Ai fini della sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è decisiva la messa in pericolo concreta della garanzia dei creditori, e non la prevedibilità (o meno) del dissesto.
Non deve, tuttavia, confondersi l’esposizione al pericolo, sufficiente per l’integrazione del reato, con il danno alla massa dei creditori, requisito, quest’ultimo, non richiesto dalla norma come essenziale, costituendo un post-factum: l’assenza di danno, difatti, può derivare dalla complessiva attività di recupero posta in essere, dopo il fallimento, dal curatore, con individuazione di assi patrimoniali capaci di neutralizzare le esposizioni passive. La sentenza in commento concerne la vicenda che ha visto confermare da parte della Corte di Appello di Bari la sentenza di condanna per bancarotta patrimoniale, emessa dal Tribunale di Foggia, nei confronti di un amministratore unico e rappresentante legale di una s.r.l., dichiarata fallita, per aver distratto, dissimulato e dissipato in parte i beni di quest’ultima. In particolare, le condotte contestate all’imputato consistevano, da un lato, nella cessione ad un’altra s.r.l. riconducibile all’imputato di gran parte dei beni mobili di proprietà della s.r.l. fallita, dall’altro, nell’utilizzazione di ingenti risorse finanziarie per scopi estranei all’oggetto sociale. Più precisamente, la Corte ha ritenuto la prima condotta qualificabile come bancarotta fraudolenta a mezzo dissimulazione, in quanto la cessione dei beni aziendali risulterebbe da contratto simulato; invece, la seconda condotta è stata qualificata come bancarotta fraudolenta, perché ritenuta consistente nell’uso di ingenti risorse finanziarie della s.r.l. fallita per l’acquisto di due imbarcazioni di lusso. La difesa ha quindi impugnato il provvedimento per Cassazione, ritenendo che la sentenza di primo grado abbia effettuato una mutatio libelli, senza che il Tribunale rilevasse la difformità tra il fatto contestato nella seconda parte dell’imputazione e quello ritenuto, e perciò senza che il pubblico ministero modificasse l’imputazione, viziando l’effettivo diritto di difesa dell’imputato. In aggiunta, la difesa ha eccepito non solo che, quanto alla seconda condotta, l’acquisto della prima imbarcazione sia avvenuto dopo la modifica dell’oggetto della società fallita (da quello esclusivamente eolico a quello anche nautico), ma anche che l’acquisto della seconda imbarcazione era avvenuto mediante permuta della prima e che, dalla vendita di quest’ultima, l’imputato aveva tratto il necessario per la soddisfazione dei creditori. Ebbene, con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha ritenuto i ricorsi parzialmente fondati. I Giudici, difatti, hanno ritenuto che non fosse riscontrabile una trasformazione radicale del fatto contestato, dal momento che nessuna violazione del diritto di difesa si sia verificata in capo all’imputato. Vero è che la difesa aveva contezza della difformità fra oggetto formale e sostanziale, giacché l’imputato, fin dalla lettura della relazione del curatore ex articolo 33 l. fall., era consapevole che quest’ultimo avesse tralasciato parte dell’oggetto sociale, ovvero l’attività nautica, ritenendolo solo formalmente indicato e non sostanzialmente perseguito. In tal senso, affinché trovino applicazione gli articolo 516, 521 e 522 c.p.p. è necessario che la diversità tra il fatto contestato e quello emerso dall’istruttoria abbia i caratteri della trasformazione radicale. Più precisamente, la violazione del diritto di difesa è insussistente quando l’imputato, attraverso l’“iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione. Sul punto, i Giudici di Piazza Cavour hanno precisato che «in tema di citazione a giudizio, il fatto deve ritenersi enunciato in forma chiara e precisa quando i suoi elementi strutturali e sostanziali sono descritti in modo tale da consentire un complesso contraddittorio e il pieno esercizio del diritto di difesa da parte dell’imputato, che viene a conoscenza della contestazione non solo per il tramite del capo d’imputazione, ma anche attraverso gli atti che fanno parte del fascicolo processuale, fra i quali non può non annoverarsi anche la relazione ex articolo 33 l. fall.». Fermo restando che la condotta di acquisto delle due imbarcazioni di lusso, con impiego delle risorse patrimoniali della s.r.l., con suo successivo fallimento, è da qualificare nella fattispecie di bancarotta fraudolenta, perché trattasi di dissipazione, ovvero di condotta cosciente e volontaria di dispersione come sperpero a scopi voluttuari estranei all’impresa, i Giudici hanno volto lo sguardo al tema della prevedibilità del dissesto della società a cui faceva capo l’imputato, precisando che, con riferimento alla condotta dell’acquisto delle due imbarcazioni di lusso, il tema decisivo, ai fini della sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, consta nella messa in pericolo concreta della garanzia dei creditori, e non nella prevedibilità (o meno) del dissesto. Sul punto, di recente, i giudici di legittimità hanno ribadito che il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva o dissipativa prefallimentare è un reato di pericolo concreto, con la necessità che il pericolo sia valutato ex ante, in riferimento agli atti depauperativi compiuti nella c.d. zona di rischio penale, anche definita dalla dottrina come “prossimità dello stato di insolvenza” e che si manifesta allorquando lo stato di crisi sia idoneo ad orientare ogni iniziativa di distacco dei beni da parte dell’agente imprenditore in modo da creare un pericolo per l’interesse dei creditori sociali. In merito, la Corte di Cassazione precisa: «senza dubbio un’esegesi costituzionalmente orientata del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare, come reato di pericolo concreto, impone di valutare la rilevanza penale delle condotte e la loro offensività in base all’idoneità ex ante degli atti depauperativi a mettere realmente a rischio la garanzia dei creditori della massa fallimentare, in uno spazio – temporale ragionevole (la zona penale di rischio) entro il quale l’apprezzamento di uno stato di crisi dell’impresa, conosciuto dall’agente, è destinato ad orientare l’interpretazione di ogni iniziativa di distrazione dei beni da parte di quest’ultimo». I Giudici precisano, poi, che l’esposizione al pericolo, quale requisito sufficiente dell’integrazione del reato, non vada confuso con il danno alla massa dei creditori, requisito non richiesto dalla norma come essenziale e che costituisce un post – factum. In conclusione, il pericolo previsto dal reato di bancarotta prefallimentare va abbinato alla idoneità dell’atto di depauperamento a creare un vulnus alla integrità della garanzia della “categoria” dei creditori, che deve poggiare su criteri ex ante, con la precisazione che “dissipazione” significa «impiego dei beni sociali in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione in garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell’azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti».
Presidente Pezzullo Relatore Cananzi Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Bari, con la sentenza emessa il 24 ottobre 2023, confermava quella del Tribunale di Foggia che aveva ritenuto la responsabilità penale di Ta.An. perché, nella sua qualità di amministratore unico e rappresentante legale della società GE.CO. ITALIA Srl, dichiarata fallita con sentenza del 11 gennaio 2017, distraeva, dissimulava e dissipava in tutto o in parte i suoi beni. In particolare, le condotte contestate consistevano per un verso nella cessione alla società Bioitalia Srl, al Ta.An. riconducibile, gran parte dei beni mobili di proprietà della fallita, come da fattura di vendita n.1/2016 del 14.11.2016, avente importo di Euro 60.000,00 oltre Iva; per altro verso, nella utilizzazione di ingenti risorse finanziarie, per scopi del tutto estranei all'oggetto sociale, con l'acquisto di due imbarcazioni di lusso, sostenendo costi per Euro 2.175.271,12. 2. I ricorsi proposti nell'interesse di Ta.An. sono l'uno presentato dall'avvocato VALERIO SPIGARELLI, l'altro dall'avvocato Gianluca Ursittì: i relativi motivi saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'articolo 173 disp. att. cod. proc. pen. 3. Il ricorso proposto dall'avvocato Spigarelli è articolato in quattro motivi. 3.1 Il primo motivo lamenta violazione di legge, in relazione agli articolo 521, comma 2, 522 e 604 cod. proc. pen. nonché vizio di motivazione. Lamenta il ricorrente che la sentenza di primo grado abbia effettuato una mutatio libelli quanto alla condotta contestata nella seconda parte dell'imputazione, consistente nell'acquisto di due imbarcazioni per finalità estranee all'oggetto sociale. Tale condotta è stata ritenuta comunque sussistente, a seguito dell'istruttoria dibattimentale, pur a fronte della dimostrata modifica dell'oggetto (sociale che andava a ricomprendere anche l'attività di trasporto nautico, quinti l'attività in funzione della quale erano state acquistate le imbarcazioni. Il motivo rileva, quindi, la violazione degli articolo 516, in quanto il pubblico ministero avrebbe dovuto modificare l'imputazione, 521, comma 2, cod. proc. pen., poiché il Tribunale avrebbe dovuto rilevare la radicale difformità fra il fatto contestato e quello ritenuto e trasmettere gli atti al pubblico ministero: dal che anche la nullità ex articolo 522 cod. proc. pen.; infine, la sentenza impugnata incorrerebbe nella violazione dell'articolo 604 cod. proc. pen., a fronte di un motivo specifico di appello, avendo la Corte di secondo grado, offrendo una errata motivazione, fondato la responsabilità dell'imputato sulla circostanza che la modifica dello statuto sarebbe stata solo formale, per quanto emerso dalla relazione del curatore. Ma sul punto, osserva la difesa, la sentenza impugnata incorre in travisamento, in quanto non nella relazione del curatore, bensì nella deposizione di quest'ultimo, si evidenziava la natura strumentale dell'ampliamento dell'oggetto sociale, e ciò avrebbe dovuto condurre il pubblico ministero a operare le modifiche dell'imputazioni necessarie, non intervenute, consentendo di integrare all'imputato la lista testimoniale, ovvero di poter accedere ai riti alternativi. 3.2. Il secondo motivo lamenta violazione di legge quanto al delitto di bancarotta patrimoniale, nonché vizio di motivazione anche per travisamento omissivo. La censura si concentra sulla prima parte della condotta in contestazione, relativa alla cessione idei beni da parte della fallita alla Bioitalia Srl La sentenza impugnata risulta ritenere la bancarotta da dissimulazione, in quanto il contratto stipulato per la cessione dei beni aziendali risulterebbe simulato, per un verso non essendo stati trasferiti materialmente i beni all'acquirente, per altro non avendo quest'ultimo pagato il prezzo. La difesa osserva come la Corte di merito non abbia considerato che il prezzo era stato pattuito e quindi da versare a rate a partire dal luglio 2017, quindi successivamente alla dichiarazione di fallimento del gennaio dello stesso anno, come emergeva dalla trascurata consulenza dell'esperto della difesa; il prezzo, inoltre, era superiore a quello di mercato in quanto accresciuto per la consentita rateizzazione e, infine, il pagamento era avvenuto dopo il fallimento per' l'intero valore dei beni e prima della scadenza dell'ultima rata. Tali elementi sarebbero stati trascurati dalla sentenza impugnata, che ha tratto la natura simulata della vendita dall'omesso pagamento, senza confrontarsi con le emergenze rappresentate dalla difesa. Come pure illogica risulterebbe la motivazione nella parte in cui fonda la dissipazione sulla circostanza che l'intenzione genetica della acquirente sarebbe stata quella di non pagare, intenzione smentita invece dall'intervenuto successivo pagamento. Ciò comprova l'illogicità dell'argomento, pure speso dalla Corte territoriale, che l'acquirente non offriva garanzie in ordine all'adempimento, trattandosi di società non operativa. Inoltre, alcun pericolo per il ceto creditorio ebbe a verificarsi, tanto che la curatela ebbe a vendere alcuni beni all'asta e per altra parte il prezzo fu pagato in misura superiore al reale valore dei beni. Quanto all'elemento psicologico nessuna motivazione viene fornita dalla sentenza impugnata. 3.3. Il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, anche per travisamento, questa volta quanto alla seconda parte della contestazione, anche in ordine alla esclusione della riqualificazione in bancarotta semplice. Con il motivo dì appello veniva evidenziato il difetto di prova quanto all'elemento oggettivo e soggettivo, oltre che la circostanza che alcuna distrazione era intervenuta in quanto il curatore aveva rinvenuto la seconda imbarcazione la prima era stata oggetto della permuta e dalla vendita della stessa aveva tratto il necessario per la soddisfazione dei creditori della fallita. La sentenza impugnata rilevava come sulla base delle emergenze modifica strumentale dell'oggetto sociale, mancato svolgimento dell'attività di trasporto nautico, dichiarazione di Ta.An. quanto all'utilizzazione personale delle imbarcazioni fosse integrata la prova del delitto di bancarotta fraudolenta. La difesa, invece, rappresenta che la modifica dell'oggetto sociale avvenne quando l'acquisto del natante non era ancora perfezionato. Inoltre, le richiamate dichiarazioni di Ta.An. sono in sé non comprovanti la distrazione e, comunque, sono riportate in modo parziale, avendo l'imputato successivamente dichiarato che la società era in procinto di iniziare le attività nel settore nautico, il che, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di appello, risultava confermato dall'invio del business pian ad una società di intermediazione nautica. Inoltre, il travisamento riguarderebbe anche le dichiarazioni del consulente della difesa, che rappresentava come all'atto dell'acquisto, della prima imbarcazione la situazione della fallita fosse florida e, dunque, non tale da poter ritenere messe in pericolo le ragioni del ceto creditorio, argomento con il quale la Corte di appello non si sarebbe confrontata. Quanto al profilo soggettivo, la motivazione risulterebbe per un verso tautologica, in quanto il dolo viene tratto dalla condotta in sé e. dalla natura strumentale dell'ampiamento dell'oggetto sociale; mentre le argomentazioni che traggono la prova del dolo dalla situazione di crisi della società dal 2012 risultano smentite dalle emergenze oggetto di travisamento per omissione: in particolare la Corte di appello non avrebbe tenuto in conto le valutazioni del consulente di parte, la circostanza che l'istanza di fallimento proposta nel 2013 fu poi revocata dal creditore a seguito di transazione, la società fallenda sarebbe quindi venuta a trovarsi solo dal 2014-2015 in una situazione di crisi progressiva. Anche l'attenzione focalizzata sull'anno 2014 anno della permuta della prima imbarcazione con la seconda risulterebbe errata, perché trascura che il primo acquisto dell'imbarcazione avvenne nel 2010, anno in cui la situazione della società era ben più florida. La violazione di legge consegue al non aver considerato la sentenza impugnata che il dolo deve riguardare la consapevolezza della destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa e del pericolo concreto conseguente all'operazione gestionale, come pure verrebbero trascurati i principi in tema di indici di fraudolenza e la necessità che l'agente si prefiguri il fallimento come . conseguènza della operazione distrattiva, a fronte della situazione patrimoniale della società. In sostanza, non ogni atto di diminuzione del patrimonio integra reato se la società è in bonis. Ne consegue anche la natura viziata della sentenza in relazione alla mancata derubricazione del delitto da bancarotta fraudolenta in semplice per operazioni di manifesta impudenza ex articolo 217 L. fall. 3.4. Il quarto motivo lamenta violazione di legge In-relazione all'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per difetto di motivazione, nonché in relazione al trattamento sanzionatorio e alle pene accessorie, oltre che vizio di motivazione. La sentenza di primo grado aveva negato le circostanze attenuanti generiche non confrontandosi con i dati positivi, quali quelli del comportamento collaborativo dell'imputato, del fallimento per una crisi del settore delle energie rinnovabili, dell'assenza di danno effettivo per i creditori, del rinvenimento dei beni della fallita. La sentenza di secondo grado non offrirebbe alcuna risposta ai motivi di appello sul punto, cosicché la motivazione risulterebbe apparente, non potendo le due sentenze integrarsi, in assenza di argomentazioni adeguate anche in quella di primo grado. 4. Il ricorso proposto dall'avvocato Ursitti è articolato in sei motivi. 4.1. Il primo motivo è sovrapponibile al primo del ricorso dell'avv. Spigarelli, rappresentando come le operazioni di acquisto delle imbarcazioni siano state ritenute eccentriche rispetto non all'oggetto sociale formale, bensì rispetto a quello sostanziale, il che rendeva non prevedibile l'evoluzione dell'imputazione. 4.2. Il secondo motivo lamenta violazione di legge in relazione agli articolo 2479-bis e 2480 cod. civ. e vizio di motivazione. In primo luogo, la violazione di legge conseguirebbe alla circostanza che la nozione di oggetto sociale sostanziale, di creazione giurisprudenziale e dottrinale in sede civile, non prevista dalle norme codicistiche, non si attaglia al caso di specie, mentre viene utilizzata dalla sentenza impugnata. Anche contraddittorio sarebbe il riferimento che la Corte di appello compie ai benefici fiscali costi deducibili per la società, il che collide con la natura strumentale della modifica dell'oggetto sociale e dissipativa dell'acquisto delle imbarcazioni, nel senso che l'operazione consentiva un beneficio fiscale per la società e non per l'imputato, quindi coerente con l'interesse sociale. 4.3. Il terzo motivo, ripercorrendo alcuni argomenti del terzo motivo del primo ricorso, lamenta vizio di motivazione per l'imprevedibilità del dissesto al momento dell'acquisto dell'imbarcazione, per l'omessa valutazione del business pian, elemento decisivo, come anche delle dichiarazioni del consulente tecnico della difesa. Quanto al primo profilo la sentenza impugnata non si confronta con il tempo trascorso fra gli atti di gestione e il dissesto e con la sopravvenuta crisi del settore eolico, oggetto sociale originario. Sono stati trascurati i dati forniti dal consulente della difesa, per cui nel 2009 furono conclusi due accordi che avrebbero dato liquidità immediata alla società, che versava In quel momento e successivamente in condizioni floride. Inoltre, Ta.An. introdusse un nuovo progetto, in sé non sindacabile in quanto esercizio di discrezionalità scelta imprenditoriale. Anche sul dolo la Corte di appello incorrerebbe nei deficit motivazionali indicati dal terzo motivo del primo ricorso, che vengono riproposti. 4.4 Il quarto motivo lamenta violazione di legge per omessa riqualificazione della condotta in quella di bancarotta semplice e per motivazione apparente in ordine all'elemento psicologico. Lamenta il ricorrente che.si verterebbe in tema di imprudenza e non di dolo. 4.5. Il quinto motivo lamenta vizio di motivazione quanto alla prima parte dell'imputazione, in ordine al profilo oggettivo e soggettivo del reato. La Corte di appello non ha valorizzato che il contratto di cessione dei beni aziendali non fu messo in esecuzione per evitare un danno ai creditori e che i beni furono tutti rinvenuti, il credito comunque riscosso da parte della curatela, il che escluderebbe la natura distrattiva della cessione. In sostanza, sarebbe da escludersi la natura fittizia dell'operazione, difettando un depauperamento patrimoniale, vertendosi l'operazione solo nella sostituzione di elementi attivi nel patrimonio, il diritto di credito in luogo di beni venduti. 4.6. Il sesto motivo lamenta violazione di legge in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio, richiamando gli argomenti proposti dal quarto motivo del primo ricorso. 5. I ricorsi sono stati trattati con l'intervento delle parti, che hanno concluso come indicato in epigrafe. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono parzialmente fondati nei termini che si indicheranno a seguire. 2. I primi motivi dei ricorsi sono sostanzialmente sovrapponibili e possono essere trattati congiuntamente. 2.1. Va premesso che non si verte in tema di riqualificazione giuridica del fatto. La contestazione originaria prevedeva in via alternativa il riferimento alle. condotte distrattiva, dissipativa e dissimulativa, da riferirsi nello specifico alle azioni in concreto contestate, relative alla cessione dei beni alla Bioitalia Srl (prima parte dell'imputazione) e all'utilizzo di risorse finanziarie per scopi del tutto estranei all'oggetto sociale quali l'acquisto di due imbarcazioni di lusso, sostenendo costi per Euro 2.175.271,12 . Pertanto, la Corte di appello colloca la condotta ora in esame in quella dissipativa (fol.5), superando l'incertezza della sentenza di primo grado che ora si riferiva a quella distrattiva (fol. 4) ora richiamava anche quella dissipativa (fol. 5). Tale ultima incertezza, oltre a non essere oggetto di contestazione specifica in ordine al profilo della riqualificazione, comunque non risulta integrare alcuna nullità, in quanto le condotte di distruzione, occultamento, distrazione, dissipazione e dissimulazione sono alternativamente previste dalla norma, cosicché non dà luogo a nullità per violazione dell'articolo 429 cod. proc. pen. la formulazione di contestazioni alternative nel decreto che dispone il giudizio, né integra violazione dell'articolo 522 cod. proc. pen. la sentenza di condanna per una sola di tali condotte, trattandosi di contestazione di maggiore garanzia, che pone l'imputato nella condizione di conoscere esattamente le linee direttrici sulle quali si svilupperà il dibattito processuale e di esercitare in maniera piena e consapevole il diritto di difesa (Sez. 5, n. 21860 del 12/03/2024, Piccioni, Rv. 286503 01; conf. N. 46204 del 2004 Rv. 230386 01). Quanto alla lamentata violazione delle norme processuali (articolo 516,522,604 cod. proc. pen.), la Corte di appello a buona ragione rileva come non si verta in tema di una trasformazione radicale del fatto contestato, ritenendo che nessuna lesione del diritto di difesa si fosse verificata, in quanto la novità era emersa sia dalla relazione del curatore ex articolo 33 L. fall., sia anche dall'istruttoria dibattimentale dal dibattimento ( ...era circostanza ampiamente emersa nel corso dell'istruttoria dibattimentale... , così si legge al fol. 5 della sentenza impugnata). La difesa lamenta la trasformazione del fatto ritenuto rispetto a quello contestato in ordine alla estraneità dell'acquisizione delle imbarcazioni rispetto all'oggetto sociale, come indicata nella contestazione originaria. Osserva questo Collegio come effettivamente come rileva la sentenza impugnata già il curatore fallimentare nella relazjone ex articolo 33 I. fall. disponibile per questa Corte di legittimità in quanto allegata al ricorso, vertendosi in tema di error in procedendo (cfr. Sez. U. 31 ottobre 2001, Policastro, Rv. 220092) dava conto dell'esistenza di un restante contenuto dell'oggetto sociale che però il curatore non veniva preso in considerazione dall'ausiliario, in quanto l'attività della società si era dipanata solo nell'ambito delle energie rinnovabili e non nelle attività ulteriori pure formalmente indicate. A ben vedere, quindi, l'esclusione dall'oggetto sociale formale dell'acquisto delle imbarcazioni nasce già dal confronto che il curatore compie (fol. 6 e 23) con l'oggetto sociale effettivamente perseguito. In disparte la correttezza di tale argomentare, che sarà oggetto degli ulteriori motivi di ricorso, resta il dato che l'imputato fin dalla lettura della relazione del curatore aveva contezza che quest'ultimo aveva tralasciato parte dell'oggetto sociale, ritenendolo solo formalmente indicato e non sostanzialmente perseguito. Tali conclusioni del curatore rifluiscono, poi, nella definizione del capo di imputazione. Pertanto, la difesa aveva contezza della difformità fra oggetto formale e sostanziale, già evidenziata dal curatore, da intendersi riferita alla parte dell'oggetto sociale effettivamente perseguito e quello solo formalmente indicato. Cosicché questo profilo esclude che la distinzione introdotta nella sentenza di primo grado costituisca una 'novità' integrante nullità della decisione per difformità rispetto all'imputazione. D'altro canto, costante è l'orientamento di questa Corte che ritiene che in tema di citazione a giudizio, il fatto deve ritenersi enunciato in forma chiara e precisa quando i suoi elementi strutturali e sostanziali sono descritti in modo tale da consentire un completo contraddittorio e il pieno esercizio del diritto dì difesa da parte dell'imputato, che viene a conoscenza della contestazione non solo per il tramite del capo d'imputazione, ma anche attraverso gli atti che fanno parte del fascicolo processuale, fra i quali non può non annoverarsi anche la relazione ex articolo 33 L. fall., (da ultimo, Sez. 3, n. 9314 del 16/11/2023, dep. 05/03/2024, Rv. 286023 01; conf.: N. 16993 del 2020 Rv. 279090 01, N. 35964 del 2015 Rv. 264877 01, N. 36438 del 2015 Rv. 264772 01, N. 2741 del 2016 Rv. 265825 -01, N. 10033 del 2017 Rv. 269455 01, N. 6335 del 2014 Rv. 258948 01, N. 51248 del 2014 Rv. 261741 01). 2.2 Ad ogni buon conto, seguendo l'argomentare dei motivi di ricorso sul punto, comunque non si verterebbe in tema di una trasformazione radicale con lesione del diritto di difesa, come ritenuto dalla Corte di appello. L'articolo 516 cod. proc. pen. che prevede il dovere di modifica dell'imputazione, che secondo la difesa sarebbe stata omessa nel caso in esame viene richiamato dalle norme che regolano l'esito del giudizio: l'articolo 521, che impone al giudice di trasmettere gli atti.al pubblico ministero se il fatto emerso dall'istruttoria è diverso da quello contestato; l'articolo 522, per il caso in cui la sentenza sia emessa per un fatto diverso e, dunque, in violazione del principio di correlazione fra contestazione e decisione. Tutte tali disposizioni richiedono di valutare se il fatto come emerso dall'istruttoria sia diverso da quello contestato e, pertanto, soccorre a riguardo l'autorevole principio che rileva come la diversità debba avere i caratteri della trasformazione radicale. Per aversi mutamento del fatto, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, occorre che si pervenga ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 01; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619 01). E nel caso in esame sia il contenuto della relazione del curatore, sua anche l'evoluzione dell'istruttoria dibattimentale, come osservato dalla Corte di appello, consentiva il pieno esercizio del diritto di difesa. Per altro l'esercizio del diritto di difesa va commisurato alla condotta di reato. In tal senso, la ritenuta condotta dissipativa implica la natura eccentrica, come si leggerà a seguire, delle operazioni poste in essere da parte dell'imprenditore, che ben può verificarsi sia quando la condotta sia astrattamente prevista dall'oggetto sociale, ma comunque si concreti in una operazione priva di una giustificazione economica razionale, sia anche quando esorbiti dall'oggetto sociale. D'altro canto, l'oggetto sociale ex articolo 2328 cod. civ. consiste nel tipo di attività economica che la società di propone di svolgere ed in ragione della quale è stata costituita. La Corte di cassazione in sede civile ha chiarito che l'oggetto sociale è costituito dall'attività fissata e determinata dalla relativa clausola statutaria; sicché, ai fini della individuazione, occorre aver riguardo, quando tale clausola non presenti oscurità, esclusivamente al contenuto di questa e non anche al programmi ed agli atti elaborati e posti in essere dal la società per il raggiungimento del suo scopo e che, attenendo alle modalità di attuazione dell'oggetto sociale, assumono una propria ed. autonoma sfera di efficacia, contro la quale, ove essa contrasti con tale oggetto, sono azionabili appositi rimedi, a tutela dei diritti dei soci (Sez. 1 civ., n. 2364 del 13/07/1972, Rv. 359766 01). La circostanza che la condotta dissipativa, perché irragionevole ed eccentrica, ben possa riferirsi a una attività anche astrattamente prevista quale oggetto sociale, esclude nel caso in esame la trasformazione radicale della contestazione, la difesa, consapevole della modifica dell'atto costitutivo, ben poteva difendersi dalla condotta di dissipazione comunque configurabile anche nel caso di oggetto sociale effettivamente perseguito, come per altro la stessa difesa ha sostenuto. Tanto più che già la sentenza di primo grado chiariva da subito che l'attività nautica era prevista ma non perseguita, il che consentiva di approntare una difesa pertinente a riguardo, come è stata poi articolata, cosicché l'iter processuale non ha frustrato il diritto di difesa, non vertendosi certamente in una modifica 'a sorpresa'. D'altro canto, non si rinviene alcuna relazione di radicale eterogeneità ed -incompatibilità fra il fatto ritenuto e quello contestato, rendendo così impossibile all'imputato difendersi. Anche la doglianza di travisamento formulata, quanto alla fonte della ritenuta diversità del fatto, risulta aspecifica: in quanto, oltre alla richiamata relazione ex articolo 33 L. fall., la sentenza di appello esplicitamente evidenzia che la natura solo formale e non sostanziale dell'ampliamento dell'oggetto sociale con il riferimento all'attività nautica risultava circostanza ampiamente emersa nel corso dell'istruttoria dibattimentale , il che include anche la deposizione del curatore, che sarebbe stata oggetto di travisamento per omissione nella prospettiva del ricorrente. In sostanza i motivi di ricorso non si confrontano con tale parte della sentenza impugnata, ove si dava atto che nel corso del primo grado, durante l'istruttoria, emergeva la natura solo formale dell'attività nautica quale oggetto sociale anche dall'istruttoria, non solo dalla relazione del curatore. Per altro, in disparte quanto fin qui evidenziato, la lesione del diritto di difesa non si è in concreto realizzata, in quanto in secondo grado la difesa avrebbe potuto, alla luce della sentenza di primo grado, chiedere la rinnovazione istruttoria, con escussione di nuovi testimoni a fronte della ritenuta 'novità' del più ampio oggetto sociale e della distinzione fra oggetto sostanziale e formale, ovvero domandare l'accesso ai riti alternativi, richieste che non risultano formulate in concreto. Anche il richiamo del ricorso dell'avv. Ursitti a Sez. 5, n. 40195 del 2012, ric. Bi., non risulta pertinente, per quanto emerge dalla lettura della relativa motivazione. La Corte di appello di Bari non ha deciso in ordine a richieste di rinnovazione istruttoria che, a differenza che nel caso Bi., non risultavano avanzate; inoltre, nel caso Bi. la difformità riguardava il fatto ritenuto in primo grado da quello ritenuto in secondo grado (destinazione dei fondi sociali al pagamento di debiti conseguenti al gioco d'azzardo secondo il Tribunale, ovvero incerta destinazione ad altre finalità non meglio specificate da parte della Corte di appello), il che consentiva di rilevare non solo un vizio di motivazione, ma anche la necessità di verificare la radicale difformità fra le due condotte, incidenti anche sulla non esplorata verifica della incapacità di intendere e volere dell'imputato perché affetto da ludopatia. È di tutta evidenza come il caso Bi. sia completamente diverso da quello in esame, nel quale la destinazione delle risorse sociali all'acquisto dei beni indicati (le imbarcazioni con i costi correlati) risultava chiaramente contestata fin dall'origine e ritenuta sia in primo che in secondo grado. I motivi sono dunque infondati. 3. Vanno trattati congiuntamente i motivi terzo del ricorso dell'avv. Spigarelli e secondo, terzo e quarto del ricorso dell'avv. Ursitti, tutti riguardanti la condotta di bancarotta fraudolenta nella sua seconda parte, inerente all'acquisto delle imbarcazioni. 3.1. Quanto al menzionato secondo motivo, nella parte in cui lamenta violazione di legge in relazione agli articolo 2479-bis e 2480 cod. civ., la censura è inedita, perché la doglianza non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di. inammissibilità dall'articolo 606 comma 3 cod. proc. pen., come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata (foli. 3-5), che l'odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nell'odierno ricorso, se incompleto o comunque non corretto e, comunque, neanche dall'atto di appello. Va ricordato che in tema di ricorso per Cassazione, è consentito superare i limiti del devolutum e dell'ordinata progressione dell'impugnazione soltanto per le violazioni di legge che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello, come nell'ipotesi di ius superveniens , e per le questioni di puro diritto, sganciate da ogni accertamento del fatto, rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Non sono proponibili per la prima volta in cassazione, invece, le questioni giuridiche che presuppongono un'indagine di merito che, incompatibile con il sindacato di legittimità, deve essere richiesta o almeno prospettata nella sua sede naturale. La mancata devoluzione di siffatta questione in sede propria preclude ogni successiva doglianza e rende intangibile la decisione formatasi sul punto o capo, poi investito. D'altro canto, il tema della natura solo formale dell'ampliamento dell'oggetto sociale era già stato affermato dalla sentenza di primo grado, per quanto si è già evidenziato: dunque, la difesa era in condizione di lamentare la violazione di legge ora invocata, oltre che il correlato vizio di motivazione. Ad ogni buon conto, la doglianza proposta è anche infondata: quando la Corte di appello fa riferimento all'oggetto sociale sostanziale e non formale vuol significare non tecnicamente, ma in punto di fatto che l'oggetto sociale formale comprendente le attività nautiche, regolarmente ampliato non era stato effettivamente perseguito dalla società e dal suo amministratore nella sua interezza, quindi anche con attività nel settore del trasporto nautico. La circostanza che il termine oggetto sostanziale , che segna la differenza rispetto a quello formale, sia utilizzato come prospetta la difesa in sede civile solo per garantire i terzi e i creditori rispetto a condotte esorbitanti dall'oggetto formale, non integra alcuna violazione di legge. Il tema dell'attuale decisione è se le condotte di acquisizione dell'imbarcazione fossero o meno così Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, dep. 25/02/2021, Cimoli, Rv. 280550 02 a proposito della condotta di dissipazione impiego dei beni sociali in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue rispetto alle effettive esigenze dell'azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni è complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti. Ne consegue che la. sentenza impugnata non incorre in alcuna violazione degli articolo 2480 e 2479-bis cod. civ., non avendo mai messo in discussione che la modifica ampliativa dell'oggetto sociale non sia avvenuta nelle forme previste dal codice civile. Il motivo è pertanto anche infondato. 3.2. Venendo agli altri motivi e alla residua parte del secondo motivo dell'avv. Ursitti, quanto al vizio di motivazione, deve osservarsi come la Corte di appello abbia ritenuto sussistente la condotta di dissipazione e non di distrazione, cosicché del tutto irrilevante è il tema che l'imbarcazione sia stata rinvenuta nel patrimonio all'atto del fallimento. La Corte di appello chiarisce correttamente come la condotta di dissipazione contestata si sia sostanziata nell'incongruo impiego di risorse, in particolare con riferimento al secondo acquisto dell'imbarcazione. In sostanza, la Corte ricostruisce quanto segue: la società acquistò una prima imbarcazione del tipo Mangusta al prezzo di Euro 1.679.590,84 con contratto preliminare nel luglio 2010; a tale contratto seguì l'ampliamento dell'oggetto sociale in data 8 novembre 2010, ricomprendendovi anche le attività di trasporto nautico; dopo quattro anni, nel maggio 2014, l'imbarcazione Mangusta veniva permutata con valore di Euro 600.000, con altra imbarcazione, per un prezzo totale di Euro 745.000,00 versando così la società Euro 145.000,00 in aggiunta alla cessione della prima imbarcazione. A fronte di tale ricostruzione fattuale, la Corte evidenzia come l'impiego incongruo delle risorse risulti in prima battuta dalla natura strumentale dell'ampliamento dell'oggetto sociale, attestato dalla circostanza che la società fino a quel momento si era solo occupata di energie rinnovabili e mai del settore nautico, del quale non si sarebbe mai occupata successivamente. In secondo luogo, con riferimento alla operazione di permuta, rilevando come anche volendo dare credito alla tesi difensiva in ordine all'intenzione reale di attivare effettivamente il settore nautico comunque dopo quattro anni tale campo di azione della società non risultava ancora operativo, cosicché l'investimento in una ulteriore imbarcazione risultava certamente irragionevole, tanto più che la svalutazione delle imbarcazioni dimostrava la natura eccentrica e irrazionale dell'investimento. In tale prospettiva, la Corte di appello evidenziava come la natura strumentale e non effettiva anche al fine di ottenere benefici fiscali dell'ampliamento dell'oggetto sociale, derivava dalla circostanza che l'imputato non avesse riferito al curatore della attività nautica come attività sociale, che nelle note integrative dei bilanci della fallita dal 2010 in avanti mai si facesse riferimento alla attività menzionata, come anche che il business pian apparentemente datato 17 febbraio 2011 mai era stato esibito al curatore e citato dall'imputato nel corso della indagini preliminari. Inoltre, tale 'piano' che doveva dimostrare la reale intenzione della società di occuparsi del settore nautico risultava incerto quanto alla data, oltre che comunque mai attuato nei successivi sei anni, fino al fallimento. Da ultimo, risultava che l'utilizzo delle due imbarcazioni, in sequenza, fosse avvenuto esclusivamente da parte dell'imputato per ragioni personali e non sociali. Accanto ai costi di acquisizione delle imbarcazioni la Corte territoriale rileva si ponevano anche costi sostenuti per l'imbarcazione Mangusta negli anni 2010 e 2011 -portati in detrazione Iva pari a euro 462.661,50 e 10.102,97. 3.3. Va in primo luogo evidenziato come la ricostruzione operata dalla Corte di appello, per altro in conformità alla sentenza di primo grado, risulta congrua, non attaccata su tutti i profili dai motivi in esame. Il ricorrente lamenta una sottovalutazione del business pian che dovrebbe attestare la reale intenzione dell'amministratore della fallita di procedere all'attività nel settore nautico. I ricorsi replicano alla sentenza deducendo la certezza della data dello stesso business pian oggetto di travisamento omissivo. Ebbene, la doglianza è fondata, in quanto la Corte di appello non si è avveduta dell'invio della mail del 17 febbraio 2011. Ma certamente l'argomento non è decisivo, tenuto in conto che a fronte di tale iniziativa, come osserva la Corte di appello, comunque non vi era stato alcun seguito fattivo nell'intraprendere iniziative imprenditoriali nel settore nautico, un fatto oggettivo mai smentito a fronte degli ingenti investimenti nelle imbarcazioni. Neanche si confrontano i ricorsi con la circostanza che nelle note integrative ai bilanci dal 2010 in avanti anno di acquisto della prima imbarcazione -alcun riferimento viene effettuato alla attività nautica e che le imbarcazioni erano state utilizzate a fini personali dall'imputato, come anche che mai l'attività nautica aveva avuto inizio. Pertanto, quanto a tali profili, i motivi sono aspecifici e non decisivi. Inoltre, l'argomentare della Corte territoriale non appare certamente viziato da manifesta illogicità, da contraddittorietà anche da travisamento, né da violazione di legge. A ben vedere, la circostanza che l'imbarcazione (la seconda) sia stata rinvenuta all'atto del fallimento e sia stata quindi venduta, non rileva in ordine al profilo oggettivo, in quanto non si verte in tema di distrazione: da tale punto di vista la Certe, territoriale argomenta correttamente che gli ingenti investimenti compiuti nella prima imbarcazione e, ancor più, nella seconda dopo il decorso di quattro anni, senza alcuna correlazione con l'attività svolta senza che la nuova attività nautica avesse avuto inizio, né lo avrebbe avuto successivamente fino al fallimento sono tali da integrare non la distrazione, ma la dissipazione, tanto più che la natura dei due natanti, soggetti a forte svalutazione, palesa proprio la peculiare irragionevolezza degli investimenti perché privi di giustificazione e senza alcuna utilità per l'impresa (così autorevole dottrina qualifica le caratteristiche della dissipazione). L'argomento difensivo che in realtà un utile sarebbe stato tratto per l'impresa in ragione della circostanza che i costi sostenuti ebbero a consentire detrazioni ai fini fiscali (così il secondo motivo del ricorso dell'avv. Ursitti) non è decisivo. Per un verso la Corte di appello non si riferisce a tutti i costi sostenuti per l'acquisto delle due imbarcazioni, ma solo a parte degli stessi, in relazione alla sola prima imbarcazione, cosicché le spese per la seconda non risulterebbero aver apportato alcuna utilità. Inoltre, l'utilità tratta a mezzo delle detrazioni non è pari a quanto investito, cosicché la garanzia patrimoniale per i creditori viene comunque ad essere messa in pericolo. Né tanto meno, procedendo sul medesimo tema, la valutazione della Corte di appello in ordine alla natura strumentale dell'ampliamento dell'oggetto sociale, teso a dimostrare l'inerenza dei costi sostenuti ai fini fiscali, così da poterli detrarre, risulta manifestamente illogica. Tale argomento scaturisce dalla circostanza che l'uso delle imbarcazioni fu solo personale di Ta.An. non contestato dall'imputato e nessuna attività nautica ebbe mai inizio dal 2010 fino al fallimento, cosicché non è manifestamente illogico quanto affermato dalla Corte di appello, di una ulteriore finalità, quella del conseguire i benefici fiscali. Quanto alle denunce di travisamento (terzo motivo del ricorso dell'avv. Spigarelli) le stesse non sono disarticolanti. Infatti, la circostanza che Ta.An. dopo le prime dichiarazioni al curatore* ne avrebbe rese altre con le quali dichiarava di aver avuto intenzione di dare inizio all'attività nel settore nautico, non è decisiva perché l'attività non ha mai avuto inizio per sette anni a fronte di due imbarcazioni acquistate in sequenza, come già evidenziato . Il secondo travisamento dedotto riguarderebbe le dichiarazioni del consulente della difesa, che aveva riferito che la situazione della società al 2010, data del primo acquisto era florida. Ma la Corte di appello, per un verso chiarisce che ancor più il secondo acquisto seguendo la tesi difensiva risulta irragionevole a distanza di quattro anni dal primo, con il che viene sostanzialmente a essere non decisivo se nel 2010 la situazione era florida, in quanto certamente nel 2014 non -..lo era, oltre a offrire i Collegi di merito elementi per ritenere non attendibile le dichiarazioni dell'esperto nominato dalla parte, argomenti con i quali non si confronta adeguatamente il ricorso in esame. Per altro, la circostanza che la situazione fosse florida nel 2010 a fronte di un così significativo impegno di spesa connesso a una attività che non ebbe inizio rendeva concreto il pericolo per il ceto creditorio della diminuzione di garanzia, proprio per la svalutazione dell'imbarcazione e soprattutto perché la società, verificata l'impossibilità di dare inizio alla nuova attività nautica, avrebbe dovuto provvedere immediatamente alla vendita dell'imbarcazione, così da evitare il deprezzamento ulteriore. Tanto più che la Corte di appello evidenzia come il rallentamento, se non il blocco del comparto dell'energia rinnovabile, si era già verificato nel 2012, tanto che nel 2013 viene presentata richiesta di fallimento risolta a mezzo di una transazione. Pertanto, assolutamente congrua è la considerazione per cui per lo meno la decisione di continuare a mantenere nel patrimonio della società un bene tanto costoso, a partire dal 2012, e ancor più, la decisione di permutarlo con un altro bene altrettanto oneroso, in epoca in cui la società soffriva quanto meno di grave carenza di liquidità, sono del tutto ingiustificabili (sentenza impugnata, fol. 7). 3.4. Sempre al profilo in esame vanno anche ricondotte altre doglianze contenute nel ricorso dell'avv. Ursitti, in ordine al tema della asserita imprevedibilità del dissesto: lo stesso trova risposta in quanto da ultimo evidenziato, nel senso che a partire dal 2012 la carenza di liquidità e la presenza in contabilità di crediti di difficile realizzazione (cfr. fol. 7 della sentenza impugnata) rendevano non imprevedibile il dissesto, seguendo l'impostazione offerta dalla doglianza difensiva. D'altro canto, il tema decisivo ai fini della sussistenza dei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale è la messa in pericolo concreta della garanzia per i creditori e non la prevedibilità (o meno del dissesto). Da questo punto di vista l'analisi svolta dalla Corte di appello è corretta e non manifestamente illogica, in quanto negli anni 2012-2013 la crisi di liquidità e il mantenimento dell'investimento nell'imbarcazione, con depauperamento veloce del valore, in uno al successivo acquisto con ulteriore investimento nel 2014, rendeva concreto il pericolo suddetto. Di recente, Sez. 5, n. 20096 del 26/01/2024, Parcesepe, Rv. 286501 01, ha ribadito, in modo condivisibile, in motivazione che la bancarotta fraudolenta distrattiva o dissipativa prefallimentare è, sì, reato di pericolo concreto (per tutte, cfr. Sez. 5, n. 17819 del 24/3/2017, Palitta, Rv. 269562 e Sez. 5, n.38396 del 23/6/2017, SgararnelJa, Rv. 270763; specificamente per la bancarotta fraudolenta dissipativa cfr. Sez. 5, n. 533 del 14/10/2016, dep. 2017, Zaccaria, Rv. 269019), con la necessità che il pericolo sia valutato ex ante, in riferimento agli atti depauperativi compiuti nella ed. zona di rischio penale (cfr. Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, Fiume, Rv. 246879, in motivazione, e Sez. 5, n. 18517 del 22/2/2018, Lapis, Rv. 273073). La zona di rischio penale è quella che in dottrina viene comunemente individuata come prossimità dello stato di insolvenza , quando l'apprezzamento di uno stato di crisi, normalmente conosciuto dall'agente imprenditore o figura equiparata, è destinato a orientare la lettura di ogni sua iniziativa di distacco dei beni fatte salve quelle inquadrabili nelle altre ipotesi di reato pure previste dalla legge fallimentare del 1942 nel senso della idoneità a creare un pericolo per l'interesse dei creditori sociali (così la sentenza Palitta, cit.). Senza dubbio un'esegesi costituzionalmente orientata del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare osserva Sez. 5 Parcesepe come reato di pericolo concreto (in tema, oltre alla citata sentenza Palitta, cfr. anche Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, Simone, Rv. 261683), impone di valutare la rilevanza penale delle condotte e la loro offensività in base all'idoneità ex ante degli atti depauperativi a mettere realmente a rischio la garanzia dei creditori della massa fallimentare, in un parametro spazio-temporale ragionevole (la zona penale di rischio) entro il quale l'apprezzamento di uno stato di crisi dell'impresa, conosciuto dall'agente, è destinato ad orientare l'interpretazione di ogni iniziativa di distrazione dei beni da parte, di quest'ultimo. E nel caso in esame tali parametri risultano rispettati, anche in considerazione della misura dell'investimento effettuato rispetto allo stato di crisi economica descritto: l'istanza di fallimento del 2013 e il rallentamento/blocco del settore delle energie rinnovabili nel 2012, come la non realizzabilità dei crediti vantati senza manifeste illogicità e in linea con l'orientamento consolidato sulla natura di reato di pericolo concreto sono stati ritenuti dalla Corte di merito costituire correttamente indicatori della concreta messa a rischio della garanzia patrimoniale per i creditori, in conseguenza dell'acquisto e del mantenimento delle imbarcazioni. 3.5 D'altro canto, non deve confondersi l'esposizione a pericolo, sufficiente per l'integrazione del reato, con il danno alla massa dei creditori, requisito non richiesto dalla norma come essenziale e che costituisce un post-factum, anche perché l'assenza di danno non è essa stessa prova di mancata esposizione a pericolo, poiché tale assenza, invece, può derivare dalla complessiva attività di recupero posta in essere, dopo il fallimento, dal curatore, con individuazione di assi patrimoniali capaci di neutralizzare le esposizioni passive (cfr., in tal senso, Sez. 5, n. 17819 del 24/3/201, Palitta, Rv, 269562, in motivazione). Il pericolo previsto dalla bancarotta pre-fallimentare che è anche l'evento giuridico del reato, come ribadito da Sez. U, n. 21039 del 27/1/2011, Lo, in motivazione va abbinato, dunque, alla idoneità dell'atto di depauperamento a creare un vulnus alla integrità della garanzia della categoria dei creditori, in caso di apertura di procedura concorsuale, con un'analisi che deve riguardare in primo luogo l'elemento oggettivo, per investire poi in modo omogeneo l'elemento soggettivo, e che deve poggiare su criteri ex ante , in relazione alle caratteristiche complessive dell'atto stesso e della situazione finanziaria della società, laddove (' anteriorità di regola è tale relativamente al momento della azione tipica, senza però che sia esclusa dalla valutazione la permanenza o meno della stessa situazione, fino all'epoca che precede l'atto di apertura della procedura. In tal senso, questa Sezione ha già espressamente affermato che, ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, è irrilevante, sotto il profilo dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato, l'assenza di un danno per i creditori (Sez. 5, n. 13382 del 3/11/2020, Verdini, Rv. 281031, in una fattispecie relativa alla dichiarazione di insolvenza di un istituto di credito, in cui le posizioni dei creditori o correntisti erano state assorbite dall'intervento a tutela del fondo di garanzia dei depositanti delle banche di credito cooperativo). Pertanto, corretta è la valutazione della Corte di appello, che anche tiene conto in modo non manifestamente illogico della prospettiva 'dinamica' degli eventi, cosicché anche il confronto cronologico della cui assenza si duole il ricorso dell'avv. Ursitti risulta comunque svolto dalla Corte territoriale, tanto più che il travisamento relativo alla omessa valutazione delle dichiarazioni del consulente di parte in ordine ai due accordi del 2009, grazie ai quali vi sarebbe stato un afflusso di liquidità, non si confronta con la richiesta di fallimento del 2013, oltre che con i profili di inattendibilità riguardanti l'esperto nominato dalla parte evidenziati dalla sentenza impugnata. 3.6. In relazione al tema della omessa riqualificazione della condotta, oggetto di doglianza, va richiamata la motivazione di Sez. 5, n. 20071 del 18/04/2013, Lanata, Rv. 255657 01, che definisce dissipazione la condotta cosciente e volontaria di dispersione patrimoniale intesa come sperpero a scopi voluttuari estranei all'impresa, mentre la ulteriore ipotesi di bancarotta semplice, costituita dalle operazioni manifestamente imprudenti di cui alla L.Fall., articolo 217, n. 2, resta esclusa nel caso di specie, per la ragione che dovrebbe comunque trattarsi di atti inerenti l'attività di impresa, connotati da errori di valutazione (Sez. 5, n. 12874 del 07/03/1989 Ud. (dep. 25/09/1989) Rv. 182141; conf. Riv. 177518; Sez. 5, Sentenza n. 15850 del 26/06/1990 Ud. (dep. 29/11/1990) Rv. 185886; Sez. 5, Sentenza n. 2876 del 10/06/1998 Ud. (dep. 03/03/1999) Rv. 212608). D'altro canto, come evidenziato in precedenza, citando Sez. 5 Cimoli, dissipazione vuol dire impiego dei beni sociali in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell'azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti. Nel caso in esame si verte, per le esposte ragioni, in scopi estranei all'impresa perché voluttuari e personali dell'amministratore, per quanto evidenziato dalla Corte territoriale a conferma della sentenza di primo grado, il che esclude la richiesta di riqualificazione in bancarotta semplice. Correttamente la Corte territoriale (fol. 7) esclude la fattispecie ex articolo 217 di bancarotta semplice per operazioni imprudenti, in quanto queste ultime devono risultare errate per imprudenza, ma comunque coerenti con le esigenze dell'impresa, presupposto quest'ultimo escluso nel caso in esame per l'irragionevolezza e l'estraneità dei due investimenti in imbarcazioni alle ragioni sociali: E anche la doglianza di sindacato non consentito delle scelte dell'amministratore della società, rivolte dal ricorrente alla sentenza impugnata, non tiene in conto che la Corte di appello ha fatto buon governo del principio fissato sempre da Sez. 5 Cimoli: ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta per dissipazione, non può trovare applicazione la regola del ed. business judgement rule criterio di valutazione della responsabilità civile degli amministratori della società nei confronti dell'ente, di derivazione anglosassone, secondo cui si presume che questi agiscano su base informata, in buona fede e nell'interesse della società, con esonero da responsabilità del board of directors , purché abbia assunto decisioni corrette secondo una serie di indici di diligenza -non potendo il giudice penale sindacare, alla luce degli eventuali risultati negativi, le scelte discrezionali, pur irragionevoli, di gestione dell'impresa, fondate su ragioni di carattere tecnico, economico e/o finanziario, naturalmente produttive di rischio per il suo patrimonio, quanto, invece, la prospettazione delle conseguenze della soluzione adottata, del tutto macroscopica ed abnorme, ossia manifestamente configgente ed incoerente, Secondo un giudizio ex ante in relazione alle dimensioni ed alla complessità dell'azienda e delle specifiche condizioni economiche sussistenti, con la tutela del ceto creditorio e con la logica di impresa (Sez. 5n. 7437 del 15/10/2020, dep. 25/02/2021, Cimoli, Rv. 280550 01). È a queste caratteristiche di incoerenza, confliggente con la logica dell'impresa che si conforma correttamente la sentenza qui impugnata. 3.7. A fronte di ciò occorre tornare sul tema dell'oggetto sociale, questa volta nella prospettiva della violazione di legge, non più processuale come in precedenzama sostanziale. La finalità della condotta dissipativa, perché estranea all'interesse dell'impresa, non va valutata sulla scorta dell'oggetto sociale ex articolo 2328, comma 2, n. 3, cod. civ. bensì delle iniziative imprenditoriali concretamente intraprese o da intraprendersi, dovendo ritenersi, come osservato in dottrina, che la dissipazione si sostanzia nel dissolvere, sperperare, disperdere i beni per scopi incoerenti con le esigenze dell'impresa e non con il suo oggetto sociale inteso in astratto. D'altro canto, l'articolo 2328 cit. prescrive che nell'atto costitutivo sia indicata l'attività che costituisce l'oggetto sociale, che deve avere le caratteristiche di possibilità, liceità, determinatezza o determinabilità. L'oggetto sociale deve essere predeterminato a garanzia dei soci che devono conoscere l'ambito delle attività oggetto di rischio dell'investimento che compiono. Ma certamente l'oggetto non costituisce altro che un programma, specie se, come nel caso in esame, riguarda una pluralità di attività, cosicché non basta che l'attività sia prevista in oggetto perché le condotte di disposizione del patrimonio sociale siano automaticamente ritenute non dissipative. La verifica a farsi riguarda le attività concretamente svolte o prossime a svolgersi in relazione alle quali deve definirsi l'esigenza dell'impresa e la coerenza fra le prime e la seconda. 3.8. Deve pertanto affermarsi il principio per cui in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale la condotta di dissipazione consiste nell'impiego dei beni sociali in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue, non rispetto all'oggetto sociale ex articolo 2328, comma 2, n. 3, cod. civ. astrattamente inteso, bensì rispetto alle effettive esigenze dell'impresa, tenuta in conto la concreta attività svolta, che può riguardare anche solo parte dell'oggetto sociale, avendo riguardo alle dimensioni e complessità dell'azienda, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti. 3.9. Quanto alle censure rivolte alla sentenza impugnata in ordine al dolo del delitto di bancarotta per dissipazione, pacificò è in giurisprudenza che per la distrazione, come anche per la dissipazione e la dissimulazione, il dolo richiesto sia quello generico, in conseguenza della circostanza che vertendosi in tema di reato di pericolo 'il fuoco' del dolo deve concretarsi solo sulla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l'intenzione di causarlo (Sez. 5, n. 51715 del 05/11/2014, Rebuffo, Rv. 261739 01; conf. INI. 9807 del 2006 Rv. 234232 01) o che la finalità di determinarlo colori il dolo del reato come specifico (Sez. 5, n. 9807 del 13 febbraio 2006, Caimmi ed altri, Rv. 234232). In particolare, poi, quanto alla dissipazione, occorre la consapevolezza, da parte dell'autore della condotta, di diminuire il patrimonio societario per scopi del tutto estranei all'oggetto sociale (Sez. 5., n. 34979 del 10/09/2020, Magnoni, Rv. 280321 01; conf.: N. 2876 del 1999 Rv. 212608 01, N. 38835 del 2002 Rv. 225398 01, N. 47040 del 2011 Rv. 251218 01). Nel caso in esame, la censura che il dolo verrebbe tratto dalla condotta in sé non è fondata, in quanto l'analisi del complesso degli elementi a sostegno della ritenuta sussistenza del dolo è molteplice. Premesso che la prova del dolo può anche essere tratto dalla condotta, allorché non emergano esplicite dichiarazioni di volontà da parte dell'agente che si accompagnino alla condotta, nel caso in esame, la Corte di appello fa buon governo del principio per cui anche il dolo generico, oltre al pericolo concreto, possa evincersi dagli indici di fraudolenza , rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa. (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017 -dep. 01/08/2017, Sgaramella e altro, Rv. 27076301). Tali elementi vengono valutati a più riprese dalla sentenza impugnata, sia in relazione alla strumentalità dell'ampliamento dell'oggetto sociale, mai attuato, quanto al settore nautico, sia anche in relazione alla consapevole scelta di investire nelle imbarcazioni che vi fosse un piano concreto per la loro utilizzazione a fini sociali, sia infine per l'utilizzo personale svolto, il che comprova la volontà di una utilizzazione estranea alle esigenze dell'impresa. Argomenti che non appaiono frutto di un argomentare viziato da illogicità manifeste e contraddittorietà. Quanto alla consapevolezza della natura pericolosa per le ragioni creditorie dell'acquisto della prima e della seconda imbarcazione, le stesse censure, che posticipano la crisi al 2014-2015, non sì confrontano comunque con l'ulteriore investimento nel 2014 di 145mila Euro per l'acquisto della seconda imbarcazione. In sostanza la censura, che tende a svalutare la natura 'pericolosa' del primo investimento che per importo, come anche per permanenza nel tempo, non essendo stata tempestivamente venduta l'imbarcazione allorché il 'piano' del nuovo settore non veniva a realizzarsi, consentendo la svalutazione del natante comunque non risolve il tema della pericolosità anche del secondo investimento, che ha. continuato a congelare e deprezzare 745mila Euro (come osserva correttamente la Corte di appello al fol. 6, pari al valore svalutato di 600mila Euro del primo natante con versamento di ulteriori 145mila Euro alla permuta). Ne consegue l'infondatezza dei motivi anche in ordine al coefficiente soggettivo. 4. Venendo ai motivi relativi alla seconda parte delle censure, inerenti alla cessione dei beni aziendali in favore della Bioitalia Srl, sempre facente capo a Ta.An., la Corte di appello ha ritenuto sussistente la condotta di bancarotta fraudolenta a mezzo dissimulazione, intervenuta in data 14 novembre 2016. Tale condotta viene indicata come posta in essere fra l'istanza di fallimento del 2015 alla quale seguiva la richiesta di concordato in bianco, rigettata il 28 settembre 2016 e la sentenza di fallimento del 11 gennaio 2017. Il secondo motivo del ricorso dell'avv. Spigarelli e il quinto motivo del ricorso dell'avv. Ursitti censurano la natura dissimulativa del negozio di vendita oggetto dell'imputazione, riferendosi alla circostanza che i beni non erano stati sottratti ma erano ancora materialmente nella disponibilità della fallita, che il pagamento degli stessi non era avvenuto perché dilazionato nel tempo, che si era solo trattato di una sostituzione di una posta attiva (i beni) con altra (il credito correlato). Va chiarito, come possa essere utile richiamare quanto precisato dalla giurisprudenza sul punto, partendo dalla distinzione fra occultamento e dissimulazione. In particolare, per Sez. 5, n. 48203 del 10/07/2017, Meluzio, Rv. 271274 -01, in motivazione, l'occultamento consiste in ogni manovra dell'imprenditore diretta a far credere non esistenti, in tutto o in parte, i suoi beni, che invece esistono, ossia ogni manovra diretta a separare in tutto o in parte tali beni impedendo di conoscere dove siano, mentre la dissimulazione consiste in qualsiasi forma di inganno diretta ad occultare la conoscenza di uno stato esistente, che si verifica normalmente sotto forma di negozi giuridici solo apparenti, mediante i quali si celano negozi reali compiuti in frode ai creditori, ovvero ben architettate operazioni dannose rivestite dell'abito apparente della legalità (Sez. 5, n. 8177 del 14/03/1974 dep. 12/11/1974, Mele, Rv. 128364; nello stesso senso Sez. 5, n. 15949 del 2015): integra, dunque, la fattispecie di dissimulazione nella bancarotta fraudolenta l'attività diretta a diminuire fittiziamente il patrimonio del fallito, mentre non è necessario che sia realmente conseguito il risultato al quale tende detta attività, bastando semplicemente la condotta volta alla dissimulazione (Sez. 5, n. 6681 del 19/04/1988 dep. 06/06/1988, Ferlicca, Rv. 178538; conf. Sez. 5, n. 30442 del 22/08/2006 dep. 14/09/2006, Preziosa). È proprio a tale ultima modalità dissimulativa che viene correlata la condotta in contestazione. La stipula del contratto di vendita a società dello stesso imputato, senza versamento del prezzo e senza che i beni siano stati trasferiti fisicamente, viene ritenuta correttamente dalla Corte di appello integrare la condotta di dissimulazione, in quanto si vuol fare apparire inesistenti per cessione i beni aziendali, così sottraendoli alla garanzia dei creditori, attraverso il negozio di vendita simulato. In tal senso depone anche la circostanza, non 'attaccata' in modo specifico dai ricorrenti, che la società acquirente era inattiva, oltre ad essere nella disponibilità dello stesso Ta.An., come pure che la stessa acquirente non aveva manifestato alcun interesse all'esecuzione, né la venditrice ad ottenere il pagamento del prezzo. Anche le doglianze che si sostanziano nel rappresentare il maggior prezzo, in ragione della dilazione concessa, non si confrontano con la circostanza che la venditrice ebbe a perdere la disponibilità giuridica dei beni in forza della vendita, cedendo gli stessi con tempi di pagamento del prezzo assolutamente irragionevoli per una società in stato di decozione l'istanza di fallimento era stata già presentata e la proposta di concordato da poco rigettatacosicché anche le condizioni di contratto risultavano indicative in uno alla mancata esecuzione dello stesso degli indici di fraudolenza in precedenza citati, ai quali si aggiunge la circostanza che la sostituzione dei beni con un diritto di credito non esigibile non risulta equivalente, ma integra una riduzione della garanzia per i creditori, richiedendo l'escussione posticipata e non essendo certo l'adempimento dello stesso, avvenuto, come osserva la Corte di appello, solo in ragione del successivo sequestro conservativo. Anche l'argomento che la società acquirente abbia poi adempiuto il che va in contraddizione con la circostanza che la stessa era stata giudicata inattiva impugnata non risulta fondata: a ben vedere non è dato sapere quali risorse siano state impiegate, se quelle proprie della società o dei soci, da parte dell'acquirente, cosicché l'argomento risulta non decisivo, né il rinvio alla consulenza tecnica di parte, fol. 18, allegata al ricorso lo risolve. E per altro, per integrare il delitto, non è necessario che sia realmente conseguito il risultato al quale tende detta attività, bastando semplicemente la condotta volta alla dissimulazione, come già evidenziato. Quanto alla circostanza che la sentenza impugnata non dia conto del coefficiente soggettivo in relazione alla condotta di dissimulazione, va evidenziato come il Tribunale aveva qualificato la condotta come dissimulatoria (fol. 6 della sentenza di primo grado) mentre i motivi di appello (né quello dell'avv. Ursitti, né quello dell'avv. Sisto) risultano specifici, richiamando la giurisprudenza in tema di dolo da distrazione e, comunque, non confrontandosi in modo puntuale con la sentenza di primo grado: tanto più che la Corte di appello, con argomenti non manifestamente illogici, chiarisce come non vi era alcuna volontà di pagamento spontaneo da parte della società acquirente e che l'imputato al curatore aveva chiarito che i beni mobili rinvenuti .non erano appartenenti alla fallita, pur essendo ancora nella sede di quest'ultima società. Così la Corte offre comunque prova non illogica della fittizietà -e del dolo correlato. I motivi sono complessivamente infondati. 6. Quanto al quarto motivo del ricorso dell'avv. Spigarelli e al sesto dell'avvocato Ursitti, va evidenziato come in relazione alle circostanze attenuanti la Corte di appello le escludeva per l'insussistenza di elementi positivi, idonei a consentire il riconoscimento delle circostanze attenuati generiche. Sul punto va evidenziato che la sentenza di primo grado non motivava alcunché in ordine al citato diniego, mentre l'appello dell'avv. Ursitti evidenziava plurime ragioni positive per il riconoscimento dell'attenuazione: nessun bene era mai stato sottratto al fallimento da parte dell'imputato, quest'ultimo aveva collaborato con il fallimento, il fallimento fu conseguente al crollo del mercato delle energie alternative, i precedenti penali risultavano modesti e di scarsa offensività. L'appello dell'avv. Sisto rilevava la particolarità delle condotte contestate e la complessiva condotta processuale di Ta.An. A fronte dell'insieme di tali elementi prospettati con gli appelli per il riconoscimento delle attenuanti ex articolo 62-bis cod. pen. la Corte di appello non offre una adeguata motivazione, offrendone una tautologica e generica. Sul punto i ricorsi sono dunque fondati e spetterà alla Corte del rinvio procedere alla necessaria rivalutazione dei motivi di appello, in sintonia con i principi consolidati per cui le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato in considerazione di altrimenti non codificabili situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere del suo autore. In tal senso la necessità di tale adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, avendo il giudice l'obbligo, quando ne affermi la sussistenza, di fornire apposita e specifica motivazione idonea, a fare emergere gli elementi atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (ex multis Sez. 3, n. 19639 del 27 gennaio 2012, Gallo e altri, Rv. 252900; Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013 dep. 15/02/2013, P.G. in proc. La Selva, Rv. 254716). Ed è in questa cornice che devono essere inseriti gli ulteriori principi per cui la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo, anche quindi limitandosi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio (ex multis Sez. 6 n. 41365 del 28 ottobre 2010, Straface, rv 248737; Sez. 2, n. 3609 del 18 gennaio 2011, Sermone e altri, Rv. 249163; Sez. 5, n. 43952 del 13 aprile 2017, Pettinelli, Rv. 271269). I motivi riguardanti la dosimetria della pena sono da ritenersi assorbiti e impregiudicati. 7. Ne consegue l'annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari, limitatamente al trattamento sanzionatorio. La infondatezza dei motivi dei ricorsi relativi alla responsabilità penale determina la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che si liquidano in Euro 3000,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d'Appello dì Bari. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3000,00, oltre accessori di legge.