Per l’AG, ai sensi della Direttiva 2013/32, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, l’Accordo siglato tra Italia ed Albania nel 2024 non osta a tale Direttiva ed al diritto comunitario: ciascun Stato membro con un atto legislativo può designarne un terzo come paese sicuro, avendo l’obbligo, però, di fornire per un controllo giurisdizionale interno le fonti su cui ha basato questa decisione.
Nello stesso momento in cui è attribuito lo status di paese sicuro, lo Stato attribuente può individuare categorie limitate di persone che possono essere esposte, in tale paese, al rischio di persecuzioni o violazioni gravi. È quanto emerge dalle Conclusioni EU:C:2025:260, C-758 e759/24 rassegnate il 10 aprile. Si precisa che, sebbene i due procedimenti principali riguardino la designazione del Bangladesh come paese sicuro nell'ambito di un gravame per la concessione della protezione internazionale agli stessi, nella domanda avanzata il 4/11/24 si fa espresso riferimento agli Accordi siglati tra Italia ed Albania, che hanno suscitato un aspro dibattito interno, soprattutto sull'individuazione della competente autorità a designare uno Stato terzo come sicuro. Nelle fattispecie esaminate in queste Conclusioni i ricorrenti ed il giudice di rinvio contestano, però, la mancata indicazione delle fonti su cui era basata la designazione del Bangladesh come paese sicuro, sì che rispettivamente sarebbero privati della possibilità di contestare e di controllare la legittimità di una siffatta presunzione di sicurezza, esaminando in particolare la provenienza, l'autorità, l'affidabilità, la pertinenza, l'attualità e l'esaustività di tali fonti, pur essendo però presenti nel «precedente regime». Protocollo tra Italia ed Albania e sua validità Il protocollo tra l'Italia e l'Albania del 6/11/23, ratificato con la legge numero 14/2024, istituisce un centro di permanenza e rimpatrio in territorio albanese, sotto giurisdizione italiana. Tale centro è destinato ai richiedenti protezione internazionale e consente l'applicazione di una procedura accelerata alla frontiera, valida per i cittadini di paesi considerati sicuri, facoltà espressamente prevista dalla summenzionata Direttiva. Sinora le Corti interne avevano ordinato il rientro di tutti i richiedenti trasferiti presso questo Centro, perché l'Albania non era ritenuto un paese sicuro ed era nata una diatriba su chi spettasse riconoscere tale status ad un paese terzo, con un acceso dibattito interno. Con queste Conclusioni è fornita una prima risposta a detti dubbi, convalidandone la liceità, fermo restando quanto sarà deciso nella sentenza della CGUE. Ciascun Stato membro designa gli Stati sicuri Infatti, l'inserimento dell'Albania in un elenco di paesi sicuri era già stato previsto dall'arti 2-bis, commi da 1 a 4, d.lgs. numero 25/08 (Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, poi modificato dal d.l. numero158/24. In dette disposizioni si stabilisce anche che tale elenco dovrà essere aggiornato periodicamente (in genere entro il 15 gennaio di ciascun anno) ed inviato alla Commissione. Nell'articolo 1, comma 2, del decreto interministeriale del 7/5/24 maggio 2024 (Aggiornamento della lista dei Paesi di origine sicuri prevista dall'articolo 2-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, numero 25) si stabilisce che «nell'ambito dell'esame delle domande di protezione internazionale, la situazione particolare del richiedente è valutata alla luce delle informazioni contenute nelle schede sul Paese di origine indicate nell'istruttoria di cui in premessa». È stata eccepita una modifica nella designazione di tali paesi sicuri, tra cui il Bangladesh, paese d'origine dei due ricorrenti. Infatti, sino al DL 158/24 tale indicazione avveniva in due step: «in un primo momento, la legge definiva il quadro giuridico di detta designazione (metodo, criteri, fonti di informazione, elementi di valutazione) mentre, in un secondo momento, l'autorità amministrativa competente designava, mediante decreto interministeriale, i paesi di origine sicuri sulla base di schede informative relative a detti paesi». Attualmente viene fornito direttamente l'elenco. È palese che detta designazione è valida perché è stata fatta da diversi atti legislativi nel corso degli anni di cui il contestato Protocollo tra Italia ed Albania è solo l'ultimo tassello. Idem per l'indicazione del Bangladesh come paese sicuro. In estrema sintesi l'AG, stante il fatto che la Direttiva 2013/132 non indica espressamente l'autorità interna designata a formare tale elenco ed a riconoscere lo status di sicuro ad un paese terzo, avendo perciò ciascun membro un ampio margine discrezionale, pur nel rispetto del primato del diritto comunitario, con conseguente onere del giudice interno di disapplicare tutte le norme eventualmente contrarie allo stesso, suggerisce che «gli articolo 36 e 37 della direttiva 2013/32 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una prassi in forza della quale uno Stato membro procede alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro mediante atto legislativo, a condizione che tale prassi garantisca il primato del diritto dell'Unione e assicuri la piena efficacia di detta direttiva, conformemente agli obblighi da essa sanciti e agli obiettivi che essa persegue». Cosa succede se lo Stato designante non fornisce le fonti da cui desumere tale status? L'AG precisa che i controlli che i giudici interni devono operare ai sensi di detto articolo 36 «impone di superare la presunzione di sicurezza del paese interessato in uno specifico caso quando, in esito a una valutazione soggettiva e circostanziata di una domanda, risulta che detto paese non è sicuro in ragione della situazione individuale di un richiedente. Esse riguardano unicamente l'ipotesi in cui il richiedente contesti egli stesso la designazione del suo paese di origine come paese di origine sicuro. Dai considerando 25 e 50 e dall'articolo 46, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 si evince che i richiedenti protezione internazionale, provenienti da un paese terzo designato come paese di origine sicuro e la cui domanda è oggetto di una procedura di esame accelerata, devono disporre del diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso le decisioni adottate nei loro confronti alla frontiera o nelle zone di transito. L'articolo 46, paragrafo 3, di detta direttiva definisce la portata di tale diritto precisando che gli Stati membri devono assicurare che il giudice dinanzi al quale è contestata la decisione relativa alla domanda di protezione internazionale proceda all'«esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l'esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95]». (neretto, nda). In estrema sintesi, vige il principio della pubblicità delle fonti su cui si basa detta designazione. «In caso di mancata divulgazione di dette fonti di informazione, l'autorità giudiziaria competente può controllare la legittimità di una siffatta designazione alla luce delle condizioni enunciate nell'allegato I a detta direttiva sulla base delle fonti di informazione che essa stessa ha raccolto tra quelle menzionate all'articolo 37, paragrafo 3, della direttiva medesima» (neretto, nda). Nelle fattispecie il giudice di rinvio ha affermato che le stesse erano presenti e rese pubbliche «nel precedente regime». Eccezioni per determinate categorie All'interno di alcuni paesi considerati sicuri ci possono essere ragioni politiche, religiose etc. che possono mettere a rischio determinate categorie di persone come membri della comunità LGBTQ+, donne oggetto di violenza di genere e mutilazioni genitali etc. In questi casi l'AG propone di rispondere all'ultimo punto della pregiudiziale così: «l'articolo 36 e l'articolo 37, paragrafo 1, nonché l'allegato I della direttiva 2013/32 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che uno Stato membro designi un paese terzo come paese di origine sicuro ai fini dell'esame delle domande di protezione internazionale, identificando nel contempo categorie limitate di persone come potenzialmente esposte a un rischio di persecuzioni o violazioni gravi in detto paese a condizione, da un lato, che la situazione giuridica e politica del suddetto paese caratterizzi un regime democratico nell'ambito del quale la popolazione gode, in generale, di una protezione duratura contro tale rischio e, dall'altro, che detto Stato membro proceda correlativamente a escludere espressamente tali categorie di persone dall'applicazione del concetto di paese di origine sicuro e della presunzione di sicurezza ad esso collegata».
I. Introduzione 1. Il concetto di paese di origine sicuro, il cui principio e le cui modalità di attuazione sono definite agli articoli 36 e 37 e all'allegato I alla direttiva 2013/32/UE (2), consente agli Stati membri di prevedere un regime particolare di esame delle domande di protezione internazionale in forza del quale essi possono accelerare la procedura d'esame o svolgerla alla frontiera o in zone di transito, poiché si presume che i richiedenti provenienti da un siffatto paese possano ivi beneficiare di una protezione sufficiente contro il rischio di persecuzioni o violazioni gravi dei loro diritti fondamentali. 2. L'introduzione del concetto di paese di origine sicuro nel diritto dell'Unione ha sollevato molti interrogativi, tra cui quelli relativi alla legittimità e all'obiettività della valutazione operata dagli Stati membri in tale contesto (3). Già nel 1992, allorquando detto concetto è stato introdotto nel diritto internazionale dei rifugiati, Guy Serle Goodwin-Gill si era interrogato in tal senso in un contributo fondamentale: «Who then is to say that countries are safe? And by whose standards? Secret men in secret rooms reading secret memos? No» (4). 3. Le presenti cause sollevano giustamente la questione della portata del potere e delle competenze degli Stati membri nell'ambito della designazione dei paesi di origine sicuri e si inseriscono nel solco della sentenza del 4 ottobre 2024, Ministerstvo vnitra České republiky, Odbor azylové a migrační politiky (5). Le questioni pregiudiziali presentate dal Tribunale ordinario di Roma (Italia) sono poste qui in un contesto particolare in cui i richiedenti protezione internazionale interessati sono due cittadini di un paese terzo designato come paese di origine sicuro dalla normativa italiana, vale a dire il Bangladesh, i quali, di conseguenza, sono stati condotti nel centro di permanenza di Gjadër (Albania) dove la loro domanda è stata esaminata nell'ambito di una procedura accelerata «alla frontiera» e poi respinta come manifestamente infondata (6). 4. Le questioni dalla prima alla terza concernono l'applicazione del concetto di paese di origine sicuro e mirano a chiarire gli obblighi incombenti agli Stati membri in tale contesto, per garantire l'esistenza di un controllo giurisdizionale effettivo ai sensi dell'articolo 46 della direttiva 2013/32 e dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (7). Infatti, il giudice del rinvio chiede alla Corte di precisare in che misura uno Stato membro possa procedere, mediante atto avente forza di legge, alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro senza che, a causa della mancata divulgazione delle fonti di informazione su cui detta designazione si fonda, il richiedente proveniente dal paese interessato e il giudice nazionale investito del ricorso avverso la decisione di rigetto adottata nei confronti di detto richiedente siano messi in condizione, rispettivamente, di contestare e controllare la legittimità di una siffatta designazione nell'ambito di un esame completo ed ex nunc della domanda di protezione internazionale. 5. La quarta questione pregiudiziale verte, dal canto suo, sulla nozione stessa di «paese di origine sicuro» ed è diretta a chiarire i termini dell'allegato I alla direttiva 2013/32. Infatti, posto che le fonti di informazione disponibili sulla situazione generale del Bangladesh danno atto dell'esistenza di un rischio di persecuzioni o violazioni gravi con riferimento a determinate categorie di persone che vivono in tale paese, il giudice del rinvio chiede alla Corte se uno Stato membro possa designare un paese terzo come paese di origine sicuro se una parte della sua popolazione (8) può non beneficiare di una protezione sufficiente in detto paese. II. Contesto normativo A. Diritto dell'Unione 6. I considerando 18, 40 e 42 della direttiva 2013/32 così recitano: «(18) È nell'interesse sia degli Stati membri sia dei richiedenti protezione internazionale che sia presa una decisione quanto prima possibile in merito alle domande di protezione internazionale, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo. (...) (40) Criterio fondamentale per stabilire la fondatezza della domanda di protezione internazionale è la sicurezza del richiedente nel paese di origine. Se un paese terzo può essere considerato paese di origine sicuro, gli Stati membri dovrebbero poterlo designare paese sicuro e presumerne la sicurezza per uno specifico richiedente, a meno che quest'ultimo non adduca controindicazioni. (...) (42) La designazione di un paese terzo quale paese di origine sicuro ai fini della presente direttiva non può stabilire una garanzia assoluta di sicurezza per i cittadini di tale paese. Per la sua stessa natura, la valutazione alla base della designazione può tener conto soltanto della situazione civile, giuridica e politica generale in tale paese e se in tale paese i responsabili di persecuzioni, torture o altre forme di punizione o trattamento disumano o degradante siano effettivamente soggetti a sanzioni se riconosciuti colpevoli. Per questo motivo è importante che, quando un richiedente dimostra che vi sono validi motivi per non ritenere sicuro tale paese per la sua situazione particolare, la designazione del paese come sicuro non può più applicarsi al suo caso». 7. L'articolo 31 di detta direttiva, intitolato «Procedura di esame», dispone, al suo paragrafo 8, lettera b), quanto segue: «Gli Stati membri possono prevedere che una procedura d'esame, nel rispetto dei principi fondamentali e delle garanzie del capo II, sia accelerata e/o svolta alla frontiera o in zone di transito a norma dell'articolo 43 se: (...) b) il richiedente proviene da un paese di origine sicuro a norma della presente direttiva; (...)». 8. Ai sensi dell'articolo 36 di detta direttiva, dal titolo «Concetto di paese di origine sicuro»: «1. Un paese terzo designato paese di origine sicuro a norma della presente direttiva può essere considerato paese di origine sicuro per un determinato richiedente, previo esame individuale della domanda, solo se: a) questi ha la cittadinanza di quel paese; ovvero b) è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel paese, e non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per quanto riguarda la sua qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE [(9)]. 2. Gli Stati membri stabiliscono nel diritto nazionale ulteriori norme e modalità inerenti all'applicazione del concetto di paese di origine sicuro». 9. L'articolo 37 della direttiva 2013/32, intitolato «Designazione nazionale dei paesi terzi quali paesi di origine sicuri», è formulato come segue: «1. Gli Stati membri possono mantenere in vigore o introdurre una normativa che consenta, a norma dell'allegato I, di designare a livello nazionale paesi di origine sicuri ai fini dell'esame delle domande di protezione internazionale. 2. Gli Stati membri riesaminano periodicamente la situazione nei paesi terzi designati paesi di origine sicuri conformemente al presente articolo. 3. La valutazione volta ad accertare che un paese è un paese di origine sicuro a norma del presente articolo si basa su una serie di fonti di informazioni, comprese in particolare le informazioni fornite da altri Stati membri, dall'[Agenzia dell'Unione europea per l'asilo (EUAA) (10)], dall'UNHCR, dal Consiglio d'Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti. 4. Gli Stati membri notificano alla Commissione [europea] i paesi designati quali paesi di origine sicuri a norma del presente articolo». 10. L'articolo 46 di detta direttiva, relativo al «[d]iritto a un ricorso effettivo», prevede quanto segue: «1. Gli Stati membri dispongono che il richiedente abbia diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi: a) la decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, compresa la decisione: i) di ritenere la domanda infondata in relazione allo status di rifugiato e/o allo status di protezione sussidiaria; (...) iii) presa alla frontiera o nelle zone di transito di uno Stato membro a norma dell'articolo 43, paragrafo 1; (...) 3. Per conformarsi al paragrafo 1 gli Stati membri assicurano che un ricorso effettivo preveda l'esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l'esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95], quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado. (...)». 11. L'allegato I alla direttiva 2013/32, intitolato «Designazione dei paesi di origine sicuri ai fini dell'articolo 37, paragrafo 1», è formulato come segue: «Un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell'articolo 9 della direttiva [2011/95], né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Per effettuare tale valutazione si tiene conto, tra l'altro, della misura in cui viene offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante: a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in cui sono applicate; b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali [(11)] e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici [(12)] e/o nella Convenzione [contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (13)], in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma dell'articolo 15, paragrafo 2, [CEDU]; c) il rispetto del principio di “non-refoulement” conformemente alla convenzione [relativa allo status dei rifugiati (14)]; d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà». B. Diritto italiano 1. Decreto legislativo numero 25/2008 12. L'articolo 2-bis, commi da 1 a 4, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, numero 25 – Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato [GU 2005, L 326, pag. 13] (15), come modificato dal decreto-legge 23 ottobre 2024, numero 158 – Disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale (16) (17), prevede quanto segue: «1. In applicazione dei criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea e dei riscontri rinvenuti dalle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti, sono considerati Paesi di origine sicuri i seguenti: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d'Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia. 2. Uno Stato non appartenente all'Unione europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione (...), né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l'eccezione di categorie di persone. 3. Ai fini della valutazione di cui al comma 2 si tiene conto, tra l'altro, della misura in cui è offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante: a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del Paese ed il modo in cui sono applicate; b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella [CEDU], nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (...), e nella [convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti], in particolare dei diritti ai quali non si può derogare a norma dell'articolo 15, paragrafo 2, della [CEDU]; c) il rispetto del principio di cui all'articolo 33 della [c]onvenzione [relativa allo status dei rifugiati]; d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà. 4. La valutazione volta ad accertare che uno Stato non appartenente all'[Unione] è un Paese di origine sicuro si basa sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, che si avvale anche delle notizie elaborate dal centro di documentazione (...), nonché su altre fonti di informazione, comprese in particolare quelle fornite da altri Stati membri (...), dall'[EUAA], dall'UNHCR, dal Consiglio d'Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti. 4-bis L'elenco dei Paesi di origine sicuri è aggiornato periodicamente con atto avente forza di legge ed è notificato alla Commissione (...). Ai fini dell'aggiornamento dell'elenco di cui al comma 1, il Consiglio dei Ministri delibera, entro il 15 gennaio di ciascun anno, una relazione, nella quale, compatibilmente con le preminenti esigenze di sicurezza e di continuità delle relazioni internazionali e tenuto conto delle informazioni di cui al comma 4, riferisce sulla situazione dei Paesi inclusi nell'elenco vigente e di quelli dei quali intende promuovere l'inclusione. Il Governo trasmette la relazione alle competenti Commissioni parlamentari». 13. Ai sensi dell'articolo 9, comma 2-bis, del decreto legislativo numero 25/2008: «La decisione con cui è rigettata la domanda presentata dal richiedente (...) è motivata dando atto esclusivamente che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro il Paese designato di origine sicuro in relazione alla situazione particolare del richiedente stesso». 14. L'articolo 28-ter, comma 1, lettera b), di detto decreto legislativo così dispone: «La domanda è considerata manifestamente infondata (...) quando ricorra una delle seguenti ipotesi: (...) b) il richiedente proviene da un Paese designato di origine sicuro ai sensi dell'articolo 2-bis». 2. Decreto interministeriale 15. L'articolo 1, comma 2, del decreto 7 maggio 2024 – Aggiornamento della lista dei Paesi di origine sicuri prevista dall'articolo 2-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, numero 25 (18), prevede quanto segue: «Nell'ambito dell'esame delle domande di protezione internazionale, la situazione particolare del richiedente è valutata alla luce delle informazioni contenute nelle schede sul Paese di origine indicate nell'istruttoria di cui in premessa». III. Fatti dei procedimenti principali e questioni pregiudiziali 16. I ricorrenti nei procedimenti principali sono cittadini del Bangladesh. Dopo essere stati soccorsi in mare dalle autorità italiane, essi sono stati condotti, in applicazione dell'articolo 3, paragrafi 2 e 3, del Protocollo di accordo citato alla nota 6 delle presenti conclusioni, nel centro di permanenza di Gjadër dove, il 16 ottobre 2024, ciascuno di loro ha presentato domanda di protezione internazionale. 17. Conformemente alle pertinenti disposizioni nazionali, tali domande sono state esaminate dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma – sezione procedure alla frontiera II, nell'ambito di una procedura accelerata alla frontiera. Con decisioni del 17 ottobre 2024, quest'ultima ha respinto le loro domande in quanto manifestamente infondate, non essendo essi riusciti a confutare la presunzione di sicurezza del loro paese di origine. 18. Il 25 ottobre 2024 ciascuno dei ricorrenti ha presentato ricorso avverso dette decisioni dinanzi al Tribunale ordinario di Roma, il quale ha deciso di sospendere il procedimento e sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se il diritto dell'Unione, ed in particolare gli articoli 36, 37 e 38 della direttiva [2013/32], letti anche in combinazione con i suoi considerando 42, 46 e 48, ed interpretati alla luce dell'articolo 47 della [Carta] (e degli articoli 6 e 13 della CEDU), osti a che un legislatore nazionale, competente a consentire la formazione di elenchi di Paesi di origine sicuri ed a disciplinare i criteri da seguire e le fonti da utilizzare a tal fine, proceda anche a designare direttamente, con atto legislativo primario, uno Stato terzo come Paese di origine sicuro; 2) se comunque il diritto dell'Unione, ed in particolare gli articoli 36, 37, e 38 della medesima direttiva, letti anche in combinazione con i suoi considerando 42, 46 e 48, ed interpretati alla luce dell'articolo 47 della [Carta] (e degli articoli 6 e 13 della CEDU), osti quanto meno a che il legislatore designi uno Stato terzo come Paese di origine sicuro senza rendere accessibili e verificabili le fonti adoperate per giustificare tale designazione, così impedendo al richiedente asilo di contestarne, ed al giudice di sindacarne la provenienza, l'autorevolezza, l'attendibilità, la pertinenza, l'attualità, la completezza, e comunque in generale il contenuto, e di trarne le proprie valutazioni sulla sussistenza delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all'allegato I [a detta] direttiva; 3) se il diritto dell'Unione, ed in particolare gli articoli 36, 37, e 38 della medesima direttiva, letti anche in combinazione con i suoi considerando 42, 46 e 48, ed interpretati alla luce dell'articolo 47 della [Carta] (e degli articoli 6 e 13 della CEDU), debba essere interpretato nel senso che, nel corso di una procedura accelerata di frontiera [per persone provenienti] da Paese di origine designato sicuro, il giudice possa in ogni caso utilizzare informazioni sul Paese di provenienza, attingendole autonomamente dalle fonti di cui al paragrafo 3 dell'articolo 37 [di detta] direttiva, utili ad accertare la sussistenza delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all'allegato I della [medesima] direttiva; 4) se il diritto dell'Unione, ed in particolare gli articoli 36, 37, e 38 della medesima direttiva, nonché il suo allegato I, letti anche in combinazione con i suoi considerando 42, 46 e 48, ed interpretati alla luce dell'articolo 47 della [Carta] (e degli articoli 6 e 13 della CEDU), osti a che un Paese terzo sia definito “di origine sicuro” qualora vi siano, in tale Paese, categorie di persone per le quali esso non soddisfa le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all'allegato I [a detta] direttiva». 19. Con decisione del presidente della Corte del 21 novembre 2024, le cause C‑758/24 e C‑759/24 sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento, nonché della sentenza. 20. Il giudice del rinvio ha chiesto l'applicazione del procedimento pregiudiziale d'urgenza previsto all'articolo 107 del regolamento di procedura della Corte. Con decisione del 19 novembre 2024, la Corte ha deciso di respingere tale domanda. 21. Il giudice del rinvio ha chiesto altresì, in via subordinata, di trattare le presenti cause secondo il procedimento pregiudiziale accelerato di cui all'articolo 105 del regolamento di procedura. Il 21 novembre 2024 il presidente della Corte ha accolto tale domanda. 22. LC (causa C‑758/24) e CP (causa C‑759/24), i governi italiano, bulgaro, ceco, tedesco, ellenico, francese, cipriota, lettone, lituano, ungherese, maltese, dei Paesi Bassi, austriaco, polacco, slovacco, finlandese e svedese, nonché la Commissione hanno depositato osservazioni scritte e/o orali. All'udienza, tenutasi il 25 febbraio 2025, essi hanno potuto rispondere ai quesiti loro rivolti dalla Corte ai fini di una risposta orale. IV. Analisi A. Sulla ricevibilità 23. Nell'ambito delle sue osservazioni, il governo italiano eccepisce l'irricevibilità della prima, seconda e quarta questione pregiudiziale. 24. In primo luogo, detto governo sostiene che il giudice del rinvio non precisa la norma del diritto dell'Unione che disciplinerebbe le modalità di designazione di paesi terzi come paesi di origine sicuri e osterebbe a una siffatta designazione mediante atto legislativo. 25. Orbene, si deve constatare che il giudice del rinvio illustra, in maniera esaustiva, ai punti da 17 a 28 della sua domanda, le disposizioni pertinenti del diritto internazionale, del diritto dell'Unione e del diritto italiano. Il decreto‑legge numero 158/2024, cui esso si riferisce, richiama peraltro espressamente nei suoi considerando sia la direttiva 2013/32 che il regolamento 2024/1348 e la sentenza CV, cosicché il quadro giuridico è chiaramente fissato. 26. In secondo luogo, il governo italiano sostiene che l'interpretazione richiesta relativa alle modalità di tale designazione è irrilevante ai fini della definizione del procedimento principale, nella misura in cui essa non ha alcun impatto concreto sulla situazione specifica dei ricorrenti e sull'esito dei loro ricorsi (19). A tal riguardo, esso sottolinea che il Bangladesh era già stato designato come paese di origine sicuro dal decreto interministeriale. Il decreto-legge numero 158/2024 si sarebbe limitato a escludere dall'elenco dei paesi di origine sicuri quelli per i quali esistevano eccezioni territoriali in applicazione della sentenza CV e le modifiche da esso introdotte con riferimento alla procedura di adozione dell'elenco dei paesi di origine sicuri non inciderebbe sulla procedura di valutazione e revisione delle condizioni di sicurezza di ciascun paese inserito in detto elenco. 27. Orbene, le questioni pregiudiziali non sono sollevate sotto questo profilo. Come sottolinea il giudice del rinvio, le modifiche introdotte dal decreto‑legge numero 158/2024 hanno chiaramente inciso sulle possibilità e sulle modalità di controllo giurisdizionale di detta designazione, nella misura in cui detto decreto‑legge ha comportato l'elevazione a rango di norma legislativa della designazione di paesi terzi come paesi di origine sicuri, senza che il legislatore italiano chiarisca il metodo di valutazione e i criteri di giudizio adoperati in concreto, nonché le fonti dalle quali ha tratto le pertinenti informazioni sulla situazione generale dei paesi interessati. 28. In terzo luogo, il governo italiano sostiene che la quarta questione è astratta e ipotetica poiché il giudice del rinvio non avrebbe operato alcuna attività istruttoria per accertare che il Bangladesh non sia un paese di origine sicuro per alcune categorie di persone e che i richiedenti apparterrebbero a una di dette categorie. 29. Orbene, nella misura in cui la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro comporta conseguenze procedurali importanti quanto alle modalità di trattamento delle domande di protezione internazionale presentate dai ricorrenti provenienti da detto paese, una questione siffatta non è né astratta né ipotetica nell'ambito del controllo di legittimità di tale designazione. 30. Ritengo che non sussista, pertanto, alcun ostacolo alla ricevibilità delle questioni pregiudiziali. B. Nel merito 31. In ognuna delle questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio si richiama agli articoli 36, 37 e 38 della direttiva 2013/32. Orbene, benché gli articoli 36 e 37 di detta direttiva definiscano effettivamente il principio e le modalità di attuazione del concetto di paese di origine sicuro, per contro, l'articolo 38 della medesima precisa le condizioni di applicazione di un altro concetto giuridico, vale a dire quello di paese terzo sicuro. Tenuto conto del fatto che i procedimenti principali non riguardano un «paese terzo sicuro» e nella misura in cui detto concetto è disciplinato da norme diverse, esaminerò tali questioni alla luce delle sole disposizioni previste agli articoli 36 e 37 di detta direttiva. 1. Sulla prima questione pregiudiziale, relativa alla natura della norma che designa paesi terzi come paesi di origine sicuri 32. Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente alla Corte se gli articoli 36 e 37 della direttiva 2013/32 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro proceda alla designazione di paesi terzi come paesi di origine sicuri mediante atto legislativo. 33. Tale questione trae origine dal fatto che, sino all'adozione del decreto‑legge numero 158/2024, le autorità italiane procedevano alla designazione di paesi terzi come paesi di origine sicuri in due fasi. In un primo momento, la legge definiva il quadro giuridico di detta designazione (metodo, criteri, fonti di informazione, elementi di valutazione) mentre, in un secondo momento, l'autorità amministrativa competente designava, mediante decreto interministeriale, i paesi di origine sicuri sulla base di schede informative relative a detti paesi. 34. Orbene, il decreto‑legge numero 158/2024 ha modificato tale regime affidando al legislatore italiano il compito di procedere a detta designazione. L'articolo 2-bis del decreto legislativo numero 25/2008 designa così un certo numero di paesi terzi, tra cui il Bangladesh, come paesi di origine sicuri. Tale intervento legislativo sembra aver introdotto una modifica importante del regime contenzioso nel diritto nazionale nella misura in cui la scelta di procedere alla designazione di paesi terzi come paesi di origine sicuri non più mediante atto amministrativo, ma mediante atto legislativo, limiterebbe, a causa della natura stessa di detta norma, il controllo giurisdizionale di legittimità di tale designazione che il giudice ordinario dovrebbe poter compiere, limitando, in tal modo, l'esercizio dei diritti della difesa del richiedente. A tal proposito, nella causa C‑759/24, il ricorrente sottolinea che il giudice nazionale dovrebbe, pertanto, sollecitare una verifica di costituzionalità mediante un giudizio incidentale nell'ambito del giudizio principale. 35. Questa prima questione, relativa alla natura della norma nazionale, non solleva, di per sé, alcuna particolare difficoltà. 36. Infatti, nessuna disposizione della direttiva 2013/32 precisa quale sia o quali siano le autorità degli Stati membri cui dovrebbe essere affidata la designazione dei paesi di origine sicuri a livello nazionale, nel caso o meno di un elenco nazionale, né lo strumento pertinente a tal fine. L'articolo 37, paragrafo 1, di detta direttiva si limita a precisare che «[g]li Stati membri possono mantenere in vigore o introdurre una normativa che consenta, a norma dell'allegato I, di designare a livello nazionale paesi di origine sicuri ai fini dell'esame delle domande di protezione internazionale». L'espressione «dispositions législatives» («legislation», nella versione in lingua inglese, o «normativa», nella versione in lingua italiana) deve essere intesa nella sua accezione più ampia, come comprendente atti di natura legislativa, regolamentare o amministrativa. 37. Di conseguenza, gli Stati membri godono di un ampio margine di discrezionalità quanto alla scelta degli strumenti e delle modalità procedurali destinate a garantire la designazione, nel loro diritto nazionale, di paesi terzi come paesi di origine sicuri. Nulla osta a che tale designazione risulti da un atto di rango legislativo, rientrando una siffatta scelta in realtà nell'autonomia istituzionale e procedurale loro riconosciuta. 38. Tuttavia, dall'articolo 288, terzo comma, TFUE si evince che tale libertà lascia inalterato l'obbligo, per gli Stati membri, di adottare tutti i provvedimenti necessari per garantire il primato del diritto dell'Unione e per assicurare la piena efficacia della direttiva di cui trattasi, conformemente all'obiettivo che essa persegue e agli obblighi da essa sanciti (20). Ne consegue che l'atto con cui uno Stato membro procede alla designazione di paesi terzi come paesi di origine sicuri non deve incidere in alcun modo sugli obblighi ad esso incombenti, sotto il profilo del rispetto dei principi basilari e delle garanzie fondamentali di cui al capo II della direttiva 2013/32 e, in particolare, quanto al rispetto del diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo riconosciuto ai richiedenti protezione internazionale in forza dell'articolo 46 di detta direttiva. 39. Tenuto conto di tali elementi, propongo di rispondere dichiarando che gli articoli 36 e 37 della direttiva 2013/32 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una prassi in forza della quale uno Stato membro procede alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro mediante atto legislativo, a condizione che tale prassi garantisca il primato del diritto dell'Unione e assicuri la piena efficacia di detta direttiva, conformemente agli obblighi da essa sanciti e agli obiettivi che essa persegue. 40. È in tale contesto che il giudice del rinvio solleva la seconda e la terza questione. 2. Sulle questioni pregiudiziali seconda e terza, vertenti sulla divulgazione delle fonti di informazione a fini di controllo giurisdizionale dell'atto che designa un paese terzo come paese di origine sicuro 41. Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, alla Corte se gli articoli 36 e 37 e l'articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letti alla luce dell'articolo 47 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una prassi in forza della quale uno Stato membro procede alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro mediante atto legislativo senza che, a causa della mancata divulgazione delle fonti di informazione sulle quali detta designazione si fonda, il richiedente proveniente dal paese interessato e il giudice nazionale investito del ricorso proposto avverso la decisione di rigetto adottata nei confronti di detto richiedente siano messi in condizione, rispettivamente, di contestare e controllare la legittimità di una siffatta designazione alla luce delle condizioni enunciate all'allegato I a detta direttiva. 42. Inoltre, con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte se, in tali circostanze, il giudice nazionale possa controllare la legittimità di una siffatta designazione alla luce delle condizioni enunciate in detto allegato sulla base delle fonti di informazione che esso stesso ha raccolto tra quelle menzionate all'articolo 37, paragrafo 3, di detta direttiva. 43. Dall'ordinanza di rinvio risulta che tali questioni traggono origine dal fatto che esisterebbe, a priori, una contraddizione tra gli elementi risultanti dalle informazioni disponibili sulla situazione generale del Bangladesh e la presunzione prevista dall'articolo 2-bis del decreto legislativo numero 25/2008, secondo cui detto paese è un paese di origine sicuro. Orbene, contrariamente al regime previgente, l'atto che designa paesi terzi come paesi di origine sicuri non rivelerebbe le fonti di informazione specifiche sulla cui base il legislatore italiano ha valutato la sicurezza di detto paese e, in particolare, la sua capacità di garantire alla sua popolazione una protezione sufficiente contro il rischio di persecuzioni o violazioni gravi. Il giudice del rinvio sostiene, pertanto, che, in caso di mancato accesso a tali informazioni, sia il richiedente interessato, sia l'autorità giudiziaria investita del ricorso proposto da detto richiedente si troverebbero privati della possibilità, rispettivamente, di contestare e controllare la legittimità di una siffatta presunzione di sicurezza verificando la provenienza, l'autorevolezza, l'attendibilità, la pertinenza, l'attualità e la completezza di dette fonti. 44. Tali questioni non riguardano, quindi, il controllo che la suddetta autorità giudiziaria deve operare con riferimento all'attuazione delle disposizioni previste all'articolo 36, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 che impone di superare la presunzione di sicurezza del paese interessato in uno specifico caso quando, in esito a una valutazione soggettiva e circostanziata di una domanda, risulta che detto paese non è sicuro in ragione della situazione individuale di un richiedente. Esse riguardano unicamente l'ipotesi in cui il richiedente contesti egli stesso la designazione del suo paese di origine come paese di origine sicuro. 45. Dai considerando 25 e 50 e dall'articolo 46, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 si evince che i richiedenti protezione internazionale, provenienti da un paese terzo designato come paese di origine sicuro e la cui domanda è oggetto di una procedura di esame accelerata, devono disporre del diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso le decisioni adottate nei loro confronti alla frontiera o nelle zone di transito. L'articolo 46, paragrafo 3, di detta direttiva definisce la portata di tale diritto precisando che gli Stati membri devono assicurare che il giudice dinanzi al quale è contestata la decisione relativa alla domanda di protezione internazionale proceda all'«esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l'esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95]». 46. Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte risulta che le caratteristiche del ricorso previsto all'articolo 46 della direttiva 2013/32 devono essere determinate conformemente all'articolo 47 della Carta, che costituisce una riaffermazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva (21). 47. È applicando tali principi che la Corte ha giudicato, nella sentenza del 28 luglio 2011, Samba Diouf (22), che i motivi che avevano indotto un'autorità amministrativa a esaminare una domanda di protezione internazionale con procedura accelerata dovevano poter costituire oggetto di un controllo giurisdizionale (23). Ed è sempre in applicazione di detti principi che, più recentemente, nella sua sentenza CV, la Corte ha dichiarato che il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo garantito dall'articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 impone all'autorità giudiziaria competente di rilevare, nell'ambito dell'esame completo ed ex nunc imposto dal legislatore dell'Unione e sulla base degli elementi del fascicolo nonché di quelli portati a sua conoscenza nel corso del procedimento dinanzi ad essa, una violazione delle condizioni sostanziali della designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro, enunciate all'allegato I a detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente fatta valere a sostegno di tale ricorso (24). Secondo la Corte, compete quindi agli Stati membri adattare il loro diritto nazionale in modo che il trattamento dei ricorsi in questione comporti un esame, da parte di detta autorità giudiziaria competente, di tutti gli elementi di fatto e di diritto che le consentano di procedere a una valutazione aggiornata del caso di specie, tra cui rientra la legittimità di una siffatta designazione (25). 48. Ne consegue che il solo fatto che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro da un atto legislativo non può comportare che esso sia sottratto a detto controllo di legittimità, salvo privare l'articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 di ogni efficacia pratica. Nella misura in cui, procedendo a una siffatta designazione, detto atto legislativo determina le domande di protezione internazionale che possono essere esaminate con procedura accelerata e/o prevede che detta procedura sia svolta alla frontiera o nelle zone di transito, a norma dell'articolo 31, paragrafo 8, lettera b), di detta direttiva, tale atto legislativo dà attuazione al diritto dell'Unione e deve, indipendentemente dal suo titolo o dalla forma che esso assume nel diritto nazionale, assicurare il rispetto delle garanzie sostanziali e procedurali riconosciute ai richiedenti protezione internazionale dal diritto dell'Unione. 49. Malgrado i pareri espressi al riguardo da diversi Stati membri nelle loro osservazioni, mi sembra quindi essenziale che il legislatore nazionale garantisca una pubblicità sufficiente e adeguata degli elementi e delle fonti di informazione da cui ha potuto inferire la sicurezza dei paesi interessati, ai sensi dell'articolo 37, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, in caso di contestazione di detta designazione dinanzi all'autorità amministrativa o giudiziaria competente. 50. Vero è che né l'articolo 37, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, né nessun'altra disposizione di detta direttiva impongono allo Stato membro di divulgare le fonti di informazione sulle quali esso ha fondato la presunzione di sicurezza del paese interessato. 51. Tuttavia, sia l'impianto sistematico sia le finalità della direttiva 2013/32 depongono a favore della loro divulgazione. Quest'ultima contribuisce alla realizzazione di un esame che vuol essere adeguato e completo, nonché all'accesso effettivo del richiedente proveniente da un paese terzo designato come paese di origine sicuro alle garanzie e ai principi fondamentali a lui riconosciuti dal diritto dell'Unione, conformemente agli obiettivi enunciati ai considerando 18 e 20 di detta direttiva. 52. In primo luogo, la divulgazione delle fonti di informazione rafforza la credibilità e l'autorevolezza della presunzione di sicurezza, il che contribuisce alla rapidità e all'efficacia delle procedure di esame delle domande di protezione internazionale. Per quanto attiene a una presunzione legale, come quella sancita dall'articolo 2-bis del decreto legislativo numero 25/2008, essa è solitamente definita come la conseguenza che la legge o il giudice trae da un fatto noto per giungere a un fatto ignoto la cui esistenza appare verosimile alla luce del primo (26). Solo che non esiste alcuna certezza oggettiva quanto all'esistenza di una protezione sufficiente dei richiedenti nel loro paese di origine. Il grado di certezza della presunzione dipenderà dalla certezza dei fatti da cui la presunzione è tratta, dalla loro autorevolezza, attendibilità, pertinenza, attualità e completezza, nonché dalla correttezza delle conseguenze che il legislatore nazionale ne ha tratto. 53. In secondo luogo, esigendo il mantenimento di un esame individualizzato della domanda presentata dal cittadino di un paese terzo designato come paese di origine sicuro (27), il legislatore dell'Unione non ha inteso ridurre l'autorità amministrativa competente a una mera istanza di registrazione. A prescindere dalla natura legislativa, regolamentare o amministrativa della norma che procede alla designazione di paesi terzi come paesi di origine sicuri, detta autorità resta incaricata di procedere a un «esame adeguato» della domanda ed è interessante osservare che essa deve a tal fine disporre di «mezzi appropriati», in particolare di personale adeguatamente addestrato ad utilizzare informazioni sui paesi di origine o perizie giuridiche (articolo 4, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2013/32). Ne consegue che gli elementi che dimostrano la capacità o, al contrario, l'incapacità del paese di origine di garantire una protezione contro atti di persecuzione o violazioni gravi dei diritti fondamentali costituiscono un aspetto decisivo sia della valutazione generale che conduce all'affermazione di una presunzione di sicurezza del paese interessato, sia, in modo simmetrico, della valutazione individuale della situazione del ricorrente che porta, se del caso, all'inversione di detta presunzione (28). Gli elementi essenziali della valutazione restano gli stessi e si fondano sul peso e sulla rilevanza delle fonti di informazione. 54. Il carattere confutabile della presunzione di sicurezza richiede, quindi, che l'autorità amministrativa competente sia in grado di valutare la coerenza e la plausibilità delle dichiarazioni del richiedente [articolo 4, paragrafo 5, lettera c), della direttiva 2011/95], nonché la serietà delle ragioni invocate da quest'ultimo per confutare detta presunzione (articolo 36, paragrafo 1, della direttiva 2013/32) alla luce di dette fonti di informazione. 55. Allo stesso modo, il carattere confutabile della presunzione di sicurezza impone che il richiedente sia messo in condizione di conoscere le ragioni per cui si presume sicuro il suo paese di origine, così da consentirgli di confutare tale presunzione in maniera più efficace, distinguendo la sua situazione individuale dalla situazione generale su cui essa si fonda. In linea generale, riconoscere una protezione internazionale sulla base delle fonti di informazione non costituisce praticamente oggetto di contestazione da parte del richiedente. Viceversa, diverso è il discorso in caso di diniego. È per tale ragione che ogni presunzione di sicurezza di un paese terzo deve fondarsi su una procedura che garantisca la trasparenza nella raccolta e nel trattamento degli elementi di informazione relativi alla sua situazione generale, informazioni su cui il legislatore nazionale si è basato per decidere che detto paese può essere designato come paese di origine sicuro. Come attestato dalle disposizioni di cui all'articolo 37, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, e malgrado il carattere non esaustivo dell'elenco ivi contenuto, non vi è qui né spazio né necessità di informazioni da qualificare come delicate o riservate (29). 56. In tale contesto, la divulgazione di dette fonti di informazione potrebbe essere considerata come rientrante nell'obbligo di collaborazione gravante sullo Stato membro ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, parte finale, della direttiva 2011/95. 57. In terzo luogo, una pubblicità sufficiente e adeguata delle fonti di informazione alla base della presunzione di sicurezza mi sembra indissociabile dal diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo riconosciuto dall'articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 al richiedente che provenga da un paese terzo designato come paese di origine sicuro e nei cui confronti venga applicata la procedura accelerata. 58. L'effettività del controllo giurisdizionale garantito dall'articolo 47 della Carta impone che detto richiedente possa conoscere i motivi su cui si fonda la decisione di rigetto della sua domanda di protezione internazionale (30). Orbene, nella misura in cui detti motivi sono identici a quelli su cui si fonda la presunzione di sicurezza del suo paese di origine, la divulgazione di tali fonti gli consente di difendere i suoi diritti e di decidere con piena cognizione di causa se sia utile adire l'autorità giudiziaria competente. 59. Inoltre, come dichiarato dalla Corte, l'effettività del controllo giurisdizionale impone che l'autorità giudiziaria competente proceda a un esame completo ed ex nunc degli elementi sia di fatto sia di diritto concernenti la domanda di protezione internazionale, compresa un'eventuale violazione delle condizioni sostanziali di una siffatta designazione, enunciate all'allegato I alla direttiva 2013/32 (31). Orbene, questo dovere imperativo esige che tale autorità abbia accesso alle fonti di informazione impiegate a tal fine dal legislatore nazionale. 60. In quarto luogo, garantendo la pubblicità di tali fonti di informazione, il legislatore di uno Stato membro offre all'insieme delle autorità nazionali competenti degli altri Stati membri una base di riferimento comune e uniforme, che consente non di escludere, ma quantomeno limitare i casi in cui dette autorità compiano valutazioni diverse con riferimento a richiedenti provenienti da un medesimo paese di origine. 61. È pacifico, infatti, che i criteri di cui all'allegato I alla direttiva 2013/32 sono definiti in maniera generale e astratta e che le circostanze che dimostrino la capacità o, al contrario, l'incapacità di un paese di garantire una protezione sufficiente alla sua popolazione sono valutate in maniera molto diversa a seconda degli Stati membri e delle autorità nazionali (32). Come osservava Guy Serle Goodwin-Gill (33), «l'informazione non manca (...) Ma, siamo realisti, esiste un problema con le informazioni verificate: esse limitano le opzioni e vanno in entrambe le direzioni. Così come sembrano dirci che non vi è alcun rischio, in altri casi confermano il contrario» (34). 62. Alla luce di questi elementi ritengo che, malgrado il silenzio dei testi di legge, l'impianto sistematico su cui si fonda il concetto di paese di origine sicuro e gli obiettivi che il legislatore dell'Unione persegue in tale contesto impongono agli Stati membri di dare accesso alle fonti di informazione sulla cui base essi presumono la sicurezza dei paesi interessati, tanto più che le fonti di cui all'articolo 37, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 sono fonti pubbliche. Tale accesso può avvenire secondo le forme e le procedure previste nel diritto nazionale, ad esempio, allegando tali informazioni all'atto che designa taluni paesi terzi come paesi di origine sicuri o a un allegato a detto atto, oppure comunicandole in seguito, su domanda del richiedente o dell'autorità amministrativa o giudiziaria competente. 63. In caso di mancata divulgazione di dette fonti, l'effettività del controllo giurisdizionale impone all'autorità giudiziaria competente, che dispone di tutta l'esperienza richiesta in tale materia, di fondare il suo giudizio sulle fonti di informazione che essa reputi maggiormente pertinenti per valutare la legittimità di detta designazione (35). Contrariamente a una procedura ordinaria, una procedura accelerata condotta alla frontiera nei confronti di un richiedente che provenga da un paese terzo designato come paese di origine sicuro è applicata alla luce di un elenco prestabilito. Posto che la valutazione relativa alla sicurezza di un paese muta nel tempo, nell'ipotesi che tale valutazione non sia stata rivista ad intervalli regolari, non si può impedire a detta autorità di procedere a un aggiornamento della situazione generale del paese sul piano civile, giuridico e politico. 64. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di dichiarare che gli articoli 36 e 37, nonché l'articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letti alla luce dell'articolo 47 della Carta, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una prassi in forza della quale uno Stato membro procede alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro mediante atto legislativo, a condizione che il giudice nazionale investito del ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale proposta da un richiedente proveniente da un siffatto paese disponga, in virtù dell'obbligo di un esame completo ed ex nunc imposto da detto articolo 46, paragrafo 3, delle fonti di informazione sulla cui base il legislatore nazionale ha inferito la sicurezza del paese interessato. 65. In caso di mancata divulgazione di dette fonti di informazione, l'autorità giudiziaria competente può controllare la legittimità di una siffatta designazione alla luce delle condizioni enunciate nell'allegato I a detta direttiva sulla base delle fonti di informazione che essa stessa ha raccolto tra quelle menzionate all'articolo 37, paragrafo 3, della direttiva medesima. 3. Sulla quarta questione pregiudiziale, relativa alla possibilità di designare un paese terzo come paese di origine sicuro, benché talune categorie di persone non beneficino ivi di una protezione sufficiente 66. Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, alla Corte se l'articolo 36 e l'articolo 37, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 nonché l'allegato I a quest'ultima debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro designi un paese terzo come paese di origine sicuro ai fini dell'esame delle domande di protezione internazionale, benché talune categorie di persone possano non beneficiare in tale paese di una protezione sufficiente contro il rischio di persecuzioni o violazioni gravi. 67. A tale questione possono essere date due risposte, ciascuna risultante da un'interpretazione, a mio avviso, giuridicamente sostenibile. 68. La prima risposta si fonda su un'interpretazione restrittiva e un po' idealistica della definizione di base della nozione di «paese di origine sicuro» enunciata all'allegato I alla direttiva 2013/32 e consiste nel respingere una siffatta possibilità. Secondo il giudice del rinvio, tale soluzione si inserirebbe nel solco della sentenza CV. Qualora la Corte accolga una soluzione siffatta, allora uno Stato membro potrebbe designare un paese terzo come paese di origine sicuro solo ove dimostri che la situazione giuridica e politica di detto paese caratterizza un regime democratico, nell'ambito del quale i cittadini e gli apolidi ivi residenti godono di una protezione sufficiente contro il rischio di persecuzioni o violazioni gravi, indipendentemente da dove si trovino sul territorio di detto paese e indipendentemente dalla loro razza, nazionalità, opinioni politiche o religiose o, ancora, dalla loro appartenenza a un determinato gruppo sociale. 69. Una siffatta soluzione tenderebbe a garantire che chiunque provenga da un tale paese non abbia, a priori, alcun bisogno reale di protezione internazionale e consentirebbe di garantire un trattamento uniforme dell'insieme delle domande proposte dai cittadini di detto paese. Tuttavia, in un contesto caratterizzato da una forte pressione migratoria, tale soluzione mi sembrerebbe privare la nozione di paese di origine sicuro di una parte della sua efficacia pratica. Infatti, essa presenterebbe l'inconveniente di escludere dagli elenchi nazionali dei paesi di origine sicuri paesi che garantiscono, attraverso le loro istituzioni, lo stato di diritto e il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, ma che non adempiono ancora ai loro compiti con riferimento a una o più categorie limitate e identificabili di persone. Gli Stati membri sarebbero, quindi, tenuti a trattare tutte le domande presentate dai cittadini di detti paesi secondo la procedura ordinaria, benché la stragrande maggioranza di tali richiedenti non abbia alcun bisogno reale di protezione internazionale. Ne risulterebbe una congestione dei servizi delle autorità nazionali competenti e un allungamento della procedura di esame che danneggerebbe i richiedenti che necessitano realmente di protezione internazionale. 70. Per questa ragione, propongo alla Corte di accogliere piuttosto la seconda soluzione. Tale soluzione consiste nell'ammettere che gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità che consente loro di designare un paese terzo come paese di origine sicuro, benché siano state individuate una o più categorie limitate, ma chiaramente identificabili, di persone a rischio in tale paese, e di escludere correlativamente ed espressamente tali categorie dalla presunzione di sicurezza collegata a tale designazione. 71. Comprendo che una tale soluzione sembra contraddire quanto stabilito dalla Corte nella sentenza CV. In tale sentenza, la Corte ha riconosciuto l'esistenza di un margine di discrezionalità in capo non agli Stati membri, ma al legislatore dell'Unione (36) e si è opposta alla previsione di eccezioni territoriali da parte di detti Stati. Non fatico ad ammettere inoltre che, per un curioso paradosso, l'applicazione del concetto di paese di origine sicuro potrebbe divenire notevolmente più complessa. 72. Tuttavia, tale soluzione trova fondamento non soltanto nella formulazione della direttiva 2013/32, ma anche nell'impianto sistematico e nella finalità del sistema in cui detto concetto si inserisce. Infatti, nel caso in cui il sistema di asilo di uno Stato membro sia esposto a una forte pressione migratoria e a una quota elevata di domande manifestamente infondate proposte da cittadini provenienti da tali paesi, si tratterebbe di una soluzione equilibrata che consentirebbe, da un lato, di conciliare l'obiettivo di celerità nell'esame di dette domande con la necessità di garantire, per l'insieme delle domande, un trattamento adeguato e conforme alle disposizioni della direttiva 2013/32 (37). Si tratterebbe, peraltro, di una soluzione pragmatica che terrebbe conto delle tensioni che attualmente gravano sui sistemi nazionali di asilo e dell'evoluzione che la normativa dell'Unione ha conosciuto con l'entrata in vigore, l'11 giugno 2024, del regolamento 2024/1348. 73. Propongo di tornare su ciascuno di questi punti. 74. In primo luogo, una siffatta soluzione, se accompagnata da limiti e garanzie sufficienti, non tradisce la definizione della nozione di «paese di origine sicuro». 75. Conformemente all'allegato I, primo comma, alla direttiva 2013/32, «[u]n paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell'articolo 9 della direttiva [2011/95], né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale». 76. Non trarrò alcuna conclusione dall'impiego degli avverbi «uniformément» [cui corrisponde «costantemente» nella versione italiana; NdT] e «jamais» [cui non corrisponde un termine specifico nella versione italiana; NdT] nella versione in lingua francese dell'allegato I alla direttiva 2013/32 (38). Infatti, da un esame linguistico comparato di detto allegato non si rinviene, nelle altre sue versioni linguistiche, alcun significato corrispondente per ciascuno di detti avverbi. Per tale ragione, non mi sembra che i punti 68 e 69 della sentenza CV, cui il giudice del rinvio fa espressamente riferimento, possano essere applicati per analogia. 77. Le altre versioni linguistiche dell'allegato I alla direttiva 2013/32 subordinano la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro alla possibilità di dimostrare che, generalmente e «costantemente» (39) o in maniera generale e «duratura» (40) (o «continuativa» (41), «regolare» (42), «sistematica» (43), «persistente» (44), o ancora «coerente» (45)), «non vi è persecuzione». Queste altre versioni linguistiche sembrano più fedeli alla volontà del legislatore dell'Unione di tener conto della stabilità del paese terzo ai fini della sua designazione come paese di origine sicuro (46), fermo restando che la stabilità è peraltro un criterio che la direttiva 2011/95 impone ai fini dell'applicazione delle clausole di cessazione della protezione internazionale (47). Inoltre, ciò che è mutevole non può essere presunto e gli Stati membri non possono, quindi, presumere la capacità di un paese di garantire una protezione sufficiente contro il rischio di persecuzioni o di violazioni gravi se, da fonti di informazione autorizzate, emerge che detta capacità è soltanto occasionale. 78. Concentrerò pertanto la mia analisi sul significato dell'avverbio «generalmente», comune a tutte le versioni linguistiche dell'allegato I alla direttiva 2013/32. 79. Da un punto di vista semantico, i termini «generale», «in generale» o, ancora, «generalmente» si riferiscono a un evento, a un fatto o a qualsiasi altra circostanza che si presenta nella maggior parte dei casi o, ancora, che è applicabile a un numero davvero ampio di persone senza tener conto di casi particolari. Tale avverbio contiene pertanto una componente di astrazione (48). Ne deduco che, da un punto di vista terminologico, un paese terzo può essere designato come paese di origine sicuro se è dimostrato, alla luce dei diversi criteri elencati all'allegato I alla direttiva 2013/32, che esso protegge non ciascuno dei suoi cittadini ma la maggior parte di loro dal rischio di persecuzioni o violazioni gravi, fermo restando che possono esistere situazioni particolari in cui detto paese non garantisce una protezione sufficiente contro tali violazioni. Il considerando 42 della direttiva di cui trattasi precisa difatti che tale designazione non costituisce una garanzia «assoluta» di sicurezza per i cittadini di detto paese, tenuto conto della natura della valutazione che può prendere in considerazione soltanto la situazione civile, giuridica e politica generale del paese. Il legislatore dell'Unione ammette pertanto chiaramente che il concetto di paese di origine sicuro e la presunzione di sicurezza che ne consegue derivano da una generalizzazione. 80. In secondo luogo, l'impianto sistematico su cui si fonda il concetto di paese di origine sicuro attesta detta dicotomia tra generalizzazione ed eccezioni. Tale concetto giuridico implica, infatti, due aspetti: da un lato, un aspetto obiettivo e generale che si traduce nella designazione, in un atto di portata generale, di paesi terzi come paesi di origine sicuri che rispondono ai requisiti e ai criteri enunciati all'articolo 37 e l'allegato I della direttiva 2013/32 e, dall'altro, un aspetto soggettivo e circostanziato che si traduce nel compimento di un esame individuale della domanda, in esito al quale l'autorità nazionale competente può essere tenuta a discostarsi dalla presunzione di sicurezza del paese interessato conformemente all'articolo 36, paragrafo 1, di detta direttiva. 81. Orbene, se il legislatore dell'Unione impone alle autorità nazionali competenti di discostarsi (ex post) dalla presunzione di sicurezza di un paese ogniqualvolta esse stabiliscano, in esito a un esame individuale della domanda, che l'interessato può, in ragione della sua situazione individuale, essere esposto a un rischio di persecuzioni o di violazioni gravi nel suo paese di origine, allora non ravviso alcuna valida ragione che osti a che uno Stato membro decida, in esito alla valutazione generale di tale paese, di escludere (ex ante) dall'ambito di applicazione di detta presunzione la categoria o le categorie di persone che esso ha già identificato come a rischio in tale paese. 82. In effetti, una siffatta modalità di applicazione del concetto di paese di origine sicuro, se fondata su un esame rigoroso dei criteri enunciati all'allegato I alla direttiva 2013/32, consente agli Stati membri, in particolare a quelli esposti a una forte pressione migratoria e investiti di numerose domande manifestamente infondate, di perseguire gli obiettivi di detta direttiva. 83. A tal riguardo ricordo che, conformemente ai considerando 18 e 20 della direttiva di cui trattasi, gli Stati membri devono poter velocizzare la procedura di esame quando una domanda di protezione internazionale può essere infondata, garantendo tuttavia la realizzazione di un «esame adeguato e completo» (49). Orbene, uno Stato membro, quando dimostra che un paese garantisce condizioni di sicurezza stabili e sufficienti alla grande maggioranza della popolazione, conformemente ai criteri enunciati all'allegato I alla direttiva 2013/32, e identifica la categoria o le categorie di persone potenzialmente a rischio in tale paese, intende conciliare l'obiettivo di celerità delle procedure di esame delle domande di protezione internazionale, che possono essere manifestamente infondate in ragione del paese di origine dell'interessato, con la contestuale garanzia di un esame adeguato e completo delle domande presentate dalle categorie di persone escluse dall'applicazione del concetto di paese di origine sicuro; queste ultime domande verranno esaminate secondo la procedura ordinaria prevista all'articolo 31, paragrafi da 1 a 7, di detta direttiva. 84. In linea con la risoluzione di Londra (50), tale soluzione preserva l'efficacia e la celerità delle procedure di esame per tutti i richiedenti protezione internazionale, riducendo la pressione gravante su taluni sistemi nazionali di asilo e consentendo di concentrare le risorse sui richiedenti che hanno un reale bisogno di protezione internazionale. Come sottolineato dal governo ellenico nelle sue osservazioni, l'esclusione di determinate categorie di persone dall'applicazione di detto concetto porta a rafforzare, più che indebolire, la protezione accordata ai richiedenti provenienti da un paese di origine sicuro, mentre il governo dei Paesi Bassi aggiunge che una siffatta modalità esonera questi ultimi dall'obbligo di confutare la presunzione di sicurezza del loro paese di origine. 85. In terzo luogo, detta modalità di applicazione del concetto di paese di origine sicuro può, a mio avviso, essere adottata sulla base dell'articolo 36, paragrafo 2, della direttiva 2013/32. Disponendo che «[g]li Stati membri stabiliscono nel diritto nazionale ulteriori norme e modalità inerenti all'applicazione [di detto concetto]» (51), il legislatore dell'Unione riconosce agli Stati membri un certo margine di valutazione di cui essi possono, a mio avviso, avvalersi per perseguire obiettivi legittimi. Questi ultimi potrebbero voler garantire un livello di protezione dei diritti fondamentali più elevato nei confronti di determinate categorie di persone. In un periodo di massiccio afflusso di richiedenti, detti Stati potrebbero anche voler ripartire al meglio i mezzi e le risorse del loro sistema di asilo nazionale al fine di sgravare le autorità nazionali competenti da domande che sarebbero manifestamente infondate. 86. Preciso tuttavia che, quando uno Stato membro adotta nel suo diritto nazionale una norma o una modalità ulteriore ai fini dell'applicazione del concetto di paese di origine sicuro, esso applica il diritto dell'Unione, cosicché il suo margine di valutazione è disciplinato da tale diritto. 87. Pertanto, il margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri non deve essere esercitato in modo tale da pregiudicare gli obiettivi generali della direttiva 2013/32, in particolare quello alla base del concetto di paese di origine sicuro, e l'efficacia pratica di quest'ultimo (52). 88. Ciò implica che lo Stato membro deve identificare la categoria o le categorie di persone a rischio in occasione della valutazione della situazione generale del paese terzo da esso compiuta, così da escludere espressamente queste ultime dall'applicazione del concetto di paese di origine sicuro e della presunzione di sicurezza ad esso associata. Infatti, l'autorità nazionale competente dinanzi alla quale è presentata una domanda di protezione internazionale deve essere immediatamente posta in condizione di identificare e distinguere le persone rientranti in dette categorie, al fine di avviare la procedura ordinaria di esame prevista all'articolo 31, paragrafi da 1 a 7, della direttiva 2013/32. 89. Qualsiasi esclusione non formalizzata finirebbe con l'indebolire la protezione dei richiedenti protezione internazionale che provengono dai paesi interessati. 90. Ciò implica altresì che una siffatta modalità di applicazione del concetto di paese di origine sicuro non influisce sull'obbligo incombente allo Stato membro di vigilare sul rispetto dei requisiti enunciati all'allegato I alla direttiva 2013/32, in particolare quello di garantire che la situazione giuridica e politica del paese interessato caratterizzi un regime democratico nell'ambito del quale la popolazione gode, in generale, di una protezione duratura contro il rischio di persecuzioni o violazioni gravi. 91. Tale concetto impone agli Stati membri di circoscrivere le eccezioni personali a un numero molto limitato di persone, salvo rimettere in discussione la presunzione di sicurezza alla base della designazione del paese terzo interessato come paese di origine sicuro. Infatti, la previsione di un numero eccessivo di eccezioni personali o di categorie di persone a rischio indicherebbe, in realtà, che il paese di origine non è sicuro. 92. Pertanto, se un paese terzo fosse designato come paese di origine sicuro, pur riconoscendo l'esistenza di numerose categorie di persone che possono essere esposte a rischio di persecuzioni o violazioni gravi (ad esempio, le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+, le vittime di violenze di genere, comprese le mutilazioni genitali femminili, le minoranze etniche e religiose, le persone accusate di reati di carattere politico e le persone condannate alla pena di morte), di cui alcune non immediatamente identificabili, il concetto di paese di origine sicuro tenderebbe ad essere una finzione. Infatti, in ragione della loro natura e della loro portata, dette eccezioni rispecchierebbero piuttosto l'esistenza di disfunzionamenti e carenze generalizzati e sistematici nell'ambito degli obblighi incombenti al paese terzo interessato nei confronti della sua popolazione e una siffatta designazione non sarebbe né adeguata, né ragionevole alla luce dei requisiti fissati dall'allegato I alla direttiva 2013/32. 93. Compete, pertanto, agli Stati membri esercitare il margine di discrezionalità loro riconosciuto nel rigoroso rispetto del principio di proporzionalità, facendo in modo che la designazione da loro compiuta e l'esclusione delle categorie di persone a rischio ad essa collegata siano idonee a garantire in maniera coerente e sistematica la realizzazione degli obiettivi perseguiti dal legislatore dell'Unione (53). 94. Infine, in quarto e ultimo luogo, ritengo che una siffatta interpretazione consenta di tener conto del regolamento 2024/1348, entrato in vigore l'11 giugno 2024 (54). Infatti, l'articolo 61, paragrafo 2, di detto regolamento autorizza espressamente gli Stati membri a designare paesi terzi come paesi di origine sicuri prevedendo eccezioni per determinate categorie di persone chiaramente identificabili (55). Benché sia vero che, a norma del suo articolo 79, paragrafo 2, detto regolamento si applicherà soltanto a partire dal 12 giugno 2026, ciò non toglie che esso fa parte sin d'ora dell'ordinamento giuridico dell'Unione e mi sembrerebbe paradossale imporre agli Stati membri, che hanno già scelto di designare determinati paesi terzi come paesi di origine sicuri collegandovi eccezioni per determinate categorie di persone, abrogare una siffatta modalità di applicazione, laddove essi sono chiamati nel contempo a prepararsi adeguatamente all'applicazione di detto regolamento in forza delle misure transitorie previste all'articolo 75 del medesimo. 95. È alla luce di tutte le suesposte considerazioni che propongo alla Corte di dichiarare che l'articolo 36 e l'articolo 37, paragrafo 1, nonché l'allegato I della direttiva 2013/32 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che uno Stato membro designi un paese terzo come paese di origine sicuro ai fini dell'esame delle domande di protezione internazionale, identificando nel contempo categorie limitate di persone come potenzialmente esposte a un rischio di persecuzioni o violazioni gravi in detto paese a condizione, da un lato, che la situazione giuridica e politica del suddetto paese caratterizzi un regime democratico nell'ambito del quale la popolazione gode, in generale, di una protezione duratura contro tale rischio e, dall'altro, che detto Stato membro proceda correlativamente a escludere espressamente tali categorie di persone dall'applicazione del concetto di paese di origine sicuro e della presunzione di sicurezza ad esso collegata. V. Conclusione 96. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale ordinario di Roma (Italia): 1) Gli articoli 36 e 37 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, devono essere interpretati nel senso che: essi non ostano a una prassi in forza della quale uno Stato membro procede alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro mediante atto legislativo, a condizione che tale prassi garantisca il primato del diritto dell'Unione e assicuri la piena efficacia di detta direttiva, conformemente agli obblighi da essa sanciti e agli obiettivi che essa persegue. 2) Gli articoli 36 e 37 e l'articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letti alla luce dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, devono essere interpretati nel senso che: essi non ostano a una prassi in forza della quale uno Stato membro procede alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro mediante atto legislativo, a condizione che il giudice nazionale investito del ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale proposta da un richiedente proveniente da un siffatto paese disponga, in virtù dell'obbligo di un esame completo ed ex nunc imposto da detto articolo 46, paragrafo 3, delle fonti di informazione sulla cui base il legislatore nazionale ha inferito la sicurezza del paese interessato. In caso di mancata divulgazione di dette fonti di informazione, l'autorità giudiziaria competente può controllare la legittimità di una siffatta designazione alla luce delle condizioni enunciate nell'allegato I a detta direttiva, sulla base delle fonti di informazione che essa stessa ha raccolto tra quelle menzionate all'articolo 37, paragrafo 3, della direttiva medesima. 3) L'articolo 36 e l'articolo 37, paragrafo 1, nonché l'allegato I della direttiva 2013/32, devono essere interpretati nel senso che: essi non ostano a che uno Stato membro designi un paese terzo come paese di origine sicuro ai fini dell'esame delle domande di protezione internazionale, identificando nel contempo categorie limitate di persone come potenzialmente esposte a un rischio di persecuzioni o violazioni gravi in detto paese a condizione, da un lato, che la situazione giuridica e politica del suddetto paese caratterizzi un regime democratico nell'ambito del quale la popolazione gode, in generale, di una protezione duratura contro tale rischio e, dall'altro, che detto Stato membro proceda correlativamente a escludere espressamente tali categorie di persone dall'applicazione del concetto di paese di origine sicuro e della presunzione di sicurezza ad esso collegata.