L'ordinanza reiettiva della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa è ricorribile per cassazione unitamente alla sentenza che conclude il giudizio, a prescindere dal regime di procedibilità del reato per il quale pende il processo.
Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in commento. La Giustizia riparativa: una chimera o una realtà? Per anni se ne è parlato soltanto nei salotti accademici: la giustizia riparativa non riusciva a uscirne e a varcare la soglia delle aule di giustizia, salvo qualche rara apparizione in quelle dei tribunali per i minorenni. Persino il Giudice di Pace, autorità giudiziaria elettiva per i percorsi di ricomposizione delle controversie bagatellari tra privati, non ha aperto le porte alla restorative justice . La riforma Cartabia, pur di non lasciare inesplorata qualsiasi strada potesse favorire la deflazione del contenzioso penale , l'ha rispolverata e l'ha richiamata alle armi inserendola nel codice di rito penale. Il risultato, almeno fino ad oggi, è assai modesto. Anche perchè per fare funzionare davvero la giustizia riparativa è necessaria la predisposizione di uomini e mezzi: mediatori, centri di mediazione, eccetera. Tutto ciò, allo stato attuale, stenta a prendere forma . L'analisi della Cassazione su un punto critico: l'ordinanza che respinge la domanda di accesso alla giustizia riparativa è impugnabile? L'adattamento della giustizia riparativa al linguaggio e ai meccanismi codicistici ha comportato la necessità di “calarla” nella struttura del processo. La decisione di ammettere o meno l'imputato ai programmi riparativi è data con un'ordinanza emessa dal giudice procedente . Questi deve stabilire se consentire o meno la partecipazione al percorso di riparazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato. Ci si è chiesti, a questo punto, se l' ordinanza di cui stiamo parlando sia o meno impugnabile . E, nel caso di risposta affermativa, con quale mezzo di impugnazione. Sul tema, dicono i giudici di Piazza Cavour, si sono registrati tre diversi indirizzi interpretativi . Il primo di essi esclude l'impugnabilità dell'ordinanza in esame poiché essa – si afferma – non avrebbe natura giurisdizionale (così, Cass., Sez. II, 12 dicembre 2023, n. 6595 ), ma apparterrebbe al procedimento riparativo che si snoda in parallelo al procedimento penale. Da ciò ne discende, per il principio di tassatività delle impugnazioni, che la decisione di accesso o diniego ai programmi riparativi sarebbe sostanzialmente insindacabile. Un orientamento intermedio ha invece ammesso l'impugnabilità dell'ordinanza in discorso, ma limitatamente ai casi nei quali si procede per un reato perseguibile a querela . Ciò perchè nell'ipotesi considerata il provvedimento giudiziale in questione avrebbe una “influenza giuridicamente rilevante” sulla sentenza che viene successivamente pronunciata, in forza della previsione normativa che soltanto in tali casi è consentita la sospensione del processo (così, Cass., Sez. III, 7 giugno 2024, n. 33152 ). Un terzo orientamento , infine, propende per la generalizzata impugnabilità dell'ordinanza unitamente alla sentenza che conclude il giudizio (in questo senso, Cass., Sez. V, 26 novembre 2024, n. 131 ). La sentenza che oggi vi proponiamo aderisce a quest'ultimo orientamento. Ciò, intanto, perchè è ritenuta innegabile la natura giurisdizionale dell'ordinanza in esame, sia con riguardo ai suoi presupposti, sia in relazione agli esiti che produce sul procedimento penale. A ciò si aggiunga che la decisione del giudice di concedere o meno l'accesso alla giustizia riparativa deve essere necessariamente corredata da una motivazione. Quest'ultima, per coerenza con l'intero sistema processuale, deve quindi essere sindacabile in sede di legittimità. La giustizia riparativa entrerà veramente a regime? Difficile fare previsioni realistiche. Per scaramanzia, oseremmo dire, è meglio anzi non farle proprio. Sicuramente è un segnale positivo quello dell'inserimento nel codice di rito dei meccanismi che consentirebbero di operare alla restorative justice . Altrettanto positivo è il segnale che ci proviene dal formante giurisprudenziale: il solo fatto che ci si ponga dei problemi e che su di essi si agiti un dibattito interpretativo è la prova dell'attualità del problema. Per il resto, il successo o l'insuccesso della giustizia riparativa, temiamo, sarà dipendente soprattutto dall'approccio culturale di chi dovrebbe maneggiarla: e gli avvocati sono in cima alla lista di costoro.
Presidente Fidelbo Relatore Tondin Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Velletri aveva condannato il ricorrente per il reato di cui all' articolo 572 cod. pen. commesso in danno della moglie convivente. 2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, denunciando i motivi di annullamento di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell' articolo 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Omessa valutazione del secondo motivo di appello, con cui era stata chiesta l'assoluzione per difetto di prova, in assenza di riscontri alla deposizione della persona offesa. 2.2. Violazione di legge e difetto di motivazione, in quanto mancherebbe una rigorosa valutazione delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa, costituita parte civile. 2.3. Violazione di legge e omessa motivazione in relazione alla mancata riqualificazione del fatto nel reato di percosse. 2.4. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al diniego di accesso ai programmi di giustizia riparativa ai sensi dell' articolo 129-bis cod. proc. pen. 2.5. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla mancata derubricazione del reato in quello di percosse e di minacce, tenuto conto della assenza di prova in ordine all'abitualità della condotta. 2.6. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla determinazione della pena e alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. 3. In mancanza di richiesta di trattazione in pubblica udienza, il procedimento è stato deciso nelle forme della camera di consiglio ai sensi dell' articolo 611 cod. proc. pen. ; il Procuratore generale ha depositato le sue richieste, come in epigrafe indicate. Considerato in diritto 1. Il primo e il secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili perché meramente reiterativi di identiche censure contenute nell'atto di appello, analizzate e respinte nella sentenza impugnata, con motivazione che non viene intaccata dalle censure dedotte con il ricorso. La sentenza di secondo grado valuta, in particolare, la deposizione della persona offesa, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui essa può essere posta, anche da sola, a fondamento della responsabilità dell'imputato, purché sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all' articolo 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. , che richiedono la presenza di riscontri esterni; tuttavia, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (ex multis Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, Ciotti, Rv. 279070 01). Le dichiarazioni della persona offesa sono state ritenute pienamente attendibili, perché coerenti, non contraddittorie e non animate da alcun intento calunniatorio. Esse, inoltre, limitatamente a un episodio, sono confermate dallo stesso imputato. Dalle stesse emerge che l'imputato per anni ha inflitto alla convivente violenze psicologiche quotidiane, rendendosi anche protagonista di reiterati episodi di violenza fisica. Tale valutazione, coerente e non illogica, non è intaccata dalle generiche censure mosse con il ricorso. 3. Il terzo e il quinto motivo di ricorso, con cui si deduce che, in difetto di riscontri esterni, la Corte avrebbe dovuto qualificare il fatto di reato come percosse o come minacce, in relazione all'unico episodio confermato dall'imputato, sono infondati. La Corte ha respinto la richiesta di riqualificazione in quanto ha ritenuto sussistente, sia dal punto di vista oggettivo che dal punto di vista soggettivo, il più grave delitto di maltrattamenti in ragione dell'abitualità e della sistematicità delle condotte vessatorie e offensive, avendo escluso che all'imputato potesse essere addebitato l'unico episodio che era stato ammesso, mentre quello di percosse resta in esso assorbito. Del tutto generico, invece, è il richiamo al reato di minaccia contenuto nel ricorso. 4. Il quarto motivo, con cui si impugna il rigetto dell'istanza di accesso a un programma di giustizia riparativa, pone, innanzi tutto, il problema dell'ammissibilità del ricorso avverso l'ordinanza reiettiva. La disciplina della giustizia riparativa è stata introdotta con gli articolo 42 e ss. del D.Lgs. n. 150 del 2022 , sulla base dei principi e delle disposizioni di cui alla direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che prevede norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, della Raccomandazione del Consiglio d'Europa CM/Rec (2018)8 adottata dal Comitato dei Ministri il 3 ottobre 2018 (che sviluppa ulteriormente la precedente Raccomandazione no. R (99)19 in materia di mediazione penale), dei Principi base sull'uso dei programmi di giustizia riparativa in ambito penale, elaborati dalle Nazioni Unite nel 2002 (cfr. Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo recante attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134 recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari). L' articolo 129-bis cod. proc. pen. stabilisce, al comma 1, che In ogni stato e grado del procedimento l'autorità giudiziaria può disporre, anche d'ufficio, l'invio dell'imputato e della vittima del reato di cui all' articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 , al Centro per la giustizia riparativa di riferimento, per l'avvio di un programma di giustizia riparativa . Ai mediatori, cui sono inviati gli interessati, competono le attività preliminari di cui all' articolo 54 D.Lgs. n. 150 del 2022 , volte a stabilire la fattibilità del programma. Superata tale fase introduttiva, si apre quella degli incontri di cui al successivo articolo 55, che si chiude, quale che sia l'esito, con una relazione in cui vengono riportati i dati essenziali delle attività svolte e il risultato delle stesse. Secondo il successivo articolo 58 (Valutazione dell'esito del programma di giustizia riparativa) 1. L'autorità giudiziaria, per le determinazioni di competenza, valuta lo svolgimento del programma e, anche ai fini di cui all' articolo 133 del codice penale , l'eventuale esito riparativo. 2. In ogni caso, la mancata effettuazione del programma, l'interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo non producono effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell'offesa . I due procedimenti, quello penale e quello di giustizia riparativa, sono separati, sono retti da regole profondamente diverse, mirano a risultati diversi (articolo 43 D.Lgs. n. 150 del 2022), anche se hanno come presupposto comune la commissione del reato. È, quindi, dal procedimento penale che, di norma, trae origine il procedimento riparativo, sulla base dell'ordinanza con cui, d'ufficio o su istanza delle parti, il giudice invia gli interessati ai centri di giustizia riparativa ex articolo 129-bis cod. proc. pen. La relazione conclusiva del programma, poi, confluisce nel procedimento penale, laddove questo non sia già concluso, in quanto il giudice è tenuto a valutarla, tra l'altro, ai fini della quantificazione della pena (articolo 58 D.Lgs. n. 150 del 2022), della applicazione dell'attenuante di cui all' articolo 62 n. 6 cod. pen. , della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena ( articolo 163 cod. pen. ), della sussistenza di una ipotesi di remissione tacita di querela ( articolo 152 cod. pen. ). Pur nella loro autonomia, quindi, i due procedimenti hanno dei punti di contatto, in quanto è il giudice (o il pubblico ministero prima dell'esercizio dell'azione penale) ad avviare il procedimento riparativo ed è lo stesso giudice ad essere, a determinati e limitati fini, destinatario della relazione conclusiva di quel procedimento. Il D.Lgs. n. 150 del 2022 , che individua questi momenti di contatto tra i due procedimenti, non chiarisce se l'ordinanza ex articolo 129-bis cod. proc. pen. sia impugnabile. Secondo un orientamento (Sez. 2, n. 6595 del 12/12/2023, Baldo, Rv. 285930 01; Sez. 4, n. 40164 del 23/01/2024, Castigliola, non mass.) deve escludersi la natura giurisdizionale dell'ordinanza in esame, in quanto essa appartiene al procedimento riparativo, che viene definito come un servizio pubblico di cura relazionale tra persone, che si affianca a quello di natura contenziosa, procedendo in maniera parallela ad esso (salvo divenirne complementare e convergere nell'ipotesi della remissione tacita e dell'eventuale sospensione del procedimento nel caso di reati perseguibile a querela ai sensi dell' articolo 129-bis, comma 4, cod. proc. pen. ). Del resto, l'accesso ai programmi di giustizia riparativa non può avere alcun effetto sfavorevole per l'accusato nel giudizio penale, e, comunque, non richiede nemmeno la necessaria esistenza di un procedimento penale in corso, tenuto conto che è possibile ricorrervi anche dopo l'esecuzione della pena ( articolo 44, comma 2, D.Lgs. 10/10/2022 n. 150 ), ovvero, nel caso di reati perseguibili a querela di parte, anche prima della proposizione della querela ( articolo 44, comma 3, D.Lgs. 10/10/2022, n. 150 ). Coerentemente, quindi, secondo la sentenza citata, non è prevista l'impugnabilità dell'ordinanza sull'accesso alla giustizia riparativa ex articolo 129-bis cod. proc. pen. , né essa può in qualche modo desumersi dal sistema, alla luce del principio di tassatività delle impugnazioni (568, comma 1, cod. proc. pen.) e della circostanza che l'ordinanza in esame non può nemmeno essere ricondotta tra i provvedimenti in materia di libertà personale, per i quali l' articolo 111, comma 7, Cost. , ammette sempre il ricorso in cassazione per violazione di legge , e ciò in quanto si tratta di un provvedimento che non può essere ricompreso nella tipologia dei provvedimenti giurisdizionali che abbiano carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su situazioni giuridiche di diritto soggettivo, unici per i quali è previsto tale rimedio (Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, Rv. 224610 01). A conclusioni parzialmente difformi è giunta Sez. 3, n. 33152 del 07/06/2024, Odoli, Rv. 286841 01 che, invece, ha ammesso l'impugnabilità dell'ordinanza di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa unitamente alla sentenza che definisce il procedimento, limitata tuttavia ai soli casi in cui essa abbia una influenza giuridicamente rilevante sul contenuto della successiva sentenza, sottolineando come la regola dell'impugnazione differita di cui all' articolo 586 cod. proc. pen. impone di attendere l'esito del processo per consentire di accertare se, e in quale misura, le decisioni nelle quali le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari o nel dibattimento abbiano potuto incidere sulla decisione finale . Invero, secondo questa decisione, l'impugnabilità sarebbe possibile nella sola ipotesi di ordinanza reiettiva riferita a procedimenti per reati procedibili a querela, in quanto solo per tale categoria di reati l' articolo 129-bis, comma 4, cod. proc. pen. prevede espressamente che il giudice possa disporre la sospensione del processo, al fine di consentire lo svolgimento del programma di giustizia riparativa. Questo caso costituisce una deroga alla regola generale, deroga che non può essere estesa ad altre ipotesi, in quanto una interpretazione analogica dell' articolo 129-bis, comma 4, cod. proc. pen. si porrebbe in contrasto con il principio generale della eccezionalità dei casi di sospensione del processo (così, Sez. 3, n. 33152 del 07/06/2024, Odoli, cit.; nello stesso senso: Sez. 5, n. 7266 del 18/12/2024, Andrisano, Rv. 287533 01). Inoltre, nella sentenza si sottolinea che l'autonomia del processo penale rispetto ai tempi per lo svolgimento dei programmi di giustizia riparativa è pienamente coerente con le regole relative alla variabilità della durata di questi ultimi, ancorata esclusivamente alle necessità del caso , e alla piena discrezionalità in proposito dei mediatori, come si evince, in particolare, dall' articolo 55, commi 2 e 4, D.Lgs. n. 150 del 2022 . Né il semplice avvio di un programma di giustizia riparativa esplica effetti sul trattamento sanzionatorio, in quanto la legge attribuisce rilievo solo all' esito riparativo , tanto ai fini di cui all' articolo 133 del codice penale (cfr. articolo 58 D.Lgs. n. 150 del 2022 ), quanto ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall' articolo 62, n. 6, cod. pen. e, per questo, si è ritenuto che l'ordinanza di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa possa ritenersi giuridicamente ininfluente sull'esito del processo, salvo il caso dei reati perseguibili a querela soggetta a remissione. Secondo, infine, un terzo orientamento, l'ordinanza reiettiva della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa è ricorribile per cassazione, unitamente alla sentenza conclusiva del giudizio, senza alcuna distinzione tra reati procedibili a querela suscettibile di remissione e reati procedibili d'ufficio (Sez. 5, n. 131 del 26/11/2024, Rv. 287434 01), in quanto tale limitazione non trova alcun fondamento normativo e non risulta nemmeno corrispondere all'intenzione del legislatore, come emerge dalla lettura della Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 150/2022. 5. Reputa il Collegio che tale ultima impostazione meriti condivisione. Il D.Lgs. n. 150 del 2022 regola il procedimento riparativo come procedimento avente finalità, struttura e disciplina autonoma rispetto a quello penale, da cui, però, come detto, di norma origina, avendo il medesimo presupposto, ossia la commissione di un fatto di reato. Il suo avvio dipende da un atto dell'autorità giudiziaria, che l' articolo 129-bis cod. proc. pen. àncora a due valutazioni: una prognosi circa l'utilità del programma e una diagnosi sull'assenza di pericoli per i partecipanti e per l'accertamento processuale. Tale valutazione è esterna al procedimento riparativo, che non ha ancora avuto inizio, ed è adottata nell'ambito del procedimento penale. Essa implica, inoltre, un giudizio su questioni derivanti dal fatto di reato e ha delle ricadute, anche solo al fine di precludere effetti favorevoli al reo, in tema, ad esempio, di determinazione della pena, del trattamento circostanziale, del beneficio della sospensione condizionale. Se è vero, infatti, che solo l'esito positivo del giudizio riparativo deve essere valutato ex articolo 62 n. 6, 133, 152, 163 cod. pen. , è vero anche che la preclusione di quel giudizio, attraverso lo sbarramento dell'accesso al programma, non è irrilevante rispetto all'esito del processo, in quanto impedisce l'operatività di una serie di istituti che influiscono sul trattamento sanzionatorio. I presupposti del provvedimento e i suoi effetti sull'esito finale del processo non possono, quindi, che portare a ritenere che esso abbia natura giurisdizionale. Del resto, non si vede come potrebbe avere natura diversa un provvedimento emesso dal giudice nel corso di un processo penale, con possibili effetti sulla procedibilità e sul trattamento sanzionatorio. Questa impostazione trova conferma nel fatto che il provvedimento ex articolo 129-bis cod. proc. pen. è motivato e che l'esplicazione dei motivi che hanno fatto propendere per l'una o per l'altra soluzione nell'applicazione di predefiniti criteri valutativi, ha, come naturale conseguenza, la sindacabilità di quel giudizio e di quella motivazione. Né sarebbe sufficiente rilevare che l'istanza è riproponibile in ogni stato e grado del procedimento, in dipendenza delle possibili modifiche della situazione di fatto o delle condizioni soggettive dell'autore del reato o della vittima, in quanto tale caratteristica, che preclude la definitività dell'ordinanza di rigetto, potrebbe ripercuotersi semmai sul solo interesse alla sua impugnazione. L'ordinanza reiettiva dell'istanza di accesso alla giustizia riparativa, quindi, deve ritenersi impugnabile secondo il regime generale previsto dall' articolo 586, comma 2, cod. proc. pen. , ossia unitamente alla sentenza che definisce il giudizio, in ogni caso, e non solo nell'ipotesi, già affermata dalla sentenza n. 33152/2024, Odoli, sopra citata, di reati procedibili a querela. Ciò non comporta l'introduzione di un non previsto obbligo di sospensione del processo penale, obbligo che il legislatore ha disciplinato nei soli casi in cui il procedimento ha ad oggetto un reato perseguibile a querela, in quanto il blocco ex lege del procedimento penale in attesa dell'esito del programma di giustizia riparativa si può giustificare -alla luce del canone costituzionale della ragionevole duratasolo quando il raggiungimento di un esito riparativo si traduce nell'estinzione del reato: in questo caso, il ritardo è ampiamente compensato dalla definizione extragiudiziale del conflitto e dal conseguente risparmio di attività processuale (Relazione governativa, citata). Al di fuori di questa ipotesi, in cui la giustizia riparativa entra nel processo, cui in qualche modo si sostituisce, il programma riparativo, infatti, si situa al di fuori del processo, di cui non costituisce una fase incidentale e che, conseguentemente, non può sospendere. Si deve, quindi, concludere nel senso che l'ordinanza reiettiva dell'accesso alla giustizia riparativa pronunciata è sempre impugnabile unitamente alla sentenza che definisce il grado di giudizio. 6. Ciò premesso in ordine all'impugnabilità dell'ordinanza, va rilevato che, nel caso di specie, il motivo di ricorso ad essa relativo è infondato. L' articolo 129-bis, comma 3, cod. proc. pen. individua i parametri cui è ancorato il giudizio sull'avvio al programma di giustizia riparativa, stabilendo che il giudice, sentite le parti, i difensori nominati e, se lo ritiene necessario, la vittima del reato, invii le parti ai centri di giustizia riparativa se: a) reputa che lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede; b) non vi sia un pericolo concreto per gli interessati; c) non vi sia un pericolo concreto per l'accertamento dei fatti. Nel caso di specie l'istanza di accesso alla giustizia riparativa, formulata all'esito dell'istruttoria dibattimentale, è stata respinta dal giudice di primo grado in quanto: a) non sono stati istituiti i centri di giustizia riparativa, per cui la normativa, seppur in vigore non può trovare applicazione; b) l'imputato era sottoposto a misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa per cui non sono stati ravvisati elementi di utilità dell'accesso al programma. Infatti, tenendo conto della natura del reato contestato, che ha lasciato nella vittima ferite difficilmente rimarginabili, rendendola particolarmente fragile, il giudice ha ritenuto sussistente il rischio che l'adesione al programma, da un lato, potesse non essere espressione di una scelta veramente volontaria, e, dall'altro, date le circostanze, potesse essere fonte di vittimizzazione secondaria (viene richiamata a tale ultimo proposito la direttiva 2012/29/UE, ed direttiva vittime, che precisa i contorni della vittimizzazione secondaria, processuale e sostanziale). Tale motivazione costituisce corretta applicazione dei criteri sopra indicati, in quanto considera, in modo non illogico né manifestamente contraddittorio, che l'avvio di un programma di giustizia riparativa costituisca un concreto pericolo per la vittima, per la cui tutela era ancora in essere una misura cautelare. 7. Il sesto motivo dì ricorso, con cui si censurano la mancata applicazione delle attenuanti generiche e la quantificazione della pena, è infondato. La graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito e il relativo onere motivazionale non può essere astrattamente circoscritto secondo canoni predeterminati. Una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena da irrogare è necessaria allorché la determinazione avvenga in misura prossima o di gran lunga superiore al medio edittale, essendo altrimenti sufficienti espressioni del tipo pena congrua , pena equa o congruo aumento , oppure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere. Nel caso di specie è stata ritenuta congrua la pena di anni due e mesi nove di reclusione, di gran lunga inferiore alla media edittale. Le circostanze attenuanti generiche non sono state ritenute applicabili in difetto di elementi positivi da valutare in tale prospettiva e tale motivazione sfugge alle censure dedotte con l'atto di ricorso. 8. In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone, a norma dell 'articolo 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 19 6, che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza. Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2025.