Facere vs dare: la Cassazione chiarisce la differenza tra appalto e vendita

Ai fini della discriminazione tra compravendita e appalto, nei casi in cui la prestazione del debitore consista sia in un dare che in un facere, occorre stabilire se l’attività lavorativa volta alla produzione della cosa sia prevalente rispetto alla fornitura del materiale, secondo la causa concreta del contratto, ovvero se, al contrario, sia questa a costituire l’oggetto principale del negozio, rispetto al quale l’attività lavorativa, di adattamento della cosa alle specifiche esigenze della controparte, assume un rilievo accessorio e strumentale.

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte chiarisce gli elementi essenziali del contratto di vendita e del contratto di appalto, precisando che, qualora la fattispecie in esame sia controversa, è necessario accertare, in concreto, l'attività richiesta e svolta e se, all'interno di questa, prevalga un'attività di adattamento del bene fornito o se, al contrario, l'obbligazione principale consista nel fornire quest'ultimo.  Il caso La vicenda decisa dalla sentenza in commento ha origine da un giudizio, avviato innanzi al Tribunale di Venezia, nel quale l'attore richiedeva la risoluzione del contratto di acquisto e installazione di una termo-stufa a pellet (danneggiata per uno scoppio) con annessi accessori, per inadempimento della società fornitrice, con la condanna di quest'ultima alla restituzione dell'acconto versato, al pagamento dell'ulteriore somma relativa al ripristino e contestuale risarcimento del danno. Il Tribunale adito rigettava le domande proposte dal ricorrente, previa qualificazione del contratto concluso tra le parti come vendita soggetta alla normativa di cui al codice del consumo. La sentenza veniva riformata in appello e, in particolare, la Corte d'appello di Venezia procedeva ad una riqualificazione del contratto intercorso tra le parti come appalto, pronunciandone la risoluzione per inadempimento dell'appaltatore, con condanna di quest'ultimo al risarcimento del danno. Avverso la sentenza di appello promuoveva ricorso per cassazione la società installatrice, contestando, per quanto di interesse in questa sede, l'erronea interpretazione del contratto concluso tra le parti, dovendo – in particolare - considerarsi come contratti di vendita e non di appalto quelli concernenti la fornitura ed eventualmente anche la posa in opera, qualora l'assuntore dei lavori sia lo stesso fabbricante o chi faccia abituale commercio dei prodotti e dei materiali di che trattasi, salvo ovviamente che le clausole contrattuali obblighino l'assuntore degli indicati lavori a realizzare un quid novi rispetto alla normale serie produttiva; in questo caso, infatti, dovrebbe ritenersi prevalente l'obbligazione di facere, configurandosi elementi peculiari del contratto di appalto e precisamente l'intuitus personae e l'assunzione del rischio economico da parte dell'appaltatore. La distinzione tra appalto e vendita Secondo la giurisprudenza, la distinzione tra appalto e vendita si basa su due elementi: la volontà dei contraenti e il rapporto fra il valore della materia (prestazione di dare) ed il valore della prestazione d'opera (prestazione di fare), da considerare non in senso oggettivo (quale valore economico della materia e/o dell'opera), bensì avuto riguardo alla comune intenzione dei contraenti. Si è in presenza di un contratto d'appalto o d'opera se l'oggetto effettivo e prevalente dell'obbligazione assunta dal produttore-venditore è la realizzazione di un opus unicum od anche di un opus derivato dalla serie, ma oggetto di sostanziali adattamenti o modifiche a richiesta del destinatario, laddove la fornitura della materia è un semplice elemento concorrente nel complesso della realizzazione dell'opera e di tutte le attività a tal fine intese. Al contrario, si è in presenza di un contratto di compravendita, se le attività necessarie a produrre il bene costituiscono solo l'ordinario ciclo produttivo del bene, che può anche concludersi con l'assemblaggio delle sue componenti presso il destinatario, ma è la sola consegna del bene stesso, l'effettiva obbligazione del produttore-venditore, insomma, nella compravendita, oggetto dell'obbligazione è un dare , nel contratto d'appalto o d'opera, oggetto dell'obbligazione è un facere . Appalto o vendita: rileva (anche) la volontà dei contraenti La distinzione tra vendita ed appalto, peraltro, non si esaurisce nel dato meramente oggettivo del raffronto fra il valore della materia e il valore della prestazione d'opera, ma è necessario avere riguardo alla volontà dei contraenti, per cui si ha appalto quando la prestazione costituisce un mezzo per la produzione dell'opera e il lavoro è lo scopo essenziale del negozio in modo che le modifiche da apportare alle cose pur rientranti nella normale attività produttiva dell'imprenditore che si obbliga a fornirle ad altri, consistono non già in accorgimenti marginali e secondari diretti ad adattarli alle specifiche esigenze del destinatario della prestazione, ma sono tali da dare luogo ad un opus perfectum inteso come effettivo e voluto risultato della prestazione. Quid novi e contratto di appalto Sulla base delle distinzione di cui sopra, devono considerarsi contratti di vendita (e non di appalto) i contratti concernenti la fornitura ed eventualmente anche la posa in opera qualora l'assuntore dei lavori sia lo stesso fabbricante o chi fa abituale commercio dei prodotti e dei materiali di che trattasi, salvo che le clausole contrattuali obbligano l'assuntore degli indicati lavori a realizzare un quid novi rispetto alla normale serie produttiva, perché in questo caso dovrebbe ritenersi prevalente l'obbligazione di facere. La risoluzione in caso di appalto La distinzione incide anche sui rimedi esperibili e sulle diverse modalità di valutazione dell'inadempimento. Nel contratto di appalto, ai sensi dell'articolo 1668, c. 2, c.c. il rimedio della risoluzione del contratto d'appalto presuppone che le difformità o i vizi dell'opera realizzata siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, oggettiva o desumibile dagli accordi negoziali delle parti coinvolte, essendo normativamente richiesto un inadempimento dell'appaltatore più grave rispetto, ad esempio, a quello richiesto nell'ambito del contratto di compravendita dall'articolo 1490 c.c. e in deroga a quanto previsto in linea generale dall'articolo 1455 c.c. A differenza della vendita, quando i vizi della cosa venduta siano tali da diminuire in modo apprezzabile il suo valore, la disciplina dettata dell'articolo 1668 c.c., in materia di appalto, consente al committente di chiedere la risoluzione del contratto soltanto nel caso in cui i difetti dell'opera, incidendo in modo notevole sulla struttura e sulla funzionalità della stessa, siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione oggettiva ovvero all'uso particolare cui debba essere specificamente destinata in base al contratto. La disciplina applicabile nel c.d. “contratto misto” Anche nel contratto “misto” rileva, con particolari modalità, il criterio della prevalenza. Al riguardo, al fine di stabilire la disciplina applicabile, compresa quella della garanzia per vizi, deve aversi riguardo al criterio della prevalenza causale sulla base della volontà delle parti, sicché si ha appalto quando la prestazione dell'opera ed il lavoro costituiscono lo scopo essenziale, mentre si ha compravendita quando il risultato perseguito dalle parti è essenzialmente il trasferimento del bene, e la prestazione dell'opera è prevista al solo fine di assicurare l'utilità del bene ceduto.

Presidente Di Virgilio - Relatore Trapuzzano Fatti di causa 1.- Esperito il procedimento di accertamento tecnico preventivo ante causam, con ricorso depositato il 6 settembre 2017, ai sensi dell'articolo 702-bis c.p.c. vigente ratione temporis, So.Ma. adiva il Tribunale di Venezia, chiedendo che fosse pronunciata la risoluzione del contratto di acquisto e installazione di una termo-stufa a pellet con annessi accessori, oggetto di scoppio, per inadempimento della fornitrice e installatrice SOLARE Italiano Srl, con la condanna di quest'ultima alla restituzione dell'acconto versato di Euro 5.000,00, al pagamento dell'ulteriore somma di Euro 13.578,00 per la rimessione in pristino stato e al risarcimento dei danni per Euro 10.000,00. Si costituiva in giudizio la SOLARE Italiano Srl, la quale contestava la fondatezza delle domande avversarie, eccependo l'inutilizzabilità delle risultanze dello svolto procedimento di A.T.P., sostenendo che l'incidente occorso era ascrivibile esclusivamente al Sottana e, in subordine, richiamando la gerarchia dei rimedi previsti dal codice del consumo, come tempestivamente offerti. In via riconvenzionale, chiedeva la condanna del ricorrente al pagamento del residuo corrispettivo dovuto per Euro 8.970,01, IVA inclusa. Disposto il mutamento del rito e assunta la prova orale ammessa, con sentenza n. 1322/2020, depositata il 18 settembre 2020, il Tribunale adito rigettava le domande proposte dal ricorrente, previa qualificazione del contratto concluso tra le parti come vendita soggetta alla normativa di cui al codice del consumo, in ragione della richiesta di risoluzione per difetto di conformità senza la previa richiesta di sostituzione o di riparazione del bene, e - in accoglimento della spiegata riconvenzionale - condannava il ricorrente al pagamento, in favore della resistente, della somma di Euro 8.970,01, oltre interessi ex articolo 1284, quarto comma, c.c. dalla domanda al saldo. 2.- Con atto di citazione notificato il 22 ottobre 2020, proponeva appello avverso la predetta decisione So.Ma., il quale lamentava: 1) l'erronea qualificazione giuridica del contratto intercorso tra le parti quale compravendita anziché appalto, con la conseguente preclusione dei rimedi previsti dalla normativa consumeristica; 2) l'incoerente rigetto della domanda di risoluzione contrattuale, quale rimedio contemplato in materia di appalto; 3) l'erronea od omessa valutazione delle prove; 4) l'omessa valutazione dell'eccessiva onerosità della riparazione o sostituzione della termo-stufa, quand'anche il contratto fosse stato qualificato come compravendita, ai fini della giustificazione dell'evocata risoluzione; 5) l'indebito accoglimento della domanda riconvenzionale di pagamento del corrispettivo, senza il ricevimento di alcuna controprestazione. Si costituiva in giudizio la SOLARE Italiano Srl, la quale - in via pregiudiziale - chiedeva che il gravame fosse dichiarato inammissibile e - nel merito - che esso fosse respinto, con la conferma della pronuncia impugnata. In via incidentale, chiedeva che fosse riformata la regolamentazione delle spese di giudizio, con la condanna dell'appellante principale al pagamento di una somma di denaro equitativamente determinata per l'instaurazione di una lite temeraria. Decidendo sul gravame interposto, la Corte d'Appello di Venezia, con la sentenza di cui in epigrafe, in accoglimento dell'appello principale e in totale riforma della sentenza impugnata, previa qualificazione del contratto intercorso tra le parti come appalto, ne pronunciava la risoluzione per inadempimento dell'appaltatore e, per l'effetto, condannava la SOLARE Italiano Srl alla restituzione, in favore di So.Ma., della somma ricevuta di Euro 5.000,00, oltre interessi legali, nonché al risarcimento dei danni nella misura di Euro 13.578,00, oltre IVA e interessi, con assorbimento dell'appello incidentale. A sostegno dell'adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che il Tribunale aveva operato un'erronea qualificazione giuridica della domanda introdotta dal ricorrente quale vendita di un bene di consumo, sebbene le parti, più propriamente, avessero concordato l'acquisto di una termo-stufa a pellet, con annessi accessori, l'installazione di pannelli solari e la conseguente progettazione e installazione dell'intero impianto termico; b) che l'oggetto della convenzione intercorsa era in effetti desumibile dalla descrizione delle forniture indicate: realizzazione di una canna fumaria, installazione del serbatoio di accumulo e impianto di distribuzione dei fluidi, impianto solare termico in copertura; c) che conseguentemente vi era stato un improprio inquadramento giuridico del rapporto negoziale quale vendita, con l'erronea applicazione dei referenti normativi di cui al codice del consumo, laddove, nella fattispecie, applicando i coefficienti interpretativi delineati dal giudice di legittimità, risultava in effetti prevalente l'obbligazione di facere, rappresentando la fornitura, in base ad una compiuta analisi dei dati fattuali, mero strumento per la realizzazione dell'opera; d) che le prestazioni oggetto dell'accordo convergevano per l'assoggettamento del negozio alla disciplina unitaria dell'appalto, tenuto conto della prevalenza degli elementi concorrenti a costituirlo e, circostanza di non poco conto, dell'estraneità della società SOLARE Italiano alla fabbricazione della stufa oggetto di installazione; e) che lo stesso elaborato tecnico acquisito agli atti di causa aveva avuto modo di evidenziare come detto prodotto necessitasse di una specifica progettazione della canna fumaria, ai sensi della norma UNI 10683/2012, della conseguente installazione, del collaudo e del rilascio delle certificazioni previste per legge; f) che solo a fronte della cornice di diritto attribuita alla fattispecie quale vendita, in presenza del comunque accertato difetto di conformità della termo-stufa, i rimedi della sostituzione o riparazione del bene, a cura e spese della pretesa venditrice, sarebbero stati prodromici all'invocata risoluzione; g) che, per l'effetto, qualificato il contratto intercorso tra le parti come appalto, le domande attoree dovevano essere in questa sede riconsiderate e, in particolare, la domanda di risoluzione del contratto doveva essere accolta, essendo l'opera risultata del tutto inadatta alla sua destinazione, giusta applicazione del parametro normativo di cui all'articolo 1668 c.c., inerente alla garanzia per difformità o vizi dell'opera, stante che era stata consegnata un'opera completa ma affetta da vizi ovvero non conforme per violazione delle prescrizioni pattuite per l'esecuzione della stessa ovvero delle regole imposte dalla tecnica; h) che l'espletata consulenza tecnica d'ufficio aveva accertato diffusi vizi riferibili ad inadempienze della SOLARE Italiano, sia con riferimento all'installazione del serbatoio di accumulo e all'impianto di distribuzione dei fluidi, sia con riferimento all'impianto solare termico in copertura, sia con riferimento alla termo-stufa a pellet, evidenziando una generale e diffusa inosservanza delle regole della tecnica e dell'arte e, segnatamente, era stata riscontrata la mancanza di presa d'aria obbligatoria di almeno 80 cmq. per l'apporto di aria comburente alla termo-stufa direttamente dall'esterno nonché il mancato convoglio in idoneo pozzetto degli scarichi delle valvole di sicurezza, con il conseguente pericolo di ustioni, nonché la mancata apposizione di una lastra in materiale isolante sotto la predetta termo-stufa; i) che le cause dello scoppio di quest'ultima risultavano accuratamente descritte dall'ausiliario del giudice nel settaggio non corretto, che avrebbe provocato uno sbilanciamento grave fra combustibile (pellet) e comburente (ossia l'ossigeno fornito dalla ventola dell'aria) a favore del primo elemento, il che avrebbe determinato il sopravvento del processo di gassificazione; l) che priva di rilievo, ai fini di paralizzare la risoluzione richiesta, era la manifestata volontà della SOLARE Italiano di sostituire la termo-stufa, facendosi direttamente carico delle connesse lavorazioni, essendo venuto meno il rapporto fiduciario posto a presidio delle obbligazioni assunte e comunque in assenza di elementi concreti in grado di riscontrare l'effettività di tale intendimento; m) che la consulenza resa in sede di A.T.P. era ammissibile, poiché la possibile modificazione dello stato dei luoghi, mediante sostituzione della termo-stufa, a seguito dello scoppio verificatosi, ne giustificava l'esperimento, a nulla rilevando che detto evento si fosse verificato a circa un anno di distanza dall'introduzione del ricorso. 3.- Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tredici motivi, la SOLARE Italiano Srl È rimasto intimato So.Ma.. 4.- Formulata proposta di definizione accelerata del giudizio per asserita improcedibilità del ricorso, la ricorrente ha tempestivamente proposto opposizione. Quindi, con ordinanza interlocutoria n. 25733/2024, depositata il 26 settembre 2024, all'esito dell'adunanza camerale del 17 settembre 2024, ritenuto che vi fosse la debita e tempestiva allegazione della copia notificata della sentenza impugnata, questa Corte ha rimesso la causa all'udienza pubblica, alla stregua della complessità dei motivi addotti. Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ex articolo 378, primo comma, c.p.c., in cui ha rassegnato le conclusioni trascritte in epigrafe. All'esito, la ricorrente ha depositato memoria illustrativa, ai sensi dell'articolo 378, secondo comma, c.p.c. Ragioni della decisione 1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 1470 e 1655 c.c., in combinato disposto con gli articolo 1362 e ss. c.c. e con gli articolo 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte di merito erroneamente interpretato il contratto concluso tra le parti l'8 agosto 2015 come appalto anziché come vendita, sebbene il Sottana, sin dall'inizio della vertenza, avesse sempre riconosciuto di aver stipulato con SOLARE Italiano un contratto definito a chiare note come compravendita, sicché, alla luce del principio di non contestazione, sarebbe stata vincolante la qualificazione in termini di compravendita, mentre solo con l'atto di citazione in appello, nel tentativo di sottrarsi alla disciplina consumeristica, l'appellante avrebbe affermato ex novo che la fattispecie fosse inquadrabile nello schema dell'appalto, deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte. Obietta l'istante che, essendo il giudice vincolato alla domanda e ai fatti confessati dalle parti ed avendo ad oggetto l'individuazione della volontà contrattuale (non già la qualificazione giuridica della stessa) una realtà fenomenica ed obiettiva, questi non avrebbe potuto adottare un'interpretazione della volontà contraria a quanto espressamente e concordemente affermato dalle parti in giudizio e posto specificamente a base delle proprie difese, con l'effetto che, sebbene il giudice non fosse vincolato all'interpretazione che le parti avevano dato del contratto, ma alla domanda e ai fatti confessati dalle parti, sarebbe stata preclusa un'interpretazione contraria alla volontà comune affermata dalle parti in giudizio. 1.1.- Il motivo è infondato. E ciò perché resta nel potere del giudicante la diversa qualificazione giuridica del contratto sulla scorta dell'immutato quadro fattuale reso. Pertanto, il giudice d'appello può qualificare il rapporto dedotto in giudizio in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti o ritenuto dal giudice di primo grado, purché non introduca nel tema controverso nuovi elementi di fatto, lasci inalterati il petitum e la causa petendi ed eserciti tale potere-dovere nell'ambito delle questioni, riproposte con il gravame, rispetto alle quali la qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica, dovendo, altrimenti, tale questione preliminare formare oggetto di esplicita impugnazione ad opera della parte che risulti, rispetto ad essa, soccombente (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 12875 del 15/05/2019; Sez. 1, Sentenza n. 16213 del 31/07/2015; Sez. 3, Sentenza n. 10617 del 26/06/2012; Sez. 3, Sentenza n. 8142 del 03/04/2009; Sez. 1, Sentenza n. 19090 del 11/09/2007). Ed ancora non costituisce domanda nuova, ai sensi dell'articolo 345 c.p.c., la prospettazione, in appello, di una diversa qualificazione giuridica del contratto oggetto di causa, ove basata appunto sui medesimi fatti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 15470 del 03/06/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 6292 del 02/03/2023; Sez. 3, Sentenza n. 4384 del 07/03/2016; Sez. 2, Sentenza n. 24055 del 25/09/2008; Sez. 2, Sentenza n. 19812 del 04/10/2004). Nella specie, sin dall'inizio del giudizio, il Sottana ha addotto che il contratto concluso dalle parti aveva ad oggetto la fornitura e l'installazione, presso la sua abitazione, di una termo-stufa Edilkamin, di un bollitore, di tre collettori solari, con accessori. Sulla scorta del descritto stato fattuale della negoziazione intercorsa tra le parti, rimasto immutato, l'appellante ha richiesto, con l'atto introduttivo del gravame, che il contratto fosse qualificato come appalto anziché come compravendita. Qualificazione giuridica che avrebbe potuto essere accolta, senza alcuna violazione del principio della domanda e senza l'integrazione di alcun vizio di ultrapetizione. 2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 1470 e 1655 c.c., in combinato disposto con gli articolo 1362 e ss. c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato il contratto concluso tra le parti, facendo malgoverno dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, dovendo considerarsi come contratti di vendita e non di appalto quelli concernenti la fornitura ed eventualmente anche la posa in opera, qualora l'assuntore dei lavori sia lo stesso fabbricante o chi faccia abituale commercio dei prodotti e dei materiali di che trattasi, salvo ovviamente che le clausole contrattuali obblighino l'assuntore degli indicati lavori a realizzare un quid novi rispetto alla normale serie produttiva, poiché, in questo caso, dovrebbe ritenersi prevalente l'obbligazione di facere, configurandosi elementi peculiari del contratto di appalto e precisamente l'intuitus personae e l'assunzione del rischio economico da parte dell'appaltatore. Obietta l'istante che il fatto che la ricorrente non avesse materialmente prodotto il manufatto in questione sarebbe stato del tutto irrilevante, fungendo pacificamente la stessa da stabile rivenditore autorizzato del medesimo prodotto, che di per sé avrebbe obbligato a ritenere sempre concluso un contratto di compravendita e non di appalto, posto che la prevalenza o meno del lavoro sulla materia, con riguardo alla volontà espressa dai contraenti, oltre che al senso oggettivo del negozio, avrebbe dovuto indurre a verificare, nella specie, che il lavoro fosse il mezzo per la trasformazione della materia e il conseguimento della cosa, sicché tale conseguimento avrebbe costituito l'effettiva finalità del contratto. In conseguenza, tenuto conto dell'elenco dei beni oggetto della fornitura (termo-stufa, bollitore e tre collettori solari, oltre accessori per la loro installazione, come i vasi di espansione, la raccorderia e le viti), senza alcun incarico di progettazione, il trasferimento della cosa cui era limitata la negoziazione avrebbe dovuto imporre la qualificazione del contratto come vendita, in ragione della palese maggior importanza del prodotto (la termo-stufa) sulle prestazioni di facere accessorie demandate alla ricorrente, considerato altresì che la canna fumaria non avrebbe dovuto essere realizzata, nel senso di costruita, ma semplicemente posata in opera, il che si sarebbe risolto nell'assemblaggio in loco di tubi in acciaio inox prodotti in serie, così come il serbatoio di accumulo, cioè il bollitore, parimenti sarebbe stato un prodotto realizzato su scala industriale, che avrebbe necessitato di una mera installazione, e così per l'impianto solare termico, ossia per i tre collettori solari, parimenti prodotti in serie, da fissare sul tetto dell'abitazione e da collegare al bollitore. 2.1.- Il motivo è fondato. 2.2.- Ora, il giudice del gravame ha qualificato il negozio giuridico concluso dalle parti l'8 agosto 2015 come appalto anziché come vendita, alla stregua della circostanza che le parti, più propriamente, avessero concordato l'acquisto di una termo-stufa a pellet, con annessi accessori, l'installazione di pannelli solari e la conseguente progettazione e installazione dell'intero impianto termico. Sicché la descrizione delle forniture indicate (realizzazione di una canna fumaria, installazione del serbatoio di accumulo e impianto di distribuzione dei fluidi, impianto solare termico in copertura) avrebbe giustificato una valutazione di prevalenza del lavoro sulla materia, tale da legittimare la qualificazione del contratto in termini di appalto, tanto più che la SOLARE Italiano non era la fabbricante della termo-stufa fornita (ma la semplice rivenditrice). 2.3.- Tanto premesso, la distinzione tra le due figure negoziali muove dall'analisi dell'obbligazione cui è tenuta la parte e della correlata valutazione circa la prevalenza dei requisiti del facere su quelli del dare nella causa in concreto dell'operazione negoziale ovvero della prevalenza del lavoro sulla materia. Occorre, all'esito, verificare se la descrizione della fattispecie concreta e la correlata qualificazione giuridica attribuita al contratto di specie siano coerenti con l'analisi astratta che è sottesa alla distinzione tra le due figure negoziali. Ebbene nel contratto di appalto vi è un fare che può essere comprensivo di un dare, mentre nel contratto di compravendita vi è un dare che può comportare anche un fare. Al riguardo, il metodo di ponderazione di detta prevalenza non può essere emarginato al solo aspetto soggettivo della volontà delle parti, ma quest'ultima dovrà essere letta sulla scorta del significato pratico dell'operazione negoziale, ossia della direzione funzionale del contratto, in modo da tenere conto dell'assetto di interessi dedotto nell'autoregolamento. La qualificazione, per l'effetto, presuppone che all'interpretazione della fattispecie concreta, secondo i criteri soggettivi e oggettivi, quale peculiare accertamento di fatto non sindacabile in sede nomofilattica, segua la comparazione degli elementi di sintesi del particolare contratto interpretato, ossia della causa concreta, con gli elementi di sintesi dello schema legale corrispondente, ovvero con la ratio propria dell'intera normativa dedicata al tipo negoziale, quale speciale operazione giuridica verificabile in sede di legittimità. Pertanto, nel caso in cui il contratto abbia ad oggetto la fornitura di beni prodotti con materiali ceduti dallo stesso esecutore della prestazione, il criterio fondamentale di distinzione tra le due figure si impernia sulla natura dell'attività espletata dal fornitore. È integrata la vendita se il lavoro è solamente uno strumento per trasformare la materia, mentre ricorre la figura dell'appalto quando la materia è un semplice mezzo per la produzione dell'opera e, quindi, il contratto ha per oggetto prevalentemente l'opera. Sicché il contratto è qualificabile come compravendita qualora detta attività consista nella trasformazione di materie prime in prodotti finiti, non necessariamente destinati ad essere riacquistati dall'originario cedente, e come appalto nel caso in cui essa consista, invece, nell'adattamento delle medesime materie alle specifiche esigenze del destinatario, sì da potersi considerare i prodotti come il risultato voluto ed effettivo della prestazione di un facere (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17855 del 22/06/2023; Sez. 5, Sentenza n. 1726 del 26/01/2007). Tutto ciò esige comunque una particolare cautela. L'analisi in ordine alla prevalenza del lavoro sulla materia deve essere condotta, non già sulla scorta del valore economico delle due componenti, ma in base alla rilevanza che a tali componenti hanno dato le parti nel regolamento contrattuale. Infatti, ove si ricada nell'ambito della vendita di cose rientranti nella normale produzione del venditore, difetta la faciendi necessitas, basata sul rapporto di prevalenza, in senso soggettivo - ossia con riguardo alla volontà delle parti -, dell'elemento del lavoro su quello della materia . Per converso, nell'appalto la faciendi necessitas è volta a creare la cosa mentre la prestazione della materia costituisce un semplice mezzo per la sua realizzazione. Dunque, nella vendita la res è negoziata come tale, non già come la risultante di un'attività: all'acquirente non interessa l'attività dell'alienante, bensì la cosa in sé. Per l'effetto, il discrimine tra compravendita di cosa futura e appalto si fonda sul criterio della prevalenza: nei casi in cui la prestazione del debitore consista sia in un dare che in un facere, occorre stabilire se l'attività lavorativa volta alla produzione della cosa sia prevalente rispetto alla fornitura del materiale ovvero se, al contrario, sia questa a costituire l'oggetto principale del negozio, rispetto al quale l'attività lavorativa, di adattamento della cosa alle specifiche esigenze della controparte, assume un rilievo accessorio e strumentale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5935 del 12/03/2018; Sez. 3, Sentenza n. 20301 del 20/11/2012; Sez. 2, Sentenza n. 6925 del 21/05/2001; Sez. 2, Sentenza n. 8445 del 21/06/2000; Sez. 2, Sentenza n. 14209 del 17/12/1999; Sez. 2, Sentenza n. 20391 del 24/07/2008; Sez. 2, Sentenza n. 3807 del 30/03/1995). Con la conseguenza che il criterio della prevalenza deve essere interpretato, non tanto nel senso di prevalenza meramente economica ed oggettiva nel raffronto tra lavoro e materia, quanto come prevalenza che l'intento oggettivizzato delle parti abbia dato all'uno o all'altro elemento, per cui si ha appalto quando la somministrazione della materia costituisce un mezzo per la produzione dell'opera e il lavoro è lo scopo essenziale del negozio; per converso, si ricade nella vendita ove il lavoro sia il mezzo ulteriore per la trasformazione della materia e il conseguimento della cosa costituisce lo scopo del negozio. Orbene, ai fini della determinazione dell'elemento dominante, può assumere rilievo il profilo dell'accessorietà o della centralità delle modifiche demandate all'esecutore: nella prima ipotesi la priorità della fornitura della materia attrae la fattispecie al modello della vendita; nella seconda la preminenza della prestazione d'opera enuclea lo schema dell'appalto. In sostanza, quando le modifiche che il soggetto obbligato alla prestazione è tenuto ad apportare a cose che rientrano nella sua normale attività produttiva non si risolvano in accorgimenti secondari e marginali, per adattarli alle esigenze previste contrattualmente, ma siano tali da far luogo ad un opus perfectum, di valore determinante ai fini del risultato, si rientra nello schema dell'appalto (per tutte Cass. Sez. U, Sentenza n. 7073 del 09/06/1992). Si ha cioè un prodotto diverso da quello normalmente realizzato dal fornitore, il che avviene quando sia necessario un cambiamento dei mezzi di produzione con una specifica attività di fabbricazione e di assemblaggio dei pezzi, compiuta con attrezzature idonee allo scopo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7697 del 08/09/1994). 2.4.- Nella fattispecie il fatto che sia stato evocato il ruolo centrale dell'acquisto di una termo-stufa a pellet, di un bollitore e di tre collettori solari, con i relativi accessori, rispetto al quale l'installazione ha avuto un ruolo marginale, e comunque non dirimente ai fini della creazione di un quid novi, impone una rivalutazione della qualificazione giuridica del contratto alla luce delle direttive innanzi delineate, ossia una rinnovata ponderazione della questione, tenuto conto della prevalenza della materia sul lavoro, o viceversa, secondo la volontà oggettivizzata nel contratto, in relazione allo scopo pratico perseguito. Sulla scorta degli elementi emarginati dalla stessa sentenza impugnata, con riferimento all'oggetto della contrattazione intervenuta tra le parti, le conclusioni cui essa è pervenuta non risultano, infatti, coerenti con la discriminazione astratta che è stata innanzi elaborata tra vendita e appalto, sotto il profilo dei canoni interpretativi, specie quello letterale, in concreto utilizzati. 3.- Con il terzo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 128, primo comma, cod. cons., per avere la Corte distrettuale escluso l'applicazione della disciplina consumeristica, sostenendo che l'esistenza di un appalto avrebbe escluso tout court l'operatività del D.Lgs. n. 206/2005, sebbene tale disciplina equipari ai contratti di vendita i contratti di permuta e di somministrazione nonché quello di appalto, di opera e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre. Per l'effetto, espone l'istante che, a fronte di un appalto di beni di consumo da fabbricare o produrre, non sarebbe stata affatto preclusa l'applicazione della disciplina consumeristica. 4.- Con il quarto motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 128,129,130,131 e 135 cod. cons., in combinato disposto con gli articolo 1453,1490 e 1668 c.c., per avere la Corte del gravame mal individuato i rimedi spettanti alla controparte (riparazione o sostituzione e, in seconda battuta, riduzione del prezzo o risoluzione) e la relativa gerarchia tra tali rimedi, potendo richiedersi la risoluzione solo ove i rimedi della riparazione o sostituzione per difetto di conformità fossero impossibili o eccessivamente onerosi, in ragione del ruolo sussidiario assegnato alla disciplina codicistica. Deduce, pertanto, l'istante che il Sottana non avrebbe potuto invocare tout court la risoluzione del contratto, a fronte dell'offerta della SOLARE Italiano della sostituzione gratuita della termo-stufa e senza che il consumatore avesse dedotto o dimostrato alcunché circa l'impossibilità o eccessiva onerosità dell'intervento sostitutivo. 5.- Con il quinto motivo la ricorrente rileva, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 1175,1375,1470 e 1655 c.c., in combinato disposto con gli articolo 1668 c.c. e 128, 129 e 130 cod. cons., per avere la Corte d'Appello mancato di considerare le offerte di riparazione e sostituzione formulate dalla ricorrente, che non avrebbero potuto essere trascurate in ragione dell'asserita perdita di fiducia nella SOLARE Italiano. Sicché, ad avviso dell'istante, la perdita di fiducia nel professionista non avrebbe giustificato il passaggio diretto all'azione di risoluzione, in violazione della gerarchia dei rimedi previsti dal codice del consumo. 6.- Con il sesto motivo la ricorrente sostiene, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 1668 c.c., in combinato disposto con l'articolo 345 c.p.c., in relazione alla risoluzione dell'appalto, per avere la Corte di secondo grado accolto la domanda di risoluzione dell'appalto, in ragione del fatto che l'opera fosse risultata del tutto inadatta alla sua destinazione, sebbene tale domanda fosse stata formulata per la prima volta in sede di gravame. 7.- Con il settimo motivo la ricorrente adduce, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione al mancato completamento dell'opera, per avere la Corte di merito accolto la domanda di risoluzione, come rimedio speciale previsto in materia di garanzia per le difformità e vizi nell'appalto, benché l'opera non fosse stata interamente compiuta, come sarebbe emerso dai fatti dedotti in causa, il che avrebbe giustificato l'applicazione della disciplina sulla comune responsabilità contrattuale ex articolo 1453 e 1455 c.c. 8.- Con l'ottavo motivo la ricorrente assume, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 1668 c.c., in relazione all'idoneità dell'opera, per avere la Corte territoriale disposto la risoluzione dell'appalto per assoluta inidoneità dell'opera a perseguire la destinazione prevista, sebbene i difetti contestati non incidessero in modo notevole sulla sua struttura e funzionalità e sebbene le criticità riscontrate fossero risolvibili e non tali da compromettere in modo definitivo e irreparabile l'opera stessa. 9.- Con il nono motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 5, c.p.c., dell'omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'idoneità dell'opera, per avere la Corte distrettuale prospettato l'assoluta inidoneità dell'opera rispetto alla destinazione sua propria, sebbene essa non emergesse dai fatti di causa, in ragione della possibilità di sostituzione e dell'entità dei difetti. 10.- Con il decimo motivo la ricorrente profila, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l'omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in relazione alle origini della detonazione, per avere la Corte del gravame trascurato un fatto dirimente, ossia che il Sottana, in data 27 ottobre 2015, avrebbe autonomamente effettuato ben 77 tentativi di accensione della stufa di cui trattasi, finendo per dare maldestramente causa all'incidente, come sarebbe stato dimostrato, in via documentale, dal modulo C.A.T. prodotto da controparte nel procedimento per A.T.P. e dalle prove orali raccolte. 11.- L'undicesimo motivo investe, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 115 e 116 c.p.c., in relazione alla valutazione delle deposizioni orali, per avere la Corte d'Appello travisato il quadro probatorio da cui sarebbe emerso che SOLARE Italiano aveva informato il Sottana della necessità di attendere il collaudo da parte degli operatori Edilkamin, dando corso a plurimi tentativi di messa in funzione del macchinario, come da testimonianze raccolte. 12.- Il dodicesimo motivo concerne, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 115,116 e 696 c.p.c., in relazione all'inutilizzabilità delle risultanze dell'A.T.P., per avere la Corte di secondo grado confermato l'utilizzabilità delle risultanze della consulenza svolta in sede di accertamento tecnico preventivo, nonostante il difetto originario del requisito del periculum, come prontamente reiterato dall'odierna ricorrente, atteso che il ricorso per A.T.P. era stato depositato solo in data 24 agosto 2016 e dunque a distanza di quasi un anno dal verificarsi dell'esplosione della stufa del 27 ottobre 2015, senza premurarsi di chiarire le ragioni per le quali non sarebbe stato possibile, a quel punto, attendere le tempistiche di un ordinario processo di cognizione, nel quale chiedere l'accertamento e la stima dei presunti danni asseritamente subiti a causa dell'operato della SOLARE Italiano. 13.- Il tredicesimo motivo riguarda, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per la mancata pronuncia sulle domande formulate dalla ricorrente, con espressa riproposizione delle questioni assorbite. 14.- I motivi che precedono sono assorbiti dall'accoglimento della seconda censura, poiché dipendono dalla qualificazione giuridica del contratto concluso tra le parti come appalto o come vendita. 15.- In definitiva, il secondo motivo del ricorso deve essere accolto, il primo motivo deve essere respinto mentre i rimanenti motivi sono assorbiti. La sentenza impugnata va, dunque, cassata, limitatamente al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d'Appello di Venezia, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai seguenti principi di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. Ai fini della discriminazione tra compravendita e appalto, nei casi in cui la prestazione del debitore consista sia in un dare che in un facere, occorre stabilire se l'attività lavorativa volta alla produzione della cosa sia prevalente rispetto alla fornitura del materiale, secondo la causa concreta del contratto, ovvero se, al contrario, sia questa a costituire l'oggetto principale del negozio, rispetto al quale l'attività lavorativa, di adattamento della cosa alle specifiche esigenze della controparte, assume un rilievo accessorio e strumentale . Ai fini della distinzione tra compravendita e appalto, quando le modifiche che il soggetto obbligato alla prestazione è tenuto ad apportare a cose che rientrano nella sua normale attività produttiva non si risolvano in accorgimenti secondari e marginali, per adattarli alle esigenze previste contrattualmente, ma siano tali da far luogo ad un opus perfectum, di valore determinante ai fini del risultato, si rientra nello schema dell'appalto; viceversa, allorché le attività integrative (come l'installazione) siano meramente strumentali alla fornitura della res e non diano luogo ad un'opera diversa, anche in ragione del rapporto economico sussistente tra valore della cosa e spese relative al compimento di tali attività integrative, si ricade nello schema della vendita . P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo motivo, dichiara assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 13 marzo 2025.