Affidamento in prova terapeutico: il magistrato di sorveglianza può revocare la misura

In caso di affidamento in prova ex articolo 94, comma 2, d.P.R. numero 309/1990, nelle more della decisione definitiva del Tribunale, il Magistrato di Sorveglianza può disporre la revoca della misura, trasmettendo gli atti all'organo collegiale, il quale dovrà deliberare sulla richiesta senza il necessario rispetto del termine di trenta giorni.

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, coglie l'occasione per enunciare un rilevante principio di diritto in materia di revoca dell'applicazione provvisoria dell'affidamento in prova al servizio sociale terapeutico disposto dal magistrato di sorveglianza ai sensi dell'articolo 94, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309. Il Collegio infatti, sottolinea come il Magistrato di Sorveglianza, in caso di comportamenti trasgressivi, ha il potere di rivedere la decisione di concessione, assunta in via provvisoria, in caso di comportamenti trasgressivi, prima della decisione del Tribunale di Sorveglianza e questo perché titolare del potere cautelare che permette, se intervengono sopravvenienze che contraddicono la prognosi favorevole posta alla base del provvedimento interinale e mettono in pericolo la sicurezza sociale, di adottare modifiche cautelari di rigore, fino al ritiro del beneficio provvisoriamente concesso, fatta salva la deliberazione definitiva su di esso da parte dell'organo collegiale a ciò deputato. Da ciò consegue, secondo la Suprema Corte adita che, «ove il Magistrato di Sorveglianza revochi in via cautelare la misura dell'affidamento in prova che, sempre in via cautelare, egli stesso aveva concesso, il Tribunale di Sorveglianza non è chiamato a ratificare la sua decisione, ma deve esclusivamente deliberare, senza il rispetto dei termini perentori imposti dall'articolo 51-ter ord. penumero, sulla richiesta principale di affidamento, che l'istante deve attendere da detenuto». Tale iter argomentativo porta infine i giudici, a enunciare il seguente principio di diritto: «In caso di affidamento in prova in casi particolari concesso provvisoriamente ai sensi dell'articolo 94, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, nelle more della decisione definitiva del competente Tribunale, il Magistrato di Sorveglianza può, in presenza di violazioni delle prescrizioni importa al detenuto, disporre la revoca della misura, trasmettendo gli atti al Tribunale di Sorveglianza, che dovrà deliberare sulla richiesta di concessione del beneficio penitenziario senza il necessario rispetto del termine di trenta giorni che l'articolo 51-ter, comma 2, ord. penumero, prescrive per il diverso caso della sospensione provvisoria di misura definitivamente concessa».

Presidente De Marzo - Relatore Toriello Ritenuto in fatto 1. B.G., detenuto in espiazione della pena di anni cinque e giorni dieci di reclusione e mesi due di arresto determinata dal provvedimento di cumulo emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Marsala dell'8 maggio 2024, veniva ammesso in via provvisoria dal magistrato di sorveglianza di Trapani, con provvedimento del 27 agosto 2024, all'affidamento in prova terapeutico residenziale presso una comunità di (OMISSIS). A seguito della nota con la quale il responsabile della comunità ne chiedeva l'allontanamento - segnalando che il condannato aveva tenuto atteggiamenti aggressivi e minacciosi nei confronti di un infermiere, aveva rivolto frasi offensive verso i componenti dell'équipe trattamentale, aveva tentato di introdurre un telefono nella struttura ed era risultato positivo ai controlli tossicologici ed a quelli alcolimetrici - il magistrato di sorveglianza di Trapani, con decreto del 14 ottobre 2024, sospendeva in via cautelativa la misura. Con ordinanza del 14 novembre 2024 il Tribunale di sorveglianza di Palermo, ritenendo che non vi fossero più le condizioni per mantenere la misura alternativa, e che apparisse allo stato impraticabile una misura esterna, revocava ex tane la misura dell'affidamento in prova in casi particolari, e disponeva non applicarsi in via definitiva al condannato la predetta misura. Nella successiva udienza del 5 dicembre 2024, già fissata per deliberare sulla richiesta di concessione della misura alternativa dell'affidamento in prova ai sensi dell'articolo 94 d.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309 presentata dal difensore del condannato, il Tribunale di sorveglianza di Palermo dava preliminarmente atto che né il condannato né il suo difensore avevano ricevuto gli avvisi per l'udienza del 14 novembre 2024; disponeva pertanto riunirsi i due procedimenti, e dichiarava «la nullità dell'ordinanza emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Palermo del 14.11.2024»; infine, accertata la regolare instaurazione del contraddittorio, disponeva «non farsi luogo alla conferma del provvedimento emesso dal Magistrato di Sorveglianza di Trapani il 27.08.2024», e, per le medesime ragioni già indicate nel precedente provvedimento del 14 novembre 2024, rigettava l'istanza di affidamento in prova in casi particolari. 2. Il difensore di fiducia del condannato, Avv. Giovanni Gaudino del foro di Trapani, ha presentato il 23 novembre 2024 ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del 14 novembre 2024, deducendone la nullità per la mancata instaurazione del contraddittorio, evidenziando che il Tribunale di sorveglianza non aveva notificato né a lui, né al suo assistito l'avviso di fissazione dell'udienza tenutasi il 14 novembre 2024. Con successivo ricorso per cassazione depositato il 21 dicembre 2024, il medesimo difensore ha impugnato l'ordinanza del 5 dicembre 2024, deducendo erronea applicazione della legge: si duole che il Tribunale di sorveglianza abbia cercato «di sanare, con l'ordinanza del 5.12.2024, una nullità che, come il Tribunale stesso riporta [..], è assolutamente insanabile. Si assiste, dunque, ad una indiscutibile inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità»; si evidenzia che il Tribunale di sorveglianza «non avrebbe potuto, in questo procedimento, dichiarare la nullità dell'ordinanza emessa nel precedente procedimento mai riunito. La riunione per connessione, indicata nell'ordinanza, riguarderebbe difatti un procedimento sconosciuto alle parti, ossia il 7776/24 SIUS»; si conclude nel senso che «il provvedimento del 5.12.24 applica erroneamente e tenta di raggirare le norme processuali al fine di poter sanare la rilevata nullità commessa per la quale pende già un ricorso dinanzi a codesta ecc.ma Corte». 3. Il Sostituto Procuratore generale ha concluso solo in relazione al primo dei due ricorsi presentati, chiedendo dichiararlo inammissibile per carenza di interesse, essendo stata impugnata un'ordinanza posta nel nulla dal Tribunale di sorveglianza di Palermo con il successivo pronunciamento del 5 dicembre 2024. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono inammissibili. 2. Quanto al ricorso avverso l'ordinanza del 14 novembre 2024, è sufficiente rilevare che l'atto è stato medio tempore annullato dal Tribunale di sorveglianza, per gli stessi motivi qui denunciati dal ricorrente, che dunque non ha più un concreto interesse ad ottenere la decisione invocata: come espressamene prescritto dall'articolo 568, comma 4, cod. proc. penumero, qualsiasi impugnazione deve essere assistita da uno specifico e concreto interesse, di cui deve essere apprezzata l'attualità, interesse che, nel caso di specie, non sussiste, poiché l'ipotetico epilogo favorevole al ricorrente del presente scrutinio di legittimità non potrebbe in alcun modo giovargli. Da tanto consegue la declaratoria di inammissibilità di tale ricorso. 3. Il ricorso avverso l'ordinanza del 5 dicembre 2024 è manifestamente infondato. Occorre in proposito rilevare che nell'udienza del 5 dicembre 2024, fissata per deliberare sulla richiesta di concessione di misura alternativa presentata dal difensore del condannato, il Tribunale di sorveglianza di Palermo, verificata la rituale instaurazione del contraddittorio, ha riunito i due procedimenti (quello relativo alla revoca della misura già provvisoriamente concessa, e quello relativo alla richiesta di concessione di misura alternativa), come risulta da quanto annotato a penna sulla prima pagina del procedimento (il difensore obietta in proposito che il numero di registro indicato non riguarda un procedimento relativo al suo assistito: ma è evidente che, a tutto voler concedere, si tratta di un mero errore materiale che non ha impedito al difensore di comprendere a quale procedimento si stesse facendo riferimento e di articolare le proprie difese nel contraddittorio ritualmente instaurato), ha annullato l'ordinanza del 14 novembre 2024, emessa senza la previa rituale instaurazione del contraddittorio, ed ha infine deliberato di non concedere la misura alternativa alla detenzione di cui all'articolo 94 del d.P.R. numero 309 del 1990, poiché il condannato «non si è dimostrato idoneo al trattamento terapeutico cui era predisposta la misura provvisoriamente applicata, vista la reiterata inosservanza delle prescrizioni e la totale indifferenza alle ammonizioni ricevute [..] E' perciò opportuno che B.G. prosegua un programma terapeutico intramurario in vista di un futuro - eventuale - nuovo inserimento comunitario». Si tratta di decisione che il ricorrente non contesta in alcun modo nel merito. Nessun rilievo può essere mosso in relazione alle scansioni ed alle cadenze temporali del procedimento: in caso di applicazione provvisoria dell'affidamento in prova al servizio sociale terapeutico, disposto dal magistrato di sorveglianza ai sensi dell'articolo 94, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, lo stesso magistrato di sorveglianza può, in caso di comportamenti trasgressivi, rivedere tale decisione in senso sfavorevole al condannato, prima della conclusiva decisione collegiale: come ha rilevato in motivazione Sez. 1, numero 57540 del 14/09/2018, D'Antonio, Rv. 276599 - 02, relativa a fattispecie analoga, «caratteristica coessenziale all'esercizio di ogni attribuzione cautelare è la doverosità del suo costante adattamento alle necessità imposte dalla modificazione delle situazioni nel tempo. Il potere cautelare si giustifica, anche in materia penale, in relazione all'esigenza di preservare la fruttuosità dell'emananda pronuncia, sia essa ampliativa o restrittiva dell'ambito della libertà personale. Esso è inoltre strettamente calibrato sui profili inerenti la pericolosità sociale della persona e il suo grado. Rispetto al condannato e alle misure alternative alla detenzione, tale impostazione si declina anzitutto nel senso di evitare che la decisione in ordine a queste ultime, che si prospetti favorevole, sia frustrata dalla già intervenuta compromissione, legata ai tempi della deliberazione giudiziale collegiale, del percorso di risocializzazione cui esse mirano. Specularmente, nello stesso settore, se intervengono sopravvenienze che contraddicono la prognosi favorevole già posta a base del provvedimento interinale, e sorge altresì il pericolo che il suo mantenimento metta in pericolo la sicurezza sociale, al giudice non può essere sottratta la possibilità di adottare provvedimenti cautelari di rigore, sino al «ritiro» del beneficio provvisoriamente concesso, fatta salva la deliberazione definitiva su di esso da parte dell'organo collegiale a ciò deputato. A tale compito è senz'altro chiamato il giudice titolare della potestà cautelare, ossia il Magistrato di sorveglianza che ha disposto la misura provvisoria e che è indefettibilmente competente, sino alla decisione collegiale, a controllarne l'esecuzione. Il provvedimento così adottato è atto di esercizio di potestà cautelare, di segno eguale e contrario a quello precedentemente emesso, che resta privato di effetto. Onde il venir meno del titolo, che precariamente giustificava la misura alternativa, e la riconduzione del condannato in istituto penitenziario, ove egli attenderà, in stato di detenzione, la decisione collegiale [..], come l'avrebbe attesa - senza peraltro beneficiare di tempi esattamente scanditi dalla legge - se non avesse ottenuto l'ammissione provvisoria. Il provvedimento di «revoca della misura provvisoria» sarà trasmesso, per opportuna conoscenza, al Tribunale di sorveglianza, dal Magistrato già interessato all'atto della provvisoria concessione. Ciò non determinerà [..] l'instaurazione di un diverso procedimento dinanzi all'organo collegiale, il quale è già investito della titolarità della decisione se concedere o meno il beneficio penitenziario; decisione che sarà ancora da prendere, secondo le modalità e i tempi già stabiliti, anche alla luce della sopravvenienza costituita dal provvedimento monocraticamente assunto, e delle ragioni ivi esposte, peraltro per il Tribunale di sorveglianza non vincolanti». In un caso del genere, non trova applicazione quanto prescritto dall'articolo 51-ter ord. penumero, che stabilisce la perenzione del provvedimento cautelare di sospensione di una misura alternativa alla detenzione, decorsi trenta giorni dalla trasmissione degli atti al Tribunale di sorveglianza, poiché non viene qui in rilievo la sospensione provvisoria di una misura definitivamente concessa, bensì la revoca di una misura provvisoriamente concessa: il Tribunale di sorveglianza rimane investito, come lo era prima dell'adozione del provvedimento di rigore, della decisione se concedere la misura alternativa, dal condannato solo precariamente già ottenuta, e non procede, come nel caso di sospensione provvisoria di una misura definitivamente concessa, ai fini di una revoca in senso tecnico; pertanto, come rilevato dalla pronuncia innanzi citata, «La struttura e i ritmi del giudizio, che il Tribunale di sorveglianza era chiamato a rendere già a seguito della presentazione dell'istanza di misura alternativa da parte del condannato ristretto in istituto, non dipendono dal contenuto dei provvedimenti provvisori contingentemente adottati, e dalla loro eventuale consecuzione; né il giudizio muta per effetto di ciò, non essendo esso geneticamente, e non divenendo neppure in prosieguo, di tipo sanzionatorio. Ed è proprio la natura non sanzionatoria del procedimento che si svolge davanti al Tribunale di sorveglianza, anche dopo l'eventuale venir meno del beneficio provvisorio, che impedisce - per la diversità di ratio - che possa farsi luogo, seppure in via analogica, all'applicazione dell'articolo 51-ter ord. penumero». Da tanto consegue che, ove il magistrato di sorveglianza revochi in via cautelare la misura dell'affidamento in prova che, sempre in via cautelare, egli stesso aveva concesso, il Tribunale di sorveglianza non è chiamato a ratificare la sua decisione, ma deve esclusivamente deliberare, senza il rispetto dei termini perentori imposti dall'articolo 51-ter ord. penumero, sulla richiesta principale di affidamento, che l'istante deve attendere da detenuto. Deve, conclusivamente, essere affermato il seguente principio di diritto: «In caso di affidamento in prova in casi particolari concesso provvisoriamente ai sensi dell'articolo 94, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, nelle more della decisione definitiva del competente tribunale il magistrato di sorveglianza può, in presenza di violazioni delle prescrizioni imposte al detenuto, disporre la revoca della misura, trasmettendo gli atti al tribunale di sorveglianza, che dovrà deliberare sulla richiesta di concessione del beneficio penitenziario senza il necessario rispetto del termine di trenta giorni che l'articolo 51-ter, comma 2, ord. penumero prescrive per il diverso caso della sospensione provvisoria di misura definitivamente concessa». Le considerazioni che precedono impongono di ritenere manifestamente infondati i motivi di ricorso relativi all'ordinanza adottata dal Tribunale di sorveglianza di Palermo il 5 dicembre 2024. 4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero, le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale numero 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v'è ragione di ritenere che il secondo ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi in favore della Cassa delle ammende la somma, determinata in via equitativa, di € 3.000. Si dispone che, ai sensi dell'articolo 52 d.lgs. 30 giugno 2003, numero 196, la cancelleria rediga, in calce o a margine del presente provvedimento, opportuna annotazione recante la prescrizione che, in caso di sua diffusione, siano obliterati nella riproduzione le generalità e i dati identificativi del ricorrente, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi proposti contro le due ordinanze impugnate e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di € 3.000 in favore della Cassa delle ammende.