Configurabilità del reato di contraffazione del marchio c.d. tridimensionale

Anche la sola imitazione della forma e dell’aspetto complessivo del prodotto può integrare il reato di cui all’articolo 473 c.p., qualora ciò generi un indebito agganciamento all’immagine del marchio rinomato.

La vicenda La Corte di Cassazione si è pronunciata in merito a una sentenza della Corte d'Appello di Ancona che, in riforma della condanna in primo grado, aveva dichiarato non doversi procedere per l'intervenuta prescrizione del reato di contraffazione ex articolo 473 c.p., riconoscendo tuttavia la responsabilità ai soli effetti civili dell'imputato. Il ricorso dell'imputato, incentrato sulla contestazione della configurabilità della contraffazione in assenza della riproduzione del marchio testuale, è stato accolto parzialmente, con rinvio al competente giudice civile. Tema centrale: la tutela del marchio tridimensionale e rinomato Uno degli snodi centrali della sentenza riguarda la contraffazione di marchi cosiddetti “tridimensionali” (forma, dimensioni e caratteristiche di prodotti – in questo caso borse di marchi celebri come Balenciaga, Hermes, ecc.) anche in assenza del logo o nome del marchio. La Cassazione, richiamando tanto la giurisprudenza Comunitaria (es. Lego Juris c. UAMI) quanto quella nazionale, ha ribadito che: - In via generale, non tutti i marchi tridimensionali sono tutelabili penalmente: la forma deve avere carattere distintivo e non essere diffusa nel settore merceologico di riferimento. - Tuttavia, ove si tratti di un marchio forte , sono illegittime anche variazioni, sia pure rilevanti ed originali, che lascino sussistere I'identita sostanziale del nucleo ideologico in cui si riassume I'attitudine individuante del marchio stesso. In altre parole, anche la sola imitazione della forma e dell'aspetto complessivo del prodotto può integrare il reato di cui all'articolo 473 c.p., qualora ciò generi un indebito agganciamento all'immagine del marchio rinomato. Aspetti probatori e metodologia di accertamento Altro punto rilevante è la critica della Cassazione all'approccio probatorio adottato dalla Corte territoriale. In particolare: - I consulenti non hanno analizzato direttamente i prodotti, imperniando le loro argomentazioni esclusivamente su dei fotogrammi sottoposti alla loro attenzione. - La Corte d'Appello non ha inoltre valutato (anche in ragione delle carenze registrate in sede di consulenza tecnica di parte) alcuni elementi accessori quali colori, materiali e/o rifiniture che potevano rafforzare la riconducibilità ai marchi rinomati della merce posta sotto sequestro. Ciò è particolarmente significativo perché, secondo la Corte, in caso di estinzione del reato per prescrizione la valutazione degli effetti civili ex articolo 2043 c.c. non deve essere più accertata in base alla «regola della causalità penalistica che correla la condotta all'evento in forza dell'alto grado di probabilità logica, bensi utilizzando il criterio, che vale per l'illecito civile, del “più probabile che non” o della “probabilità prevalente”, che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell'ipotesi contraria» (Sez. U civ., numero 576 del 11/01/2008, Rv. 600899 - 01). Evoluzione giurisprudenziale: dalla sentenza Tettamanti a Calpitano La pronuncia, peraltro, si colloca nel solco della rivisitazione giurisprudenziale scaturita in seguito all'intervento della Corte Costituzionale che, con la sentenza numero 182/2021 ha ridefinito l'interpretazione dell'articolo 578 c.p.p. nei seguenti termini: - Il giudice d'appello, in caso di prescrizione, non può più decidere in ambito civile sulla base del solo accertamento penale. - Deve invece effettuare un autonomo giudizio sulla responsabilità civile, utilizzando criteri probatori e principi propri del diritto civile (secondo il criterio del “più probabile che non”). Le Sezioni Unite, nella sentenza Calpitano (Sez. U, numero 36208 del 28/03/2024, Calpitano, Rv. 286880 - 01), hanno quindi consolidato questa lettura, che viene coerentemente ribadita nella sentenza in commento. Conclusione e rilievi critici La Cassazione annulla, quindi, la sentenza di condanna agli effetti civili, rilevando che la Corte territoriale ha omesso un'adeguata motivazione circa la sussistenza dell'illecito civile, rinviando al giudice civile competente per valore in grado di appello, affinché provveda a colmare le lacune probatorie di cui alla sentenza impugnata.

Presidente Catena - Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Ancona, in riforma della decisione di primo grado, dichiarava non doversi procedere ex articolo 129 cod. proc. penumero nei confronti del ricorrente per intervenuta prescrizione dei delitti di cui al capo b) della rubrica. 2. Avverso la richiamata sentenza il D.L.J.M. ha proposto ricorso per cassazione, mediante il difensore di fiducia, avv. Andrea Rossolini, affidandosi a due motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi entro i limiti di cui all'articolo 173 disp. att. cod. proc. penumero 2.1. Con il primo motivo il ricorrente assume inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 473 cod. penumero nonché della legge rilevante ai fini dell'applicazione di quella penale rispetto agli articolo 2697 e 3593 cod. civ. e 21, numero 1 e 6 della Convenzione di Parigi e della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 90, 104/CEE, articolo 3, numero 1, rispetto alla tutela dei marchi registrati. Lamenta, in sostanza, che la Corte territoriale non ha considerato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità e da quella europea in tema di marchi c.d. tridimensionali (ossia caratterizzati da tipologia, forma e dimensioni) che non possono essere oggetto di registrazione e, dunque, di tutela ai sensi dell'articolo 3, numero 1 e 7 della predetta direttiva. Rammenta che, invero, la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha affermato che, ai fini della configurabilità del delitto di cui all'articolo 473 cod. penumero, deve essere esclusa la rilevanza del marchio c.d. tridimensionale, quando lo stesso sia composto unicamente da elementi privi di carattere distintivo rispetto ai prodotti o servizi cui si riferisce, presentando forme usuali allo specifico settore di appartenenza del prodotto, senza che sia stato inserito il marchio della casa produttrice del prodotto simile. Principio che, sottolinea ulteriormente il ricorrente, è stato richiamato anche nella fattispecie concreta dal Tribunale del Riesame di Macerata che aveva annullato, di qui, i decreti di convalida del sequestro preventivo dei prodotti da parte del GIP del medesimo Tribunale. Donde lamenta che le parti civili non avrebbero assolto all'onere probatorio in ordine agli elementi costitutivi dell'illecito. 2.2. Mediante il secondo e il terzo motivo il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione degli articolo 185 cod. penumero, 74 cod. proc. penumero, 116 e 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. nonché degli articolo 2697 e 2043 c.c. e correlato vizio di motivazione laddove nell'istruttoria espletata sarebbero state considerate perizie compiute mediante la mera visione di fotogrammi ritratti dal web degli originali dei prodotti, senza tener conto delle puntuali considerazioni della perizia di parte circa l'impossibilità di confusione rispetto a tali prodotti. Considerato in diritto 1. Il ricorso - i cui motivi sono suscettibili di valutazione unitaria - è fondato per le ragioni di seguito indicate. 2. Su un piano generale, è opportuno effettuare una breve premessa circa le valutazioni che, a fronte dell'intervenuta prescrizione del fatto di reato, la Corte d'Appello avrebbe dovuto compiere per provvedere sulle domande proposte dalle parti civili ai sensi dell'articolo 578, comma 1, cod. proc. penumero secondo cui «quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili». Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, nell'interpretare la portata di tale norma, avevano invero affermato il principio in forza del quale, ai sensi dell'articolo 578 cod. proc. penumero, il giudice di appello, intervenuta una causa estintiva del reato, è chiamato a valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili per la presenza della parte civile, il proscioglimento nel merito prevale sulla causa estintiva, pur nel caso di accertata contraddittorietà o insufficienza della prova. Sicché all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l'impugnazione del pubblico ministero proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell'articolo 530, comma 2, cod. proc. penumero (Sez. U, numero 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274 - 01). 2.1. Tuttavia, la Corte Costituzionale, nella fondamentale sentenza numero 182 del 2021, nel disattendere le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 578 cod. proc. penumero in parte qua rispetto al prospettato contrasto con la presunzione di innocenza (garanzia sancita dall'articolo 27, secondo comma, Cost., nonché, in relazione all'articolo 117, primo comma, Cost., dall'articolo 6, § 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e, con riferimento all'articolo 11 Cost., rispetto agli articolo 3 e 4 della direttiva UE 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, e all'articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea), ha chiarito, fornendo un'interpretazione adeguatrice della norma censurata, che, una volta intervenuta in appello l'estinzione del reato per il quale l'imputato era stato condannato nel giudizio di primo grado, la possibilità di confermare o disporre il risarcimento del danno in favore della parte civile non si correla all'accertamento di un fatto di reato in forza della regola dell'al di là di ogni ragionevole dubbio, di matrice penalistica, bensì di un illecito civile in virtù della regola civilistica del più probabile che non . In particolare, la richiamata pronuncia della Corte Costituzionale ha ricordato che l'articolo 578 cod. proc. penumero rinviene la propria ratio nella legittima esigenza di evitare che «cause estintive del reato, indipendenti dalla volontà delle parti, possano frustrare il diritto al risarcimento e alla restituzione in favore della persona danneggiata dal reato, qualora sia già intervenuta sentenza di condanna, oggetto di impugnazione; finalità questa che si coniuga alla necessità di salvaguardare evidenti esigenze di economia processuale e di non dispersione dell'attività di giurisdizione». La Corte Costituzionale ha tuttavia precisato che tale principio deve essere inteso in senso conforme a quello, fondante il nostro sistema penale e portato fondamentale dell'equo processo ex articolo 6, § 2, CEDU, della presunzione di innocenza, il che comporta che la decisione che riconosce alla vittima, in un'ipotesi siffatta, il risarcimento del danno non deve contenere una statuizione sulla responsabilità penale dell'imputato (Corte EDU, terza sezione, sentenza 20 ottobre 2020, Pasquini contro Repubblica di San Marino). Il delicato bilanciamento tra le esigenze in rilievo è stato compiuto dalla Corte Costituzionale - sulla premessa per la quale l'articolo 578 cod. proc. penumero non indica le regole da seguire per decidere sulla domanda risarcitoria della parte civile - precisando che il giudice dell'impugnazione penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non è chiamato a verificare se si sia stata integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, nella quale si colloca il fatto di reato di volta in volta contestato, bensì ad accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano. Di qui la medesima sentenza ha sottolineato che «con riguardo al fatto - come storicamente considerato nell'imputazione penale - il giudice dell'impugnazione è chiamato a valutarne gli effetti giuridici, chiedendosi, non già se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all'imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma piuttosto se quella condotta sia stata idonea a provocare un danno ingiusto secondo l'articolo 2043 cod. civ., e cioè se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno». In concreto ciò implica che il fatto che dà luogo all'obbligo risarcitorio non debba essere accertato in base alla regola della causalità penalistica che correla la condotta all'evento in forza dell'alto grado di probabilità logica, bensì utilizzando il criterio, che vale per l'illecito civile, del più probabile che non o della probabilità prevalente , che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell'ipotesi contraria (Sez. U civ., numero 576 del 11/01/ 2008, Rv. 600899 - 01). L'affermazione dei richiamati principi ha indiscutibili e rilevanti implicazioni sul piano probatorio. Per un verso, infatti, l'applicazione del canone dell'affermazione della responsabilità penale al di là di ogni ragionevole dubbio comporta che il giudice di merito debba procedere ad una valutazione complessiva degli elementi probatori e vagliare se la relativa ambiguità di alcuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (ex aliis, Sez. 1, numero 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280605 - 02). Per un altro, in sede civile è stato chiarito la disomogenea morfologia e la disarmonica funzione dell'illecito civile rispetto al reato impone, nell'analisi della causalità materiale, l'adozione del criterio della probabilità relativa (anche detto criterio del più probabile che non ), che si delinea in una analisi specifica e puntuale di tutte le risultanze probatorie del singolo processo, nella loro irripetibile unicità, con la conseguenza che la concorrenza di cause di diversa incidenza probabilistica deve essere attentamente valutata e valorizzata in ragione della specificità del caso concreto (Sez. 3 civ., numero 15991 del 21/07/2011, Rv. 618880 - 01) e, di qui, l'esistenza del nesso di causalità tra una condotta illecita ed un evento di danno può essere affermata dal giudice civ i le anche soltanto sulla base di una prova che lo renda probabile, a nulla rilevando che tale prova non sia idonea a garantire una assoluta certezza al di là di ogni ragionevole dubbio (Sez. 3 civ., numero 13214 del 26/07/ 2012, Rv. 623565 - 01). Donde, in definitiva, l'accertamento sulla sussistenza della responsabilità, a fronte dell'estinzione del delitto per il quale l'imputato era stato condannato in primo grado, nel giudizio di appello comporta che qualora, rispetto a uno stesso evento, si pongano un'ipotesi positiva e una complementare ipotesi negativa, il giudice scelga quella rispetto alla quale le probabilità che la condotta abbia cagionato l'evento risultino maggiori di quelle contrarie, e con riguardo, invece, al caso in cui, in ordine allo stesso evento, si pongano diverse ipotesi alternative, comporta che il giudice dapprima elimini, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili e poi analizzi le rimanenti ipotesi ritenute più probabili, selezionando, infine, quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dalle circostanze di fatto acquisite al processo, in ogni caso esercitando il proprio potere di libero apprezzamento di queste ultime tenendo conto della qualità, quantità, attendibilità e coerenza delle prove disponibili, dalla cui valutazione complessiva trarre il giudizio probabilistico (Sez. 3 civ., numero 5922 del 05/03/ 2024, Rv. 670339 - 01). 2.2. A fronte dei principi espressi nella giurisprudenza costituzionale dalla sentenza numero 182 del 2021, le Sezioni Unite di questa Corte sono state chiamate a rimeditare l'orientamento espresso nella precedente sentenza Tettamanti . In particolare, Sez. U, numero 36208 del 28/03/ 2024, Calpitano, Rv. 286880 - 01, ha in motivazione precisato che il giudice penale d'appello, qualora il reato si sia estinto per prescrizione, è tenuto ad accertare la responsabilità dell'autore del fatto in forza della regola del più probabile che non indicata dalla Corte Costituzionale. La stessa sentenza Calpitano ha puntualizzato che, in conformità alla stessa presunzione di innocenza posta a fondamento dell'interpretazione adeguatrice della giurisprudenza costituzionale, in tale situazione il giudice penale d'appello non deve tuttavia limitarsi a prendere atto della causa estintiva, ma è comunque tenuto a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l'assoluzione nel merito. 3. Sotto altro versante, non si può trascurare che, ai fini della decisione, in forza degli enunciati criteri di carattere generale, vengono in rilievo, in una fattispecie come quella per cui è processo - nella quale, secondo la prospettazione accusatoria, il ricorrente avrebbe commesso il reato di contraffazione commercializzando borse, pur senza indicazione del relativo marchio all'interno, aventi le caratteristiche dei marchi di alta moda (Balenciaga, Hermes, Stella McCartney, Celine e Yves Saint Laurent) - i principi affermati nella giurisprudenza di questa Corte in tema di tutela dei marchi, e, in particolare, l'ambito della tutela penale riconosciuto al marchio celebre a fronte della sola riproduzione delle caratteristiche tridimensionali del prodotto. 3.1. In generale, va rammentato che l'interesse giuridico tutelato dagli articolo 473 e 474 cod. penumero è la pubblica fede in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell'ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, e non l'affidamento del singolo, sicché, ai fini dell'integrazione dei reati non è necessaria la realizzazione di una situazione tale da indurre il cliente in errore sulla genuinità del prodotto; al contrario, in presenza di una contraffazione, i reati sono configurabili anche se il compratore sia stato messo a conoscenza dallo stesso venditore della non autenticità del marchio (Sez. 2, numero 28423 del 27/04/ 2012, Fabbri, Rv. 253417 - 01). 3.2. Il ricorrente appunta la propria impostazione difensiva sulla non tutelabilità del marchio c.d. tridimensionale, almeno in un caso come quello in esame. 3.2.1. In effetti, va considerato che la normativa riconosce, solo entro certi limiti, la possibilità di registrare e, di qui, di tutelare un marchio di forma. In particolare l'articolo 7, comma 1, lettera e) del Regolamento (UE) 2017/1001 prevede che sono esclusi dalla registrazione «i segni costituiti esclusivamente: i) dalla forma, o altra caratteristica, imposta dalla natura stessa del prodotto; ii) dalla forma, o altra caratteristica, del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico; iii) dalla forma o altra caratteristica che dà un valore sostanziale al prodotto». Del resto, già l'articolo 3 lettera e) della Prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d'impresa evocata dalla difesa del ricorrente aveva escluso dalla tutela riconosciuta ai marchi di impresa «i segni costituiti esclusivamente: dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto; dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico; dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto». La Corte di Giustizia, nel pronunciarsi sulla portata di tale disposizione, ha chiarito che un'applicazione corretta dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera e), primo trattino, della direttiva sui marchi comporta che le caratteristiche essenziali del segno in questione, ossia gli elementi più importanti di questo, siano debitamente individuate caso per caso, basandosi sull'impressione complessiva prodotta dal segno o su un esame in successione di ogni elemento costitutivo di tale segno (CGUE, Grande Sezione, 14 settembre 2010, sentenza Lego Juris c. UAMI, punti da 68 a 70). Ha inoltre sottolineato che l'impedimento alla registrazione dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera e), primo trattino, della direttiva sui marchi non trova applicazione quando la domanda di registrazione come marchio verte su una forma di prodotto nella quale un altro elemento, come un elemento ornamentale o di fantasia, che non sia inerente alla funzione generica del prodotto, svolge un ruolo importante o essenziale (CGUE, Grande Sezione, 14 settembre 2010, sentenza Lego Juris c. UAMI, cit., punti 52 e 72). Sul piano della regolamentazione interna, analogamente, l'articolo 9 del d.lgs. numero 30 del d.lgs. 10 febbraio 2005, numero 30 (e.ci. Codice della proprietà industriale) stabilisce che: «Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni costituiti esclusivamente dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico, o dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto». 3.2.2. In effetti, nella giurisprudenza di questa Corte, con riguardo a una fattispecie analoga a quella per cui è processo, è stato affermato che, ai fini della configurabilità del reato di contraffazione ed alterazione di marchi o segni distintivi (articolo 473 cod. penumero), deve escludersi la rilevanza del marchio cosiddetto tridimensionale, quando lo stesso sia composto unicamente da elementi privi di carattere distintivo rispetto ai prodotti o servizi ai quali si riferisce, presentando forme usuali allo specifico settore di appartenenza del prodotto, senza inserire il marchio della casa produttrice del prodotto simile (Sez. 2, numero 13396 del 23/03/2011, Pescini, Rv. 250047 - 01). Del resto, già nella tradizionale giurisprudenza delle Sezioni Civili, la tutela dei marchi tridimensionali è stata riconosciuta nelle sole ipotesi di forme non consuete (Sez. 1 civ., numero 3333 del 21/05/1981, Rv. 413906 - 01) ovvero, più in generale, di caratteristiche tali da avere un potere di individuazione originale del prodotto (Sez. 1 civ., numero 549 del 29/03/1965, Rv. 310993 - 01). 3.3. Al contempo, considerata la celebrità dei marchi delle borse che sarebbero state oggetto di contraffazione, occorre aver riguardo alle puntualizzazioni, anch'esse ritraibili dalla giurisprudenza di legittimità, quanto alla tutela c.d. rafforzata anche sul piano penale del marchio rinomato . Invero, sul presupposto per il quale un marchio si intende contraffatto quando la confusione con un segno distintivo similare emerga non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata valutazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo cioè all'insieme degli elementi salienti, grafici, fonetici o visivi, si è sottolineato che, ove si tratti di un marchio forte , sono illegittime anche le variazioni, sia pure rilevanti ed originali, che lascino sussistere l'identità sostanziale del nucleo ideologico in cui si riassume l'attitudine individuante (Sez. 2, numero 40324 del 07/06/2019, Società Moncler s.p.a., Rv. 277049 - 01, la quale ha, di qui, ritenuto integrato il delitto di contraffazione per l'utilizzo del segno distintivo di una nota griffe, in particolare una campana aperta, anche se all'interno della stessa era contenuta una scritta differente). Nell'ipotesi di un marchio famoso, infatti, anche ove manchi il rischio di confusione, il pubblico può trasferire sul prodotto o sul servizio dell'imitatore una parte delle valenze particolarmente positive che riconosce al marchio originale. Pertanto, tali segni godono di una tutela più ampia, atteso che la celebrità è un fattore dinamico incidente sulla determinazione dell'ambito merceologico della tutela non come fattore storico verificabile ad una certa data, bensì come un trend, e cioè una tendenza ad invertire i termini nei quali si estrinseca comunemente la funzionalità distintiva. L'ampiezza della tutela trova fondamento nel riconoscere al marchio non solo la classica funzione distintiva ma anche la funzione economica, attrattiva e comunicazionale, con lo scopo di tutelare, da un lato, il titolare del marchio, a il fronte degli investimenti effettuati e contro l'indebito vantaggio che può essere ottenuto tramite lo sfruttamento da parte di terzi non autorizzati della celebrità del marchio copiato, e, dall'altro, i consumatori non solo nella fase di acquisto, ma anche in quella successiva. Il marchio che gode di rinomanza, infatti, grazie alla forte pubblicità voluta dal suo titolare e ad un massiccio uso nel tempo, possiede in sé un particolare potere simbolico-attrattivo che, nel tempo, consentono al marchio di diventare simbolo del glamour, con conseguente potere di orientare o influenzare le scelte dei consumatori. L'agganciamento parassitario all'immagine del marchio celebre imitato induce, quindi, il pubblico ad operare un collegamento psicologico anche inconscio tra due segni, permettendo al contraffattore di acquisire indebitamente uno spazio specifico sul mercato che altrimenti non avrebbe occupato. Ciò trova conferma, sul piano civilistico, nella disposizione espressa dall'articolo 20, comma 1, lettera c), del d.lgs. numero 30 del 2005, che comprende nella tutela anche il concetto di pregiudizio, inteso come situazione nella quale il segno dell'imitatore trasmette al pubblico un messaggio che, oltre a contenere un richiamo al marchio imitato, comporta una sorta di contaminazione dell'immagine, provocando la diluizione e l'infangamento del potere evocativo e del valore simbolico trasmesso dal segno. 4. Deve essere dunque affermato il principio in forza del quale integra il reato di cui all'articolo 473 cod. penumero anche la riproduzione della tipologia, della forma e delle dimensioni di un prodotto appartenente un marchio rinomato , ove pure tale marchio non venga riprodotto nel prodotto medesimo, a condizione che si accerti che la suddetta riproduzione abbia caratteristiche idonee a trasferire sul prodotto oggetto dell'imitazione il potere di individuazione dell'originale. 5. La decisione impugnata non ha fornito una motivazione adeguata in conformità ai richiamati principi poiché, pur venendo in rilievo marchi celebri che, in quanto tali, godono di una tutela rafforzata che consente di ritenere integrato il reato di contraffazione anche in una ipotesi come quella considerata, ha trascurato di approfondire - in conformità ai criteri probatori rilevanti per la prova dell'illecito civile a fronte dell'intervenuta prescrizione del reato contestato - se i prodotti avessero delle caratteristiche peculiari tali, non solo nella forma, ma anche, ad esempio, nei colori, nelle rifiniture e nei materiali utilizzati, da poterli univocamente ed in concreto ricondurre a quelle proprie dei marchi che sarebbero stati da essi rappresentati, anche senza l'indicazione del marchio medesimo. Infatti, la Corte territoriale - a fronte, peraltro, di un'istruttoria che non sempre è stata condotta, come sarebbe stato necessario in un caso come quello in esame, mediante un esame diretto dei prodotti da parte dei consulenti nominati - si è limitata ad affermare che l'illecito era integrato perché erano riprodotte la tipologia, la forma e le dimensioni delle borse di marchi celebri in questione. 6. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.