un autonomo diritto di natura previdenziale, l'accertamento concerne i presupposti affinché l'ente assuma un'obbligazione autonoma, anche se nell'ambito di una erogazione già dovuta, nei confronti di un ulteriore soggetto ). L'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto alla quota di reversibilità in capo alla coniuge divorziata, in concorrenza con quello della vedova, deve quindi svolgersi in un giudizio nei confronti dell'INPS e solo con la decisione giudiziale si potrà affermare sia il diritto dell'ex coniuge, sia l'entità della quota di ripartizione. In detto giudizio, l'INPS è litisconsorte necessario sin dall'inizio e per tutto l'iter giudiziale fino alla definitiva attribuzione delle quote per l'intervenuto accertamento della sussistenza dei presupposti in capo alla ex coniuge. 8.Il punto controverso è se ciò basti a configurare la relativa controversia come esclusivamente di natura previdenziale , al fine di ritenere operante la disciplina eccezionale di non operatività della sospensione dei termini processuali durate il periodo feriale, proprie delle controversie previdenziali. In Cass. n. 9271 del 1993 si era affermato che esulava dal novero delle controversie previdenziali , soggette al rito speciale di cui all'articolo 442 cod. proc. civ., ed era, pertanto, devoluta alla competenza del Tribunale, ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 898 del 1970, la controversia relativa all'attribuzione della pensione di reversibilità al coniuge divorziato, con riguardo a casi di decesso dell'assicurato, ma avuto riguardo alla disciplina vigente anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 74 del 1987, il cui articolo 13, nel sostituire il testo della citata norma previgente, detta una disciplina innovativa, che, incidendo sui fatti generatori delle posizioni soggettive del divorziato e non semplicemente sui loro effetti, in difetto di revisione di retroattività, non può trovare applicazione nelle controversie pendenti, con riguardo ai diritti del divorziato ricollegabili ad un decesso dell'ex coniuge avente la suddetta collocazione temporale . Questa Corte a S.U., già con la sentenza n. 159 del 1998, ha poi affermato che, in presenza di un coniuge superstite avente i requisiti per fruire della pensione di reversibilità, il diritto del coniuge divorziato ad una quota del trattamento di reversibilità dell'ex coniuge deceduto non costituisce soltanto un diritto vantato nei confronti del coniuge superstite (avente, in quanto tale, natura e funzione del precedente assegno di divorzio), ma costituisce un autonomo diritto di natura previdenziale che l'ordinamento attribuisce al coniuge superstite, con la sola peculiarità che tale diritto è limitato quantitativamente dell'omologo diritto spettante al coniuge superstite. Pertanto, essendo il coniuge divorziato titolare, al pari di quello superstite, di un proprio autonomo diritto di natura previdenziale, anche la controversia instaurata al limitato fine di ottenere l'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di tale diritto deve svolgersi in contraddittorio con l'ente erogatore, giacché pure se controverte solo in ordine alla spettanza pro quota di un trattamento di reversibilità (già riconosciuto e del quale non viene in discussione l'ammontare complessivo), la lite non può mai configurarsi solo come una questione tra ex coniuge e coniuge superstite, non essendo indifferente per l'ente erogatore che si accerti la sussistenza dei presupposti di un diritto previdenziale azionatale nei suoi confronti, e, quindi, la sussistenza dei presupposti perché esso ente assuma, nei confronti di un ulteriore soggetto, un'obbligazione previdenziale autonoma, ancorché nell'ambito di una erogazione già dovuta (ma ad un unico soggetto), non foss'altro perché le vicende e caratteristiche soggettive dei diversi titolari di autonomi diritti previdenziali, sia pure riferiti ad un unico trattamento di reversibilità, potrebbero diversamente incidere sull'estinzione delle relative obbligazioni . E sempre le Sezioni Unite, nella sentenza n. 12540 del 1998, hanno evidenziato che, mentre, alla stregua dell'articolo 2 della legge n. 436 del 1978, il trattamento attribuibile al coniuge divorziato in tale ipotesi consisteva in una prestazione patrimoniale di natura non ontologicamente previdenziale, rimessa alla discrezionalità del giudice in relazione sia all' an che al quantum , e determinabile dal Tribunale ordinario, secondo il rito della camera di consiglio , secondo l'articolo 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74, che ha sostituito l'articolo 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, il diritto del divorziato, non dipende da una pronuncia giudiziale, ed il quantum dell'attribuzione varia automaticamente secondo la dinamica incrementativa prevista per quella pensione, mentre le eventuali controversie sono attribuite alla competenza degli organi giurisdizionali cui è istituzionalmente affidata la cognizione delle controversie in materia di trattamenti previdenziali (in via generale, giudice del lavoro; Corte dei conti, se la pensione sia a carico dello Stato) . Si deve a questo punto richiamare la fondamentale pronuncia della Corte Costituzionale n. 419 del 4 novembre 1999, con la quale, rigettando ogni rilievo di illegittimità costituzionale dell'articolo 9, 3 comma, L.d., si è sancito che la disposizione in esame, pur imponendo al giudice di tenere presente l'elemento temporale di durata dei rispettivi matrimoni, non prevede affatto che la ripartizione del trattamento di reversibilità tra gli aventi diritto debba essere effettuata esclusivamente sulla base del criterio della durata legale dei rispettivi matrimoni, e in rigorosa proporzione con i relativi periodi, escludendo l'adozione di qualsiasi altro elemento di valutazione, anche in funzione di mera emenda o correzione del risultato conseguito (con ciò superando l'interpretazione delle Sezioni unite nella sentenza n. 159 del 1998). Si è affermato che, avendo il legislatore inteso assicurare all'ex coniuge, al quale sia stato attribuito l'assegno di divorzio, la continuità del sostegno economico correlato al permanere di un effetto della solidarietà familiare, mediante la reversibilità della pensione che trae origine da un rapporto previdenziale anteriore al divorzio, o di una quota di tale pensione qualora esista un coniuge superstite che abbia anch'esso diritto alla reversibilità , occorre tener conto delle esigenze del soggetto economicamente piú debole, il quale potrebbe vedersi privato di ogni concreta tutela, a causa dell'attribuzione all'ex coniuge di una quota rilevante della pensione di reversibilità, anche quando quest'ultimo non abbia esigenze di mantenimento paragonabili a quelle del coniuge superstite. L'articolo 9,3 comma, L. n. 898/1970, interpretato nel senso di attribuire esclusivamente rilievo al criterio matematico ed autonomo della durata dei rispettivi rapporti matrimoniali, violerebbe, secondo la Corte Costituzionale, i principi costituzionali di eguaglianza sostanziale e di solidarietà sociale che caratterizzano il sistema pensionistico (articolo 3 e 38 Cost.), tanto che potrebbe accadere che il coniuge superstite rimanga in una situazione di completa indigenza e non troverebbe giustificazione la scelta del legislatore di investire il Tribunale per una statuizione priva di ogni elemento valutativo, potendo la ripartizione secondo quel criterio automatico essere effettuata direttamente dall'ente che eroga la pensione, come avviene in altri casi nei quali la ripartizione tra più soggetti che concorrono al trattamento di reversibilità è stabilita in base ad aliquote fissate direttamente dal legislatore . La Corte costituzionale ha precisato che, aderendo alla tesi delle Sezioni unite si porrebbe in essere un risultato estraneo al sistema complessivo della legge sul divorzio (articolo5, comma 6), che tende invece a contemperare le esigenze di tutte le persone coinvolte nella vicenda matrimoniale , attribuendo al giudice il compito di provvedere in ciascun caso con una valutazione che tenga conto delle condizioni economiche di tutti i soggetti che vantano diritti patrimoniali. L'orientamento è stato ribadito da Corte Cost. 14 novembre 2000, n. 491, la quale, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 9, terzo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 nella parte in cui, ai fini della determinazione delle quote anzidette, non esclude dal computo della durata del rapporto matrimoniale il periodo di separazione personale e non include il periodo di convivenza more uxorio precedente la celebrazione del secondo matrimonio , ha rilevato che eventuali riflessi negativi del criterio della durata del matrimonio possano e debbano essere superati mediante l'applicazione di altri e differenti criteri concorrenti, e in primis di quello relativo allo stato di bisogno degli aventi titolo alla pensione di reversibilità, realizzandosi in tal modo la giusta esigenza, richiamata dal rimettente, di tutelare tra le due posizioni confliggenti quella del soggetto economicamente più debole (sentenza n. 419 del 1999). E la giurisprudenza di legittimità ha fatto costante applicazione del criterio enunciato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 419 del 20 ottobre 1999, secondo cui il trattamento di reversibilità svolge una funzione solidaristica diretta alla continuazione della funzione di sostegno economico , assolta a favore dell'ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell'assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi (Cass., 21 settembre 2012, n. 16093; Cass., 7 dicembre 2011, n. 26358; Cass., 9 maggio 2007, n. 10638). Presupposto per l'attribuzione della pensione di reversibilità è stato, dunque, ritenuto il venire meno del sostegno economico che veniva apportato in vita dal coniuge o ex coniuge scomparso: la sua finalità è quella di sovvenire a tale perdita economica, all'esito di una valutazione necessariamente effettuata dal giudice, in concreto, che tenga conto della durata temporale del rapporto, delle condizioni economiche dei coniugi, dell'entità del contributo economico del coniuge deceduto e di qualsiasi altro criterio utilizzabile per la quantificazione dell'assegno di mantenimento. In Cass. n. 3384 del 2003 si è precisato, quanto allo spostamento della competenza territoriale in relazione alla ritenuta applicabilità del rito previsto per le controversie previdenziali, che esula dal novero delle controversie previdenziali, soggette al rito speciale di cui all'articolo 442, cod. proc. civ., ed è, quindi, attribuita al Tribunale secondo il rito ordinario, ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 898 del 1970, la controversia tra l'ex coniuge divorziato ed il coniuge superstite avente ad oggetto la ripartizione tra essi della quota di pensione reversibile, in quanto il relativo giudizio riguarda esclusivamente la quantificazione di siffatte quote in applicazione dei criteri stabiliti dalla legge n. 898 del 1970 e non involge profili concernenti il rapporto assicurativo e previdenziale con l'ente previdenziale, che già corrisponda il relativo trattamento per intero al coniuge superstite e che sia stato chiamato in giudizio al solo fine di rendergli opponibile la sentenza . In Cass. n. 23880 de 2008, si è affermato che, in presenza di un coniuge superstite, avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il diritto del coniuge divorziato ad una quota del trattamento di reversibilità dell'ex coniuge deceduto costituisce diritto autonomo d'indole previdenziale , limitato solo quantitativamente dall'omologo diritto spettante al coniuge superstite (cfr., altresì, Cass., n. 15817/2021; Cass., n. 9493/2020; Cass., n. 8092/2015). E in Cass. n. 22259/2013 si è chiarito che la pronuncia la quale ripartisce la pensione di reversibilità tra il coniuge superstite ed il coniuge divorziato ha carattere costitutivo, ex tunc, e sorge nei confronti dell'Ente erogatore (Cass. 14 dicembre 2001 n. 15837), cosicché è dunque a carico di quest'ultimo, e non anche del coniuge superstite che, nel frattempo, abbia percepito per intero ovvero per una quota superiore a quella realmente spettante il trattamento di reversibilità corrisposto dall'Ente medesimo, che debbono essere posti gli arretrati spettanti al coniuge divorziato, sul trattamento anzidetto in proporzione alla quota riconosciuta dal giudice, a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell'ex coniuge. Le Sezioni Unite n. 22434/2018, nel negare la titolarità anche della pensione di reversibilità nel caso di attribuzione dell'assegno divorzile una tantum, hanno riaffermato la natura anche previdenziale dell'attribuzione della pensione di reversibilità al coniuge divorziato, ma, muovendo dall'interpretazione che della normativa in esame data dalla Corte costituzionale nella sentenza sopra menzionata, hanno rinvenuto il presupposto per l'attribuzione del trattamento di reversibilità a favore del coniuge divorziato nel venir meno del sostegno economico apportato in vita dall'ex coniuge scomparso e la sua finalità nel sopperire a tale perdita economica, così identificando la titolarità dell'assegno nella fruizione attuale, da parte del coniuge divorziato, di una somma periodicamente versata dall'ex coniuge. In Cass. n. 11129/2019, si è ribadito poi che il diritto in questione non rappresenta la continuazione del diritto all'assegno di divorzio, ma è un diritto nuovo, di natura previdenziale . 9. La questione del rito applicato nella controversia non assume un valore determinante, salvo quanto si dirà appresso. Vero che, in generale, non rileva il rito, ai fini che interessano dell'applicabilità o meno della sospensione dei termini ex L. 742/1969. Nelle controversie di lavoro e previdenziali non si applica la sospensione feriale dei termini processuali anche con riferimento ai giudizi di cassazione (cfr. Cass., Sezioni Unite,16 gennaio 2007, n. 749; in proposito Cass., 21 aprile 2015, n. 8092, cit.; Cass., 7 settembre 2018, n. 21935; Cass., 20 aprile 2023, n. 10668). In materia fallimentare si è affermato che la controversia di natura previdenziale non è soggetta alla sospensione dei termini feriali (Cass. n. 16494/2013; Cass. SU 10944/2017; Cass. 21163/2018), anche se trattata dal giudice fallimentare con il relativo rito, posto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della sottrazione alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, costituisce causa di lavoro quella in cui, a prescindere dalle forme processuali, è controverso un credito di lavoro o previdenziale (v. Cass. n. 21163/2018; Cass. 31192/2018; Cass. 24862/2015; Cass.n. 17953/2005; Cass. n. 24665/2009; Cass. n. 17044/2011; Cass. n. 16494/ 2013; Cass. 11910/2003). Tuttavia, nella risoluzione del tema controverso in esame, va anche ricordato che il principio di ultrattività del rito postula che in caso di erronea scelta dello stesso, non corretta dal giudice attraverso ordinanza di mutamento del rito, il giudizio debba proseguire in appello nelle stesse forme, quantunque erronee , cosicché qualora il giudizio di primo grado si sia svolto con il rito ordinario anziché con quello del lavoro, l'appello deve essere proposto sempre con citazione e non con ricorso, e, ai fini della verifica della tempestività del gravame, ai sensi dell'articolo 327 cod. proc. civ., occorre fare riferimento alla data della notifica del ricorso alla controparte e non del deposito dello stesso in cancelleria (Cass. 15272/2014; Cass. 28519/2019). Il principio di ultrattività del rito rappresenta una specificazione del più generale principio per cui l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell'apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell'azione e del provvedimento compiuta dal giudice (Cass. nn. 21632 e 210 del 2019) e quindi la scelta dello strumento impugnatorio da utilizzarsi contro un dato provvedimento deve essere conformata al rito concretamente applicato al giudizio, indipendentemente dal fatto se tale rito sia stato correttamente individuato oppure no. In Cass. 31431/2024 (cfr. anche Cass. n. 27239/2023), si è chiarito che Al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento che ha deciso la controversia promossa ai sensi dell'articolo 702bis c.p.c. per la liquidazione dei compensi maturati dal legale per prestazioni professionali, assume rilevanza, per il principio della c.d. apparenza e ultrattività del rito, la forma di sentenza od ordinanza adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento. Ne consegue che ove, come nella specie, il giudice di prima istanza abbia consapevolmente trattato la causa con il rito ordinario di cognizione, il provvedimento conclusivo deve essere impugnato con il rimedio previsto dal rito erroneamente adottato ossia con l'appello . In Cass. 14139/2020, si è affermato che Alla controversia che, pur riguardando un rapporto compreso tra quelli indicati dagli articolo 409 e 442 c.p.c., erroneamente non sia stata trattata con il rito del lavoro, sono comunque applicabili le regole ordinarie in ordine ai termini per la proposizione dell'impugnazione, atteso che il rito adottato dal giudice assume una funzione enunciativa della natura della stessa, indipendentemente dall'esattezza della relativa valutazione e costituisce per le parti criterio di riferimento (vedasi anche Cass. n. 38587/2021). E, nella specie, la controversia di merito è stata trattata nelle forme del rito dei procedimenti in camera di consiglio, ex articolo737 c.p.c., davanti alla Sezione Famiglia del Tribunale di Roma e della Corte d'Appello di Roma, non nelle forme del rito lavoro. In applicazione del principio sopra esposto, ciò dovrebbe riflettersi anche sulla disciplina della fase impugnatoria. 10. In conclusione, ritiene il Collegio che la presente controversia non abbia effettiva natura (esclusivamente) previdenziale, tale da qualificare la lite come previdenziale, perché non è in discussione il diritto ad ottenere un trattamento economico indennitario di natura previdenziale ma il diritto dell'ex coniuge divorziato ad ottenere una quota del trattamento pensionistico, nella comparazione con il diritto e la posizione del coniuge superstite. La causa petendi non è tanto la titolarità di un diritto soggettivo verso l'Inps ma la controversia insorta con il coniuge superstite, unico percettore ex lege del trattamento pensionistico: la controversia verte quindi sulla suddivisione in quote del trattamento pensionistico tra l'ex coniuge divorziato e il coniuge superstite, secondo i criteri enunciati dalla Corte Costituzionale, dovendosi il sistema complessivo della legge sul divorzio (articolo5, comma 6, e 9) leggersi come tendente a contemperare le esigenze di tutte le persone coinvolte nella vicenda matrimoniale , attribuendo al giudice il compito di provvedere in ciascun caso con una valutazione che tenga conto delle condizioni economiche di tutti i soggetti che vantano diritti patrimoniali. Seppure l'assegno di reversibilità, in sé, ha natura previdenziale e il diritto autonomo attribuito dall'ordinamento al coniuge superstite è d'indole previdenziale , con la peculiarità che tale diritto è limitato quantitativamente dell'omologo diritto spettante al coniuge superstite, la controversia che ne deriva concerne la quantificazione di siffatte quote in applicazione dei criteri stabiliti dalla legge n. 898 del 1970 e non involge profili strettamente concernenti il rapporto assicurativo e previdenziale con l'ente previdenziale. Nel presente giudizio, il trattamento di reversibilità svolge indubbiamente anche una funzione solidaristica diretta alla continuazione della funzione di sostegno economico , assolta a favore dell'ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell'assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi. E si è parlato infatti di un trattamento solidaristico della pensione di reversibilità . Ciò che determina il rito è quindi la complessa qualificazione giuridica dei diritti in contesa, tutti scaturenti dalla solidarietà post coniugale da un lato (coniuge divorziato) e dalla posizione di parentela giuridicamente qualificata (coniuge superstite). La controversia quindi esula dal novero delle controversie previdenziali, soggette al rito speciale di cui all'articolo 442, cod. proc. civ. E il rito in cui il procedimento in esame è stato trattato nelle fasi di merto, davanti al Tribunale e alla Corte d'Appello, non era quello del lavoro, davanti al giudice del lavoro, con le conseguenze che ne derivano sul piano del presente ricorso per cassazione, in applicazione del principio di ultrattività del rito e del principio dell'apparenza. In ordine alla sospensione dei termini processuali, poi, questa Corte a sezioni Unite (Cass. 12946/2024) ha di recente affermato che i giudizi e i procedimenti, anche di revisione delle condizioni di separazione o di divorzio, nei quali si discuta del contributo al mantenimento del coniuge o dei figli, ovvero dell'assegno divorzile, sono soggetti alla disciplina sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, salvo che non ricorra il decreto di riconoscimento dell'urgenza della controversia ex articolo 92 del r.d. n. 12 del 1941, nel presupposto che la sua ritardata trattazione possa provocare grave pregiudizio alle parti. In motivazione, si è fatto riferimento al principio per cui l'istituto della sospensione dei termini processuali in periodo feriale costituisce un presidio della tutela giurisdizionale dei diritti e alla necessità di dare, in forza di tale ratio, una lettura restrittiva all'elenco tassativo dei casi (eccezionali) nei quali, in deroga alla regola generale, dettata dalla L. n. 742 del 1969 in relazione all'articolo 92 ord. giud., della sospensione degli affari civili in periodo feriale, una certa tipologia di cause, specificamente indicate, va considerata urgente per definizione, così da risultare sottratta alla medesima regola (v. Cass. Sez. 1 n. 8567-91, Cass. Sez. 1 n. 12964-02); ciò in ragione dell'esigenza di certezza, che sempre si impone laddove si discuta di garanzie di difesa giurisdizionale . In ogni caso, non rientrando la controversia in una controversia previdenziale in senso stretto operava la sospensione dei termini e il ricorso è stato depositato nei termini di cui all'articolo369 c.p.c. L'eccezione di improcedibilità del ricorso va di conseguenza respinta. Va affermato, superando il precedente arresto di legittimità, il seguente principio di diritto: Le controversie, ai sensi dell'articolo 9, comma 3, L. n. 898/1970, aventi ad oggetto la ripartizione in quote dell'unica pensione di reversibilità fra il coniuge superstite e il coniuge divorziato non hanno natura previdenziale , in ragione dell'oggetto e della causa petendi, nonché della complessa qualificazione giuridica dei diritti in contesa, tutti scaturenti dalla solidarietà post coniugale da un lato (coniuge divorziato) e dalla posizione di parentela giuridicamente qualificata (coniuge superstite). Seppure l'assegno di reversibilità, in sé, ha natura previdenziale e il diritto autonomo attribuito dall'ordinamento al coniuge superstite è d'indole previdenziale , ma limitato quantitativamente dell'omologo diritto spettante al coniuge superstite, la controversia che ne deriva concerne la quantificazione di siffatte quote in applicazione dei criteri stabiliti dalla legge n. 898 del 1970 e non involge profili strettamente concernenti il rapporto assicurativo e previdenziale con l'ente previdenziale. Di conseguenza trova applicazione, per esse, il termine di sospensione feriale, secondo la regola generale, dettata dalla L. n. 742 del 1969 in relazione all'articolo 92 ord. giud., ciò anche in ragione del principio per cui l'istituto della sospensione dei termini processuali in periodo feriale costituisce un presidio della tutela giurisdizionale dei diritti e del principio dell'ultrattività del rito . 11. Nel merito, il primo e il terzo motivo sono fondati, nei sensi di cui in motivazione, assorbiti i restanti. Questa Corte ha, in particolare, affermato che la ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali, dovendosi riconoscere alla convivenza more uxorio non una semplice valenza correttiva dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale (Cass., 5268/2020, che si rifà, peraltro, ad un precedente del 2011, Cass. 26358, così massimato: La ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali, dovendosi riconoscere alla convivenza more uxorio non una semplice valenza correttiva dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale , in controversia in cui si contrapponeva, ai fini del riparto della pensione di reversibilità, un matrimonio trentennale, tenuto conto dell'epoca del divorzio, dell'ex coniuge titolare di assegno divorzile e un matrimonio durato pochi mesi del coniuge superstite, ma che era stato preceduto da una lunga convivenza more uxorio). In altre pronunce, si è affermato che, ai fini della ripartizione del trattamento di reversibilità, vanno considerati pure l'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, le condizioni economiche dei due aventi diritto e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali , senza mai confondere, però, la durata delle convivenza con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, né individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso (Cass. 282/2001, secondo cui la esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge, può essere assunta dal giudice come elemento della sua valutazione complessiva, ma solo in relazione al suddetto fine perequativo, e non quale indice di per sé giustificativo del computo del relativo periodo ai fini della ripartizione della pensione ; Cass. 4867/2006; Cass., n. 16093/2012). Questa Corte (Cass. 10391/2012) ha chiarito che La ripartizione del trattamento di reversibilità fra ex coniuge e coniuge superstite, va fatta tenendo conto della durata del rapporto cioè sulla base del criterio temporale, che, tuttavia, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 419 del 1999, per quanto necessario e preponderante, non è però esclusivo, comprendendo la possibilità di applicare correttivi di carattere equitativo applicati con discrezionalità; fra tali correttivi è compresa la durata dell'eventuale convivenza prematrimoniale del coniuge superstite e dell'entità dell'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge, senza mai confondere, però, la durata della prima con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, nè individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso . Si è ricordato, in motivazione, che la valutazione del giudice non si riduce a un mero calcolo aritmetico, ma comprende la possibilità di applicare correttivi ispirati all'equità, così evitando l'attribuzione, da un canto, al coniuge superstite di una quota di pensione del tutto inadeguata alle più elementari esigenze di vita e, dall'altro, all'ex coniuge di una quota di pensione del tutto sproporzionata all'assegno in precedenza goduto. In Cass. 16093/2012, si è confermata una sentenza d'appello con la quale la Corte di merito aveva affermato che il maggior rilievo attribuito al criterio correttivo costituito dall'entità dell'assegno di divorzio comporta sì la mitigazione al ribasso della percentuale di partecipazione alla pensione derivante dalla mera applicazione del criterio della durata dei rispettivi matrimoni ma non sino al punto di instaurare una rigida corrispondenza tra entità dell'assegno divorzile e valore economico della quota di partecipazione del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità perché ciò significherebbe l'esautorazione del criterio temporale espressamente previsto dal legislatore con carattere di rilievo primario. Così pure in Cass.8623/2020 si ribadisce che La ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, deve essere effettuata ponderando, con prudente apprezzamento, in armonia con la finalità solidaristica dell'istituto, il criterio principale della durata dei rispettivi matrimoni, con quelli correttivi, eventualmente presenti, della durata della convivenza prematrimoniale, delle condizioni economiche, dell'entità dell'assegno divorzile (cfr. anche Cass. 11520/2020, secondo cui In tema di ripartizione delle quote della pensione di reversibilità tra l'ex coniuge divorziato e quello già convivente e superstite, la considerazione tra gli altri indicatori, della durata delle rispettive convivenze prematrimoniali non comporta che vi debba essere una un'equiparazione tra la convivenza vissuta nel corso di uno stabile legame affettivo e quella condotta nel corso del matrimonio ). Non tutti tali elementi, peraltro, devono necessariamente concorrere né essere valutati in egual misura, rientrando nell'ambito del prudente apprezzamento del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto (Cass., n. 6272/2004; Cass., n. 26358/2011; Cass., n. 22399/2020; Cass. 14383/2021; Cass. 41960/2021). Da ultimo, in Cass. n. 58391 del 2025 si è ribadito l'orientamento consolidato di questa Corte secondo cui, ove l'ex coniuge e il coniuge superstite abbiano entrambi i requisiti per la pensione di reversibilità, la determinazione della quota spettante a ciascuno di essi deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio legale della durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, e individuati dalla giurisprudenza, quali l'entità dell'assegno riconosciuto al coniuge divorziato, le condizioni economiche di entrambi e l'eventuale convivenza prematrimoniale, e si è chiarito che il principio secondo il quale l'entità dell'assegno non costituisce un limite alla determinazione della quota di pensione di reversibilità non comporta che l'entità di tale assegno non debba essere in alcun modo valutato, essendo, anzi, la considerazione dello stesso fondamentale per consentire l'esplicazione, nella concreta fattispecie, della funzione solidaristica propria dell'istituto, volto a sopperire alla perdita del sostegno economico dato in vita dal lavoratore deceduto da parte di tutti gli aventi diritto . Si è quindi affermato il seguente principio: In tema di determinazione della quota di pensione di reversibilità all'ex coniuge divorziato ai sensi dell'articolo 9, comma 3, L. n. 898 del 1970, la quota spettante a quest'ultimo non deve necessariamente corrispondere all'importo dell'assegno divorzile, né tale quota di pensione ha in detto importo un tetto massimo non superabile, ma, in conformità all'interpretazione costituzionalmente orientata dell'istituto, tra gli elementi da valutare, senza alcun automatismo, deve essere compresa anche l'entità dell'assegno divorzile, in modo tale che l'attribuzione risponda alla finalità solidaristica propria dell'istituto, correlata alla perdita del sostegno economico apportato in vita dal lavoratore deceduto in favore di tutti gli aventi diritto . Orbene, la Corte d'Appello non ha pienamente rispettato tali principi di diritto nella parte in cui, da un lato, ha comparato il solo periodo di durata della convivenza matrimoniale, rispetto all'ex coniuge Va.Gi. (escludendo dal computo il periodo successivo alla separazione personale dei coniugi, dal 2001 al 2009), con il periodo di durata della convivenza prematrimoniale (stimato dal 2005) e del matrimonio (tre anni, dal 2016 al 2019), rispetto al coniuge superstite Pi.Ma., e, dall'altro lato, ha ritenuto, nella sostanza, che l'importo dell'assegno divorzile percepito dalla Va.Gi. (Euro 1.100,00 mensili) costituisse un limite insuperabile nell'attribuzione della quota della pensione di reversibilità, riformando la decisione di primo grado, con la quale si era attribuita all'ex coniuge quota pari al 65 per cento della pensione di reversibilità, con determinazione di un consistente e non giustificabile divario tra l'importo della quota di pensione e quello dell'assegno divorzile . Ma il riferimento all'assegno di divorzio non può costituire un criterio generale e astratto idoneo a sostituire quello della durata del matrimonio, ovvero può essere considerato un antecedente vincolante nella determinazione della quota della pensione di reversibilità, perché non può essere consentito al giudice di individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso e considerato che il giudice non può creare in via d'interpretazione quell'astratto automatismo che, come precisato dalla Corte costituzionale, non è nella ratio dell'istituto (Cass. 10391/2012; Cass. 5268/2020; Cass. 5831/2025). 3. Per tutto quanto sopra esposto, vanno accolti, nei sensi di cui in motivazione, il primo e il terzo motivo del ricorso, assorbiti i restanti, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione, anche in punto di liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.