Facere vs dare: la Cassazione chiarisce la differenza tra appalto e vendita

Ai fini della discriminazione tra compravendita e appalto, nei casi in cui la prestazione del debitore consista sia in un dare che in un facere, occorre stabilire se l’attività lavorativa volta alla produzione della cosa sia prevalente rispetto alla fornitura del materiale, secondo la causa concreta del contratto, ovvero se, al contrario, sia questa a costituire l’oggetto principale del negozio, rispetto al quale l’attività lavorativa, di adattamento della cosa alle specifiche esigenze della controparte, assume un rilievo accessorio e strumentale.

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte chiarisce gli elementi essenziali del contratto di vendita e del contratto di appalto, precisando che, qualora la fattispecie in esame sia controversa, è necessario accertare, in concreto, l'attività richiesta e svolta e se, all'interno di questa, prevalga un'attività di adattamento del bene fornito o se, al contrario, l'obbligazione principale consista nel fornire quest'ultimo.  Il caso La vicenda decisa dalla sentenza in commento ha origine da un giudizio, avviato innanzi al Tribunale di Venezia, nel quale l'attore richiedeva la risoluzione del contratto di acquisto e installazione di una termo-stufa a pellet (danneggiata per uno scoppio) con annessi accessori, per inadempimento della società fornitrice, con la condanna di quest'ultima alla restituzione dell'acconto versato, al pagamento dell'ulteriore somma relativa al ripristino e contestuale risarcimento del danno. Il Tribunale adito rigettava le domande proposte dal ricorrente, previa qualificazione del contratto concluso tra le parti come vendita soggetta alla normativa di cui al codice del consumo. La sentenza veniva riformata in appello e, in particolare, la Corte d'appello di Venezia procedeva ad una riqualificazione del contratto intercorso tra le parti come appalto, pronunciandone la risoluzione per inadempimento dell'appaltatore, con condanna di quest'ultimo al risarcimento del danno. Avverso la sentenza di appello promuoveva ricorso per cassazione la società installatrice, contestando, per quanto di interesse in questa sede, l'erronea interpretazione del contratto concluso tra le parti, dovendo – in particolare - considerarsi come contratti di vendita e non di appalto quelli concernenti la fornitura ed eventualmente anche la posa in opera, qualora l'assuntore dei lavori sia lo stesso fabbricante o chi faccia abituale commercio dei prodotti e dei materiali di che trattasi, salvo ovviamente che le clausole contrattuali obblighino l'assuntore degli indicati lavori a realizzare un quid novi rispetto alla normale serie produttiva; in questo caso, infatti, dovrebbe ritenersi prevalente l'obbligazione di facere, configurandosi elementi peculiari del contratto di appalto e precisamente l'intuitus personae e l'assunzione del rischio economico da parte dell'appaltatore. La distinzione tra appalto e vendita Secondo la giurisprudenza, la distinzione tra appalto e vendita si basa su due elementi: la volontà dei contraenti e il rapporto fra il valore della materia (prestazione di dare) ed il valore della prestazione d'opera (prestazione di fare), da considerare non in senso oggettivo (quale valore economico della materia e/o dell'opera), bensì avuto riguardo alla comune intenzione dei contraenti. Si è in presenza di un contratto d'appalto o d'opera se l'oggetto effettivo e prevalente dell'obbligazione assunta dal produttore-venditore è la realizzazione di un opus unicum od anche di un opus derivato dalla serie, ma oggetto di sostanziali adattamenti o modifiche a richiesta del destinatario, laddove la fornitura della materia è un semplice elemento concorrente nel complesso della realizzazione dell'opera e di tutte le attività a tal fine intese. Al contrario, si è in presenza di un contratto di compravendita, se le attività necessarie a produrre il bene costituiscono solo l'ordinario ciclo produttivo del bene, che può anche concludersi con l'assemblaggio delle sue componenti presso il destinatario, ma è la sola consegna del bene stesso, l'effettiva obbligazione del produttore-venditore, insomma, nella compravendita, oggetto dell'obbligazione è un dare , nel contratto d'appalto o d'opera, oggetto dell'obbligazione è un facere . Appalto o vendita: rileva (anche) la volontà dei contraenti La distinzione tra vendita ed appalto, peraltro, non si esaurisce nel dato meramente oggettivo del raffronto fra il valore della materia e il valore della prestazione d'opera, ma è necessario avere riguardo alla volontà dei contraenti, per cui si ha appalto quando la prestazione costituisce un mezzo per la produzione dell'opera e il lavoro è lo scopo essenziale del negozio in modo che le modifiche da apportare alle cose pur rientranti nella normale attività produttiva dell'imprenditore che si obbliga a fornirle ad altri, consistono non già in accorgimenti marginali e secondari diretti ad adattarli alle specifiche esigenze del destinatario della prestazione, ma sono tali da dare luogo ad un opus perfectum inteso come effettivo e voluto risultato della prestazione. Quid novi e contratto di appalto Sulla base delle distinzione di cui sopra, devono considerarsi contratti di vendita (e non di appalto) i contratti concernenti la fornitura ed eventualmente anche la posa in opera qualora l'assuntore dei lavori sia lo stesso fabbricante o chi fa abituale commercio dei prodotti e dei materiali di che trattasi, salvo che le clausole contrattuali obbligano l'assuntore degli indicati lavori a realizzare un quid novi rispetto alla normale serie produttiva, perché in questo caso dovrebbe ritenersi prevalente l'obbligazione di facere. La risoluzione in caso di appalto La distinzione incide anche sui rimedi esperibili e sulle diverse modalità di valutazione dell'inadempimento. Nel contratto di appalto, ai sensi dell'articolo 1668, c. 2, c.c. il rimedio della risoluzione del contratto d'appalto presuppone che le difformità o i vizi dell'opera realizzata siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, oggettiva o desumibile dagli accordi negoziali delle parti coinvolte, essendo normativamente richiesto un inadempimento dell'appaltatore più grave rispetto, ad esempio, a quello richiesto nell'ambito del contratto di compravendita dall'articolo 1490 c.c. e in deroga a quanto previsto in linea generale dall'articolo 1455 c.c. A differenza della vendita, quando i vizi della cosa venduta siano tali da diminuire in modo apprezzabile il suo valore, la disciplina dettata dell'articolo 1668 c.c., in materia di appalto, consente al committente di chiedere la risoluzione del contratto soltanto nel caso in cui i difetti dell'opera, incidendo in modo notevole sulla struttura e sulla funzionalità della stessa, siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione oggettiva ovvero all'uso particolare cui debba essere specificamente destinata in base al contratto. La disciplina applicabile nel c.d. “contratto misto” Anche nel contratto “misto” rileva, con particolari modalità, il criterio della prevalenza. Al riguardo, al fine di stabilire la disciplina applicabile, compresa quella della garanzia per vizi, deve aversi riguardo al criterio della prevalenza causale sulla base della volontà delle parti, sicché si ha appalto quando la prestazione dell'opera ed il lavoro costituiscono lo scopo essenziale, mentre si ha compravendita quando il risultato perseguito dalle parti è essenzialmente il trasferimento del bene, e la prestazione dell'opera è prevista al solo fine di assicurare l'utilità del bene ceduto.

Presidente Di Virgilio - Relatore Trapuzzano Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.