Per individuare il profitto del reato di autoriciclaggio, ai fini del sequestro preventivo finalizzato alla confisca, non è necessaria l’identificazione di un vantaggio ulteriore rispetto a quello conseguito con la consumazione del reato presupposto e derivante dalla condotta che integra il reato derivato.
Con la sentenza in commento la Suprema Corte preliminarmente ribadisce che la immediata conversione del profitto nummario nell'acquisto di un bene, come anche il deposito del denaro di provenienza illecita nelle casse di una persona giuridica, non eliminano la diretta derivazione di tali beni dal reato per cui si procede, circostanza che consente il loro inquadramento come profitto confiscabile in via diretta. Infatti, ricorda la Corte, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dall'articolo 322 ter c.p.p, costituisce profitto del reato anche il bene immobile acquistato con somme di denaro illecitamente conseguite, quando l'impiego del denaro sia “causalmente collegabile” al reato e sia soggettivamente attribuibile al suo autore. Nel caso in esame, il profitto del reato di autoriciclaggio oggetto di sequestro è stato individuato facendo corretta applicazione del principio, ormai consolidato in giurisprudenza, secondo cui «il profitto è costituito dal valore delle somme oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, posto che, in assenza di tali operazioni, esse sarebbero destinate a essere sottratte definitivamente, essendo provento del delitto presupposto». Si rileva infatti, che anche se non reimpiegati a fini dissimulatori, i beni oggetto dei reati derivati sarebbero comunque, secondo il Collegio, destinati a essere vincolati quali provento del reato presupposto in quanto “integralmente illeciti”, a prescindere dalle condotte dissimulatorie poiché appunto, appresi quale profitto del reato presupposto. La ratio su cui poggia tale opzione ermeneutica è la valorizzazione della funzione ripristinatoria delle confische disposte ai sensi dell'articolo 321, comma 2, c.p.p. e dei sequestri che le anticipano ai fini di impedire che l'economia legale sia inquinata dalla circolazione di beni di provenienza illecita. A seguito di tale iter motivazionale, il Collegio ritiene di affermare che «il profitto del reato di autoriciclaggio (come anche quello dei reati di riciclaggio e reimpiego) deve essere individuato nell'intero valore dei beni oggetto di condotte dissimulatorie, e non solo nell'ipotetico quid pluris derivante dalla condotta che integra il reato derivato. Tuttavia non è legittimo, duplicare il vincolo, ovvero apprendere lo stesso valore sia come profitto diretto del reato presupposto che come prodotto del reato derivato».
Presidente D'Agostini - Relatore Recchione Ritenuto in fatto 1. Si procede per il delitto previsto dall'articolo 11 d.lgs numero 74 del 2000 nei confronti di G.G., accusato di avere svuotato il patrimonio immobiliare e finanziario della società (OMISSIS) s.r.l. , poi rinominata in (OMISSIS) s.r.l. , in modo da rendere inefficace ogni procedura di riscossione coattiva dell'Erario, tenuto conto che la società vantava un debito di 290.831,87 euro. 1.1. Al G.G. veniva contestato, altresì, il reato di autoriciclaggio perché aveva impiegato parte del denaro proveniente dal delitto di sottrazione fraudolenta, per un ammontare pari ad euro 245.000, trasferendole in attività imprenditoriali di altre società, tra le quali la (OMISSIS) s.r.l. , in modo da ostacolare l'identificazione della sua provenienza delittuosa. Si procedeva, inoltre, anche nei confronti della società (OMISSIS) s.r.l. , accusata di essere responsabile dell'illecito amministrativo previsto dall'articolo 25-octies del d.l.gs numero 231 del 2001, in relazione al reato di autoriciclaggio consumato dal G.G. nel suo interesse o, comunque, a suo vantaggio. 1.2. Il Giudice per le indagini preliminari disponeva il sequestro impeditivo nei confronti della società (OMISSIS) s.r.l. fino alla concorrenza del debito tributario (ovvero fino a 290.831,87 euro). Disponeva, altresì, il sequestro preventivo funzionale a garantire la confisca del profitto del reato previsto dall'articolo 11 d.lgs numero 74 del 2000; tale sequestro veniva disposto, in prima battuta, in via diretta e veniva orientato nei confronti delle società beneficiarie dei trasferimenti distrattivi operati dal G.G., ovvero la (OMISSIS) s.r.l. , dove era confluito il denaro distratto, e la (OMISSIS) dove era confluito l'immobile di (OMISSIS). Solo nel caso in cui l'apprensione in via diretta del profitto lucrato da G.G., confluito nelle società, non avesse avuto esito, il vincolo avrebbe dovuto essere disposto per equivalente nei confronti dei beni nella disponibilità dell'indagato. 1.3. Il tribunale per le misure cautelari reali di Livorno, con l'ordinanza impugnata, ha parzialmente accolto l'appello presentato nell'interesse di G.G. contro il rigetto dell'istanza di dissequestro dei suoi beni, vincolati per equivalente con il sequestro preventivo funzionale a garantire la confisca del profitto generato dai reati a lui contestati. Il tribunale ha rigettato l'istanza perché ha individuato il profitto del reato previsto dall'articolo 11 del d.lgs numero 74 del 2000 esclusivamente nel valore dei beni sottratti fraudolentemente alla garanzia dei crediti erariali e non già - come ritenuto dal Giudice per le indagini preliminari - nel complessivo ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, ritenendo così vincolabili solo un immobile sito in (OMISSIS) e la somma di 245.000 euro, somma oggetto sia di distrazione che di autoriciclaggio. Pertanto, tenuto conto che il sequestro disposto nei confronti della società (OMISSIS) s.r.l. era stato eseguito per la somma di 64.156, 53 euro, veniva vincolata nei confronti del G.G. solo la somma di 180.843,47 euro (la somma tra i due importi ammonta al quantum distratto), con restituzione di quanto vincolato in eccedenza. 2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il pubblico ministero presso il tribunale di Livorno che deduceva: 2.1. violazione di legge: contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale la somma da confiscare ai sensi dell'articolo 321, comma 2 cod. proc. penumero avrebbe dovuto essere identificata nel valore dei beni posti a garanzia del debito tributario, con il limite dell'ammontare delle imposte evase (euro 290.831,87); e non - come ritenuto dal tribunale - nella somma distratta e reinvestita con la condotta di riciclaggio (euro 245.000 e l'immobile di (OMISSIS)). Si riteneva, peraltro, che tale somma avrebbe dovuto essere vincolata nei confronti dell'ente in relazione alla responsabilità amministrativa da autoriciclaggio per l'accertamento della quale la società (OMISSIS) s.r.l. era indagata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e, pertanto, non merita accoglimento. 1.1. In via preliminare il Collegio riafferma che il profitto del reato di cui all'articolo 11 d.lgs. 10 marzo 2000, numero 74 (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte) è rappresentato dal valore dei beni sottratti fraudolentemente alla garanzia dei crediti della Amministrazione finanziaria per le imposte evase e non già dal debito tributario rimasto inadempiuto (Sez. 5, numero 32018 del 14/03/2019, Lascarache, Rv. 277251 - 01; Sez. 3, numero 40534 del 06/05/2015, Trust, Rv. 265036 - 01). Tanto premesso, si rileva che - contrariamente a quanto dedotto - il tribunale ha correttamente individuato il profitto del reato per cui si procede, identificandolo nei beni distratti (ovvero l'immobile di (OMISSIS) e la somma di euro 245.000) ed ha provveduto, di conseguenza, alla restituzione dei beni vincolati in eccedenza. Deve essere chiarito che il sequestro risulta essere stato disposto in via diretta , anche se i beni sono stati appresi presso la società (OMISSIS). E deve essere, altresì, chiarito che il sequestro è stato eseguito ai sensi dell'articolo 321, comma 2, cod. proc. penumero, in relazione ai reati posti in essere dal G.G., e non ai sensi dell'articolo 19 d.lgs. numero 231 del 2001 in relazione alla responsabilità amministrativa della (OMISSIS). Il Collegio ribadisce, in materia, che la immediata conversione del profitto nummario nell'acquisto di un bene, come anche il deposito del denaro di provenienza illecita nelle casse di una persona giuridica, non eliminano la diretta derivazione di tali beni (denaro o bene acquistato) dal reato per cui si procede, circostanza che consente il loro inquadramento come profitto confiscabile in via diretta. Si riafferma, sul punto, che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dall'articolo 322-ter cod. penumero, costituisce profitto del reato anche il bene immobile acquistato con somme di danaro illecitamente conseguite, quando l'impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all'autore di quest'ultimo (Sez. U, numero 10280 del 25/10/2007, dep. 2008, Miragliotta, Rv. 238700 - 01) Nel caso in esame il denaro e l'immobile di (OMISSIS) sono stati sequestrati in via diretta entro il limite della distrazione contestata. 1.2 Quanto al vincolo del profitto del reato di autoriciclaggio il tribunale ha rilevato che il profitto relativo a tale reato non era stato individuato dal Giudice per le indagini preliminari, sicché non poteva considerarsi disposto alcun sequestro a tale titolo. E richiamava, sul punto, un orientamento giurisprudenziale secondo cui in tema di autoriciclaggio, il prodotto, il profitto o il prezzo del reato non coincidono con il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dal reato presupposto, consistendo invece nei proventi conseguiti dall'impiego di questi ultimi in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative (tra le altre, Sez. 6, numero 4953 del 20/11/2019, dep. 2020, Cilli, Rv. 278204 - 01). Invero tale orientamento risulta - ad oggi - in via di definitivo superamento in quanto si è affermato che il profitto dei reati di riciclaggio e reimpiego di denaro è costituito dal valore delle somme oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, posto che, in assenza di tali operazioni, esse sarebbero destinate a essere sottratte definitivamente, essendo provento del delitto presupposto. La Cassazione ha precisato che il denaro, i beni o le altre utilità trasferite, ovvero manipolate in modo da ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa, si prestano ad essere qualificate, comunque, come prodotto del reato, rappresentando il risultato empirico dell'attività illecita in cui si sostanzia la fattispecie, in quanto tale assoggettabile a vincolo ex articolo 648-quater, comma primo e secondo, cod. penumero (Sez. 2, numero 10218 del 23/01/2024, Meliota, Rv. 286131 - 01; Sez. 5, numero 32176 del 08/05/2024, Bianchi, Rv. 286816 - 01). Il Collegio rimarca che anche tale orientamento, che, per individuare il profitto del reato di autoriciclaggio non ritiene necessaria l'identificazione di un vantaggio ulteriore rispetto a quello conseguito con la consumazione del reato presupposto, non giunge a legittimare la duplicazione del vincolo, ovvero la apprensione di un valore doppio , riferibile sia al reato presupposto, che all'azione dissimulatoria compiuta con il reato derivato. L'orientamento in questione, infatti, rileva che, ove non reimpiegati a fini dissimulatori, i beni illeciti oggetto dei reati derivati sarebbero - comunque - destinati ad essere vincolati quali provento del reato presupposto: l'estensione del vincolo oltre il quid pluris collegabile al reato derivato (riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego) si fonda, infatti, sulla valutazione della integrale illiceità dei beni movimentati, che, ove non manipolati con condotte dissimulatorie, sarebbero comunque stati appresi quale profitto del reato presupposto. Si tratta di un ragionamento che presuppone l'unicità del vincolo, che si ritiene legittimo sull'intero prodotto del reato derivato proprio perché il quantum dissimulato non è stato appreso come profitto del reato presupposto. Tale opzione ermeneutica, condivisa dal Collegio, presuppone la valorizzazione della funzione ripristinatoria delle confische disposte ai sensi dell'articolo 321, comma 2 cod. proc. penumero e dei sequestri che le anticipano. Funzione che, osservata da altra angolazione, è quella di impedire che l'economia legale sia inquinata dalla circolazione di beni di provenienza illecita. Tale spiccata funzione ripristinatoria solo nel caso della confisca (e del relativo sequestro) per equivalente viene oscurata dalla eminente (e preminente) funzione sanzionatoria (Sez. U, numero 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, Esposito, Rv. 284209 - 01) In conclusione, il collegio afferma che il profitto del reato di autoriciclaggio (come anche quello dei reati di riciclaggio e reimpiego) deve essere individuato nell'intero valore dei beni oggetto di condotte dissimulatorie, e non solo nell'ipotetico quid pluris derivante dalla condotta che integra il reato derivato. Tuttavia non è legittimo, duplicare il vincolo, ovvero apprendere lo stesso valore sia come profitto diretto del reato presupposto che come prodotto del reato derivato. Nel caso in esame la somma reimpiegata, oggetto di autoriciclaggio, corrisponde a quella distratta ed è stata sequestrata, legittimamente, una sola volta. Il collegio rileva comunque che l'ordinanza impugnata presenta dei profili di contraddittorietà motivazionale laddove (a) dapprima imputa la somma sequestrata ad entrambi i reati per cui si procede (pag. 9), (b) successivamente assume che il profitto del reato di autoriciclaggio non è determinabile, né determinato (pag. 10). Resta comunque incontestato che tale profitto - anche ove individuato nell'intero valore dei beni oggetto di reinvestimento, come indicato dalla più recente giurisprudenza - non può essere oggetto di doppio vincolo, sicché il provvedimento risulta, nella sostanza, corretto, sicché la contraddizione rilevata non incide sulla sostanziale legittimità del provvedimento e, pertanto, non è idonea a generare un annullamento (articolo 619 cod. proc. penumero). P.Q.M. Rigetta il ricorso.