L'abuso dei permessi ex l. 104/1992, quando costituito dall'impiego dei permessi per soddisfare esigenze di mero svago del lavoratore che li richiede, integra giusta causa di licenziamento e legittima il datore di lavoro ad accertare il compimento di tale abuso anche a mezzo di investigazioni condotte da soggetti terzi.
Massima È legittimo il licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore che usa i permessi ex l. 104/1992, in maniera sistematica, per svolgere attività di carattere personale-ricreativo. Altresì legittimo è il controllo esercitato da parte del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa privata, in quanto avente ad oggetto non l'adempimento della prestazione lavorativa ma l'accertamento di atti illeciti quali l'abuso dei permessi retribuiti. Il caso Un dipendente richiede di poter usufruire dei permessi previsti dall'articolo 33, l. 104/1992 per assistere alla madre con disabilità. La datrice di lavoro, a seguito di controllo a mezzo di agenzia investigativa, licenzia il dipendente per giusta causa in quanto, dalle risultanze investigative, si ravvisa che il lavoratore, che aveva richiesto di utilizzare i suddetti permessi retribuiti dalle ore 13.00 alle ore 15.00, giunto a casa alle ore 13.00, attorno alle 14.00 usciva in abbigliamento sportivo e, inforcata la bicicletta, si allontanava per rientrare in casa alle ore 17.00. Tale condotta veniva reiterata per ben sei giornate. Il dipendente impugna il licenziamento: sia il Tribunale sia la Corte d'appello confermano la legittimità del recesso per giusta causa, in quanto, considerando la sistematicità e la reiterazione del comportamento contestato, sarebbe evidente il peculiare disvalore della condotta del lavoratore, preordinata a perseguire attività di natura esclusivamente personale. Il lavoratore ricorre per Cassazione sulla base dei seguenti motivi: violazione dell'articolo 2119 c.c. e articolo 18 St. lav. in relazione agli articolo 2,3,4 St. Lav., articolo 160 Cod. privacy, articolo 2702 c.c. e 115 e 245 c.p.c. ritenendo che le informazioni ottenute dalla datrice di lavoro a mezzo di agenzia investigativa privata siano inutilizzabili in quanto acquisite in violazione del principio di riservatezza; violazione degli articolo 2119 c.c. e articolo 18 St. lav., in relazione agli articolo 3 e 33 l. 104/1992 per aver, il giudice di merito, omesso di attenersi ai principi di legittimità relativi all'impiego dei permessi da parte del lavoratore per prestare assistenza al familiare con disabilità. La società resiste con controricorso. La Corte di cassazione rigetta il ricorso. La questione Quando ed entro quali limiti sono legittimi i controlli investigativi effettuati dal datore di lavoro? I permessi ex articolo 33 l. 104/1992 possono essere utilizzati per fini personali? Le soluzioni giuridiche La Corte di cassazione respinge integralmente il ricorso richiamando giurisprudenza ormai consolidata. Per quanto concerne il primo motivo di impugnazione, la Corte conferma la legittimità della condotta datoriale in quanto rammenta che il richiamo all'articolo 4 St. lav. è, nel caso concreto, inconferente in quanto tale norma riguarda l'ipotesi del controllo dell'attività del lavoratore a mezzo di strumenti tecnologici. La pronuncia della Corte d'appello risulta, invece, coerente con la giurisprudenza secondo la quale i controlli investigativi e i controlli effettuati da guardie giurate, posto che non possono mai avere ad oggetto l'adempimento (o l'inadempimento) della prestazione lavorativa, possono tuttavia essere volti ad accertare il compimento di atti illeciti realizzati dal lavoratore, proprio come nell'ipotesi di abuso dei permessi concessi ai sensi della l. 104/1992 che integra, pacificamente, una truffa ai danni dello Stato nonché un violazione del vincolo di fiducia datore-lavoratore. Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, la Cassazione ribadisce che l'articolo 33 l. 104/1992 non consente di impiegare il permesso, riservato all'espresso scopo di prestare assistenza al familiare invalido, per finalità differenti di carattere personale. Il riconoscimento del diritto di fruire dei permessi retribuiti ex l. 104/1992, si risolve, difatti, in nome di esigenze sociali meritevoli di tutela, in un sacrificio sia organizzativo per il datore di lavoro, sia economico da parte del sistema assistenziale previdenziale: l'uso improprio dei permessi indica, quantomeno, una violazione dei principi di buona fede e correttezza. Secondo giurisprudenza consolidata, deve sussistere un nesso causale diretto e rigoroso fra l'assenza dal lavoro del lavoratore che usufruisce dei permessi di cui alla l. 104/1992 e l'assistenza al familiare con disabilità: non è necessario, chiarisce la Corte, che si valuti con rigidità la coincidenza fra il segmento temporale coperto da permesso e l'attività di assistenza, né che, in quel lasso temporale, il lavoratore sacrifichi completamente le proprie esigenze personali e familiari. Ciò che è imprescindibile è che, alla luce di una valutazione del caso concreto operata dal giudice di merito, sia soddisfatta la finalità assistenziale di cui al permesso stesso: ciò significa che il tempo che il lavoratore, grazie ai permessi, non dedica al lavoro, deve essere preordinato alla preminente soddisfazione dei bisogni del familiare che necessita cura e assistenza. Nel caso che ci occupa, viceversa, i giudici di merito hanno ritenuto che la condotta del lavoratore, che per ben sei giornate ha utilizzato la metà dei permessi richiesti per esercitare attività sportiva (e dunque per soddisfare bisogni esclusivamente personali) integra un vero e proprio abuso dei permessi ex l. 104/1992, con conseguente legittimità del licenziamento per giusta causa intimato. Osservazioni La pronuncia in commento, condivisibile, pare ben inserirsi in quel filone giurisprudenziale ormai prevalente con il quale si intende incentivare l'adozione di una posizione moderatamente garantista nei confronti dei lavoratori che utilizzano i permessi in questione. Difatti, al netto del caso concreto ove non è possibile non ravvisare un preordinato intento truffaldino del dipendente che, ripetutamente, ha impiegato la metà del permesso per compiere attività di mero svago, la Corte richiama la sentenza numero 7306/2023 che chiarisce come l'esistenza di un nesso causale “diretto e rigoroso” fra fruizione del permesso e assistenza del familiare con disabilità non debba essere interpretato in maniera tanto rigida da comportare per il lavoratore una totale compressione delle proprie necessità personali e familiari, né come un nesso temporale fra godimento del permesso e orario di lavoro quanto, piuttosto, come un nesso funzionale tra il tempo “liberato” dal lavoro e la preminente soddisfazione delle esigenze del soggetto in favore del quale i permessi stessi vengono concessi. Ferma, dunque, la principale funzione di soddisfacimento delle esigenze del soggetto con invalidità, la sentenza in commento conferma il generale orientamento che riconosce ai permessi ex l. 104/1992, in via seppur residuale, funzione anche compensativa delle energie fisiche e mentali indirizzate dal dipendente verso la cura del familiare. Del resto, come rammenta altra recentissima pronuncia (Cass. civ., sez. lav., ord. 17 gennaio 2025, numero 1227) il cd. abuso del diritto si configura esclusivamente quando l'assistenza viene a mancare del tutto, ovvero è prestata per tempi tanto irrisori o con modalità talmente insignificanti da vanificare la ratio della l. 104/1992. Fonte: IUS/Lavoro
Rilevato che 1. la Corte di Appello di Brescia, con la sentenza impugnata, nell'ambito di un procedimento ex lege numero 92 del 2012, ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa, già dichiarata in prime cure, intimato in data 16 marzo 2022 da DALMINE Spa a La.Gi. per improprio utilizzo dei permessi concessi ai sensi della legge numero 104 del 1992 per l'assistenza alla madre; 2. la Corte territoriale, in sintesi, ha considerato, come il Tribunale, che il Lazzarini usufruiva di due ore di permesso, dalle ore 13.00 alle 15.00 , e, come risulta dagli accertamenti svolti dall'agenzia di investigazione privata, nelle giornate del 20 gennaio, 1 febbraio, 3 febbraio, 17 febbraio, 2 marzo e 4 marzo del 2022, egli, giunto a casa intorno alle 13.00, dopo circa un'ora, ossia intorno alle ore 14.00, usciva in bicicletta da corsa vestito con abbigliamento sportivo (scarpette, guanti, casco, occhiali) e rientrava a casa intorno alle 17.00 ; ha, quindi, ritenuto che tale comportamento fosse caratterizzat(o) da una preordinata reiterazione e sistematicità della condotta, desunta dal numero e frequenza degli episodi: in pratica, il lavoratore utilizzava metà del permesso per poter compiere il solito giro in bicicletta da corsa. E tale condotta sistematica (giustamente definita disinvolta dal primo giudice) denota, da un lato, che l'uso improprio dei permessi era ormai divenuto abituale, dall'altro, mette in luce il particolare disvalore della condotta, posta in essere per soddisfare esigenze puramente di svago del lavoratore ; 3. per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso il soccombente con due motivi; ha resistito con controricorso l'intimata società; il ricorrente ha anche comunicato memoria; all'esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza nel termine di sessanta giorni; Considerato che 1. i motivi di ricorso possono essere esposti secondo la sintesi offerta dalla stessa parte ricorrente; 1.1. il primo motivo denuncia: Viola gli articolo 2119 c.c. e 18 SL in relazione agli articolo 2,3,4 SL, all'articolo 160, comma 6 Codice della privacy e articolo 2702 c.c. e 115 e 245 c.p.c. il giudice di merito che non si attiene ai principi enunciati da codesta SC (cass. 25732/21 - cass. 25731/2021 - cass. 34092/21) in ordine alle modalità di controllo dei lavoratori ritenendo utilizzabili informazioni acquisite in violazione dei principi di riservatezza e della vita privata del lavoratore ; 1.2. il secondo motivo denuncia: Viola gli articolo 2119 c.c. e 18 SL in relazione agli articolo 3 e 33 L. 104/92 il giudice di merito che non si attiene ai principi enunciati da codesta SC (cass. penumero 54712/16 - cass. 7306/23 - cass. 2235/23 - cass. 25290/22 -cass. 23434/20 - cass. 12032/20 - cass. 26956/19 -30676/18) in tema di utilizzo dei permessi al lavoratore per l'assistenza al familiare disabile. ; 2. il Collegio giudica il ricorso infondato; 2.1. il primo motivo non può trovare accoglimento; infatti, si lamenta la violazione, da parte dei giudici di merito, di principi enunciati dai precedenti di legittimità richiamati in ricorso che, però, riguardano l'ipotesi del controllo effettuato a mezzo di strumenti tecnologici, in relazione all'applicabilità dell'articolo 4 St. lav. novellato, disposizione nella specie non operante in quanto dalla sentenza impugnata risulta solo che il controllo è stato effettuato per il tramite di agenzia investigativa; ciò posto, la pronuncia gravata sul punto risulta coerente con la giurisprudenza consolidata da questa Corte (da ultimo v. Cass. numero 30079 del 2024) secondo cui, fermo restando che il controllo di terzi, sia quello di guardie particolari giurate così come di addetti di un'agenzia investigativa, non può riguardare, in nessun caso, né l'adempimento, né l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera (tra le recenti, v. Cass. numero 17004 del 2024; in precedenza Cass. numero 9167 del 2003; Cass. numero 15094 del 2018; Cass. numero 21621 del 2018; Cass. numero 25287 del 2022), tuttavia le medesime pronunce affermano reiteratamente che il controllo delle agenzie investigative può avere ad oggetto il compimento di atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione contrattuale (così ancora Cass. numero 9167 del 2023, che cita la giurisprudenza precedente); in particolare, è costantemente ritenuto legittimo il controllo tramite investigatori che non abbia ad oggetto l'adempimento della prestazione lavorativa ma sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, come nel caso di controllo finalizzato all'accertamento dell'utilizzo dei permessi ex lege numero 104 del 1992 (v. Cass. numero 4984 del 2014; Cass. numero 9217 del 2016; Cass. numero 15094 del 2018; Cass. numero 4670 del 2019; da ultimo, Cass. numero 6468 del 2024); per altro verso, neanche viene adeguatamente specificato come il contestato controllo investigativo avrebbe inciso, con modalità non proporzionate rispetto al fine, sulla dignità e sulla riservatezza del lavoratore; 2.2. non può essere condiviso neanche il secondo motivo di doglianza; invero, in diritto, la sentenza appare conforme allla giurisprudenza di questa Corte in tema di condotte abusive di lavoratori che fruiscano di sospensioni autorizzate del rapporto per l'assistenza o la cura di soggetti protetti (ancora, da ultimo, Cass. numero 6468 del 2024); per pacifica giurisprudenza di legittimità, infatti, può costituire giusta causa di licenziamento l'utilizzo, da parte del lavoratore, di permessi ex lege numero 104 del 1992 in attività diverse dall'assistenza al familiare disabile, con violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso (Cass. numero 4984 del 2014; Cass. numero 8784 del 2015; Cass. numero 5574 del 2016; Cass. numero 9749 de1 2016; più di recente: Cass. numero 23891 del 2018; Cass. numero 8310 del 2019; Cass. numero 21529 del 2019); in coerenza con la ratio del beneficio, l'assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l'esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l'assistenza al disabile; tanto meno la norma consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela; ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile difetti non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto (cfr. Cass. numero 17968 del 2016), o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell'Ente assicurativo (v. Cass. numero 9217 del 2016 tanto premesso in diritto, la verifica in concreto, sulla base dell'accertamento in fatto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio, dell'esercizio con modalità abusive difformi da quelle richieste dalla natura e dalla finalità per cui il congedo è consentito appartiene alla competenza ed all'apprezzamento del giudice di merito (in termini: Cass. numero 509 del 2018; v. anche Cass. numero 29062 del 2017; Cass. numero 30676 del 2018; Cass. numero 21529 del 2019), sicché la pretesa di un sindacato di legittimità sul punto esorbita dai poteri di questa Corte (ancora di recente: Cass. numero 25290 del 2022; Cass. numero 8306 del 2023; Cass. numero 17993 del 2023); la stessa Cass. numero 7306 del 2023, citata da parte ricorrente, chiarisce come sia elemento essenziale della fattispecie di cui all'articolo 33, comma 3 cit., l'esistenza di un diretto e rigoroso nesso causale tra la fruizione del permesso e l'assistenza alla persona disabile, da intendere, come questa Corte ha già chiarito, non in senso così rigido da imporre al lavoratore il sacrificio, in correlazione col permesso, delle proprie esigenze personali o familiari in senso lato, ma piuttosto quale chiara ed inequivoca funzionalizzazione del tempo liberato dall'obbligo della prestazione di lavoro alla preminente soddisfazione dei bisogni della persona disabile. Ciò senza automatismi o rigide misurazioni dei segmenti temporali dedicati all'assistenza in relazione all'orario di lavoro, purché risulti non solo non tradita (secondo forme di abuso del diritto) ma ampiamente soddisfatta, in base ad una valutazione necessariamente rimessa al giudice di merito, la finalità del beneficio che l'ordinamento riconosce al lavoratore in funzione della prestazione di assistenza e in attuazione dei superiori valori di solidarietà sopra richiamati... ; la stessa pronuncia poi ribadisce che spetta al giudice di merito valutare se la fruizione dei permessi possa dirsi in concreto realizzata in funzione della preminente esigenza di tutela delle persone affette da disabilità grave, e pur nella salvaguardia di una residua conciliazione con le altre incombenze personali e familiari che caratterizzano la vita quotidiana di ogni individuo ; nella controversia all'attenzione del Collegio i giudici di ogni grado e fase del giudizio hanno concordemente ritenuto le modalità abusive di una condotta sistematicamente preordinata al soddisfacimento di personali esigenze ricreative del Lazzarini e siffatto apprezzamento di merito, indissolubilmente legato alle circostanze del caso concreto, non può essere sovvertito in sede di legittimità mediante doglianze intrise di riferimenti fattuali; 3. pertanto, il ricorso deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo; ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. numero 115 del 2002, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge numero 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13 (cfr. Cass. SS.UU. numero 4315 del 2020). P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%. Ai sensi dell'articolo 13, co. 1-quater, D.P.R. numero 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.