Confisca di denaro: le Sezioni Unite “affossano” la solidarietà passiva in caso di concorso di persone nel reato

La confisca di somme di danaro (ed il sequestro preventivo ad essa funzionale) ha natura diretta soltanto in presenza della prova della derivazione causale del bene rispetto al reato, non potendosi far discendere detta qualifica dalla mera natura del bene; la confisca è, invece, qualificabile per equivalente in tutti i casi in cui non sussiste il predetto nesso di derivazione causale.

In caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca (ed il sequestro preventivo ad essa funzionale) è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito ed il relativo accertamento giudiziale è oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti; solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in parti uguali. I fatti Due dipendenti di una società per azioni – imputati di aver inquinato, in cambio di denaro, le procedure di affidamento dei contratti di lavoro edile in danno della loro impresa al fine di consentire l'aggiudicazione delle commesse alle imprese corruttrici, disponibili a riconoscere loro una “percentuale” dell'importo dell'appalto patteggiavano innanzi al locale Gip la pena per i contestati delitti di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione tra privati e per i reati-fine di corruzione. Il compenso ai due prevenuti sarebbe stato corrisposto attraverso la “retrocessione” di una parte dei profitti derivanti dagli appalti aggiudicati in modo inquinato per effetto dell'accordo corruttivo: in una prima fase, la retrocessione sarebbe avvenuta, a fronte dell'emissione di fatture, attraverso il versamento di somme di denaro su un conto corrente intestato ad una società amministrata da uno dei due imputati e, successivamente, attraverso altra società sostanzialmente riconducibile all'altro imputato. Il locale Gip applicava le pene principali di legge e disponeva, ai sensi dell'articolo 2641 c.c.: nei confronti dell'imputato principale (incaricato delle procedure di affidamento), la confisca diretta del denaro, costituente il profitto derivante dai soli fatti corruttivi, per l'ammontare di circa 350.000 euro, o, in subordine, la confisca per un valore corrispondente al profitto; nei confronti del correo, la confisca per equivalente per circa 226.000 euro, in applicazione del principio solidaristico, non essendo stata raggiunta né la prova del diretto conseguimento del profitto – anche solo in parte – e neppure che il profitto fosse stato in concreto ripartito tra i due correi. Il ricorso per cassazione degli imputati patteggianti Ricorrevano per cassazione entrambi gli imputati patteggianti. Il primo imputato, con due motivi, deduceva violazione di legge e vizi della motivazione. col primo motivo, censurava la ritenuta dimostrazione del conseguimento dell'intero profitto dei reati da parte di esso ricorrente e, quindi, dell'avvenuto accrescimento del suo patrimonio, con la conseguente possibilità di disporre nei suoi confronti la confisca diretta per il relativo importo; col secondo, contestava l'applicabilità del principio solidaristico (riferito all'altro patteggiante) con riferimento alla confisca “per equivalente” denunciando che, nello specifico, nei riguardi del correo sarebbero stati computati importi già addebitati ad esso ricorrente e ad un altro concorrente nel reato non patteggiante. L'altro imputato, con l'unico motivo di ricorso, deduceva la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che fossero state accertate le somme da lui in concreto conseguite, quale parte dei complessivi profitti derivanti dai reati commessi in concorso con gli altri imputati. La questione giuridica Il contrasto giurisprudenziale risolto dalla sentenza annotata – che, in accoglimento dell'interposto ricorso, ha annullato con rinvio l'impugnata sentenza – attiene al merito della confisca quando vi sia una pluralità di concorrenti nel reato Questa la questione controversa: se, in caso di pluralità di concorrenti nel reato, la confisca per equivalente del relativo profitto possa essere disposta per l'intero nei confronti di ciascuno di essi, indipendentemente da quanto da ognuno eventualmente percepito, oppure se ciò possa disporsi soltanto quando non sia possibile stabilire con certezza la porzione di profitto incamerata da ognuno; ancora se, in quest'ultimo caso, la confisca debba comunque essere ripartita tra i concorrenti, in base al grado di responsabilità di ognuno oppure in parti eguali, secondo la disciplina civilistica delle obbligazioni solidali.   Gli orientamenti contrapposti Nella giurisprudenza penale di legittimità successiva a Cass., Sez. Unite, numero 26654/2008, si sono sviluppati diversi indirizzi interpretativi, che hanno dato luogo ad un articolato contrasto all'interno delle sezioni semplici della Corte. 1) Secondo un primo orientamento che richiama la suddetta pronuncia nomofilattica nella parte in cui si evoca il principio solidaristico fra i concorrenti nel reato generativo di profitto la confisca di valore (così come il sequestro preventivo ad essa funzionale ex articolo 321, comma 2, c.p.p.) potrebbe essere disposta indifferentemente nei riguardi di ciascuno dei concorrenti nel reato anche per l'intera entità del profitto accertato: sarebbero irrilevanti sia la quota di profitto in concreto conseguita dal singolo correo, sia la stessa possibilità che questi non abbia ricavato alcunché (ex multis: Cass. numero 9102/2021; Cass. numero 36069/2020; Cass. numero 26621/2018; Cass. numero 27072/2015; Cass. numero 33409/2009; negli stessi termini, pronunciandosi in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente con argomenti però polarizzati su quest'ultima, Cass. numero 22073/2023; Cass. numero 39034/2021). 2) Altro indirizzo giurisprudenziale subordina, invece, l'applicazione della confisca per equivalente per l'intero importo del profitto nei confronti di ciascun concorrente nel reato solo alla impossibilità di individuare, nella fattispecie concreta, la quota dal singolo compartecipe conseguita a seguito dell'illecito: in questo caso, infatti, si imporrebbe la ripartizione dell'ablazione in ragione di quanto da ciascuno percepito (Cass. numero 6607/2020; Cass. numero 33757/2022; Cass. numero 11617/2024). 3) Una terza e più articolata opzione interpretativa è stata poi espressa nell'ambito di quelle sentenze che hanno sostenuto la necessaria ripartizione della confisca per equivalente fra i concorrenti nel reato, anche nel caso in cui non siano chiaramente evincibili le porzioni di profitto da costoro conseguite realizzate. In tali casi secondo alcune pronunce la suddivisione dovrebbe avvenire in parti uguali, richiamando la disciplina civilistica prevista dagli articolo 1298 e 2055 c.c., rispettivamente, per le obbligazioni solidali e per la responsabilità da fatto illecito (Cass. numero 4902/2017); secondo altre pronunce, invece, si dovrebbe fare riferimento al grado di responsabilità e di partecipazione al profitto del singolo concorrente desunti anche da «criteri sintomatici», ricorrendosi alla suddivisione fra i correi in parti uguali solo in mancanza di qualsiasi parametro attendibile di riparto (Cass. numero 4727/2021). Il dictum Le Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza in commento, hanno annullato l'impugnata sentenza di patteggiamento disponendo che il Tribunale, in sede di rinvio: a) verifichi se e in che limiti la confisca del prezzo del reato, costituito da denaro, debba nella specie essere qualificata, in relazione al singolo compartecipe, come confisca diretta ovvero, in ragione dei principi di diritto enunciati, per equivalente;  b) accerti, esclusa la solidarietà tra i concorrenti, in che misura i singoli correi abbiano conseguito in concreto il prezzo di ciascun reato per il quale si procede; c) proceda, in caso di mancato accertamento delle singole quote di arricchimento, a ripartire tra i concorrenti in parti uguali il prezzo corrisposto per ciascun reato. Con una poderosa motivazione, articolata di quasi 50 cartelle, il giudice nomofilattico ha affrontato l'articolato quadro di riferimento in tema di confisca termine che raccoglie sotto un unico nomen iuris svariate tipologie di istituti diversi tra loro nella fisionomia strutturale e nei fini, accomunati solo dall'effetto del trasferimento coattivo di beni economici al patrimonio pubblico, ed ha enunciato plurimi principi di diritto. Prima di affrontare le questioni rimesse, ha precisato che – nel caso di specie – si verte in ipotesi di confisca del prezzo del reato di corruzione tra privati, e non già di confisca del profitto del reato. Difatti, nonostante la tendenza ad interpretare in senso estensivo la nozione di profitto, in nessun caso si dubita della necessità che il profitto “derivi” dal reato e che, dunque, debba sussistere ed essere provato il nesso di pertinenza del bene rispetto al reato a cui la confisca accede. Tale profilo si ricollega al primo principio di diritto enunciato in sentenza relativo al discrimen tra confisca diretta e confisca per equivalente. La natura diretta o per equivalente della confisca di somme di denaro: criteri distintivi Le Sezioni Unite statuiscono, anzitutto, che la confisca di somme di denaro ha natura diretta soltanto in presenza della prova della derivazione causale della res rispetto al reato, non potendosi far discendere tale qualifica dalla mera natura del bene. La confisca è, invece, qualificabile per equivalente – istituto, rileva la Corte, privo di disciplina organica – in tutti i casi in cui non sussiste il predetto nesso di derivazione causale. In breve, per confiscare in via diretta, il prezzo o il profitto del reato devono esistere e devono essere stati conseguiti mentre senza un effettivo conseguimento del prezzo o del profitto, non si può confiscare né in via diretta e nemmeno per equivalente. La Corte regolatrice ha elencato i casi in cui la confisca del denaro è diretta, che si ha quando: risulti che la somma confiscata sia proprio quella derivata dal reato; si è in presenza di metamorfosi del profitto o del prezzo del reato, cioè si sia in presenza di una utilità economica mediata ed indiretta acquisita successivamente al reato (surrogato, reimpiego), ma, in ogni caso, collegata eziologicamente all'illecito e, soprattutto, all'uso del profitto o del prezzo derivante dal reato: occorre la prova che la somma di denaro o il bene utilizzato per il reimpiego siano derivanti dal reato; sussista la prova, sulla base delle concrete circostanze di tempo e di luogo, che proprio il denaro che costituisce il prezzo o il profitto del reato versato sul contosia poi stato prelevato e utilizzato per l'impiego e per l'acquisto di un ulteriore bene (ad esempio, transito immediato della somma, che è versata e prelevata in circostanze di tempo e di fatto dimostrative del fatto che si tratti della stessa somma).   La confisca del denaro non è invece diretta se ha ad oggetto somme sopravvenute o preesistenti rispetto al reato ovvero, comunque, a questo certamente non riconducibili; in particolare, la confisca di somme giacenti sul conto corrente non è diretta in tutti i casi in cui, attraverso il tracciamento degli incrementi patrimoniali in denaro, non sia provato che si tratti di denaro derivante da reato. La confisca nell'illecito plurisoggettivo: superato il principio della solidarietà passiva Dopodiché le Sezioni Unite puntualizzano che, in caso di concorso eventuale di persone nel reato ex articolo 110 c.p., esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito ed il relativo accertamento è oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti. Solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in parti uguali. Il giudice nomofilattico supera così la concezione sanzionatorio-afflittiva della confisca per equivalente secondo la quale la valutazione di proporzionalità doveva compiersi «non con riferimento alla singola posizione personale e, dunque, rispetto alla quota di prezzo o di profitto conseguita dal correo, quanto, piuttosto, rispetto al profitto complessivo derivato dal reato». «Si tratta di un'impostazione – ammonisce la Corte regolatrice – che deve essere rivisitata” perché ormai in contrasto col principio di proporzionalità considerato che “la pena è misura di colpevolezza». Pertanto, una volta «escluso ogni riferimento alla solidarietà passiva, agli automatismi e alle semplificazioni probatorie da essa derivanti, il tema della confisca senza arricchimento e della quantificazione del prezzo o del profitto conseguito da ciascun compartecipe nel reato, diventa un tema del processo, e, in particolare, un tema oggetto di prova». Attraverso un accertamento giudiziale che deve essere compiuto “caso per caso, in concreto” attraverso una «verifica dinamica in cui, da una parte, il PM è tenuto a provare il quantum confiscabile nei riguardi di ciascun compartecipe per ciascun reato e, dall'altra, ciascun concorrente potrà, a sua volta, dimostrare a discarico di non avere conseguito nessun vantaggio ovvero di averne conseguito una parte inferiore rispetto a quella indicata dalla pubblica accusa». In definitiva, la quantificazione del prezzo o del profitto va provata «non in via presuntiva, ma sulla base di un accertamento probatorio concreto, in ragione degli atti del processo». Mentre la “regola di chiusura” che prevede una ripartizione del vantaggio in parti uguali, è giustificata solo quando «sia stato provato il conseguimento da parte del singolo partecipe di una quota di profitto o di prezzo del reato, ma, al tempo stesso, nessuna delle parti sia stata in grado di quantificare in concreto il vantaggio, di dividere il complessivo arricchimento indebito». Principi valevoli anche nel sequestro preventivo funzionale alla confisca La Suprema Corte aggiunge infine che i medesimi principi sopra enunciati operano in caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca (articolo 321, comma 2, c.p.p.) per il quale l'obbligo motivazionale del giudice va modulato in relazione allo sviluppo della fase procedimentale e agli elementi acquisiti. «Non vi sono ragioni» – afferma la Corte regolatrice in sentenza – «per in consentire in sede cautelare di sequestrare indistintamente l'intero profitto o prezzo a ciascun concorrente oppure di rispristinare la solidarietà passiva tra correi destinata, invece, a non operare all'esito del giudizio ovvero, ancora, di sequestrare nei confronti di ciascuno più di quanto da questi sia stato conseguito». La motivazione, anche in sede cautelare, dunque, «deve necessariamente spiegare i motivi per cui si ritiene che il singolo partecipe al reato abbia conseguito una determinata quantità di prezzo o di profitto derivante dal reato».

Presidente Cassano - Relatore Silvestri Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.