Il risarcimento del danno da lucro cessante che spetta al promittente venditore, nel caso di risoluzione del preliminare di vendita immobiliare, per fatto del promissario acquirente, è pari alla differenza tra il prezzo pattuito ed il valore dell’immobile al momento in cui l’inadempimento è divenuto definitivo.
È questo il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte con la sentenza in commento, con il quale è stato altresì specificato che è possibile tener conto di ulteriori circostanze che possano incrementare o diminuire l'ammontare del danno, solo laddove allegate e provate. I fatti La questione aveva ad oggetto una promessa di vendita effettuata con scritture private del 22 e 23 maggio 1992, con le quali le parti si erano impegnate a trasferire la proprietà di un immobile. Innanzi al Tribunale di Brescia, il promissario acquirente aveva chiesto, tra le altre, la risoluzione per inadempimento dei venditori, non risultati proprietari del bene per rinuncia all'aggiudicazione, e per nullità del decreto di trasferimento emesso dal giudice dell'esecuzione, con condanna alla restituzione della caparra. In subordine, era stata domandata la condanna al trasferimento della sola quota parte del cespite legittimamente detenuta, con risarcimento per inesatto adempimento, ed in via ulteriormente gradata la declaratoria di estinzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, rilevando che nelle more i promissari venditori avevano realizzato, in loco, un complesso alberghiero. Questi ultimi avevano contestato gli assunti attorei e dedotto di aver ripetutamente sollecitato controparte alla stipula ma che l'acquirente si era sempre rifiutato sostenendo l'altruità del bene: per spirito di cooperazione essi avevano acquistato, all'incanto, un'ulteriore porzione di fabbricato attiguo, regolarmente trasferito in proprietà dal giudice dell'esecuzione, ma anche a seguito di ciò l'acquirente aveva continuato a rifiutare di addivenire alla compravendita. In ragione di ciò, avevano invocato la risoluzione di diritto ex articolo 1454 c.c. e, in subordine, la risoluzione del rapporto per inadempimento dell'acquirente, con condanna al risarcimento dei danni. Il Tribunale aveva dichiarato lo scioglimento del rapporto per mutuo consenso, con condanna dei convenuti alla restituzione della caparra confirmatoria, oltre interessi, mentre la Corte di Appello – nel successivo grado di merito – era giunta a disporre lo scioglimento del rapporto in esito al recesso unilaterale esercitato dai venditori, per inadempimento del promissario acquirente, con diritto alla ritenzione della caparra. Adita la Corte di Cassazione, veniva accolto il motivo di ricorso formulato dal promissario acquirente con il quale era stato lamentato che la domanda di accertamento della legittimità del recesso era stata avanzata, in primo grado, solo in sede di udienza di precisazione delle conclusioni, con rinvio alla Corte di Appello. Quest'ultima, all'esito del giudizio di riassunzione, dichiarava la risoluzione di diritto ex articolo 1454 c.c. del preliminare, per inadempimento del promissario acquirente, lo condannava al risarcimento dei danni, stabilendo che il termine per la stipula del definitivo era scaduto al compimento della pubblicità legale relativa alle formalità di trascrizione del titolo, in ordine all'aggiudicazione dell'ulteriore area acquisita, e che il risarcimento andava commisurato all'incremento patrimoniale che il venditore avrebbe conseguito mediante la stipula del definitivo. Esso, a dire della Corte, era pari al maggior prezzo offerto dall'acquirente, rispetto a quello di aggiudicazione, e rappresentava il lucro cessante derivante dalla vendita, mentre non era dovuto il danno emergente. La decisione della Corte Proprio su questo aspetto è intervenuta la pronuncia in commento: la Suprema Corte, nuovamente adita dal promissario acquirente, in ordine al X motivo di ricorso sollevato, avente ad oggetto la violazione degli articolo 1218,1223 e 1453 c.c., per erronea quantificazione del risarcimento, ha chiarito che, nelle ipotesi di risoluzione del contratto preliminare di compravendita per inadempimento del promissario acquirente, deve essere liquidato il pregiudizio legato alla non commerciabilità dell'immobile, nella vigenza del preliminare. Tale danno è in re ipsa e non necessita di prova; con riferimento al quantum, invece, il lucro cessante avrebbe dovuto essere parametrato al c.d. deprezzamento, ovvero, alla differenza tra il prezzo pattuito e il valore commerciale al momento in cui l'inadempimento è divenuto definitivo. Tale momento, di norma, coincide con quello di proposizione della domanda di risoluzione, ovvero, altro anteriore ove accertato in concreto e, nel caso di specie, esso corrispondeva alla data in cui il contratto si era risolto per decorso del termine concesso con la diffida ad adempiere. All'esito, il prezzo doveva essere confrontato con quello stabilito nel preliminare, tenendo conto che dopo la risoluzione i promittenti alienanti avevano mantenuto la titolarità del bene, traendone i relativi vantaggi. Ciò premesso, la Corte di Cassazione ha accolto il suddetto motivo di ricorso e rinviato la causa alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, emanando il seguente principio di diritto: «in tema di preliminare di vendita immobiliare, il danno da lucro cessante spettante al promittente venditore che agisca per la risoluzione del contratto e per il risarcimento del danno, in ragione dell'inadempimento del promissario acquirente, danno derivante dalla sostanziale incommerciabilità del bene nella vigenza del preliminare, deve essere parametrato alla differenza tra il prezzo pattuito nel preliminare e il valore commerciale dell'immobile al momento in cui l'inadempimento è divenuto definitivo, potendosi tener conto anche di ulteriori circostanze, suscettibili di determinare un incremento o una riduzione del pregiudizio, a condizione che esse siano allegate e provate e appaiano ragionevolmente prevedibili e non meramente ipotizzate».
Presidente Di Virgilio – Relatore Trapuzzano Fatti di causa 1.- Con atto di citazione notificato il 13 maggio 1994, Pi.An. conveniva, davanti al Tribunale di Brescia, Mo.Gi. e Sc.Gi., in proprio e quali soci della società di fatto Mo. e Sc., chiedendo - in via principale - che, accertato che il Mo.Gi., lo Sc.Gi. e la s.d.f. Mo. e Sc. non erano proprietari dell'immobile promesso in vendita all'attore con scritture private del 22 e 23 maggio 1992, per rinuncia dei primi all'aggiudicazione e per nullità del decreto di trasferimento emesso in data 5 agosto 1992 dal giudice dell'esecuzione in favore della s.d.f., venisse dichiarato legittimo il recesso del promissario acquirente dal contratto preliminare per inadempimento dei convenuti, con condanna degli stessi alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata di vecchie Lire 1.100.000.000. In via subordinata, l'attore chiedeva che fosse pronunciata la risoluzione del contratto intercorso tra le parti per inadempimento dei convenuti, con la condanna di questi ultimi alla restituzione della caparra ed al risarcimento dei danni. In ulteriore subordine, il Pi.Ac. chiedeva disporsi il trasferimento del cespite sito nel Comune di Ponte di Legno, inserito alla partita n. (Omissis), foglio n. (Omissis), mappale n. (Omissis) (ex 28 parte), in favore dell'attore o di persona da lui designanda, con la condanna delle controparti al risarcimento del danno per inesatto adempimento. In ulteriore subordine, l'attore chiedeva che, accertata l'insussistenza o la nullità del contratto tra le parti, i convenuti fossero condannati alla restituzione della caparra e al risarcimento dei danni. In via ulteriormente gradata, il Pi.Ac. chiedeva dichiararsi estinto per impossibilità sopravvenuta il contratto concluso tra le parti, attesa l'intervenuta realizzazione in loco di un albergo (Hotel Pian di Neve). Si costituivano in giudizio Mo.Gi. e Sc.Gi., in proprio e quali soci della società di fatto Mo.Gi. e Sc.Gi., i quali contestavano la fondatezza delle domande avversarie, sostenendo che Pi.An., più volte sollecitato ad adempiere alle scritture, aveva accampato la scusa della parziale altruità dell'immobile promesso in vendita e che essi deducenti avevano contestato il rifiuto di adempiere, avendo promesso unicamente la vendita dell'immobile acquistato all'asta del 13 maggio 1992. Affermavano di aver provveduto ad acquistare, per spirito di cooperazione, la porzione di fabbricato appartenente alla società Paradiso Tonale 2000, venduta all'incanto il 18 giugno 1993, ad essi aggiudicata e trasferita in proprietà dal giudice dell'esecuzione con decreto del 2 settembre 1993. Deducevano che, a fronte del comportamento inadempiente del Pi.Ac., i convenuti avevano notificato diffida ad adempiere, alla quale era seguita la risoluzione di diritto del contratto. I convenuti, conseguentemente, chiedevano che fosse dichiarata la risoluzione di diritto del contratto preliminare ex articolo 1454 c.c. e, in subordine, che fosse pronunciata la risoluzione di tale contratto per inadempimento dell'attore, con la condanna di quest'ultimo al risarcimento del danno. In sede di conclusioni, i convenuti chiedevano, in via principale, dichiararsi la legittimità del recesso da essi esercitato, ex articolo 1385 c.c., con il riconoscimento del loro diritto a trattenere la caparra, e - in via subordinata - l'accertamento della risoluzione del contratto ex articolo 1454 c.c. per inadempimento del Pi.Ac. Con sentenza n. 1347/2005, depositata il 23 marzo 2005, il Tribunale adito dichiarava lo scioglimento del contratto per mutuo consenso, condannando i convenuti alla restituzione della caparra confirmatoria, con gli interessi legali dalla domanda al saldo. 2.- Con atto di citazione notificato il 23 giugno 2005, proponevano appello avverso la predetta decisione Mo.Gi. e Sc.Gi. nonché la Mo. e Sc. Snc (risultante dalla regolarizzazione dell'omonima società di fatto). Si costituiva in giudizio Pi.An., il quale resisteva all'appello e proponeva appello incidentale. Con sentenza n. 67/2009, depositata il 19 gennaio 2009, la Corte d'Appello di Brescia accoglieva l'impugnazione principale e, per l'effetto, dichiarava lo scioglimento del contratto preliminare di compravendita di cui alle scritture private del 22 e 23 maggio 1992, in esito al recesso unilaterale esercitato da Mo.Gi. e Sc.Gi., per inadempimento del promissario acquirente Pi.An., dichiarando il diritto dei predetti convenuti a ritenere la caparra confirmatoria di Euro 568.102,59; condannava il Pi.Ac. a restituire a Mo.Gi. e Sc.Gi. e, per gli stessi, alla Mo. e Sc. Snc, l'importo di Euro 295.028,00 al medesimo versato dai convenuti in forza dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, con gli interessi legali dal 6 giugno 2005 al saldo; rigettava l'impugnazione incidentale proposta dal Pi.Ac., con riguardo al capo della sentenza di primo grado relativo al recesso unilaterale del promissario acquirente dal contratto preliminare ed alla restituzione del doppio della caparra; dichiarava assorbite, nel resto, l'impugnazione principale e l'impugnazione incidentale. 3.- Per la cassazione di tale sentenza proponeva ricorso Pi.An., sulla base di diciassette motivi. Resistevano, con controricorso, Mo.Gi., Sc.Gi. e la Mo. e Sc. Snc Con sentenza n. 4164/2015, pubblicata il 2 marzo 2015, questa Corte accoglieva il primo motivo, dichiarava assorbiti il secondo, quarto, settimo, ottavo, nono, decimo, tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo, sedicesimo e diciassettesimo motivo e rigettava il terzo, quinto, sesto, undicesimo e dodicesimo motivo, cassando con rinvio la pronuncia impugnata in relazione al motivo accolto. Segnatamente, il primo motivo era accolto nella parte in cui era stato dato seguito alla domanda di accertamento dello scioglimento del preliminare in ragione dell'esercizio del diritto di recesso ex articolo 1385 c.c., benché la domanda di accertamento della legittimità del recesso fosse stata avanzata da Mo.Gi., Sc.Gi. e dalla s.d.f. nel giudizio di primo grado solo in sede di udienza di precisazione delle conclusioni, senza l'accettazione del contraddittorio a cura delle controparti, con la conseguente novità della domanda, che avrebbe precluso alla Corte di merito di accoglierla. Il terzo motivo era rigettato, confermando che il promissario acquirente fosse privo della legittimazione a sindacare l'aggiudicazione e il decreto di trasferimento adottato dal giudice dell'esecuzione il 5 agosto 1992, in favore della società di fatto Mo. e Sc., in sostituzione del precedente decreto del 21 luglio 1992, per difetto di alcuna deduzione della lesione della sfera giuridica del terzo derivante dall'adozione di detto decreto. Il quinto motivo era disatteso per difetto di specificità ed autosufficienza, in mancanza della trascrizione integrale della clausola contrattuale evocata, ed in quanto diretto a contestare sostanzialmente il risultato dell'operazione interpretativa, rimessa al giudice di merito. Ed invero, attraverso tale doglianza, il Pi.Ac. si doleva dell'interpretazione resa della clausola contenuta nel preliminare di vendita del 23 maggio 1992, relativo all'immobile posto all'incanto il 13 maggio 1992, secondo cui la stipula del definitivo sarebbe dovuta avvenire non appena sarà possibile la regolare intestazione . Secondo l'istante, tale clausola avrebbe dovuto essere interpretata quale fissazione del termine di stipula della compravendita in un tempo posteriore alla trascrizione del decreto di trasferimento afferente alla relativa aggiudicazione (il che era avvenuto il 23 ottobre 1992). Sicché il giudice d'appello avrebbe errato nel far coincidere tale tempo con quello, più lontano di circa un anno, in cui si era reso possibile l'adempimento della prestazione promessa da parte dei promittenti venditori, a seguito della successiva scoperta della parziale altruità del bene e della ancora successiva acquisizione della porzione costruita su suolo altrui al patrimonio dei predetti, intervenuta all'asta tenutasi dinanzi al Tribunale di Padova nel giugno del 1993. Il sesto motivo era respinto, negandosi che la clausola contenuta nel secondo preliminare, sottoscritto il 23 maggio 1992 - con la quale l'iniziale pattuizione che prevedeva la stipulazione del contratto definitivo entro trenta giorni dal decreto di trasferimento , in assenza di una nuova situazione che ritardasse la compravendita, era stata modificata in quella non appena sarà possibile la regolare intestazione -, integrasse una condizione meramente potestativa e, come tale, fosse nulla e irrilevante. In proposito, la Corte di legittimità rilevava che la clausola inerente al tempo di stipula del contratto definitivo era stata modificata e rimodulata, con riguardo alla tempistica propria degli atti giudiziari ed al compimento delle formalità di trascrizione del titolo presso la Conservatoria dei registri immobiliari, sicché era corretta l'affermazione del giudice del gravame, secondo cui, con la clausola in esame, la stipulazione del definitivo non era stata assoggettata ad una possibilità, futura ed eventuale, di adempiere , come sostenuto dal Pi.Ac., bensì al compimento di una pubblicità legale che avrebbe risposto allo stesso interesse del promissario acquirente. L'undicesimo motivo era reietto poiché il Mo. e lo Sc.Gi., quali promittenti venditori dell'immobile, onde comprovare il proprio adempimento (ossia l'avvenuto acquisto della porzione del bene promesso in vendita di proprietà altrui), erano in ogni caso legittimati a partecipare in proprio alla stipulazione del contratto definitivo, insieme alla società proprietaria del bene. Infine, il dodicesimo motivo era dichiarato infondato, sostenendosi che il disposto dell'articolo 1480 c.c. (vendita di cosa parzialmente altrui) operasse anche in presenza di un contratto preliminare di compravendita, avendo anche in tal caso il promittente alienante l'obbligo di procurare il trasferimento al promissario acquirente della porzione rimanente del cespite promesso di proprietà altrui. 4.- Con atto di citazione notificato il 22 settembre 2015, Mo.Gi., Sc.Gi. e la Mo. e Sc. Snc riassumevano la causa, con la resistenza di Pi.An. Nel corso del giudizio di rinvio si costituivano Mo.Em., Mo.Cr., Mo.Da. nonché Bo.Ma., quali eredi di Mo.Gi. Decidendo sul gravame interposto, la Corte d'Appello di Brescia, con la sentenza di cui in epigrafe, dichiarava la risoluzione di diritto ex articolo 1454 c.c. del contratto preliminare di cui alle scritture del 22-23 maggio 1992, per inadempimento del promissario acquirente Pi.An., e condannava quest'ultimo al risarcimento dei danni, liquidati in vecchie Lire 1.100.000.000, pari ad Euro 568.102,89, oltre interessi legali, confermando per il resto la pronuncia impugnata. A sostegno dell'adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che, all'esito del rigetto dei corrispondenti motivi in cassazione, non potevano essere più sindacati gli aspetti relativi: - alla legittimazione del Pi.Ac. a sollevare la questione di nullità del decreto di trasferimento del bene oggetto di causa; - all'interpretazione della clausola contrattuale non appena sarà possibile regolare intestazione , per la quale era stato escluso il carattere meramente potestativo ed era stato riconosciuto che la clausola inerente al tempo della stipula del definitivo era stata modificata e rimodulata con riguardo alla tempistica propria degli atti giudiziari e del compimento delle formalità di trascrizione del titolo presso la Conservatoria dei registri immobiliari; - ed, infine, alla parziale altruità del bene promesso e all'applicabilità dell'articolo 1480 c.c. anche al preliminare, ben potendo i promittenti venditori, fino alla scadenza del termine per la conclusione del definitivo, adempiere l'obbligazione di far acquistare il bene al promissario acquirente, rendendoli così legittimati a partecipare in proprio alla stipulazione del definitivo, insieme alla società proprietaria; b) che, all'esito dell'acquisto all'asta dell'immobile in favore dei Mo.Gi. e Sc.Gi. il 13 maggio 1992, per il prezzo di vecchie Lire 2.720.000.000, il 22-23 maggio 1992 era stata stipulata la promessa di vendita in favore di Pi.An. (con il versamento in data 9 giugno 1992, a titolo di caparra confirmatoria, della somma di Euro 1.100.000.000), cui seguiva il decreto di trasferimento del 21 luglio 1992 in favore di Mo.-Sc., trascritto il 23 ottobre 1992, mentre, all'esito dell'introduzione della problematica a cura del Pi.Ac. della parziale costruzione del cespite sul suolo altrui, i promittenti alienanti, ignari in precedenza della circostanza, il 18 giugno 1993 avevano acquistato all'asta, per il prezzo di vecchie Lire 972.000.000, anche la porzione di immobile di proprietà del fallimento Paradiso Tonale 2000, sollecitando la stipula del definitivo dell'intero al prezzo originariamente pattuito, cui seguiva la diffida del 27 settembre 1993 ad adempiere alla stipulazione del definitivo entro e non oltre 20 giorni; c) che la prova della completa buona fede dei promittenti venditori (e, quindi, della loro ignoranza incolpevole sulla situazione fattuale di parziale altruità) si presumeva, avuto riguardo al fatto che gli stessi avevano acquisito l'immobile con l'aggiudicazione in sede di vendita all'incanto nell'ambito del processo esecutivo a carico del fallimento della società Mari e Monti II Spa, oltre che dalla lettura della consulenza tecnica d'ufficio resa il 7 aprile 1993 davanti al Tribunale di Padova nella procedura fallimentare della Paradiso Tonale Srl, nella quale era stato accertato che lo sconfinamento per circa mq. 435 del fabbricato realizzato dalla Residenze Mari e Monti II Spa nella proprietà della Paradiso Tonale 2000 Srl derivava dal complesso edilizio progettato dalla Tonale Futura Srl, quale originaria titolare di tutta l'area, che poi era stata alienata in lotti alle due società successivamente fallite; d) che doveva essere considerato altresì il comportamento conseguente posto in atto dagli appellanti Mo.-Sc., che - venuti a conoscenza della problematica - si erano attivati, aggiudicandosi anche il lotto di proprietà di terzi, per poter adempiere l'obbligazione di trasferire l'intera proprietà del bene oggetto del preliminare, senza alcuna maggiorazione di prezzo, nonostante l'ingente esborso all'uopo sostenuto; e) che, ai fini di individuare la parte a cui fosse addebitabile l'inadempimento, doveva rilevarsi che la clausola del preliminare prevedeva che il saldo dovesse avvenire al momento della stipulazione dell'atto notarile, previo avviso di almeno 10 giorni, non appena fosse stata possibile la regolare intestazione, mentre nell'altra scrittura preliminare si riferiva che l'efficacia della promessa di vendita era subordinata alla definitiva aggiudicazione dell'immobile, in favore di Sc.-Mo., al prezzo di aggiudicazione di cui all'asta del 13 maggio 1992, sicché il termine per la stipula del contratto definitivo, avente ad oggetto la vendita dell'intero compendio, doveva essere ricondotto al momento del compimento, verificatosi nel secondo semestre dell'anno 1993, della pubblicità legale relativa alle formalità di trascrizione del titolo in ordine all'ulteriore aggiudicazione dell'area successivamente acquisita presso la Conservatoria dei registri immobiliari; f) che, quanto ai danni lamentati dal promissario acquirente per il ritardo nell'acquisizione del bene altrui, essi non erano stati mai menzionati nelle numerose missive intercorse tra i legali delle parti, in cui l'unico ostacolo individuato alla stipula del definitivo era rappresentato dalla parziale costruzione del fabbricato sul suolo altrui, guardandosi altresì con favore all'intenzione manifestata dai promittenti venditori di acquisire anche l'ulteriore area, mentre una vaga protesta dei danni, peraltro mai provati, si era manifestata solo a partire dal luglio 1993 ed in seguito alle ripetute richieste della controparte di concordare la data di stipula del definitivo, sulla scorta di un generico richiamo al mutato quadro economico e di un indimostrato pericolo di impossibilità del condono nei termini previsti; g) che il presunto ritardo, dipendente dalla problematica insorta in conseguenza della situazione fattuale sull'altruità dell'area, venuta alla luce dopo la stipulazione del preliminare tra le parti e del tutto indipendente dall'operato e dalla volontà dei promittenti venditori, non era loro imputabile, tanto più che questi, acquisendo anche il lotto dal fallimento della Paradiso Tonale 2000 Srl, avevano tenuto un comportamento attivo conforme a buona fede, lealtà e correttezza e diretto a salvaguardare l'interesse dell'altro contraente alla conclusione del contratto definitivo nei termini pattuiti nel preliminare; h) che la diffida del 27 settembre 1993 era valida, poiché prevedeva un termine entro e non oltre 20 giorni per la stipula, che non poteva considerarsi generico, presupponendo evidentemente la fissazione di una data conforme alle esigenze dell'intimato nell'arco temporale indicato; i) che la diffida era stata inviata da Mo. e Sc. anche quali soci della società di fatto Mo. e Sc., sicché ogni rapporto attivo o passivo ben poteva imputarsi anche ai singoli soci, che in tale veste avevano speso il nome della società, tanto più che ogni trattativa e missiva agli atti era stata inviata dal Pi.Ac. direttamente ai nominati Mo. e Sc. e che questi erano a conoscenza che l'intestazione degli immobili aggiudicati risultava in capo alla società di fatto, sicché essi ben potevano sottoscrivere, unitamente alla società, l'atto di diffida prodromico al compimento del definitivo; l) che il risarcimento dei danni doveva essere commisurato all'incremento patrimoniale netto che la parte venditrice avrebbe conseguito mediante la stipulazione del contratto, ovvero per la misura pari a vecchie Lire 1.100.000.000, pari ad Euro 568.102,89, corrispondente al maggior prezzo offerto dal Pi.Ac. rispetto al prezzo di aggiudicazione e rappresentante il lucro cessante derivante dalla vendita, mentre non erano dovute le somme ulteriormente richieste a titolo di danno emergente, quali i costi relativi al condono edilizio, ai contributi per le richieste concessioni in sanatoria nonché per le opere di urbanizzazione, che attenevano necessariamente all'immobile in sé e alla destinazione ad hotel impressa alla costruzione, così come non dovute erano le somme pretese per il costo della fideiussione e dell'opera del notaio per l'atto di convenzione, in difetto di alcun nesso causale con l'inadempimento imputabile al promissario acquirente. 5.- Avverso la sentenza in sede di rinvio ha proposto ricorso per cassazione, affidato a undici motivi, Pi.An. (cui sono subentrati in corso di causa gli eredi). Hanno resistito, con controricorso, la Mo. e Sc. Srl, Mo.Em., Mo.Cr., Mo.Da. e Bo.Ma. È rimasto intimato Sc.Gi. Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ex articolo 378, primo comma, c.p.c., in cui ha rassegnato le conclusioni trascritte in epigrafe. All'esito, le parti hanno depositato memorie illustrative, ai sensi dell'articolo 378, secondo comma, c.p.c. Ragioni della decisione 1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 112,115 e 394 c.p.c. nonché la nullità della sentenza, per avere la Corte di merito rilevato d'ufficio la questione relativa alla buona fede dei promittenti venditori, in ordine alla parziale altruità del bene al momento del perfezionamento del preliminare, senza che essa fosse stata mai dedotta dai promittenti venditori, che avevano nel corso del giudizio insistito sulla legittimità della loro pretesa di aver compromesso solo quanto effettivamente acquistato all'asta del 13 maggio 1992 e non l'intero immobile. Osserva l'istante che la circostanza, contrariamente all'assunto del giudice del rinvio, non sarebbe stata incontestata, poiché l'argomento sull'ignoranza dell'altruità del bene non era stato mai sollevato dai promittenti venditori, che al contrario avevano sempre affermato che detta altruità fosse del tutto irrilevante, avendo essi compromesso soltanto quanto aggiudicatosi dal fallimento della Residenze Mari e Monti II Spa, senza peraltro che nel giudizio in questione operasse il principio di non contestazione. 2.- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 1362,1366 e 1375 c.c. nonché l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte territoriale ritenuto esistente l'ignoranza incolpevole dei promittenti venditori, al momento della sottoscrizione della promessa di vendita, in ordine alla parziale altruità del bene, mentre detta altruità sarebbe stata denunciata dal promissario acquirente sin dal novembre 1992 e, quindi, in epoca precedente alla richiamata consulenza tecnica d'ufficio del 7 aprile 1993. Obietta l'istante che, a fronte delle obiezioni del promissario acquirente, i promittenti alienanti avevano sempre sostenuto che la parziale altruità del bene non li riguardava e che essi avrebbero dovuto trasferire soltanto ciò che avevano acquistato dal fallimento, sicché la buona fede dei promittenti venditori sarebbe stata esclusa, nonostante essi si fossero attivati per acquisire la porzione di immobile altrui per poter adempiere, senza maggiorazione di prezzo, all'obbligo di trasferimento. Sicché, sulla base di un'indebita commistione tra buona fede oggettiva e buona fede soggettiva, la Corte d'Appello avrebbe dunque arguito la buona fede soggettiva dei promettenti alienanti dalla condotta da essi assunta successivamente alla conclusione del contratto. 3.- Con il terzo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 1218,1453,1480 e 1481 c.c. nonché l'omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte distrettuale reputato che vi fosse la buona fede soggettiva dei promittenti venditori, ossia l'ignoranza incolpevole della parziale altruità dell'immobile compromesso, sebbene la circostanza fosse irrilevante allo scopo di valutarne la condotta, nell'ambito di un'indagine comparativa finalizzata a stabilire l'imputazione dell'inadempimento, assumendo rilievo, ai fini di consentire al compratore di sospendere il pagamento, il solo stato soggettivo del promissario acquirente. Assume l'istante che, a prescindere dalla colpa del promittente venditore, sarebbe stato obiettivamente meritevole di tutela l'interesse del promissario acquirente a non eseguire la prestazione in difetto di controprestazione e a non trovarsi così in una situazione deteriore rispetto a controparte, e ciò a fronte del pericolo di rivendica attribuibile alla parziale altruità del bene compromesso, con il concreto e attuale pericolo di evizione. 3.1.- I tre motivi - che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto avvinti da evidenti ragioni di connessione logica e giuridica - sono infondati. In primo luogo, non risulta che la buona fede (soggettiva) dei promittenti alienanti, circa la parziale altruità della res oggetto della promessa - buona fede che si presume (come può ricavarsi dal principio di cui all'articolo 1147, terzo comma, c.c.) -, sia mai stata contestata dal promissario acquirente, anche perché derivante da una mancata rilevazione della parziale altruità insita nella procedura esecutiva (non essendo stato rilevato, in quella sede, che il bene staggito insisteva in parte qua sul fondo di proprietà di terzi). Anzi lo stesso promissario acquirente allude alla scoperta di un elemento prima (recte al momento della stipulazione del preliminare) ignoto, rappresentato appunto dalla parziale altruità della cosa, evento appunto rappresentato dal promissario ai promittenti successivamente alla conclusione del preliminare. Sicché nessun rilievo d'ufficio di una circostanza non dedotta è avvenuto, piuttosto si è dato atto di un fatto pacifico tra le parti e sotteso alla descritta evoluzione della vicenda fattuale. In secondo luogo, il giudizio sulla sussistenza o meno della buona fede (soggettiva) - nella specie sull'ignoranza incolpevole dei promittenti alienanti circa la parziale altruità del bene promesso in vendita -, con riferimento a tutte le fattispecie normative in cui essa è declinata, importa un apprezzamento di fatto, sottratto al sindacato di legittimità ove sorretto da esauriente motivazione e ispirato a esatti criteri giuridici (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22585 del 10/09/2019; Sez. 3, Sentenza n. 2563 del 26/04/1982; Sez. 3, Sentenza n. 3230 del 10/11/1971; Sez. 2, Sentenza n. 1986 del 06/06/1969). Ma soprattutto è assorbente il rilievo secondo cui, a fronte dell'acquisto - a cura dei promittenti venditori - della porzione del bene di proprietà altrui, senza avanzare alcuna pretesa ulteriore verso il promissario compratore, nessuna ragione ostativa sussisteva affinché quest'ultimo potesse giustificare il rifiuto della stipulazione del definitivo. E ciò a prescindere dallo stato di buona fede dei promittenti. È stato già ripreso, in proposito, l'orientamento a mente del quale, in tema di contratto preliminare di vendita, il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell'altra parte, può adempiere la propria obbligazione procurando l'acquisto del promissario direttamente dall'effettivo proprietario. Pertanto, il promissario acquirente, il quale ignori che il bene, all'atto della stipula del preliminare, appartenga in tutto od in parte ad altri, non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore, fino a tale momento, può adempiere all'obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene, acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest'ultimo a trasferirgliela (oltre all'arresto di cui alla pronuncia resa nell'odierno giudizio di Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4164 del 02/03/2015 anche Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 28856 del 19/10/2021; Sez. 2, Sentenza n. 787 del 16/01/2020; Sez. 2, Sentenza n. 17923 del 23/08/2007; Sez. U, Sentenza n. 11624 del 18/05/2006; Sez. 2, Sentenza n. 24782 del 24/11/2005; Sez. 2, Sentenza n. 21179 del 05/11/2004; Sez. 3, Sentenza n. 15035 del 27/11/2001). 4.- Con il quarto motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 1362,1363 e 1366 c.c. nonché l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte del gravame individuato la data a partire dalla quale la stipula del rogito sarebbe stata esigibile, al fine di stabilire a quale parte fosse addebitabile l'inadempimento, nel compimento delle formalità pubblicitarie di trascrizione del titolo con il quale i promittenti venditori avevano acquistato la porzione di immobile compromesso risultata di proprietà altrui e, dunque, nel secondo semestre del 1993. Per converso, ad avviso dell'istante, il richiamo alla stipulazione del definitivo, non appena fosse stata possibile la regolare intestazione, avrebbe dovuto intendersi riferito all'avvenuta trascrizione del decreto di trasferimento del Tribunale, non certamente al perfezionamento, ad opera dei promittenti venditori, dell'acquisto della parte di immobile compromesso in seguito risultata di proprietà altrui, ossia alla data del 23 ottobre 1992, sicché, fin da tale momento, avrebbe dovuto valutarsi l'inadempienza dei promittenti alienanti, che - all'esito della scoperta della parziale altruità della cosa - si erano dichiarati estranei, avendo promesso in vendita soltanto ciò che avevano acquistato dal fallimento. 5.- Con il quinto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., della violazione e falsa applicazione degli articolo 1218,1480,1481,1460,1453,1454 e 1455 c.c. nonché dell'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d'Appello dichiarato la validità ed efficacia della diffida ad adempiere notificata il 27 settembre 1993, benché la mancata stipulazione del definitivo fosse imputabile ai promittenti venditori, non in grado di trasferire il bene compromesso, essendo esso risultato parzialmente altrui. Deduce l'istante che, all'esito dell'acquisto della porzione parzialmente altrui, in considerazione del ritardo di oltre un anno esclusivamente imputabile ai promittenti alienanti, essi avrebbero dovuto tenere conto delle giuste pretese di danni e della richiesta di rinegoziazione dell'operazione economica del promissario acquirente. E ciò senza che peraltro fosse stata data alcuna prova della trascrizione del decreto di trasferimento del 2 settembre 1993. 5.1.- I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, sono infondati. Si premette che l'obiezione circa la mancata prova della trascrizione del decreto di trasferimento della porzione di terreno di terzi introduce una circostanza nuova, che non può essere esaminata in questa sede. Tanto premesso, quanto alla prospettata violazione dei canoni ermeneutici, già la Corte di legittimità ha rilevato che la clausola inerente al tempo di stipula del contratto definitivo era stata modificata e rimodulata, con riguardo alla tempistica propria degli atti giudiziari ed al compimento delle formalità di trascrizione del titolo presso la Conservatoria dei registri immobiliari, sicché era corretta l'affermazione del giudice del gravame, secondo cui, con la clausola in esame, la stipulazione del definitivo non era stata assoggettata ad una possibilità, futura ed eventuale, di adempiere , come sostenuto dal Pi.Ac., bensì al compimento di una pubblicità legale che rispondeva allo stesso interesse del promissario acquirente. Con ciò riferendosi all'intestazione dell'intero cespite, per effetto dell'acquisto anche della porzione originariamente intestata ad altri (ossia alla Paradiso Tonale 2000 Srl). Aspetto, questo, su cui si è formato il giudicato. In ogni caso, gli invocati canoni interpretativi non risultano violati, in quanto la sentenza impugnata ha dato debita contezza delle ragioni per le quali l'inadempimento avrebbe dovuto essere imputato al promissario acquirente, in relazione al contenuto delle clausole negoziali. Segnatamente la Corte d'Appello ha fatto riferimento alla clausola del preliminare che prevedeva che il saldo dovesse avvenire al momento della stipulazione dell'atto notarile, previo avviso di almeno 10 giorni, non appena fosse stata possibile la regolare intestazione, mentre nell'altra scrittura preliminare si riferiva che l'efficacia della promessa di vendita era subordinata alla definitiva aggiudicazione dell'immobile, in favore di Sc.Gi.-Mo.Gi., al prezzo di aggiudicazione di cui all'asta del 13 maggio 1992, sicché il termine per la stipula del contratto definitivo, avente ad oggetto la vendita dell'intero compendio, doveva essere ricondotto al momento del compimento, verificatosi nel secondo semestre dell'anno 1993, della pubblicità legale relativa alle formalità di trascrizione del titolo in ordine all'ulteriore aggiudicazione dell'area successivamente acquisita presso la Conservatoria dei registri immobiliari. Senonché, nel giudizio di cassazione, la censura svolta dal ricorrente che lamenti la mancata applicazione del criterio di interpretazione letterale, per non risultare inammissibile deve essere specifica, dovendo indicare quale sia l'elemento semantico del contratto che avrebbe precluso l'interpretazione letterale seguita dai giudici di merito e, al contrario, imposto una interpretazione in senso diverso; nel giudizio di legittimità, infatti, le censure relative all'interpretazione del contratto offerta dal giudice di merito possono essere prospettate solo in relazione al profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o della radicale inadeguatezza della motivazione, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, mentre la mera contrapposizione fra l'interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta dai giudici di merito non riveste alcuna utilità ai fini dell'annullamento della sentenza impugnata (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 995 del 20/01/2021; Sez. 5, Sentenza n. 873 del 16/01/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017). E, nella specie, il riferimento all'effettiva intestazione , in favore dei promittenti alienanti, dell'intero cespite, quale momento a partire dal quale avrebbe potuto essere stipulato il preliminare, non ha trovato alcuna smentita nella prospettazione di cui alle censure in esame. 6.- Con il sesto motivo il ricorrente rileva, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 1366, secondo comma, 1218 e ss., 1453,1454,1455 e 1481 c.c., per avere la Corte del rinvio ritenuto che il promissario acquirente non avesse fornito la prova dei danni o, comunque, che la dimostrazione di tali danni fosse irrilevante o ininfluente ovvero che i danni provocati fossero equivalenti a quelli subiti per entrambe le parti, sulla scorta del fatto che il prezzo del cespite fosse stato frutto di una valutazione che avrebbe tenuto conto di una precisa tempistica per la stipula prevista per il mese di novembre dell'anno 1992, e così con riferimento ai costi di ristrutturazione, cosicché il ritardo di oltre un anno, a fronte dell'adozione del decreto di trasferimento della parte di cespite di proprietà altrui solo in data 2 settembre 1993, avrebbe determinato nel concludente il nocumento come debitamente dedotto e di cui sarebbe stata chiesta anche l'ammissione della prova. Sostiene, ancora, l'istante che il danno da ritardo sarebbe consistito nel mutamento dell'originario quadro economico, conseguente al decorso del tempo rispetto alla data programmata di stipulazione del definitivo del novembre 1992, che avrebbe imposto una rinegoziazione del contratto, anche in base all'interpretazione secondo buona fede e avendo riguardo alla complessiva condotta tenuta dalle parti. 6.1.- Il motivo è inammissibile. Esso muove da una premessa smentita dalla disamina delle altre doglianze, ossia dal fatto che il danno lamentato sarebbe la conseguenza del ritardo nella stipula del definitivo, che avrebbe dovuto essere concluso all'esito dell'adozione e della trascrizione del primo decreto di trasferimento del 21 luglio 1992. Ma tale ricostruzione è confutata dall'interpretazione della clausola negoziale secondo cui alla stipula del rogito avrebbe dovuto addivenirsi non appena l'intero immobile fosse stato intestato agli aggiudicatari promittenti alienanti - il che è avvenuto il 18 giugno 1993, con l'acquisto all'asta della porzione di proprietà della Paradiso Tonale 2000 Srl per il prezzo di vecchie Lire 972.000.000, cui seguiva l'immediato invito dei promittenti al promissario a stipulare il definitivo e, quindi, la diffida del 27 settembre 1993 -. 7.- Con il settimo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 1184,1185 e 1454 c.c., per avere la Corte di merito reputato che la diffida ad adempiere del 27 settembre 1993 - con cui Pi.An. era invitato a presentarsi per la stipula del definitivo dinanzi al notaio indicato entro e non oltre 20 giorni dalla notifica della diffida, con l'avvertimento che, decorso inutilmente tale termine, il contratto preliminare si sarebbe inteso risolto, con ogni conseguenza di legge - fosse valida ed efficace, benché il termine fissato per l'adempimento fosse generico, in mancanza della convocazione a data fissa innanzi al notaio; né siffatta evidente genericità avrebbe potuto essere superata presupponendo la fissazione di una data conforme alle esigenze dell'intimato nell'arco temporale indicato. Sicché espone l'istante che, in mancanza di certezza in ordine alle modalità della prestazione intimata (recte in ordine al quomodo e al quando della stipulazione del definitivo), la diffida ad adempiere sarebbe stata invalida e/o inefficace, in quanto appunto generica e incompleta, anche perché priva dell'indicazione dell'avvenuta trascrizione del decreto di trasferimento. 7.1.- Il motivo è infondato. Infatti, a fronte della rimessione della scelta del notaio al promissario acquirente (come indicato nell'articolo 3 del preliminare, il cui contenuto è riportato nel ricorso, a pag. 28, nota 2), l'indicazione della data di stipula entro il termine fissato nella diffida era rimessa al promissario (nella logica del c.d. termine aperto entro cui il diffidato avrebbe potuto fissare la data per la stipula del definitivo, accordandosi con il notaio designato rogante). Ora, in tema di diffida ad adempiere, l'unico onere che, ai sensi dell'articolo 1454 c.c., grava sulla parte intimante è quello di fissare un termine entro il quale l'altra parte dovrà adempiere alla propria prestazione, pena la risoluzione ope legis del contratto, poiché la ratio della norma citata è quella di fissare con chiarezza la posizione delle parti rispetto all'esecuzione del negozio, mercè un formale avvertimento alla parte diffidata che l'intimante non è disposto a tollerare un ulteriore ritardo nell'adempimento. Con l'effetto che, rilevata l'assenza, in seno alla diffida intimata alla controparte dal promittente venditore di un immobile, dell'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo della stipula notarile, l'atto è comunque idoneo a produrre gli effetti di risoluzione suoi propri. E ciò perché, sebbene la scelta del notaio fosse stata già operata, l'onere di contattare il notaio stesso gravava, comunque, sul promissario acquirente, sicché nessun rilievo poteva annettersi alla circostanza dell'omessa indicazione, da parte del promittente venditore, di giorno, ora e luogo dello stipulando contratto definitivo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1898 del 27/01/2011; Sez. 2, Sentenza n. 8910 del 09/09/1998; Sez. 2, Sentenza n. 7335 del 12/12/1983; Sez. 2, Sentenza n. 466 del 13/02/1976). Pertanto, la diffida ad adempiere intimata dal promittente venditore è efficace anche se contenga soltanto la necessaria fissazione del termine entro il quale l'altra parte dovrà adempiere alla propria prestazione e non indichi, altresì, il giorno, l'ora ed il luogo della stipula del contratto definitivo, giacché grava sull'intimato promissario acquirente l'onere di contattare il notaio per detta stipula. Né rileva che detta diffida non contesse menzione della trascrizione del decreto di trasferimento della porzione di proprietà altrui, in quanto siffatta indicazione non costituiva un elemento costitutivo della stessa. 8.- Con l'ottavo motivo il ricorrente assume, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 1324,1372,1454 e 1362 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che la diffida ad adempiere producesse effetti, benché proveniente dalla società di fatto Mo. e Sc. e non già da Mo.Gi. e Sc.Gi., che erano gli unici beneficiari del decreto di trasferimento del 21 luglio 1992 e che avevano assunto la qualità di promittenti alienanti. Afferma l'istante che la società di fatto sarebbe stata priva di legittimazione a inoltrare la diffida, inviata dalla sola società di fatto, in persona dei suoi amministratori Mo. e Sc., anche quali soci della s.d.f. . 8.1.- Il motivo è infondato. Già la sentenza di legittimità aveva sostenuto che il Mo.Gi. e lo Sc.Gi., quali promittenti venditori dell'immobile, onde comprovare il proprio adempimento (ossia l'avvenuto acquisto della porzione del bene promesso in vendita di proprietà altrui), erano, in ogni caso, legittimati a partecipare in proprio alla stipulazione del contratto definitivo, insieme alla società proprietaria del bene. In secondo luogo, la sentenza impugnata ha precisato che la diffida era stata inviata da Mo. e Sc. anche quali soci della società di fatto Mo. e Sc., sicché ogni rapporto attivo o passivo ben poteva imputarsi anche ai singoli soci, che in tale veste avevano speso il nome della società, tanto più che ogni trattativa e missiva agli atti era stata inviata dal Pi.Ac. direttamente ai nominati Mo.Gi. e Sc.Gi. e che questi erano a conoscenza che l'intestazione degli immobili aggiudicati risultava in capo alla società di fatto, sicché essi ben potevano sottoscrivere, unitamente alla società, l'atto di diffida prodromico al compimento del definitivo. Sicché il riferimento sia alla società di fatto sia ai soci consentiva di imputare la diffida sia all'ente di fatto sia alle persone fisiche dei soci. 9.- Il nono motivo di ricorso investe, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 1385,1453,1454 e 1455 c.c., per avere la Corte distrettuale dichiarato la risoluzione di diritto del preliminare, in ragione della ritenuta validità ed efficacia della diffida ad adempiere del 27 settembre 1993, per inadempimento del promissario acquirente, mentre inadempienti sarebbero stati i promittenti venditori, dovendo l'inadempienza valutarsi alla data del novembre 1992 e non dell'ottobre 1993. Con la conseguente legittimità della domanda di recesso proposta dal promissario ed il suo diritto a conseguire la restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata ovvero, in subordine, ad ottenere la pronuncia della risoluzione del preliminare per inadempimento dei promittenti alienanti, con la correlata condanna alla restituzione di quanto corrisposto a titolo di caparra. 9.1.- Il motivo è inammissibile. E ciò perché esso muove da una premessa erronea, ossia dal riferimento alla esistenza dell'obbligo di concludere il definitivo sin da novembre 1992, con la trascrizione del primo decreto di trasferimento, anziché dall'ottobre 1993, con la formale intestazione ai promittenti venditori dell'intero cespite. Da ciò si deduce l'invalidità e l'inefficacia della diffida. Senonché, per quanto anzidetto, nessun inadempimento all'epoca poteva reputarsi cristallizzato in capo ai promittenti, il che giustificava l'invio della diffida ad adempiere. 10.- Il decimo motivo di ricorso concerne, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 1218 e ss., 1223 e 1453 c.c., per avere la Corte del gravame erroneamente quantificato il risarcimento dei danni sulla scorta della differenza tra il prezzo concordato nel preliminare risolto e il prezzo di aggiudicazione in favore dei promittenti venditori, senza considerare che il bene compromesso non era stato venduto a terzi a prezzo inferiore ed era rimasto nella piena ed esclusiva disponibilità dei promittenti alienanti e della società di fatto, i quali l'avevano addirittura trasformato nell'Hotel Pian di Neve, così ponendo a reddito il bene e ricavandone ingentissimi utili e vantaggi. Per l'effetto, la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto, nella quantificazione del lucro cessante, della compensatio lucri cum damno, senza considerare peraltro che i promittenti venditori si erano dovuti far carico dell'acquisto della frazione risultata di proprietà altrui per la somma di vecchie Lire 972.000.000. 10.1.- Il motivo è fondato nei termini che seguono. Si rileva, anzitutto, che - in tema di preliminare di vendita immobiliare - al promittente venditore che agisca per la risoluzione del contratto e per il risarcimento del danno, per il caso di inadempimento del promissario acquirente - anche se non dimostri di aver perduto, nelle more, delle possibilità concrete di vendere l'immobile compromesso -, deve essere liquidato il pregiudizio per la sostanziale incommerciabilità del bene nella vigenza del preliminare, la cui sussistenza è in re ipsa e non necessita di prova (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 13792 del 31/05/2017; Sez. 2, Sentenza n. 4713 del 10/03/2016; Sez. 3, Sentenza n. 25411 del 03/12/2009; Sez. 2, Sentenza n. 13630 del 05/11/2001). E tanto con riguardo all'an della pretesa risarcitoria esercitata. Con riferimento al quantum debeatur, invece, nella vicenda in esame, il rivendicato danno da lucro cessante (la cui liquidazione può avvenire, d'ufficio, in via equitativa) avrebbe dovuto essere parametrato all'eventuale differenza (recte al deprezzamento) tra il prezzo pattuito nel preliminare e il valore commerciale dell'immobile al momento in cui l'inadempimento è diventato definitivo (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 34073 del 18/11/2022; Sez. 6-3, Ordinanza n. 26042 del 17/11/2020, quest'ultima pronuncia riferita all'ipotesi in cui il danno subito dal promittente venditore sia provocato da un terzo che, con la sua condotta, abbia impedito la stipulazione del definitivo), normalmente coincidente (sulla scorta del principio generale espresso dall'articolo 1225 c.c., secondo cui la prevedibilità del danno risarcibile deve essere valutata con riferimento al momento in cui il debitore, dovendo dare esecuzione alla prestazione e potendo scegliere fra adempimento e inadempimento, è in grado di apprezzare più compiutamente e, quindi, prevedere il pregiudizio che il creditore può subire per effetto del suo comportamento inadempiente) con quello di proposizione della domanda di risoluzione ovvero altro anteriore, ove accertato in concreto (in ordine al danno da inadempimento subito dal promissario acquirente Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 32536 del 04/11/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 18498 del 30/06/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 28375 del 28/11/2017; Sez. 2, Sentenza n. 17688 del 28/07/2010; Sez. 2, Sentenza n. 1956 del 30/01/2007; Sez. 2, Sentenza n. 1786 del 12/02/1993; Sez. 2, Sentenza n. 2802 del 05/04/1990; Sez. 2, Sentenza n. 3408 del 22/05/1986; Sez. 3, Sentenza n. 2044 del 09/06/1969), potendosi tener conto anche di ulteriori circostanze, suscettibili di determinare un incremento o una riduzione del pregiudizio, a condizione che esse siano allegate e provate e appaiano ragionevolmente prevedibili e non meramente ipotizzate. E ciò senza che abbia alcun rilievo la prospettata compensatio lucri cum damno, trattandosi piuttosto della necessaria delimitazione del danno sulla scorta della sua immediata e diretta attinenza alla condotta inadempiente ex articolo 1223 c.c. (secondo un giudizio di regolarità causale) e della sua prevedibilità ex articolo 1225 c.c. (secondo un criterio di normalità), così impedendo che il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale, anziché riparare il pregiudizio subito dal danneggiato, possa conseguire risultati più vantaggiosi di quelli che sarebbero derivati dall'adempimento. Sicché avrebbe dovuto essere determinato il valore di mercato del bene alla data in cui l'inadempimento è divenuto definitivo, ossia al momento in cui il contratto si è risolto per effetto dell'inutile decorso del termine concesso con la diffida ad adempiere, come accertato - con statuizione meramente dichiarativa - dalla pronuncia impugnata. E all'esito tale valore avrebbe dovuto essere confrontato con il prezzo stabilito nel preliminare rimasto inadempiuto. Per converso, la sentenza impugnata ha determinato il nocumento sulla scorta della differenza tra il prezzo di aggiudicazione all'asta del cespite (che non corrisponde al valore di mercato: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2720 del 05/02/2013; Sez. 1, Sentenza n. 2742 del 25/10/1973) - peraltro non conteggiando l'ulteriore esborso sostenuto per l'aggiudicazione della porzione di proprietà altrui, pari a vecchie Lire 972.000.000 - e il prezzo concordato nel preliminare, senza tenere conto del fatto che - all'esito della risoluzione del preliminare - i promittenti alienanti hanno mantenuto la titolarità del bene, traendone i relativi vantaggi. E non adeguando la valutazione al momento in cui si è determinata la risoluzione di diritto per effetto della scadenza del termine assegnato nella diffida ad adempiere. 11.- L'undicesimo motivo di ricorso riguarda, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c., per avere la Corte d'Appello condannato il concludente alla refusione delle spese di lite, anche con riferimento al giudizio di legittimità, senza tenere conto che il primo motivo del ricorso in cassazione proposto dal Pi.Ac. era stato accolto, sicché vi sarebbe stata soccombenza quantomeno parziale. E senza che fosse stata disposta la restituzione o quantomeno la rideterminazione delle spese del giudizio di primo e secondo grado, all'esito della cassazione della sentenza impugnata. 11.1.- Il motivo è assorbito dall'accoglimento della censura che precede, poiché, all'esito del rinvio della causa, la regolamentazione delle spese dovrà essere rivalutata alla luce della soccombenza finale e globale. 12.- In definitiva, il decimo motivo del ricorso deve essere accolto, nei sensi di cui in motivazione, l'undicesimo motivo è assorbito mentre i rimanenti motivi sono respinti. La sentenza impugnata va, dunque, cassata, limitatamente al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d'Appello di Brescia, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi al seguente principio di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. In tema di preliminare di vendita immobiliare, il danno da lucro cessante spettante al promittente venditore che agisca per la risoluzione del contratto e per il risarcimento del danno, in ragione dell'inadempimento del promissario acquirente, danno derivante dalla sostanziale incommerciabilità del bene nella vigenza del preliminare, deve essere parametrato alla differenza (recte al deprezzamento) tra il prezzo pattuito nel preliminare e il valore commerciale dell'immobile al momento in cui l'inadempimento è divenuto definitivo, potendosi tener conto anche di ulteriori circostanze, suscettibili di determinare un incremento o una riduzione del pregiudizio, a condizione che esse siano allegate e provate e appaiano ragionevolmente prevedibili e non meramente ipotizzate. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione – accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il decimo motivo del ricorso, dichiara assorbito l'undicesimo motivo, respinge i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.