Per posizionare telecamere di videosorveglianza e sicurezza ambientale nei luoghi di lavoro è sempre necessario il preventivo nulla osta delle rappresentanze sindacali oppure dell’Ispettorato del lavoro. Tuttavia, anche in caso di rigetto dell’istanza, è sempre possibile proporre censure evidenziando eventuali carenze motivazionali o valutazioni erronee da parte degli organi competenti.
Nel caso sottoposto all'esame del Collegio una società ha presentato istanza all'Ispettorato del Lavoro al fine di ottenere l'autorizzazione, ai sensi dell'articolo 4 della leggenumero 300/1970, per l'installazione di ulteriori telecamere in uno stabilimento industriale, con finalità di sicurezza ambientale e tutela del patrimonio aziendale. L'istanza è stata rigettata dall'Ispettorato, che ha ritenuto le misure proposte inidonee e sproporzionate rispetto agli scopi dichiarati. L'odierna pronuncia del TAR dà conto del fatto che «l'interessato ha evidenziato di aver da tempo installato un apposito sistema di videosorveglianza limitato al perimetro del compendio immobiliare e finalizzato alla tutela del patrimonio, in forza di apposito accordo sindacale stipulato in data 12 maggio 2022. La ricorrente espone ancora che si palesava l'esigenza di installare ulteriori 9 telecamere, da posizionare in una zona periferica dell'impianto industriale, per monitorare il corretto smaltimento dei rifiuti presso le apposite aree di scarico così da prevenire rischi per la sicurezza dei lavoratori, di incendi e di danni ambientali, oltre che per la tutela del patrimonio aziendale. Tuttavia l'apposita procedura, prevista dall'articolo 4 L.numero 300/1970 per addivenire ad un accordo sindacale che consentisse di integrare il precedente sistema di sorveglianza, non andava a buon fine, come risulta dal verbale di mancato accordo del 29 maggio 2023, dal quale emerge che le rappresentanze sindacali avevano ritenuto sproporzionato lo strumento proposto. Quindi, sempre ai sensi dell'articolo 4 L.numero 300/1970, veniva presentata apposita istanza all'Ispettorato del Lavoro». L'Ispettorato, nel negare l'autorizzazione, ha motivato il proprio diniego rilevando che: «l'area oggetto della richiesta videosorveglianza era da considerare luogo di lavoro, dovendosi ricomprendere in tale dizione anche i luoghi esterni dove si svolge attività lavorativa in modo occasionale o saltuario; l'implementazione dell'impianto di videosorveglianza già installato risultava essere misura non proporzionata, né idonea ad evitare i pericoli ed i danni paventati, ben potendosi individuare misure di prevenzione alternative, specifiche e più efficaci per lo scopo dichiarato». Il TAR ha accolto il ricorso, riconoscendo la legittimità dell'istanza aziendale e rilevando, tra l'altro, un vizio di motivazione e l'omessa valutazione delle peculiarità operative del contesto. Il Collegio ha preliminarmente ricordato che «l'articolo 4 L.numero 300/1970 consente l'installazione di strumenti audiovisivi e di altri strumenti dai quali possa derivare anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori ai soli fini di soddisfare esigenze organizzative e produttive, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale» In proposito, è stato richiamato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui è legittima «l'installazione di telecamere sul piazzale esterno aziendale, cioè su un'area aperta al transito di soggetti esterni e non su locali interni riservati ai dipendenti», precisando che, in tale contesto, «il lavoratore non è specificamente controllato ma semplicemente investito del raggio d'azione delle telecamere mentre svolge operazioni di carico inerenti alle sue mansioni», con la conseguenza che «non si verifica alcuna lesione della sua riservatezza, che è minore negli spazi di lavoro aperti al pubblico rispetto agli ambienti strettamente personali». La Corte di Cassazione, ricordano i giudici, ha altresì chiarito che il concetto di patrimonio aziendale rilevante ai fini dell'articolo 4 deve essere inteso in senso ampio, comprendendo anche «la difesa datoriale sia da condotte di appropriazione di denaro o di danneggiamento o sottrazione di beni, le quali possono provenire anche da dipendenti dell'azienda e che giustificano la medesima protezione rispetto a quella dovuta a fronte di aggressioni esterne, sia dalla lesione all'immagine e al patrimonio reputazionale dell'azienda, non meno rilevanti dell'elemento materiale che compone la medesima Alla luce di tali coordinate interpretative, il TAR ha ritenuto fondato il ricorso per le seguenti ragioni: «a) dagli atti risulta che le aree interessate sono prevalentemente frequentate da ditte esterne e solo occasionalmente da personale dipendente, in occasione dello svolgimento di mansioni specifiche; b) il diniego si fonda sulla generica affermazione che anche spazi esterni, seppur saltuariamente interessati da attività lavorativa, debbano essere considerati luoghi di lavoro; c) tale considerazione, tuttavia, non è di per sé sufficiente a giustificare il rigetto, alla luce del consolidato orientamento secondo cui il lavoratore non viene controllato direttamente, ma solo investito dal raggio d'azione della telecamera, non essendo stato accertato, da parte dell'amministrazione, che quei luoghi siano abitualmente frequentati dai dipendenti, a fronte delle puntuali allegazioni dell'azienda ricorrente, fin dalla fase procedimentale; d) tale difetto motivazionale inficia il provvedimento impugnato, non risultando adeguatamente bilanciate le esigenze aziendali rappresentate – dalla tutela ambientale alla prevenzione degli incendi, fino alla salvaguardia del patrimonio aziendale – esigenze che, come detto, rientrano nel perimetro applicativo dell'articolo 4 sopra citato; e) l'amministrazione ha infine omesso di considerare che, nei luoghi di lavoro condivisi o aperti anche a soggetti esterni, la riservatezza del dipendente è minore e non ha tenuto conto del più limitato periodo di conservazione dei dati previsti per le nuove telecamere rispetto a quello delle telecamere preesistenti».
Presidente Cacciari - Estensore Vitucci Fatto 1) La ricorrente società, Dumarey Flowmotion Technologies s.r.l. (di seguito DFT ), si duole del provvedimento emesso dall'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Livorno-Pisa con cui è stata respinta la sua richiesta (ai sensi dell'articolo 4 Leggenumero 300/1970) di installazionenumero 9 impianti audiovisivi presso il proprio stabilimento di Lorenzana-Fauglia (Pisa). 2) Si è costituita in giudizio la P.A. 3) La DFT, società operante nel settore industriale della produzione di componentistica per autoveicoli a ciclo continuo, espone di aver da tempo installato un apposito sistema di videosorveglianza ma limitato al perimetro del compendio immobiliare e finalizzato alla tutela del patrimonio, in forza di apposito accordo sindacale stipulato in data 12 maggio 2022 (successivamente integrato con altro accordo convenuto in data 6 settembre 2022). 4) La ricorrente espone ancora che si palesava l'esigenza di installare ulteriori 9 telecamere, da posizionare in una zona periferica dell'impianto industriale, per monitorare il corretto smaltimento dei rifiuti presso le apposite aree di scarico così da prevenire rischi per la sicurezza dei lavoratori, di incendi e di danni ambientali, oltre che per la tutela del patrimonio aziendale. 5) Tuttavia l'apposita procedura, prevista dall'articolo 4 L.numero 300/1970 per addivenire ad un accordo sindacale che consentisse di integrare il precedente sistema di sorveglianza, non andava a buon fine, come risulta dal verbale di mancato accordo del 29 maggio 2023 (doc. 5 ricorso), dal quale emerge che le rappresentanze sindacali avevano ritenuto sproporzionato lo strumento proposto. 6) Quindi, sempre ai sensi dell'articolo 4 L.numero 300/1970, veniva presentata apposita istanza all'Ispettorato del Lavoro. All'istanza venivano tra l'altro allegate: - a) una relazione preliminare, in cui si specificavano le ragioni che spingevano la DFT a chiedere un'implementazione dell'impianto già esistente (doc. 7 ricorso); - b) una raccolta di slide, in cui venivano esposti i rischi da prevenire con l'aggiunta delle nuove videocamere (doc. 8 ricorso), precisandone la relativa localizzazione. 7) Veniva emanata comunicazione di preavviso di rigetto, prot. (Omissis) del 12.06.2024 (v. all. 5 deposito erariale del 12 novembre 2024), in cui si evidenziava che non si ritenevano sussistere i presupposti legittimanti l'installazione perché - l'impianto di videosorveglianza non può sostituirsi ai controlli che l'azienda ha dichiarato di effettuare tre volte alla settimana in quanto la visualizzazione dei luoghi di lavoro da remoto, tramite apposite applicazioni smart, dovrà essere limitata alle sole ore di chiusura dell'attività, ai soli momenti di attivazione di alert/allarmi; - le immagini registrate non possono in nessun caso essere utilizzate per eventuali accertamenti sull'obbligo di diligenza da parte dei lavoratori né per l'adozione di provvedimenti disciplinari . 8) In data 20 giugno 2024, DFT formulava le proprie osservazioni (v. doc. 9 ricorrente), nelle quali sottolineava che: - a) i due spazi dove si chiedeva l'installazione non erano da considerarsi luogo di lavoro , essendo destinati al solo stoccaggio dei rifiuti e risultando frequentati prevalentemente da ditte esterne e, occasionalmente, da pochi dipendenti; - b) si rendeva necessaria l'installazione delle ulteriori telecamere perché - vi è chi fuma (dato che sono stati reperiti mozziconi di sigaretta) nonostante ciò comporti un rischio di incendio per la presenza di materiale infiammabile e nonostante non vi sia alcuna possibile giustificazione neppure sul piano dei comportamenti estranei alla prestazione lavorativa, giacché chi volesse semplicemente fumare potrebbe farlo in zona ugualmente all'aperto ma non in quella che è soggetta al rischio di incendio (!); - vi è chi la utilizza come orinatoio; - o chi vi ha deposto contenitori pieni di rifiuti liquidi, di natura ignota, ai piedi anziché all'interno delle apposite vasche di contenimento - creando senza giustificazione il rischio di sversamenti e di inquinamento ambientale; ... Tali rischi, gravi sia per probabilità di accadimento che per il tipo di eventi che possono generare, non hanno nulla a che fare con la prestazione lavorativa di chicchessia e con la sua esecuzione; e non possono essere fronteggiati con la sorveglianza di operatori (non sono luoghi di lavoro; sono frequentati solo occasionalmente, l'azienda opera 24 ore su 24; sono collocati all'esterno delle zone dove si svolgono le prestazioni di lavoro) . 9) Sopravveniva il provvedimento di diniego, nel quale si evidenziava che: - a) le osservazioni formulate ed i documenti trasmessi dopo la comunicazione di preavviso di rigetto erano inidonei a diversamente orientare l'esito dell'istruttoria; - b) l'area oggetto della richiesta videosorveglianza era da considerare luogo di lavoro , dovendosi ricomprendere in tale dizione anche i luoghi esterni dove si svolge attività lavorativa in modo occasionale o saltuario (ad es. zone di carico e scarico); - c) l'implementazione dell'impianto di videosorveglianza già installato risultava essere misura non proporzionata, né idonea ad evitare i pericoli ed i danni paventati, ben potendosi individuare misure di prevenzione alternative, specifiche e più efficaci per lo scopo dichiarato (indicandosi, a titolo esemplificativo, recinzioni, cartellonistica, impianti di rilevazione del fumo, accompagnamento di soggetti estranei all'interno della sede ). 10) Secondo la ricorrente, tale diniego sarebbe illegittimo perché: - a) la P.A. si sarebbe appiattita sulla valutazione negativa già operata dalle rappresentanze sindacali, senza adeguatamente motivare il diniego (v. prima censura); - b) il diniego opposto (v., sempre, primo motivo) non può fondarsi sul semplicistico richiamo a presunti strumenti alternativi, addirittura ritenuti più efficaci allo scopo, con affermazioni da parte dell'Amministrazione del tutto astratte ed avulse dalla realtà (come, ad esempio, lo strumento di rilevamento fumo rispetto alla eventualità di un incendio per un mozzicone gettato su materiale infiammabile nel contesto di una ampia area industriale - che non può certamente operare in via preventiva rispetto al rischio di un incendio poiché è privo della funzione deterrente - e/o il riferimento alla soluzione di recintare l'area che non può essere effettuata per l'impossibilità che gli automezzi e gli autoarticolati avrebbero nel manovrare in tali condizioni); - c) la stessa azienda (v. seconda censura) ha sottolineato ripetutamente come lo strumento di videosorveglianza avrebbe al più interessato i lavoratori solo in ipotesi residuali - cioè quelle in cui gli stessi occasionalmente si fossero recati nelle aree interessate a svolgere attività ivi pertinenti -, fornendo altresì ampia evidenza delle esigenze di sicurezza, igiene, prevenzione incendi che il nuovo sistema di videosorveglianza andrebbe a tutelare e come lo stesso non svolga alcuna funzione ausiliaria e/o alternativa alle attività ispettive già calendarizzate per tre volte alla settimana; - d) la società esponente (v., sempre, secondo motivo) ha predisposto un articolato perimetro entro il quale la nuova attività di videosorveglianza si andrebbe a collocare, prevedendo in particolare un ristretto arco temporale di archiviazione dei dati (72 ore, giusto il minimo necessario in ragione dell'attività non stop svolta dall'azienda), un utilizzo delle immagini solo ed esclusivamente per la tutela dei beni aziendali e di sicurezza, escludendo di utilizzare i richiesti strumenti di videosorveglianza come elemento di controllo sulla attività lavorativa dei dipendenti. 11) All'udienza pubblica del 19 marzo 2025, la causa è stata trattenuta in decisione. Diritto 1) Va premesso che l'articolo 4 L.numero 300/1970 consente l'installazione di strumenti audiovisivi e di altri strumenti dai quali possa derivare anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori ai soli fini di soddisfare esigenze organizzative e produttive, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale. In proposito, la giurisprudenza ha ritenuto legittima l'installazione di telecamere sul piazzale esterno aziendale, cioè su un'area aperta al transito di soggetti esterni e non su locali interni riservati ai dipendenti, rilevando che, in tal caso, il lavoratore non è specificamente controllato ma semplicemente investito del raggio d'azione delle telecamere mentre svolge operazioni di carico inerenti alle sue mansioni , non verificandosi dunque alcuna lesione della sua riservatezza, che è minore negli spazi di lavoro aperti al pubblico rispetto agli ambienti strettamente personali (Cass. Civ.numero 3045 del 6 febbraio 2025, v. § 6.4). 2) La Corte di Cassazione ha altresì precisato che il patrimonio aziendale, che rileva ai sensi del cit. articolo 4, va inteso in senso ampio, con la conseguenza che la relativa tutela può comprendere la difesa datoriale sia da condotte di appropriazione di denaro o di danneggiamento o sottrazione di beni, le quali possono provenire anche da dipendenti dell'azienda e che giustificano la medesima protezione rispetto a quella dovuta a fronte di aggressioni esterne, sia dalla lesione all'immagine e al patrimonio reputazionale dell'azienda, non meno rilevanti dell'elemento materiale che compone la medesima (Cass. Civ.numero 23985 del 6 settembre 2024, § 2.1.3). 3) Poste tali coordinate ermeneutiche, ritiene il Collegio che il ricorso sia complessivamente fondato, per le ragioni che seguono: - a) dallo stato degli atti emerge che le zone di che trattasi sono prevalentemente frequentate da ditte esterne e solo occasionalmente possono essere presenti i dipendenti (al momento del disimpegno di alcune mansioni); - b) ebbene, il diniego impugnato è genericamente motivato nel senso che anche spazi esterni, dove occasionalmente o saltuariamente si svolge l'attività lavorativa, vanno considerati luoghi di lavoro ; - c) ma tale circostanza non è da sola sufficiente a sostenere il diniego, valendo in proposito il citato orientamento secondo cui il lavoratore non viene controllato direttamente, ma solo investito dal raggio d'azione della telecamera (Cass. Civ.numero 3045/2025 cit.), non essendo stato accertato dalla P.A., per quanto emerge dagli atti di causa, che i luoghi interessati siano abitualmente frequentati dai dipendenti, a fronte dell'inversa allegazione della ditta ricorrente, sin dalla sede procedimentale, del fatto che tali spazi sono prevalentemente utilizzati da ditte esterne e solo occasionalmente da pochi dipendenti; - d) tale vizio motivazionale inficia alla base l'intero diniego, non risultando conseguentemente ponderate dalla P.A. le rappresentate esigenze aziendali, che vanno dal fine di assicurare maggiore sicurezza, anche ambientale, a quello di preservare l'integrità e il decoro del patrimonio aziendale, del quale va data, ai fini dell'applicazione del cit. articolo 4, una definizione ampia (v. Cass. Civ.numero 23985/2024 cit.); - e) ulteriore conseguenza del suddetto errore di fondo è che la P.A. non ha considerato che la riservatezza del dipendente è minore negli spazi di lavoro dove vi sono sovrapposizioni con soggetti esterni all'organigramma aziendale (v. Cass. Civ.numero 3045/2025 cit.) e ha altresì obliterato il più ridotto arco temporale (di 72 ore) di archiviazione dei dati registrabili dalle 9 nuove telecamere, a fronte del più lungo tempo (di 96 ore, come riportato a pagg. 9 e 10 memoria erariale del 13 febbraio 2025) di archiviazione delle registrazioni dell'impianto già esistente e autorizzato. 4) Il ricorso va quindi accolto e, per l'effetto, va annullato il provvedimento impugnato. 5) Le spese di lite possono essere compensate, considerate le peculiarità della questione esaminata. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato.