In tema di vizi della motivazione del licenziamento, nel regime delle imprese con più di 15 dipendenti, la mancata o generica individuazione del fatto non integra una mera violazione formale ma, poiché impedisce che si possa pervenire alla stessa identificazione del fatto, che, pertanto, dovrà essere dichiarato insussistente dal giudice, ha una ricaduta sostanziale che determina l’illegittimità originaria del licenziamento, con applicazione della reintegra attenuata di cui all’articolo 18, comma 4, Stat. lav.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza in commento. La Corte di Appello di Firenze, riformando la pronuncia di primo grado, accertava (per quanto qui rileva) la natura subordinata del rapporto tra una primaria compagnia assicurativa ed un lavoratore (addetto alle attività di perito e liquidatore) in virtù della presunzione di cui all'articolo 69, comma 1, d.lgs. 276/2003 e, su tale presupposto, dichiarava l'inefficacia del recesso a lui irrogato poiché privo di alcuna formale motivazione. Quanto alle conseguenze di tale inefficacia, i Giudici di merito ritenevano corretta l'applicazione delle conseguenze di cui all'articolo 18, comma 6, l. numero 300/1970 atteso che, nel corso del giudizio, la società aveva dato prova di una effettiva ragione organizzativa sottesa al licenziamento. Contro tale pronuncia (per quanto qui rileva) il lavoratore ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. La motivazione deve essere indicata e specifica In particolare, il lavoratore si doleva della violazione dell'articolo 18 l. numero 300/1970 per avere i Giudici di merito ritenuto applicabile la sola tutela indennitaria (per di più attenuata) a dispetto della contestazione formulata in giudizio circa i fatti posti dalla società a (tardiva) giustificazione del licenziamento. Motivo che viene condiviso dalla Cassazione la quale, enunciando il principio esposto in massima, accoglie il ricorso. Ritiene, infatti, preliminarmente la Corte che «sul piano processuale, nel giudizio sull'impugnazione del licenziamento il giudice, in presenza di idonea domanda, deve applicare il regime di tutela corrispondente alla fattispecie che si è realmente prodotta in giudizio secondo quanto previsto dalla legge, senza che rilevi il tenore delle richieste formulate della parte quanto alla identificazione degli effetti» mentre, sul piano sostanziale, «la comunicazione del licenziamento deve contenere i motivi “specifici” per cui (il licenziamento) viene intimato che vanno esplicitati contestualmente alla comunicazione dell'atto», poiché requisito coessenziale all'esercizio del diritto di difesa da parte del lavoratore. La «violazione del requisito di motivazione» presuppone che una motivazione (almeno) graficamente ci sia Su tali presupposti, la Cassazione ritiene altresì utile perimetrare la «violazione del requisito di motivazione» a cui l'articolo 18, comma 6, Stat. lav. fa riferimento. A questi fini e nell'ottica del diritto di difesa del lavoratore, risulta necessario distinguere «tra mancata specificazione dei motivi relativi alla giustificazione comunque addotta e mancanza della motivazione o carenza dei motivi che non consenta di pervenire alla identificazione di alcuna ragione giustificativa» (come tale idonea a pregiudicare integralmente la difesa del lavoratore). Muovendo da tale distinzione, nell'avviso della Cassazione «solo nell'ipotesi in cui risulti un difetto formale nella specificazione dei motivi della causale comunque addotta, è possibile applicare il 6° comma dell'articolo18; invece, nella diversa e più grave ipotesi in cui non sia stata addotta alcuna motivazione ovvero quella addotta sia estremamente generica e inidonea alla identificazione […] di una ragione giustificativa, occorre applicare la tutela reale attenuata prevista» di cui al 4° comma poiché (verrebbe da dire, indipendentemente dal dato letterale della legge) una tale assenza «conduce alla mancanza del fatto con la relativa tutela» non essendovi dubbio nell'avviso dei Giudici che «nella stessa ipotesi di carenza di motivazione […] manchi in pari tempo anche la ragione giustificativa del licenziamento (e che) che in tale ipotesi, non è possibile procedere neppure alla identificazione di alcun fatto (disciplinare o organizzativo)». L'assenza «grafica» di motivazione è però un vizio grave a metà Non si discute quindi, nell'avviso della Corte, di un vizio formale minore che produca l'inefficacia come quello supposto dal sesto comma dell'articolo18, bensì «di un vizio grave e radicale che incide sulla legittimità stessa dell'atto e che non è riconducibile nella disciplina del comma sesto (poiché), mancando ab origine qualsiasi giustificazione, non si può applicare la previsione stabilita in tale comma […] in quanto solo di una giustificazione che risulti almeno delineata nell'atto può accertarsi il difetto». Conclusione questa che la Corte suffraga con un sillogismo (più riconducibile, nell'avviso di chi scrive, ad un sofismo) per cui «ove così non fosse risulterebbe un'evidente irragionevolezza nella normativa consistente nell'applicazione di una tutela minore (risarcitoria) nella ipotesi più grave della mancanza originaria di giustificazione e di qualsiasi fatto; e di una tutela maggiore (reintegratoria) applicabile nell'ipotesi meno grave in cui il fatto sia stato almeno addotto e la sua insussistenza risulti solo all'esito del giudizio» finanche ritenendo che «verrebbe in tal modo premiato l'atteggiamento passivo del datore di lavoro, incentivato a non specificare le ragioni del licenziamento al fine di lucrare un trattamento sanzionatorio meno rigoroso (e) garantendo(gli) di poter estinguere più facilmente il rapporto di lavoro intimando un licenziamento senza alcuna motivazione».
Presidente Manna - Relatore Riverso Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.