Il riconoscimento dell’assegno di mantenimento può essere negato in assenza di una reale "communio omnis vitae"

La mancata instaurazione di una vita coniugale piena, caratterizzata dalla condivisione materiale e spirituale, può impedire il riconoscimento dell’assegno di mantenimento. Lo ha chiarito la Suprema Corte in un caso di richiesta di mantenimento dopo la separazione, in assenza di una vera convivenza matrimoniale.

Nel caso in commento, il Tribunale aveva dichiarato la separazione dei coniugi, rigettando le domande di addebito presentate e la richiesta di una delle parti di ottenere un assegno di mantenimento o, comunque, un assegno alimentare. La Corte d'Appello aveva, poi, stabilito che il tribunale avesse correttamente escluso il diritto al mantenimento, giacché non si era realizzata una vera e propria convivenza tra i coniugi, né una reale «communio omnis vitae», dato che i coniugi si vedevano saltuariamente e ciascuno provvedeva autonomamente alla gestione dei propri affari. Avverso tale decisione, veniva adita la Suprema Corte, la quale con ordinanza interlocutoria aveva evidenziato che il ricorso presentava profili di rilevante interesse nomofilattico, riguardanti il diritto all'assegno di mantenimento dopo la separazione, in assenza di una vera convivenza matrimoniale. Il ricorrente sosteneva che la Corte d'Appello avesse erroneamente negato il diritto all'assegno di mantenimento, nonostante sussistessero tutti i presupposti previsti dalla legge, ossia la non addebitabilità della separazione, la mancanza di redditi propri sufficienti a mantenere il tenore di vita precedente e la capacità economica dell'ex coniuge di sostenere il pagamento. La Suprema Corte, pur riconoscendo che la breve durata del matrimonio non costituisce di per sé un ostacolo al diritto all'assegno, ha sottolineato che l'assenza di una vera e propria «communio omnis vitae» tra i coniugi possa invece escludere tale diritto. In effetti, la giurisprudenza consolidata ritiene che la mancata instaurazione di una vita coniugale piena, caratterizzata dalla condivisione materiale e spirituale, possa impedire il riconoscimento di un assegno di mantenimento (come nel caso di specie, ove non si è mai concretizzata una vera «communio» tra i coniugi, né una condivisione del ménage familiare). Per la Cassazione, «questa comunione di vita costituisce un fatto, consistente nell'effettiva attuazione del rapporto matrimoniale attraverso la convivenza e l'osservanza degli altri doveri di solidarietà coniugale, che si realizza non certo automaticamente per effetto della legge, ma solo grazie alla condotta e al contributo dei coniugi. È nell'ambito di questa comunione di vita che l'obbligo di assistenza materiale si attualizza, giacché, in sua assenza, difetterebbe il contesto all'interno del quale l'assistenza (che è attività continuativa protratta nel tempo) assume una sua concretezza.» Infine, la decisione di non riconoscere un assegno alimentare alla parte richiedente, secondo i Giudici, appare conforme alla normativa, poiché «il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche dell'impossibilità da parte dell'alimentando di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante l'esplicazione di attività lavorativa, deve essere rigettata la domanda di alimenti ove l'alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica, e l'impossibilità, per circostanze a lui non imputabili, di trovarsi un'occupazione confacente alle proprie attitudini ed alle proprie condizioni sociali (Cass. 1820/1981, Cass. 1099/1990).»

Presidente Acierno - Relatore Pazzi Fatti di causa 1. Il Tribunale di Catanzaro, dopo aver pronunciato (con sentenza parziale numero 321/2017) la separazione dei coniugi S.M. e B.M., con sentenza definitiva numero 392/2022 rigettava le domande di addebito avanzate da ambedue le parti e la richiesta del B.M. di veder riconosciuto in suo favore un assegno di mantenimento o, quanto meno, un assegno alimentare. 2. La Corte d'appello di Catanzaro, a seguito dell'impugnazione del B.M., riteneva che il tribunale avesse correttamente respinto la richiesta di assegno di mantenimento; infatti, non vi era stata fin dall'inizio un'effettiva convivenza fra i coniugi, posto che la S.M. dopo soli quattro mesi era tornata a vivere a (OMISSIS), né si era instaurata fra i coniugi una vera communio omnis vitae, in quanto gli stessi si vedevano solo saltuariamente, provvedendo, di fatto, ciascuno per suo conto alla gestione dei propri affari e interessi. 3. B.M. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di rigetto dell'appello, pubblicata in data 20 dicembre 2022, prospettando un unico motivo di doglianza, al quale ha resistito con controricorso S.M.. Questa sezione, con ordinanza interlocutoria pubblicata in data 22 maggio 2024, ha ritenuto che il ricorso, presentando profili di possibile rilievo nomofilattico (trattandosi di verificare se, a seguito della separazione giudiziale fra i coniugi, sussista o meno il diritto all'assegno di mantenimento nel caso in cui non si sia realizzata, dopo il matrimonio - pur valido, con la conseguente assunzione degli obblighi di cui all'articolo 143, comma 2, cod. civ. -, alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi), dovesse essere rinviato a nuovo ruolo per la trattazione in udienza pubblica. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ex articolo 380-bis.1 cod. proc. civ., sollecitando il rigetto del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'articolo 378 cod. proc. civ.. Ragioni della decisione 4. Il motivo di ricorso presentato denuncia la violazione dell'articolo 156, commi 1 e 2, cod. civ., in quanto la Corte d'appello ha negato al B.M. il diritto di ricevere dall'ex coniuge l'assegno di mantenimento, nonostante sussistessero tutti i presupposti di legge, i quali erano costituiti non dalla durata del matrimonio o della convivenza, ma dalla non addebitabilità della separazione a carico del richiedente, dalla mancanza di redditi propri che consentissero di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e dalla capacità economica dell'ex coniuge di provvedere al pagamento. La Corte distrettuale, a dire del ricorrente, si è “adagiata” su una pronuncia di legittimità non pertinente, limitandosi a negare il diritto al mantenimento in ragione della “presunta” breve durata della convivenza in Catanzaro, senza considerare che in realtà il B.M. raggiungeva la moglie a (OMISSIS) diverse volte al mese, convivendo con lei e collaborando nella gestione degli affari e del patrimonio immobiliare. In ogni caso la durata del matrimonio, seppur breve, non impediva il riconoscimento di un assegno di mantenimento, potendo, al più, incidere sulla sua misura. 5. Il motivo risulta in parte infondato, in parte inammissibile. 5.1 È ben vero, in materia di separazione personale dei coniugi, che la durata del matrimonio o della convivenza matrimoniale non incidono sul riconoscimento del diritto a percepire un assegno di mantenimento. Infatti, alla breve durata del matrimonio non può essere riconosciuta efficacia preclusiva del diritto all'assegno di mantenimento, ove di questo sussistano gli elementi costitutivi, rappresentati dalla non addebitabilità della separazione al coniuge richiedente, dalla non titolarità, da parte del medesimo, di adeguati redditi propri, ossia di redditi che consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e dalla sussistenza di una disparità economica tra le parti; al più, alla durata del matrimonio può essere attribuito rilievo ai fini della determinazione della misura dell'assegno di mantenimento (Cass. 1162/2017). Inoltre, tra le condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, l'articolo 156 cod. civ. non pone l'instaurazione di un'effettiva convivenza fra i coniugi; la mancata convivenza può, invero, trovare ragione nelle più diverse situazioni o esigenze e va comunque intesa, in difetto di elementi che dimostrino il contrario, come espressione di una scelta della coppia, di per sé non escludente la comunione spirituale e materiale, dalla quale non possono farsi derivare effetti penalizzanti per uno dei coniugi ed alla quale comunque non può attribuirsi efficacia estintiva dei diritti e doveri di natura patrimoniale che nascono dal matrimonio (Cass. 19349/2011, Cass. 17537/2003, Cass. 3490/1998). 5.2 Nel caso di specie, tuttavia, la Corte distrettuale non ha valorizzato, al fine di escludere il diritto dell'appellante a ricevere un assegno di mantenimento, solo il fatto che non vi era stata un'effettiva convivenza tra i coniugi, dato che la S.M. dopo quattro mesi era tornata a vivere a (OMISSIS), ma anche la circostanza che fra i coniugi non si era mai instaurata una vera communio omnis vitae, né vi era stata condivisione del menage familiare. In presenza di una simile situazione di fatto i giudici distrettuali hanno negato la possibilità di riconoscere un assegno di divorzio, in coerenza con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui “… nell'ipotesi di durata particolarmente breve del matrimonio, in cui non si è ancora realizzata, al momento della separazione, alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi, attesa la insussistenza di condivisione di vita e, dunque, la mancata instaurazione di un vero rapporto affettivo qualificabile come affectio coniugalis, non può essere riconosciuto il diritto al mantenimento” (Cass. 402/2018); dunque, “se è vero che la breve durata del matrimonio non esclude di per sé il diritto all'assegno, tuttavia la mancata instaurazione di una comunione materiale e spirituale fra i coniugi può costituire una causa di esclusione” (Cass. 16737/2018; nello stesso senso, da ultimo, Cass. 20507/2024). 5.3 Questo collegio condivide questo principio, a cui intende dare continuità. Non vi è dubbio che il matrimonio-atto costituisca un negozio che produce la costituzione di un rapporto matrimoniale comportante una serie di reciproci diritti e doveri fra i coniugi, in cui è ricompreso l'obbligo di assistenza materiale previsto dall'articolo 143, comma 2, cod. civ.. Ciò nondimeno, il fine essenziale del matrimonio è la costituzione di una comunione di vita “spirituale e materiale”, come è possibile ricavare, indirettamente, dal tenore dell'articolo 1 l. 898/1970, secondo cui il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio «quando accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita». Questa comunione di vita costituisce un fatto, consistente nell'effettiva attuazione del rapporto matrimoniale attraverso la convivenza e l'osservanza degli altri doveri di solidarietà coniugale, che si realizza non certo automaticamente per effetto della legge, ma solo grazie alla condotta e al contributo dei coniugi. È nell'ambito di questa comunione di vita che l'obbligo di assistenza materiale si attualizza, giacché, in sua assenza, difetterebbe il contesto all'interno del quale l'assistenza (che è attività continuativa protratta nel tempo) assume una sua concretezza. Ora, se nessuna comunione di vita vi è mai stata, l'obbligo di assistenza non ha mai avuto il naturale ambito dove avverarsi e non può conseguire, per la prima volta, a una statuizione di separazione nel cui contesto il diritto al mantenimento a favore del coniuge separato trova il suo fondamento nella permanenza del vincolo coniugale e nel dovere di assicurare continuità all'assistenza materiale già realizzatasi, in precedenza, tra i coniugi. 5.3 Le doglianze concernenti l'accertamento della durata della convivenza, la cui brevità sarebbe stata solo presunta, si appuntano su un accertamento di esclusiva pertinenza della Corte di merito, non rivedibile nei suoi approdi in questa sede, e comunque non decisivo, giacché ai fini del riconoscimento di un assegno di separazione assume rilievo l'esistenza fra i coniugi non di un'effettiva convivenza, bensì - come detto - di una comunione spirituale e materiale. 5.4 Non si presta a censure neppure la decisione di non riconoscere al marito gli alimenti. Infatti, poiché il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche dell'impossibilità da parte dell'alimentando di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante l'esplicazione di attività lavorativa, deve essere rigettata la domanda di alimenti ove l'alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica, e l'impossibilità, per circostanze a lui non imputabili, di trovarsi un'occupazione confacente alle proprie attitudini ed alle proprie condizioni sociali (Cass. 1820/1981, Cass. 1099/1990). 6. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 4.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.