In tema di arbitrato societario, può essere riconosciuto in Italia un lodo rituale straniero pronunciato in forza di una clausola compromissoria, inserita nello statuto di una società di diritto italiano, che localizzi all’estero la sede dell’arbitrato medesimo qualora, giusta l’articolo 34, comma 2, del d.lgs. n. 5 del 2003, applicabile ratione temporis, l'intero organo arbitrale sia nominato da un soggetto terzo estraneo alla società.
Una volta soddisfatto tale requisito, infatti, le disposizioni processuali contenute negli articolo 35 e 36 del medesimo decreto, sono derogabili attraverso la scelta di una lex arbitri diversa, purché rispettosa di quei canoni fondamentali previsti dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958 (recepita in Italia dalla legge n. 62 del 1968), che, a livello sovranazionale, disciplinano il riconoscimento dei lodi arbitrali. I fatti di causa Con domanda di arbitrato, la società F. s.p.a. propose alla Corte Internazionale di Arbitrato presso la Camera di Commercio Internazionale istanza di nomina di un collegio arbitrale ai sensi dell'articolo 31 del proprio statuto sociale, proponendo alcune domande nei confronti del dott. F.R. Si costituì in giudizio il dott. F.R. eccependo in primo luogo l'inefficacia della clausola compromissoria contenuta nello statuto societario e, in secondo luogo, la carenza di giurisdizione della corte arbitrale internazionale. La Corte arbitrale, dopo aver dichiarato che, in linea con la clausola compromissoria statutaria, avrebbe applicato il diritto italiano, per decidere la controversia, con lodo definitivo, accertò alcune violazioni commesse dal dott. F.R. in qualità di amministratore della società F. s.p.a. e, tuttavia, respinse le domande della società attrice di risarcimento dei danni conseguenti a quelle violazioni. Il presidente della Corte d'appello di Genova, richiestone dalla società F. s.p.a., ex articolo 839 c.p.c., dichiarò efficace in Italia il lodo definitivo e liquidò le spese della procedura a carico del dott. F.R. L'opposizione promossa da quest'ultimo, ex articolo 840 c.p.c., avverso il predetto decreto fu respinta dalla Corte di appello. In sintesi, la Corte d'appello ritenne valida, secondo il diritto italiano, la clausola compromissoria di arbitrato estero. Il ricorso per Cassazione Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso il dott. F.R., affidandosi a due motivi. Con il primo motivo, il dott. F.R. lamentò che, in radicale difformità dalla disciplina imperativa dell'arbitrato societario statutario, la corte d'appello aveva ritenuto valida la clausola compromissoria contenuta nello statuto di una società di capitali italiana con sede legale in Italia, la quale affidava ad arbitri esteri, il cui lodo inoppugnabile nello Stato straniero di origine neppure è soggetto ad impugnazione in Italia, la soluzione delle controversie societarie. Con il secondo motivo, il dott. F.R. lamentò che la corte d'appello non aveva rifiutato il riconoscimento in Italia di un lodo emesso sulla base di una clausola compromissoria contenuta nello statuto di una s.p.a. avente sede legale in Italia, clausola compromissoria invalida in quanto devolve la soluzione delle liti tra società, soci e amministratori ad un arbitrato estero con sede in Svizzera. Con ordinanza interlocutoria, la Corte, ritenuta di rilevanza nomofilattica la questione (validità, o non, di una clausola compromissoria per arbitrato estero contenuta nello statuto di una società italiana) posta dalle argomentazioni di cui ai motivi di ricorso, ha disposto la trattazione della causa in pubblica udienza. La decisione della Suprema Corte La normativa di riferimento Vengono, anzitutto, in rilievo gli articolo 34,35 e 36 del d.lgs. n. 5 del 2003, nei rispettivi testi, applicabili ratione temporis, anteriori all'abrogazione dispostane dal d.lgs. n. 149 del 2022 (cd. Riforma Cartabia). Va ricordato, poi, l'articolo 840 cod. proc. civ., – inserito nel Capo VII (Dei lodi stranieri), del Titolo VIII, del Libro IV, del codice di procedura civile – che disciplina il giudizio di opposizione avverso il decreto con cui, ex articolo 839 del medesimo codice, il presidente della corte di appello dichiara l'efficacia del lodo straniero in Italia. Infine, va menzionato l'articolo 5, comma 1, lett. a), della Convenzione di New York del 10 giugno 1958, – concernente il riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, (recepita in Italia tramite la legge 19 gennaio 1968, n. 62) – a tenore del quale «il riconoscimento e l'esecuzione della sentenza saranno negati, a domanda della parte contro la quale la sentenza è invocata, unicamente qualora essa fornisca all'autorità competente del paese, ove sono domandati il riconoscimento e l'esecuzione, la prova che: a) le parti nella convenzione di cui all'articolo II, erano, secondo la legge loro applicabile, affette da incapacità, o che la detta convenzione non è valida, secondo la legge alla quale le parti l'hanno sottoposta o, in mancanza d'una indicazione a tale riguardo, secondo la legge del paese dove la sentenza è stata emessa». Da ultimo, si segnala fin da ora che, nella misura in cui saranno concretamente rilevanti, ai fini della odierna decisione, alcune delle disposizioni della Legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) e di quella della Legge di Diritto Internazionale Privato Svizzero (LDIP), se ne riporteranno i rispettivi contenuti. Le soluzioni offerte dalla dottrina All'indomani del d.lgs. n. 5/2003, un solo contributo aveva affrontato in modo specifico il tema dell'ambito di applicazione territoriale dell'arbitrato societario. Muovendo dal rilievo che le alternative sono fondamentalmente due: a) quella di ritenere che la nuova disciplina arbitrale si applica a tutte le società costituite in Italia e governate dal codice civile nella formulazione ora assunta a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 6, pure del 17 gennaio 2003; b) quella di ritenere che la nuova disciplina arbitrale si applica a tutti gli arbitrati in materia societaria che si svolgono in Italia, indipendentemente dalla legge italiana o straniera che governa la società, questa dottrina opinò che la scelta fra le due alternative o l'indicazione di una soluzione intermedia non va effettuata solo sulla base di opzioni teoriche di fondo circa la natura sostanziale o processuale della nuova disciplina, che fanno ovviamente propendere, la prima, per l'alternativa a) e, la seconda, per |'alternativa b). La scelta va invece effettuata anche, o soprattutto, empiricamente, individuando elementi di valutazione nell'ambito dei meccanismi propri della disciplina stessa capaci di rivelare aspetti utili per la soluzione del quesito». Pertanto, scrutinò e valutò vari elementi, distinguendoli in due gruppi: i) quelli riguardanti la soggezione delle società alla legge italiana; ii) quelli concernenti il procedimento arbitrale. La conclusione generale che quella dottrina trasse considerando le implicazioni determinate dai due descritti gruppi di elementi indicatori fu che la nuova disciplina in tema di arbitrato predisposta dagli articolo 34 ss. e seguenti del d.lgs. n. 5 del 17 gennaio 2003 si applica quando due condizioni sono contemporaneamente presenti: la società ha la sua sede legale in Italia e l'arbitrato ha sede in Italia. Se una di queste condizioni non sussiste la nuova disciplina non trova automatica applicazione. Più di recente, sul tema si sono riscontrate, in dottrina, altre due opinioni, che, pur nelle loro diverse sfumature, appaiono accomunate, per così dire, da un condivisibile afflato internazionalistico e dalla preoccupazione che lo strumento arbitrale non resti confinato, proprio in materia societaria, alla sola dimensione domestica. In una è stato sostenuto che le parti, nella convenzione statutaria oppure in un atto successivo, possono fissare la sede dell'arbitrato all'estero, dal momento che nessun divieto è previsto in proposito dal d.lgs. n. 5/2003 e che, al contrario, la possibilità di deroga della giurisdizione italiana in favore di un arbitrato estero. L'altra opinione, invece, si rivela essere più “moderata'', perché tenta di conciliare la necessaria osservanza delle diverse regole (e non del solo articolo 34, comma 2, del d.lgs. n. 5/2003) che connotano il modello arbitrale statutario con la generale facoltà – riconosciuta alle parti dall'articolo 4 della legge n. 218/1995 e dall'articolo II della già citata Convenzione di New York del 1958 – di scegliere un arbitrato estero e, in tal modo, di determinare l'applicabilità di una lex arbitri straniera. L'esigenza di coerenziare questi diversi elementi, a partire dal tenore imperativo delle norme che regolano l'arbitrato societario italiano, si fonda sulla preoccupazione che un eventuale procedimento arbitrale estero possa effettivamente condurre ad una decisione utile ed eseguibile nello Stato in cui le parti hanno interesse a che il lodo abbia esecuzione: in primis, nella prospettiva qui esaminata, in Italia quale Stato di incorporazione della società, senza correre il rischio che al dictum venga negato il riconoscimento (ad esempio, per il difetto di condizioni di arbitrabilità o per invalidità della convenzione). In questa direzione, si è sostenuto che il contemperamento tra le istanze di cui sopra appare in primo luogo possibile allorché le disposizioni processuali straniere destinate ad applicarsi al procedimento siano compatibili con le previsioni degli articolo 34 e ss. del d.lgs. n. 5/2003, di talché queste possano comunque dirsi osservate. Tale verifica di compatibilità richiederebbe che si accettino queste due condizioni: a) che si ragioni non in termini di coincidenza o di esatta sovrapponibilità, bensì in termini di equipollenza fra regole di ordinamenti diversi (e così, esemplificativamente, si afferma che la regola sull'intervento potrà dirsi osservata laddove anche la lex arbitri consenta l'ingresso di terzi o soci in giudizio, sia pure con termini e forme diversi da quelli che si applicherebbero nel caso in cui all'arbitrato avesse sede in Italia; ed ancora, le previsioni degli articolo 35, comma 3, e 36 del d.lgs. n. 5/2003, in tema di impugnazioni, potranno dirsi rispettate se nell'ordinamento dello Stato estero esistono rimedi equivalenti «per natura e fondamento, anche se non esattamente coincidenti per disciplina a quelli previsti dal nostro codice di rito); b) che si acceda all'idea che la inderogabilità della disciplina di cui al d.lgs. n. 5/2003 non riguardi anche la giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana, né implichi l'applicazione necessaria delle norme processuali italiane. Detto altrimenti, non sarebbe inderogabile la giurisdizione del giudice statale italiano quale giudice delle impugnazioni del lodo: a rilevare sarebbe, essenzialmente, che i rimedi impugnatori previsti dal codice di rito italiano e dal d.lgs. n. 5/2003 trovino corrispondenza nella legislazione processuale dello Stato in cui è fissata la sede dell'arbitrato. Lo stesso ragionamento, con le debite modifiche, dovrebbe valere per le disposizioni che prevedono l'ausilio dell'autorità giudiziaria in vista dell'utile funzionamento dello strumento arbitrale: ad essere inderogabile, nell'articolo 34, comma 2, del d.lgs. n. 5/2003, sarebbe il meccanismo di nomina, non anche il coinvolgimento del presidente del tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale, ove il designatore indicato nella clausola statutaria ometta di provvedere. Le valutazioni della Suprema Corte Il Collegio privilegia una soluzione che, non soltanto, si riveli compatibile con la normativa tutta in precedenza richiamata, ma risulti tale, nello stesso tempo, da non ostacolare eccessivamente il ricorso allo strumento dell'arbitrato societario statutario. Convincimento, questo, che poggia tanto sulle già descritte, svariate ragioni che possono rendere opportuna la scelta di avvalersi di tale strumento, quanto sulle parimenti molteplici esigenze di cui gli operatori economici possono farsi portatori nelle operazioni societarie domestiche o internazionali. Ciò, peraltro, in un contesto giuridico mondiale che oggi appare chiaramente volto a favorire la circolazione dei provvedimenti in tutte le materie, né potendosi negare rilievo, sic et simpliciter, a legittime ragioni di opportunità processuale, ossia di forum shopping, che inducano a sottoporre le controversie societarie di una determinata società alla legge processuale di un Paese diverso rispetto a quello di incorporazione. Questa conclusione consegue, innanzitutto, dalle norme di legge: nessuna disposizione, invero, tra quelle di cui agli articolo 34-36 del d.lgs. n. 5 del 2003 (abrogati dal d.lgs. n. 149 del 2022, ma qui, come si è già detto, applicabili ratione temporis), contiene previsioni che riguardino la sede dell'arbitrato (altrettanto, per la verità, è a dirsi anche per gli articolo 838-bis, 838-ter ed 838-quater c.p.c., introdotti dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022 e di tenore sostanzialmente analogo ai suddetti abrogati articoli del d.lgs. n. 5 del 2003), né dal silenzio è dato inferire alcuna regola che imponga di porre la sede dell'arbitrato in Italia. Anche in questa materia, dunque, la norma riferimento deve ricercarsi nell'articolo 4, comma 2, della legge n. 218 del 1995, che prevede espressamente che la giurisdizione italiana possa essere convenzionalmente derogata a favore di un arbitro estero se la deroga è provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili. Nulla vieta, perciò, che un arbitrato societario nascente da clausola compromissoria statutaria abbia la propria sede all'estero, così come nulla impedisce che soggetti domiciliati in Italia scelgano, per la definizione delle loro liti, un arbitrato con sede in territorio estero. La regola applicabile in materia è, in entrambi i casi, quella dettata dall'articolo 4, comma 2, della legge n. 218/1995, che non è derogata in materia di arbitrato societario e consente quindi, anche in quest'ambito, la scelta di un arbitrato estero. Ammessa, dunque, la possibilità che la sede dell'arbitrato societario non stia all'interno dei confini nazionali, occorre ulteriormente interrogarsi circa il se tanto possa avvenire senza limite alcuno, oppure se il d.lgs. n. 5/2003 (per quanto di specifico interesse in questa sede, stante la sua applicabilità, ratione temporis, nella fattispecie in esame) contenga comunque norme di carattere inderogabile. Il Collegio ritiene di poter condividere l'opinione secondo cui il nucleo imprescindibile della disciplina in esame resti comunque nella disposizione dell'articolo 34 del d.lgs. n. 5/2003 laddove stabilisce che la clausola statutaria deve conferire in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Invero, sebbene sia innegabile che la convenzione di arbitrato sia un atto di autonomia negoziale e possa qualificarsi, quindi, come negozio giuridico privato, il suo inquadramento tra i contratti, tuttavia, non può essere operato acriticamente. Non può dimenticarsi, infatti, che il patto compromissorio non è un negozio di autoregolamentazione degli interessi delle parti, bensì basilarmente l'accordo con il quale esse scelgono di devolvere la controversia ad arbitri, ossia scelgono l'arbitrato quale forma di risoluzione delle controversie alternativa (sia pure non radicalmente diversa rispetto) alla giurisdizione statale. In altri termini, dunque, un tale patto si rivela essere un negozio giuridico con effetti processuali, che, pur disponendo del diritto delle parti di agire davanti al giudice statuale, ha natura sostanziale ed è regolato, quindi, per quanto si è detto in precedenza relativamente al contenuto della clausola statutaria in esame, dalla legge nazionale. Mentre la norma dell'articolo 34 d. lgs. n. 5/2003 è imperativa e regola l'unica forma possibile di arbitrato societario laddove impone a pena di nullità della convenzione di arbitrato che l'intero organo arbitrale sia nominato da un soggetto terzo estraneo alla società, una volta rispettata la forma necessaria della convenzione di arbitrato, le disposizioni processuali contenute nelle altre norme del decreto societario, invece, possono essere derogate attraverso la scelta di una lex arbitri diversa, purché rispettosa di quei canoni fondamentali, recepiti, in particolare, dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958 (recepita in Italia dalla legge n. 62 del 1968), che, a livello sovranazionale, disciplinano il riconoscimento dei lodi arbitrali. Il principio di diritto In tema di arbitrato societario, può essere riconosciuto in Italia un lodo rituale straniero pronunciato in forza di una clausola compromissoria, inserita nello statuto di una società di diritto italiano, che localizzi all'estero la sede dell'arbitrato medesimo qualora, giusta l'articolo 34, comma 2, del d.lgs. n. 5 del 2003, applicabile ratione temporis, l'intero organo arbitrale sia nominato da un soggetto terzo estraneo alla società. Una volta soddisfatto tale requisito, infatti, le disposizioni processuali contenute negli articolo 35 e 36 del medesimo d.lgs. sono derogabili attraverso la scelta di una lex arbitri diversa, purché rispettosa di quei canoni fondamentali previsti dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958 (recepita in Italia dalla legge n. 62 del 1968), che, a livello sovranazionale, disciplinano il riconoscimento dei lodi arbitrali.
Presidente Di Marzio – Relatore Campese Fatti di causa 1. Con domanda di arbitrato del 17 dicembre 2014, FERRETTI Spa propose alla Corte Internazionale di Arbitrato presso la Camera di Commercio Internazionale istanza di nomina di un collegio arbitrale ai sensi dell'articolo 31 del proprio statuto sociale e formulò le seguenti conclusioni In via principale 1. Accertare e dichiarare la responsabilità del convenuto, Dott. Ferruccio Ro.Fe., per le ragioni e i titoli descritti in narrativa; 2. condannare il Dott. Ferruccio Ro.Fe. a versare a FERRETTI Spa un importo pari a quanto FERRETTI Spa dovesse versare, nel corso della presente procedura arbitrale, ai sigg.ri Za.Ma. e Ga.Pi. in esecuzione degli accordi, cd. Paracadute , descritti in narrativa e formalmente recanti, rispettivamente, le date del 9 gennaio 2013 e del 4 marzo 2013, nonché al risarcimento di ogni ulteriore danno, onere e spesa che FERRETTI Spa dovesse subire o sostenere in ragione di tali accordi, come meglio quantificato nel corso del procedimento; 3. in ogni caso, condannare il Dott. Ferruccio Ro.Fe. a versare a FERRETTI Spa un importo pari alla somma che FERRETTI Spa dovesse versare a seguito di provvedimento/i giudiziale/i di condanna o di accordo/i transattivo/i con cui si ponesse fine a procedimenti giudiziali, ai sigg.ri Za.Ma. e Ga.Pi. in esecuzione degli accordi, cd. Paracadute , descritti in narrativa e formalmente recanti, rispettivamente, le date del 9 gennaio 2013 e 4 marzo 2013; 4. In ogni caso, con vittoria di spese e onorari, ivi compresi quelli relativi alla costituzione e al funzionamento del costituendo Collegio Arbitrale . 1.1. Ferruccio Ro.Fe. si costituì nel procedimento arbitrale suindicato, così concludendo In via pregiudiziale 1) rilevata la nullità o, comunque, l'inefficacia della clausola compromissoria contenuta nell'articolo 31 dello statuto di FERRETTI Spa, dichiarare la propria carenza di giurisdizione a conoscere della controversia ad esso deferita in favore del giudice italiano. In via subordinata, nell'ipotesi in cui il Tribunale Arbitrale ritenesse la propria giurisdizione 2) respingere tutte le domande formulate da FERRETTI Spa nei confronti del Dott. Ferruccio Ro.Fe.. In via ulteriormente subordinata 3) tenere conto della condotta serbata da FERRETTI Spa ai sensi dell'articolo 1227 c.c. al fine di escludere o, eventualmente, ridurre significativamente qualsiasi risarcimento che fosse riconosciuto come dovuto a FERRETTI Spa . 1.2. Il nominato Tribunale arbitrale adottò l'Atto di Missione, in base al quale, in linea con la clausola compromissoria statutaria, avrebbe applicato il diritto italiano, nella sua integralità, per decidere la controversia. 1.3. Con lodo non definitivo dell'8 settembre 2015, il menzionato Tribunale dichiarò la propria competenza a decidere sulle domande di FERRETTI Spa e successivamente, con lodo definitivo del 30 gennaio 2017, senza richiamare espressamente il precedente decisum sulla propria potestas iudicandi, pronunciò il seguente dispositivo 1. Il Convenuto, dott. Ferruccio Ro.Fe., ha violato i suoi doveri di amministratore dell'Attrice, FERRETTI Spa a) sottoscrivendo, a nome di FERRETTI, gli accordi cc.dd. Paracadute con i sigg.ri Za.Ma. e Ga.Pi., formalmente recanti le date del 9 gennaio 2013 e 4 marzo 2013; b) omettendo di assegnare ai sigg.ri Za.Ma. e Ga.Pi. degli obiettivi aziendali di risultato (MBO). Le domande dell'Attrice volte a ottenere la condanna del Convenuto a un risarcimento in dipendenza delle violazioni di cui al punto 1. vengono, per il momento, respinte, in quanto inammissibili allo stato, ove non rigettate nel merito. Le spese dell'arbitrato ammontano a USD 278.958,00, oltre che EUR 179.150,37 e sono poste a carico dell'Attrice in misura di un terzo e a carico del Convenuto in misura di due terzi. Tenuto conto degli anticipi versati ed operate le opportune compensazioni, il Convenuto è condannato a versare all'Attrice USD 132.180,00 e EUR 3.326,32 . 2. Con decreto del 30 marzo 2017, n. 106, il presidente della Corte d'Appello di Genova, richiestone da FERRETTI Spa ex articolo 839 cod. proc. civ., dichiarò efficace in Italia il lodo definitivo e liquidò le spese della procedura a carico di Ferruccio Ro.Fe. 3. L'opposizione promossa da quest'ultimo, ex articolo 840 cod. proc. civ., avverso il predetto decreto fu respinta dalla corte di appello di quella stessa città con sentenza del 10 giugno/9 luglio 2020, n. 649, pronunciato nel contraddittorio con FERRETTI Spa 3.1. In particolare, quella corte così opinò Quanto al primo motivo di opposizione, la Corte osserva quanto segue. La clausola compromissoria contenuta nell'articolo 31 dello statuto di FERRETTI Spa fissa la sede dell'arbitrato a Ginevra (…), determinando, così, la nazionalità dell'arbitrato ed individuando la lex arbitri, ossia la legge processuale che, ai sensi degli articolo 816 e 810, comma 3, cod. proc. civ., è quella svizzera. Ciò è del resto confermato dalla stessa legge processuale svizzera l'articolo 176, comma 1, della LDIP (…) prevede che Le disposizioni del presente capitolo si applicano ai tribunali arbitrali con sede in Svizzera sempreché, al momento della stipulazione del patto di arbitrato, almeno una parte non fosse domiciliata né dimorasse abitualmente in Svizzera (questa norma trova applicazione in forza dell'Atto di Missione accettato dalle parti in sede di apertura della procedura arbitrale …). La clausola compromissoria dispone poi, all'articolo 31.3, che gli arbitri devono applicare le disposizioni di cui al codice civile , con ciò prevedendo che la legge sostanziale in base alla quale gli arbitri sono chiamati a decidere il merito della controversia sia quella italiana. Pertanto, la legge processuale applicabile è quella svizzera e la legge sostanziale applicabile è quella italiana. Ora, è pacifico che la convenzione di arbitrato integri un negozio, con la conseguenza che la sua validità va valutata rispetto alla legge sostanziale, e non a quella processuale. Per individuare detta legge sostanziale, l'articolo 178, comma 2, LDIP (ossia la lex arbitri) prevede che il patto di arbitrato è materialmente valido se conforme al diritto scelto dalle parti, al diritto applicabile all'oggetto litigioso, segnatamente a quello applicabile al contratto principale, o al diritto svizzero . Quindi la validità della clausola compromissoria va valutata in base a uno qualsiasi degli ordinamenti richiamati dalla citata norma. Orbene, la clausola compromissoria è innanzitutto valida secondo il diritto sostanziale italiano (il diritto applicabile all'oggetto litigioso ); Ro.Fe., invece, pretenderebbe di applicare alla convenzione di arbitrato il diritto processuale italiano, ricavandone conseguentemente la nullità. Ro.Fe., infatti, confonde le norme sostanziali italiane dettate per la validità della clausola statutaria arbitrale (rilevanti per giudicare la validità della clausola compromissoria) con quelle processuali italiane in materia di procedimento arbitrale societario domestico (irrilevanti, posto che, come si è detto, il giudizio arbitrale all'esito del quale è stato reso il lodo finale è retto dalla legge processuale svizzera). Ro.Fe., infatti, afferma che gli articolo 34 e ss. D.Lgs. 5/2003 disciplinano l'unico possibile tipo di clausola compromissoria che può essere inserito nello statuto di una società italiana e l'unico procedimento arbitrale societario ammissibile secondo la legge italiana in detti casi . A quanto già rilevato circa la nazionalità svizzera dell'arbitrato che impone l'applicazione delle norme processuali svizzere in materia di arbitrato si aggiunga che, in ogni caso, le norme italiane processuali hanno efficacia territorialmente limitata all'ordinamento italiano, come previsto dall'articolo 12 della L. 31 maggio 1995, n. 218. Anche l'argomento letterale fornisce un indice sicuro (la rubrica dell'articolo 34 è Oggetto ed effetti di clausole compromissorie statutarie mentre quella degli articolo 35 e 36 è, rispettivamente, Disciplina inderogabile del procedimento arbitrale e Decisione secondo diritto ). Il legislatore commina la nullità della convenzione di arbitrato solo nel caso di clausola compromissoria che non devolva la nomina degli arbitri a un soggetto esterno alla società (cfr. articolo 34, comma 2, D.Lgs. 5/2003), mentre nessuna ipotesi di nullità è prevista negli articolo 35 e 36 D.Lgs. 5/2003. In ogni caso, l'articolo 35. D.Lgs. 5/2003 non prescrive il contenuto della clausola arbitrale, ma reca la disciplina inderogabile del procedimento arbitrale societario italiano l'articolo 35 non si applica, pertanto, a questo procedimento arbitrale, che è retto dalla legge processuale svizzera. Del pari, l'articolo 36 D.Lgs. 5/2003, là dove disciplina l'impugnazione del lodo, non detta un contenuto inderogabile in materia di convenzione arbitrale societaria, bensì regola le impugnazioni dei lodi interni emessi in esito a procedimenti arbitrali aventi la sede in Italia ai sensi dell'articolo 816 cod. proc. civ. In altri termini, l'articolo 36 D.Lgs. 5/2003 non prescrive il contenuto della clausola ma la disciplina delle impugnazioni. Da quanto sin qui detto, emerge la validità della clausola compromissoria secondo il diritto italiano, il che è dirimente. Ciò posto, fermo quanto detto sopra in merito alla natura processuale degli articolo 35 e 36 D.Lgs. 5/2003, e alla loro conseguente irrilevanza ai fini della valutazione della validità della clausola compromissoria, l'opponente afferma che gli articolo 35 e 36 D.Lgs. 5/2003 contemplano garanzie processuali che sarebbero invece assenti nell'arbitrato internazionale svizzero, assenza che costituirebbe la ragione della fissazione della sede dell'arbitrato in Svizzera, nonché dimostrazione dell'intento elusivo dei soci di FERRETTI. La tesi non è fondata. Infatti la disciplina dell'arbitrato riserva alle parti garanzie processuali equivalenti in Italia ed in Svizzera. Così, nessun rilievo ha il richiamo del Ro.Fe. alla disciplina dell'intervento, contenuta nell'articolo 35, comma 2, D.Lgs. 5/2003. Nel caso di specie, il Tribunale Arbitrale ha deciso su un'azione sociale di responsabilità siamo, dunque, al di fuori del perimetro di azioni cui il legislatore pensava allorché ha disciplinato l'intervento in arbitrato. Infatti, la struttura dell'arbitrato societario è stata modellata soprattutto per dare efficienza ai procedimenti in cui tipicamente vi è una pluralità di parti, ossia le impugnative di delibere assembleari (in cui i soci, onde essere legittimati all'azione, devono raggiungere, anche cumulativamente, una determinata percentuale del capitale sociale cfr. articolo 2377 cod. civ.). Non si vede, invece, quale intervento il socio debba dispiegare nell'azione sociale di responsabilità, posto che egli rimane estraneo alla domanda risarcitoria, proposta dall'ente a beneficio proprio e, di riflesso, di tutti i soci. Venendo, poi, al richiamo della disciplina dell'impugnazione di cui agli articolo 35, comma 3, e 36 D.Lgs. 5/2003, Ro.Fe. sostiene che i soci di FERRETTI avrebbero fissato la sede dell'arbitrato in Svizzera, Stato con cui non avrebbero alcun legame, nel deliberato intento di eludere la legge italiana ed escludere ogni possibilità di impugnare il lodo. L'articolo 192 LDIP richiede, ai fini di una valida rinuncia alla impugnabilità del lodo, una dichiarazione espressa delle parti. Orbene, la clausola compromissoria non contiene alcuna rinuncia preventiva, né implicita né espressa, all'impugnazione del lodo, ma anzi dispone, all'articolo 31.5, che il lodo sarà impugnabile nei casi inderogabilmente previsti dalla legge il lodo reso dal Tribunale Arbitrale sarà dunque censurabile in base a tutti i motivi di cui all'articolo 190 LDIP, risultando così smentite le doglianze di Ro.Fe. Quanto sin qui rilevato è sufficiente altresì per smentire l'osservazione dell'opponente secondo cui aver posto la sede dell'arbitrato in Svizzera comporterebbe una clamorosa elusione studiata 'a tavolino' dai soci di FERRETTI della normativa inderogabile applicabile alle società italiane , che determinerebbe la frode alla legge. Nel caso di specie, non vi è stato alcun tentativo di aggirare un divieto, posto che, da quanto sopra illustrato, discende che alcun divieto nel caso di specie è possibile rinvenire. Si è, infatti, già detto che l'arbitrato estero non è escluso dalle previsioni in materia di arbitrato societario, e che, in ogni caso, le garanzie qualificate da Ro.Fe. come inderogabili (come ad esempio quelle in tema di impugnazioni) non sono state disattese, giacché le determinazioni del Tribunale Arbitrale sono in ogni caso impugnabili secondo i rimedi di cui all'articolo 190 LDIP. Quanto al secondo motivo, la Corte osserva che l'ordine pubblico che rileva è il c.d. ordine pubblico interno internazionale, ossia quello dello Stato richiesto sulla base di quanto previsto dalla Convenzione di New York, ma riguardante anche i principi fondamentali sovranazionali che presiedono al nostro ordinamento in un dato momento storico; in altre parole, il concetto di ordine pubblico si identifica con l'insieme delle regole e dei valori che l'ordinamento italiano non può vedere disconosciuti neanche nei rapporti transnazionali. Nel valutare se una simile violazione ricorra va considerata la lettera dell'articolo 840 cod. proc. civ., il quale prevede che il riconoscimento è rifiutato qualora il lodo contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico . La giurisprudenza ha tradizionalmente ritenuto che il rispetto dell'ordine pubblico debba essere valutato con riguardo alla sola parte dispositiva del lodo (cfr. Cass. 8 aprile 2004, n. 6974). Non sarebbe infatti ammissibile alcuna valutazione in punto di motivazione, pena il rischio di un riesame del merito della questione sottoposta agli arbitri. Da quanto sopra discende che l'ordine pubblico evocato nella norma è quello sostanziale e non processuale, essendo i principi processuali irrinunciabili dell'ordinamento italiano già declinati negli altri motivi di opposizione al riconoscimento dei lodi stranieri. Nessuna violazione dell'ordine pubblico sostanziale è stata lamentata nel caso di specie. Le determinazioni del Tribunale Arbitrale non sono comunque in contrasto nemmeno con l'ordine pubblico processuale, che si configura in caso di lesione dei principi inviolabili posti a garanzia del diritto di agire e resistere in giudizio (quali violazioni gravissime del principio del contraddittorio e dell'imparzialità degli arbitri). La particolare restrittività con cui va inteso il concetto di ordine pubblico processuale è stata recentemente ribadita delle Sezioni Unite, secondo cui la tutela del diritto fondamentale ad un equo processo, più volte enunciata, non è stata intesa come prerogativa assoluta, cioè intransigente ricerca di qualsivoglia violazione in relazione alle movenze processuali di ogni singolo Stato, ma come mezzo per impedire, tramite l'esecuzione di sentenze, soltanto lesioni manifeste e smisurate del diritto alle parti al contraddittorio e alla difesa (cfr. Cass., S.U., n. 16601 del 7 febbraio 2017). Risulta quindi fuori luogo la contestazione di Ro.Fe. che vorrebbe trarre dalla inapplicabilità delle norme (processuali) sull'arbitrato societario italiano al caso di specie una violazione dell'ordine pubblico idonea a impedire il riconoscimento del lodo finale, posto che, come si è visto in precedenza, lo svolgimento dell'arbitrato in esito al quale è stato pronunciato il lodo non ha violato le garanzie che l'ordinamento italiano considera di fondamentale applicazione (non vi sono contestazioni sul contraddittorio, che è stato pienamente rispettato; così come è fuori discussione l'imparzialità del Tribunale Arbitrale). Del medesimo avviso è il Tribunale Arbitrale, che, nel lodo intermedio, afferma che le disposizioni procedurali degli articolo articolo 35 e 36 D.Lgs. n. 5/2003 ancorché inderogabili se l'arbitrato ha sede in Italia, non sono poste a tutela di principi di ordine pubblico internazionale, e quindi, gli arbitrati nascenti da una clausola arbitrale statutaria, valida e conforme nella sostanza ai sensi dell'articolo 34 D.Lgs. n. 5/2003, oltre che valida per la lex arbitri, possono avere sede fuori dall'Italia ed essere svolti secondo le regole procedurali di uno Stato diverso (…). Le garanzie processuali di cui Ro.Fe. denuncia la violazione risultano in ogni caso rispettate, sicché il lodo finale nella sua parte dispositiva non presenta alcuna statuizione che, una volta eseguita, potrebbe porsi in contrasto con l'ordine pubblico (…) . 4. Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso Ferruccio Ro.Fe., affidandosi a due motivi, illustrati anche da memoria ex articolo 380-bis.1 cod. proc. civ. Ha resistito, con controricorso, corredato da analoga memoria, FERRETTI Spa 4.1. Con ordinanza interlocutoria del 6/11 giugno 2024, n. 16124, questa Corte, ritenuto che La questione (validità, o non, di una clausola compromissoria per arbitrato estero contenuta nello statuto di una società italiana) posta dalle argomentazioni di cui ai formulati motivi di ricorso, – attesane la particolare complessità e rilevanza (cfr. Cass., S.U., n. 14437 del2018), il chiaro valore nomofilattico, le contrastanti opinioni della dottrina sul relativo tema e l'assenza di specifici precedenti di legittimità – rende opportuna la rimessione della causa alla pubblica udienza , ha disposto in conformità, rinviando, pertanto, la causa nuovo ruolo. 4.2. Successivamente è stata fissata l'odierna pubblica udienza, in prossimità della quale sono state depositate memorie ex articolo 378 cod. proc.civ. Ragioni della decisione 1. – I motivi di ricorso. I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi I) Violazione o falsa applicazione degli articolo 34 e 35 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, in relazione all'articolo 840 c.p.c., rilevante ai sensi dell'articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , per avere la Corte d'Appello ritenuto valida la clausola compromissoria contenuta nello statuto di una società di capitali italiana con sede legale in Italia, che, in radicale difformità dalla disciplina imperativa dell'arbitrato societario statutario, affidi, invece, ad arbitri esteri, il cui lodo inoppugnabile nello Stato straniero di origine neppure è soggetto ad impugnazione in Italia, la soluzione delle controversie societarie; II) Violazione e/o falsa applicazione degli articolo V.1(a) della Convenzione di New York, 840, comma 3, n. 1, c.p.c., in relazione agli articolo 34-35-36 del D.Lgs. n. 5/2003, 1418 c.c., 4 e 25 della Legge218/1995, rilevante ai sensi dell'articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , per non avere la Corte d'Appello rifiutato il riconoscimento in Italia di un lodo emesso sulla base di una clausola compromissoria contenuta nello statuto di una Spa avente sede legale in Italia, clausola compromissoria invalida in quanto devolve la soluzione delle liti tra società, soci e amministratori ad un arbitrato estero con sede in Svizzera. 2. – Le conclusioni e le argomentazioni del Procuratore Generale. Stante la particolare rilevanza ed il valore nomofilattico della questione giuridica oggetto dell'odierno giudizio nonché le contrastanti opinioni della dottrina sul tema e l'assenza di specifici precedenti di legittimità su quest'ultimo, il Collegio ritiene opportuno riportare, sebbene sinteticamente, le argomentazioni su cui il rappresentante dell'Ufficio della Procura Generale presso questa Corte ha fondato la propria richiesta di accoglimento del ricorso. Le stesse possono così riassumersi i) qualora venga richiesto il riconoscimento in Italia di un lodo straniero, l'ordinamento internazionale (e nazionale) prevede un vaglio sulla validità della convenzione arbitrale, da svolgersi secondo la legge alla quale le parti l'hanno sottoposta (nel caso di specie, pacificamente, quella italiana); ii) la disciplina dettata dall'articolo 35 del D.Lgs. n. 5/2003 – abrogato, così come gli articolo 34 e 36 del medesimo D.Lgs., ma qui tutti utilizzabili ratione temporis – (e, oggi, dall'articolo 838-quater cod. proc. civ.), non ha natura meramente processuale, ma assume carattere sostanziale nei limiti in cui delinea il perimetro della libertà negoziale ed esclude la possibilità di sottrarre il lodo, in ambito societario (pronunciato, cioè, all'esito di un procedimento arbitrale previsto da una clausola compromissoria statutaria), a qualsiasi forma di impugnazione; iii) la nullità della convenzione arbitrale, disciplinata quale caso ostativo al riconoscimento ex articolo 840, comma 3, n. 1, cod. proc. civ., quindi, non può essere limitata alla sola estraneità alla società del soggetto cui è conferito il potere di nomina degli arbitri, imposta dall'articolo 34, comma 2, del D.Lgs. n. 5/2003, ma abbraccia tutte le ulteriori ipotesi di violazione di norme di ordine pubblico, quali quelle disciplinate dall'articolo 35 del menzionato D.Lgs. e dall'articolo 829, comma 1, cod. proc. civ.; iv) la clausola oggetto del presente giudizio, fissando indirettamente (mediante la localizzazione della sede) le norme processuali del procedimento arbitrale in conformità al diritto svizzero, comporta, di fatto, oltre ad altre deroghe al regime speciale, una non impugnabilità assoluta del lodo arbitrale, in quanto, nell'ipotesi di società non stabilite in Svizzera, è consentito alle parti (come, in effetti, è stato fatto nel caso di specie) di escluderne l'impugnazione davanti al giudice svizzero; v) la clausola oggetto del presente giudizio, quindi, è nulla in quanto impone ai soci (ed agli amministratori) una disciplina processuale che li depriva, di fatto, di qualsiasi mezzo di impugnazione in violazione del regime speciale previsto dalla legge italiana. 3. – La normativa nazionale ed internazionale di riferimento. Giova premettere, onde scongiurare possibili equivoci, che il presente giudizio non attiene alla validità del lodo straniero ed alle norme processuali che hanno presieduto alla sua pronuncia, ma, esclusivamente, alla possibilità di tale lodo straniero di essere recepito dalla giurisdizione nazionale in forza di delibazione e, quindi, mediante la speciale procedura di cui agli articolo 839 e ss. cod. proc. civ. che richiama la Convenzione di New York del 10 giugno 1958. La decisione della odierna controversia, dunque, deve avvenire alla stregua dell'appena richiamata (e complessiva) cornice legislativa, nazionale ed internazionale, di cui è qui opportuno fare menzione. 3.1. Innanzitutto gli articolo 34,35 e 36 del D.Lgs. n. 5 del 2003, nei rispettivi testi, applicabili ratione temporis, anteriori all'abrogazione dispostane dal D.Lgs. n. 149 del 2022 (cd. Riforma Cartabia). Essi prevedono articolo 34 (Oggetto ed effetti di clausole compromissorie statutarie). 1. Gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell'articolo 2325-bis del codice civile, possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. 2. La clausola deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Ove il soggetto designato non provveda, la nomina è richiesta al presidente del Tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale. 3. La clausola è vincolante per la società e per tutti i soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia. 4. Gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti e, in tale caso, essa, a seguito dell'accettazione dell'incarico, è vincolante per costoro. 5. Non possono essere oggetto di clausola compromissoria le controversie nelle quali la legge preveda l'intervento obbligatorio del pubblico ministero. 6. Le modifiche dell'atto costitutivo, introduttive o soppressive di clausole compromissorie, devono essere approvate dai soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale sociale. I soci assenti o dissenzienti possono, entro i successivi novanta giorni, esercitare il diritto di recesso. articolo 35 (Disciplina inderogabile del procedimento arbitrale). 1. La domanda di arbitrato proposta dalla società o in suo confronto è depositata presso il registro delle imprese ed è accessibile ai soci. 2. Nel procedimento arbitrale promosso a seguito della clausola compromissoria di cui all'articolo 34, l'intervento di terzi a norma dell'articolo 105 del codice di procedura civile nonché l'intervento di altri soci a norma degli articoli 106 e 107 dello stesso codice è ammesso fino alla prima udienza di trattazione. Si applica l'articolo 820, comma secondo, del codice di procedura civile. 3. Nel procedimento arbitrale non si applica l'articolo 819, primo comma, del codice di procedura civile; tuttavia il lodo è sempre impugnabile, anche in deroga a quanto previsto per l'arbitrato internazionale dall'articolo 838 del codice di procedura civile a norma degli articoli 829, primo comma, e 831 dello stesso codice. 4. Le statuizioni del lodo sono vincolanti per la società. 5. La devoluzione in arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare a norma dell'articolo 669-quinquies del codice di procedura civile, ma se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari agli arbitri compete sempre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la sospensione dell'efficacia della delibera. 5-bis. I dispositivi dell'ordinanza di sospensione e del lodo che decide sull'impugnazione devono essere iscritti, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese. articolo 36 (Decisione secondo diritto). 1. Anche se la clausola compromissoria autorizza gli arbitri a decidere secondo equità ovvero con lodo non impugnabile, gli arbitri debbono decidere secondo diritto, con lodo impugnabile anche a norma dell'articolo 829, secondo comma, del codice di procedura civile quando per decidere abbiano conosciuto di questioni non compromettibili ovvero quando l'oggetto del giudizio sia costituito dalla validità di delibere assembleari. 2. La presente disposizione si applica anche al lodo emesso in un arbitrato internazionale. 3.2. Va ricordato, poi, l'articolo 840 cod. proc. civ., – inserito nel Capo VII (Dei lodi stranieri), del Titolo VIII, del Libro IV, del codice di procedura civile – che disciplina il giudizio di opposizione avverso il decreto con cui, ex articolo 839 del medesimo codice, il presidente della corte di appello dichiara l'efficacia del lodo straniero in Italia. Esso, nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche apportategli dal D.Lgs. n. 149 del 2022, così dispone articolo 840 (Opposizione). I. Contro il decreto che accorda o nega l'efficacia del lodo straniero è ammessa opposizione da proporsi con citazione dinanzi alla Corte d'Appello entro trenta giorni dalla comunicazione, nel caso di decreto che nega l'efficacia, ovvero dalla notificazione nel caso di decreto che l'accorda. II. In seguito all'opposizione il giudizio si svolge a norma degli articolo 645 e seguenti in quanto applicabili. La Corte d'Appello pronuncia con sentenza impugnabile per cassazione. III. Il riconoscimento o l'esecuzione del lodo straniero sono rifiutati dalla Corte d'Appello se nel giudizio di opposizione la parte contro la quale il lodo è invocato prova l'esistenza di una delle seguenti circostanze 1) le parti della convenzione arbitrale erano incapaci in base alla legge ad esse applicabile oppure la convenzione arbitrale non era valida secondo la legge alla quale le parti l'hanno sottoposta o, in mancanza di indicazione a tale proposito, secondo la legge dello Stato in cui il lodo è stato pronunciato; 2) la parte nei cui confronti il lodo è invocato non è stata informata della designazione dell'arbitro o del procedimento arbitrale o comunque è stata nell'impossibilità di far valere la propria difesa nel procedimento stesso; 3) il lodo ha pronunciato su una controversia non contemplata nel compromesso o nella clausola compromissoria, oppure fuori dei limiti del compromesso o della clausola compromissoria; tuttavia, se le statuizioni del lodo che concernono questioni sottoposte ad arbitrato possono essere separate da quelle che riguardano questioni non sottoposte ad arbitrato, le prime possono essere riconosciute e dichiarate esecutive; 4) la costituzione del collegio arbitrale o il procedimento arbitrale non sono stati conformi all'accordo delle parti o, in mancanza di tale accordo, alla legge del luogo di svolgimento dell'arbitrato; 5) il lodo non è ancora divenuto vincolante per le parti o è stato annullato o sospeso da un'autorità competente dello Stato nel quale, o secondo la legge del quale, è stato reso. IV. Allorché l'annullamento o la sospensione dell'efficacia del lodo straniero siano stati richiesti all'autorità competente indicata nel numero 5 del terzo comma, la Corte d'Appello può sospendere il procedimento per il riconoscimento o l'esecuzione del lodo; su istanza della parte interessata può, in caso di sospensione, ordinare che l'altra presti idonea garanzia. V. Il riconoscimento o l'esecuzione del lodo straniero sono altresì rifiutati allorché la Corte d'Appello accerta che 1) la controversia non potesse formare oggetto di compromesso secondo la legge italiana; 2) il lodo contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico. VI. Sono in ogni caso salve le norme stabilite in convenzioni internazionali. 3.3. Infine, va menzionato l'articolo 5, comma 1, lett. a), della Convenzione di New York del 10 giugno 1958, – concernente il riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, (recepita in Italia tramite la legge 19 gennaio 1968, n. 62) – a tenore del quale Il riconoscimento e l'esecuzione della sentenza saranno negati, a domanda della parte contro la quale la sentenza è invocata, unicamente qualora essa fornisca all'autorità competente del paese, ove sono domandati il riconoscimento e l'esecuzione, la prova che a) le parti nella convenzione di cui all'articolo II, erano, secondo la legge loro applicabile, affette da incapacità, o che la detta convenzione non è valida, secondo la legge alla quale le parti l'hanno sottoposta o, in mancanza d'una indicazione a tale riguardo, secondo la legge del paese dove la sentenza è stata emessa (principio questo, evidentemente recepito dal già descritto articolo 840, comma 3, n. 1, cod. proc. civ., nel testo introdotto dalla legge 5 gennaio 1994, n. 25). 3.4. Da ultimo, si segnala fin da ora che, nella misura in cui saranno concretamente rilevanti, ai fini della odierna decisione, alcune delle disposizioni della Legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) e di quella della Legge di Diritto Internazionale Privato Svizzero (LDIP), se ne riporteranno i rispettivi contenuti. 4. L'arbitrato statutario societario con sede estera. Il provvedimento oggi impugnato ed i motivi di ricorso contro di esso formulati pongono all'attenzione di questa Corte, per la prima volta, il complesso tema dell'arbitrato societario statutario con sede estera. L'assenza di specifici precedenti di legittimità già interessatisi di questa problematica non deve certamente ingannare quanto alla sua rilevanza pratica, indubbiamente molto rilevante. Invero, come opportunamente sottolineato da attenta dottrina, non è per nulla infrequente che, in un mercato sempre più globalizzato ed interconnesso, emergano ragioni di opportunità per l'adozione di clausole compromissorie statutarie che fissino la sede arbitrale in uno Stato terzo rispetto alla sede della società. Le ragioni che suggeriscono l'opportunità di tale scelta possono essere svariate, come, d'altra parte, molteplici sono pure le esigenze di cui gli operatori economici possono farsi portatori nelle operazioni societarie domestiche o internazionali. Basti pensare, a mero titolo esemplificativo e senza alcuna pretesa di esaustività, alle seguenti fattispecie i) società nella quale una porzione rilevante dell'azionariato sia posseduto da soci stranieri in questo caso, tali soci potrebbero volere adottare, al fine di avere maggiori garanzie di terzietà e neutralità dell'organo giudicante rispetto alle eventuali controversie fra i soci o fra i soci e la società, una clausola compromissoria statutaria che fissi in uno Stato terzo e neutrale la sede dell'arbitrato; ii) società-veicolo, appositamente creata in esecuzione di un contratto di investimento e/o di una joint venture fra due o più parti di diverse nazionalità. Laddove tale contratto di investimento contenga una clausola compromissoria con sede arbitrale in uno Stato diverso da quello della sede della società-veicolo, le parti potrebbero legittimamente desiderare allineare il più possibile il contenuto della clausola compromissoria statutaria della costituenda società-veicolo al contenuto di quella (contrattuale) inclusa nel contratto di investimento, al fine di evitare il rischio che siano decise da due giudici diversi controversie in larga parte sovrapponibili e/o interconnesse. Neppure potrebbe negarsi rilievo, inoltre, a legittime ragioni di opportunità processuale, ossia di forum shopping, che inducano a sottoporre le controversie societarie di una determinata società alla legge processuale di un Paese diverso rispetto a quello di incorporazione. Ecco, allora, che, proprio alla stregua di tutte tali considerazioni, diviene quanto mai opportuno riportare, in questa sede, le diverse opinioni manifestatesi in dottrina con riguardo al tema suddetto. 4.1. Orbene, all'indomani del D.Lgs. n. 5/2003, un (solo) contributo aveva affrontato in modo specifico il tema dell'ambito di applicazione territoriale dell'arbitrato societario. Muovendo dal rilievo che Le alternative sono fondamentalmente due a) quella di ritenere che la nuova disciplina arbitrale si applica a tutte le società costituite in Italia e governate dal codice civile nella formulazione ora assunta a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 6, pure del 17 gennaio 2003; b) quella di ritenere che la nuova disciplina arbitrale si applica a tutti gli arbitrati in materia societaria che si svolgono in Italia, indipendentemente dalla legge italiana o straniera che governa la società , questa dottrina opinò che La scelta fra le due alternative o l'indicazione di una soluzione intermedia non va effettuata solo sulla base di opzioni teoriche di fondo circa la natura sostanziale o processuale della nuova disciplina, che fanno ovviamente propendere, la prima, per l'alternativa a) e, la seconda, per |'alternativa b). La scelta va invece effettuata anche, o soprattutto, empiricamente, individuando elementi di valutazione nell'ambito dei meccanismi propri della disciplina stessa capaci di rivelare aspetti utili per la soluzione del quesito . Pertanto, scrutinò e valutò vari elementi, distinguendoli in due gruppi i) quelli riguardanti la soggezione delle società alla legge italiana (cfr. l'articolo 34, comma 1, del D.Lgs. n. 5/2003, il quale prevede che gli atti costitutivi di società possono prevedere la devoluzione ad arbitri in talune o tutte le controversie societarie che abbiano determinate caratteristiche. Sono escluse, come è noto, le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell'articolo 2325-bis cod. civ. Il riferimento al codice civile contenuto nell'esclusione dimostra che nella mens legis la disciplina si applica agli atti costitutivi di società sottoposte al codice civile italiano; l'articolo 34, comma 2, il quale stabilisce, a proposito della clausola compromissoria, che questa deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri ad un soggetto estraneo alla società Stessa. Ove il soggetto designato non provveda, la nomina è richiesta al Presidente del Tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale. Questo implica necessariamente che la normativa intende applicarsi alle società con sede legale in Italia e non a società con sede legale all'estero; l'articolo 34, comma 6, a tenore del quale le modifiche dell'atto costitutivo introduttive o soppressive di clausole compromissorie debbono essere approvate dai soci rappresentanti i due terzi del capitale sociale. Questo comporta obbligatoriamente che la normativa si riferisce ad atti costitutivi di società soggette alla legge italiana che ne disciplina l'organizzazione ed il funzionamento non ad atti costitutivi sottoposti a leggi straniere; l'articolo 35, comma 1, del medesimo D.Lgs., che prevede che la domanda di arbitrato proposto dalla società o nei suoi confronti è depositata presso il registro delle imprese ed è accessibile ai soci. Nel registro delle imprese sono iscritte, appunto, le società con sede legale in Italia. Per quanto riguarda le società con sede legale all'estero e con sede amministrativa o sede secondaria in Italia, l'eventuale deposito della domanda nel registro delle imprese in Italia non può avere l'effetto di sostituire il fondamentale deposito della domanda da effettuare nella sede legale all'estero); ii) quelli concernenti il procedimento arbitrale (cfr. il già menzionato articolo 34, comma 2, del D.Lgs. n. 5 del 2003, che attribuisce il potere di nomina degli arbitri, quando il soggetto designato non provveda, al Presidente del Tribunale del luogo dove la società ha la sede legale, per argomentare che la normativa si dirige alle società italiane; i già ricordati commi 1 e 5 del medesimo articolo 34, quando, rispettivamente, limitano l'arbitrato alle controversie aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale o escludono l'arbitrato nelle materie nelle quali è previsto l'intervento obbligatorio del pubblico ministero . È evidente che la definizione di diritti disponibili e quella di materie in cui è obbligatorio l'intervento del pubblico ministero potranno e dovranno essere effettuate alla luce del diritto sostanziale e procedurale italiano; i commi 2 e 3 dell'articolo 35 del citato D.Lgs., riguardanti, rispettivamente, la possibilità di intervento di terzi nel procedimento arbitrale – da effettuarsi ai sensi degli articolo 105 e ss. cod. proc. civ. e nei termini stabiliti dall'articolo 820 cod. proc. civ. – e l'inapplicabilità dell'articolo 819 cod. proc. civ. all'arbitrato societario, sicché gli arbitri hanno il potere di conoscere, in via incidentale, anche questioni non compromettibili e non sono tenuti come l'articolo 819 impone, a sospendere il procedimento nell'attesa della decisione della questione incidentale da parte del giudice civile. Quasi come contrappeso di questo potere attribuito agli arbitri in materia societaria, è poi stabilito, ancora dal n. 3, che il lodo è sempre impugnabile per nullità per i motivi indicati dall'articolo 829, comma 1, cod. proc. civ. e mediante opposizione di terzo e revocazione ai sensi dell'articolo 831 cod. proc. civ.; il comma 5, dell'articolo 35, che dispone che la devoluzione di una controversia ad arbitrato, anche non rituale, non preclude il ricorso alla tutela cautelare, ed il successivo articolo 36, che obbliga gli arbitri a decidere secondo diritto, con lodo impugnabile ai sensi dell'articolo 829, comma 2 cod. proc. civ., anche quando la clausola compromissoria li autorizza a decidere secondo equità o con lodo non impugnabile sempre che per decidere abbiano conosciuto di questioni non compromettibili ovvero quando abbiano deciso della validità di delibere assembleari. Questo disposto, secondo quanto stabilito espressamente dal n. 2 dell'art 36, si applica anche in caso di arbitrato internazionale). La conclusione generale che trasse considerando le implicazioni determinate dai due descritti gruppi di elementi indicatori fu che la nuova disciplina in tema di arbitrato predisposta dagli articolo 34 ss. e seguenti del D.Lgs. n. 5 del 17 gennaio 2003 si applica quando due condizioni sono contemporaneamente presenti la società ha la sua sede legale in Italia e l'arbitrato ha sede in Italia. Se una di queste condizioni non sussiste la nuova disciplina non trova automatica applicazione . Aggiunse, peraltro, che tale appare in linea con le soluzioni proprie del diritto internazionale privato attinenti alle società. L'articolo 25 della legge n. 218 del 31 maggio 1995 stabilisce, infatti, che le società, in particolare per le materie ivi specificamente indicate, e che ricomprendono le materie possibile oggetto di arbitrato societario ai sensi degli articolo 34 ss. del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, sono disciplinate dalla legge dello Stato dove si è perfezionato il procedimento di costituzione della società. Le società costituite in Italia, e quindi con, sede legale in Italia, sono dunque sottoposte alla legge italiana e ad esse si applicano le disposizioni del decreto legislativo concernenti l'arbitrato in materia societaria . 4.2. Più di recente, sul tema si sono riscontrate, in dottrina, altre due opinioni, che, pur nelle loro diverse sfumature, appaiono accomunate, per così dire, da un condivisibile afflato internazionalistico e dalla preoccupazione che lo strumento arbitrale non resti confinato, proprio in materia societaria, alla sola dimensione domestica. In una, è stato sostenuto che le parti, nella convenzione statutaria oppure in un atto successivo, possono fissare la sede dell'arbitrato all'estero, dal momento che nessun divieto è previsto in proposito dal D.Lgs. n. 5/2003 e che, al contrario, la possibilità di deroga della giurisdizione italiana in favore di un arbitrato estero è assicurata, in linea generale, e quindi anche per l'arbitrato societario, dall'articolo 4 della legge n. 218/1995, che, rubricato Accettazione e deroga della giurisdizione, sancisce, al comma 2, che La giurisdizione italiana può essere convenzionalmente derogata a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero se la deroga è provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili . In questa ottica, al pari di quanto si verifica per la disciplina dell'arbitrato comune (cfr., ad esempio, l'articolo 829 cod. proc. civ., quale disposizione imperativa di diritto interno), anche gli articolo 35 e 36 del D.Lgs. n. 5/2003, pur definiti inderogabili, sono tuttavia riferibili al solo arbitrato nazionale ma sono destinati a cedere il passo laddove la sede dell'arbitrato sia posta all'estero ed il procedimento venga perciò collegato alla lex arbitri di un diverso ordinamento. In altri termini, quindi, nell'arbitrato societario statutario, al pari di quanto avviene nell'arbitrato comune, le regole sono inderogabili quando l'arbitrato ha sede in Italia ma risultano pacificamente disapplicate in caso di scelta di una sede estera semplicemente, il legislatore avrebbe dettato una disciplina cosparsa di inderogabilità soltanto per l'arbitrato domestico, senza nulla disporre circa l'arbitrato estero e senza vietare la possibilità che le parti possano localizzare fuori dall'Italia la sede dell'arbitrato. Vi sarebbe un unico limite all'esercizio della opzione in discorso, ossia la necessaria osservanza, anche in caso di arbitrato estero, dell'articolo 34, comma 2, del D.Lgs. n. 5/2003 quale regola di validità della convenzione arbitrale, ossia di un atto sostanziale (un negozio), sottoposto alla legge nazionale. L'altra opinione, invece, si rivela essere più moderata'', perché tenta di conciliare la necessaria osservanza delle diverse regole (e non del solo articolo 34, comma 2, del D.Lgs. n. 5/2003) che connotano il modello arbitrale statutario con la generale facoltà – riconosciuta alle parti dall'articolo 4 della legge n. 218/1995 e dall'articolo II della già citata Convenzione di New York del 1958 – di scegliere un arbitrato estero e, in tal modo, di determinare l'applicabilità di una lex arbitri straniera. L'esigenza di coerenziare questi diversi elementi, a partire dal tenore imperativo delle norme che regolano l'arbitrato societario italiano, si fonda sulla preoccupazione che un eventuale procedimento arbitrale estero possa effettivamente condurre ad una decisione utile ed eseguibile nello Stato in cui le parti hanno interesse a che il lodo abbia esecuzione in primis, nella prospettiva qui esaminata, in Italia quale Stato di incorporazione della società, senza correre il rischio che al dictum venga negato il riconoscimento (ad es. per il difetto di condizioni di arbitrabilità o per invalidità della convenzione). In questa direzione, si è sostenuto che il contemperamento tra le istanze di cui sopra appare in primo luogo possibile allorché le disposizioni processuali straniere destinate ad applicarsi al procedimento siano compatibili con le previsioni degli articolo 34 e ss. del D.Lgs. n. 5/2003, di talché queste possano comunque dirsi osservate. Tale verifica di compatibilità richiederebbe che si accettino queste due condizioni a) che si ragioni non in termini di coincidenza o di esatta sovrapponibilità, bensì in termini di equipollenza fra regole di ordinamenti diversi (e così, esemplificativamente, si afferma che la regola sull'intervento potrà dirsi osservata laddove anche la lex arbitri consenta l'ingresso di terzi o soci in giudizio, sia pure con termini e forme diversi da quelli che si applicherebbero nel caso in cui all'arbitrato avesse sede in Italia; ed ancora, le previsioni degli articolo 35, comma 3, e 36 del D.Lgs. n. 5/2003, in tema di impugnazioni, potranno dirsi rispettate se nell'ordinamento dello Stato estero esistono rimedi equivalenti ''per natura e fondamento, anche se non esattamente coincidenti per disciplina a quelli previsti dal nostro codice di rito''); b) che si acceda all'idea che la inderogabilità della disciplina di cui al D.Lgs. n. 5/2003 non riguardi anche la giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana, né implichi l'applicazione necessaria delle norme processuali italiane. Detto altrimenti, non sarebbe inderogabile la giurisdizione del giudice statale italiano quale giudice delle impugnazioni del lodo a rilevare sarebbe, essenzialmente, che i rimedi impugnatori previsti dal codice di rito italiano e dal D.Lgs. n. 5/2003 trovino corrispondenza nella legislazione processuale dello Stato in cui è fissata la sede dell'arbitrato. Lo stesso ragionamento, con le debite modifiche, dovrebbe valere per le disposizioni che prevedono l'ausilio dell'autorità giudiziaria in vista dell'utile funzionamento dello strumento arbitrale ad essere inderogabile, nell'articolo 34, comma 2, del D.Lgs. n. 5/2003, sarebbe il meccanismo di nomina, non anche il coinvolgimento del presidente del Tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale, ove il designatore indicato nella clausola statutaria ometta di provvedere. 4.3. In disparte, la più rigorosa tesi secondo cui le disposizioni (tutte le disposizioni, nessuna esclusa) di cui agli articolo 34 e ss. del D.Lgs. n. 5/2003 sarebbero destinate ad applicarsi esclusivamente al ricorrere, contestualmente, di entrambe le condizioni costituite dalla presenza in Italia, sia della sede legale della società sia della sede dell'arbitrato, le altre due opinioni da ultimo riportate non sono andate esenti da critiche. Con riguardo alla prima, vi è stato chi ha osservato che, se è vero che la convenzione di arbitrato è un atto di autonomia negoziale e può, quindi, qualificarsi come negozio giuridico privato, il suo inquadramento tra i contratti, tuttavia, non può essere operato acriticamente. Infatti, non si può perdere di vista che il patto compromissorio non è un negozio di autoregolamentazione degli interessi delle parti, bensì, basilarmente, l'accordo con il quale esse scelgono di devolvere la controversia ad arbitri, ossia individuano l'arbitrato quale forma di risoluzione delle controversie alternativa (sia pure non radicalmente diversa rispetto) alla giurisdizione statale. Esso può, quindi, meglio definirsi come contratto con effetti processuali o come negozio di diritto sostanziale a rilevanza ed effetti processuali positivi e negativi, nel duplice senso che l'accordo arbitrale, da un lato, esprime una opzione a favore di un giudizio e di una decisione non di giudici statali bensì di arbitri (che i compromittenti, sulla base delle regole del modello arbitrale di riferimento, direttamente o indirettamente concorrono a designare), giudizio e decisione cui si giunge all'esito di un procedimento del quale le parti stesse (o gli arbitri) possono determinare, a seconda dei casi, con maggiore o minore ampiezza, le regole; e, dall'altro, impedisce lo svolgimento del processo civile fino a quando è percorribile l'iter a favore del quale l'opzione è stata esercitata. Proprio per questa sua natura e per la sua specificità di atto di scelta, e momento genetico, di uno strumento processuale di composizione delle controversie, – si è così proseguito – il patto compromissorio non può dirsi per intero regolato dalle norme civilistiche sui contratti, né soltanto da disposizioni qualificabili o individuabili univocamente come di diritto sostanziale, in quanto ad occuparsi del contenuto (tanto necessario, quanto aggiuntivo), della validità e degli effetti della convenzione sono anche le norme processuali o comunque norme rispetto alle quali sfuma una rigida contrapposizione sostanziale vs processuale. Si è osservato, pure, d'altronde, che, in tema di arbitrato, il legislatore sceglie talora di intervenire con previsioni di legge che – anche quando non concernenti l'ambito oggettivo di compromettibilità, la forma o i requisiti della convenzione, bensì la nomina degli arbitri, lo svolgimento del procedimento, il criterio di giudizio o il regime del lodo – condizionano la validità, l'efficacia e la ''tenuta'' della volontà compromissoria, se non la stessa arbitrabilità. È quanto accade – si è detto – negli arbitrati cd. da legge, ossia quei modelli di arbitrato relativi a determinate materie o tipologie di controversie (si pensi, ad esempio, alla tradizione legislativa dell'arbitrato, rituale ed irrituale, in materia di lavoro, che si è caratterizzato per un duplice livello di regolamentazione, e cioè per la presenza di norme di ''cornice' –quali erano l'articolo 808, comma 2, cod. proc. civ., novellato dall'articolo 4 della legge n. 533/1973, ed oggi l'articolo 806, comma 2, cod. proc. civ., nonché l'articolo 5, comma 1, della legge n. 533/1973 – volte a fissare le condizioni di arbitrabilità delle controversie laburistiche, vale a dire la cd. copertura sindacale dell'arbitrato o l'autorizzazione contenuta in norma di legge; e di previsioni di 'secondo livello', contenute in accordi o contratti collettivi o in altre disposizioni di legge, le quali, incrociandosi con le prime, delineano una disciplina più dettagliata, che, oltre a dare specificazione alle due citate condizioni di arbitrabilità, può riguardare le tecniche di manifestazione della volontà compromissoria, i contenuti aggiuntivi della convenzione arbitrale, la nomina degli arbitri, il procedimento, la pronuncia del lodo, le impugnazioni) rimessi alla libera scelta e volontà delle parti nell'an – nel senso della loro natura facoltativa – ma vincolati ed obbligatori nel quomodo, per essere caratterizzati da profili di specialità rispetto alla disciplina dell'arbitrato ''comune' e per essere assoggettati a norme inderogabili che comprimono l'autonomia regolamentare delle parti. In questi arbitrati cd. da legge la volontà compromissoria non può che esprimersi a favore del modello arbitrale così come regolato dal legislatore, con esclusione per i paciscenti del potere di sottrarlo, direttamente o indirettamente, alla relativa disciplina, esplicita o talora anche implicita. In questa direzione, dunque, si è osservato che, a fronte del D.Lgs. n. 5/2003, la convenzione statutaria comporta che all'arbitrato societario da essa traente origine si applichi l'intera normativa specifica, di rango inderogabile, degli articolo 34-36 lex specialis suscettibile di essere integrata, per i profili ivi non regolati, dalle disposizioni comuni in quanto compatibili e rispetto alla quale sarebbe immanente che l'arbitrato debba avere sede in Italia. Alla seconda delle opinioni più recenti precedentemente riportate (quella cioè, definita moderata ), invece, è stato ascritto, da un lato, che il ragionare non in termini di coincidenza o di esatta sovrapponibilità, bensì in termini di equipollenza fra regole di ordinamenti diversi, oltre a determinare confini applicativi piuttosto incerti, implicherebbe sia una certa elasticità, sia la necessità di ammettere una serie di adattamenti tra regole di ordinamenti diversi (elementi che si assumono entrambi impediti dal tenore inderogabile della normativa di cui al D.Lgs. n. 5/2003); dall'altro, quanto all'idea che la inderogabilità della disciplina di cui all'appena citato D.Lgs. non riguardi anche la giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana, né implichi l'applicazione necessaria delle norme processuali italiane, si è ribattuto che la riserva a favore della competenza giurisdizionale del giudice statale italiano, specialmente in materia di impugnazioni del lodo, e l'applicazione delle norme processuali italiane discenderebbero, inevitabilmente, dal trattamento impugnatorio del lodo rituale che il legislatore ha previsto negli articolo 35 e 36, dai quali si ricava che il dictum arbitrale è impugnabile con quei rimedi, esperibili dinanzi ad un certo giudice, per certi motivi, secondo determinate regole e forme, gli uni e le altre previsti nel codice di rito. Va ricordato, peraltro, che sempre secondo l'opinione moderata , quando capiti che vi sia, prima facie, una incompatibilità tra le due discipline (lex arbitri e D.Lgs. n. 5/2003), alla valida fissazione all'estero della sede dell'arbitrato si potrebbe ancora giungere attraverso due vie. La prima, più radicale ma anche più impervia (posto che pure chi ha prospettato questa soluzione non ha mancato di rilevare che essa si pone in contrasto con l'ormai consolidato ripudio, da parte della giurisprudenza di legittimità, della tesi del cd. doppio binario, vale a dire con l'orientamento che esclude che l'arbitrato societario fondato su clausola statutaria possa essere disciplinato, per volere delle parti, come un arbitrato 'comune' ai sensi degli articolo 806 e ss. cod. proc. civ. e con disapplicazione e totale irrilevanza degli articolo 34 e ss. del D.Lgs. n. 5/2003), consisterebbe nel ritenere che le rationes sottese alle previsioni inderogabili degli articolo 34 e ss. del D.Lgs. n. 5/2003 sussistono non per tutte le controversie societarie, ma solo per quelle che investano la vita, la gestione o la organizzazione della società, mentre non sussistono quando le liti siano relative a rapporti interindividuali, sicché, in questa seconda ipotesi si potrebbe già in partenza escludere la necessità di prendere a riferimento la disciplina interna. La seconda, invece, consisterebbe nel ricavare la disciplina dell'arbitrato societario con sede estera mediante un innesto o patchwork tra le disposizioni della lex arbitri e quelle del D.Lgs. n. 5/2003, sulla base della interpretazione, o meglio della presunzione, che la volontà espressa nella clausola statutaria sia nel senso che le parti abbiano inteso derogare a tutte le disposizioni non imperative della lex arbitri che siano in contrasto con gli articolo 34 e ss. del D.Lgs. n. 5/ 2003. È palese, tuttavia, che tale proposta ricostruttiva, in questa ultima sua declinazione, finisce, in buona sostanza, per ribadire la necessaria, puntale osservanza delle regole dettate per il modello speciale societario da clausola statutaria e, quindi, per disinnescare la elusione della normativa inderogabile che la localizzazione all'estero della sede dell'arbitrato comporterebbe. 5. – La soluzione preferita da questa Corte. Le rispettive posizioni delle parti oggi in lite rispecchiano, sostanzialmente, le opinioni dottrinali fin qui descritte. In estrema sintesi, infatti i) il Ro.Fe. contesta alla decisione impugnata di avere respinto la opposizione al riconoscimento del lodo benché, a suo dire, reso sulla base di una convenzione invalida perché, fissando la sede dell'arbitrato all'estero, avrebbe precluso la applicabilità della integrale disciplina italiana dell'arbitrato societario dettata dagli articolo 34 - 36 del D.Lgs. n. 5/2003; applicabilità integrale, secondo il ricorrente, invece necessaria perché costituirebbe requisito di validità della clausola da valutarsi secondo la legge italiana, altresì tenendosi conto che l'applicazione della legge processuale dell'ordinamento svizzero non consente il rispetto della normativa speciale italiana in materia di arbitrato societario statutario , con conseguente nullità della clausola compromissoria e diniego di riconoscimento del lodo; ii) la FERRETTI Spa, al contrario, sostiene che la sentenza impugnata ha qualificato la clausola compromissoria come un negozio giuridico e ha giudicato della sua validità in base, non già alle norme processuali italiane, di cui la stessa clausola esclude l'applicabilità, bensì a quelle di diritto sostanziale alla medesima applicabili, così muovendo proprio dalla qualificazione della convenzione di arbitrato, quale negozio giuridico ad effetti processuali, rinvenibile nella storica pronuncia resa da Cass., SU, n. 24153 del 2013. Ciò in piena conformità e continuità con quest'ultima, nella quale la convenzione di arbitrato è equiparata all'accordo con cui le parti derogano alla giurisdizione italiana attribuendo il potere di decidere una controversia ad un giudice straniero. La società controricorrente assume, inoltre, che la disapplicazione delle norme processuali italiane e l'utilizzazione di quelle di un altro ordinamento processuale non rilevano per giudicare della validità del negozio, bensì, appunto, per la disciplina del giudizio che avrà luogo davanti al giudice o all'arbitro straniero. Il ricorrente, al contrario, vorrebbe configurare gli articolo 34 e ss. del D.Lgs. n. 5/2003 come un pacchetto unico di disposizioni sempre e comunque applicabili, a prescindere dalla loro natura di norme sostanziali o processuali, che porrebbero addirittura fuori gioco la disciplina del riconoscimento del lodo estero e la già citata Convenzione di New York perché l'arbitrato societario estero per l'ordinamento italiano non sarebbe configurabile; il tutto, senza una previsione espressa in tal senso in uno spazio giuridico mondiale che oggi ammette la circolazione dei provvedimenti in tutte le materie. 5.1. È opportuno, a questo punto, riportare il concreto contenuto della clausola compromissoria di cui si discute, rinvenibile nell'articolo 31 dello Statuto della FERRETTI Spa, il cui tenore letterale è stato così trascritto nel ricorso del Ro.Fe. (cfr. pag. 3-4, sub. nota 1) 31.1 Tutte le controversie aventi ad oggetto rapporti sociali, comprese quelle relative alla validità delle delibere assembleari, promosse da o contro i soci, da o contro la società, da o contro gli amministratori, da o contro i sindaci, da o contro i liquidatori, saranno risolte mediante arbitrato secondo il Regolamento dell'International Chamber of Commerce di Parigi. 31.2 Il collegio arbitrale sarà costituito da 3 (tre) arbitri nominati dalla International Chamber of Commerce di Parigi .31.3 Gli arbitri procederanno in via rituale e nel rispetto delle disposizioni di cui al codice civile. 31.4 La sede dell'arbitrato sarà Ginevra, Svizzera. 31.5 Il lodo non sarà impugnabile se non nei casi inderogabilmente previsti dalla legge. 31.6 Le spese dell'arbitrato saranno sostenute dalle parti secondo sarà quanto stabilito dal collegio arbitrale . 5.2. Fermo quanto precede, il Collegio, pur nell'assoluta consapevolezza che tutte le opinioni manifestate in dottrina appaiono, da un lato, affatto ragionevoli, ma, al contempo, non totalmente esenti da possibili rilievi critici, ritiene di dover privilegiare, in questa sede, una soluzione che, non soltanto (come è ovvio), si riveli compatibile con la normativa tutta in precedenza richiamata, ma risulti tale, nello stesso tempo, da non ostacolare eccessivamente il ricorso allo strumento dell'arbitrato societario statutario. Convincimento, questo, che poggia tanto sulle già descritte (cfr. l'incipit del precedente par. 4. di questa motivazione), svariate ragioni che possono rendere opportuna la scelta di avvalersi di tale strumento, quanto sulle parimenti molteplici esigenze di cui gli operatori economici possono farsi portatori nelle operazioni societarie domestiche o internazionali. Ciò, peraltro, in un contesto giuridico mondiale che oggi appare chiaramente volto a favorire la circolazione dei provvedimenti in tutte le materie, né potendosi negare rilievo, sic et simpliciter, a legittime ragioni di opportunità processuale, ossia di forum shopping, che inducano a sottoporre le controversie societarie di una determinata società alla legge processuale di un Paese diverso rispetto a quello di incorporazione. In quest'ottica, dunque, occorre muovere dal presupposto metodologico per cui, al cospetto di fattispecie caratterizzate da elementi di estraneità rispetto al foro, l'interprete deve chiedersi se il diritto interno trova, o meno, applicazione in particolare, quindi, per quanto qui di specifico interesse, l'interprete deve accertare se la disciplina di questo o quell'aspetto dell'arbitrato societario internazionale attiene al diritto societario (italiano) o, piuttosto, al diritto dell'arbitrato, al diritto processuale, al diritto dei contratti, giacché, ove tali diritti appartenessero a Stati stranieri (lo Stato della sede dell'arbitrato, lo Stato della legge regolatrice della procedura, lo Stato della legge regolatrice della convenzione arbitrale), l'applicazione del D.Lgs. n. 5/2003 resterebbe, in linea di principio, esclusa. Così operando, allora, al quesito se il modello unitario imposto dalla legge italiana riguardi il solo arbitrato societario rituale domestico oppure anche l'arbitrato societario statutario estero è possibile dare risposta positiva in questo secondo senso (ricordandosi, peraltro, Cass. n. 4335 del 2022, ha già ritenuto che la clausola compromissoria contenuta in uno statuto societario, la quale, adeguandosi alla prescrizione dell'articolo 34 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, preveda che la nomina degli arbitri debba essere effettuata da un soggetto estraneo alla società, è valida anche ove si tratti di arbitrato irrituale, atteso che l'unico limite al ricorso ad una clausola compromissoria nelle controversie societarie riposa non già sulla natura dell'arbitrato, ma al contrario sulla natura della controversia che non deve riguardare materie indisponibili, come nelle ipotesi di veridicità e regolarità dei bilanci (Cass. 20674/2016; 13031/2014; 18600/2011), ovvero di riduzione del capitale per perdite (Cass. n. 14665/2019) ovvero ancora nelle ipotesi nelle quali è previsto l'intervento obbligatorio del P.M. ex articolo 34, comma 5, del D.Lgs. n. 5/2003; tanto ciò è vero che, in siffatti casi, si è ritenuta la nullità della clausola compromissoria sia per arbitrato irrituale che per quello rituale ), vale a dire affermando che una clausola compromissoria inserita nello statuto di una società italiana può devolvere le liti sociali ad un arbitrato (nelle specie rituale) avente sede in uno Stato diverso senza incontrare divieti di sorta. 5.3. Questa conclusione consegue, innanzitutto, dalle norme di legge nessuna disposizione, invero, tra quelle di cui agli articolo 34-36 del D.Lgs. n. 5 del 2003 (abrogati dal D.Lgs. n. 149 del 2022, ma qui, come si è già detto, applicabili ratione temporis), contiene previsioni che riguardino la sede dell'arbitrato (altrettanto, per la verità, è a dirsi anche per gli articolo 838-bis, 838-ter ed 838-quater cod. proc. civ., introdotti dal menzionato D.Lgs. n. 149 del 2022 e di tenore sostanzialmente analogo ai suddetti abrogati articoli del D.Lgs. n. 5 del 2003), né dal silenzio è dato inferire alcuna regola che imponga di porre la sede dell'arbitrato in Italia (merita, peraltro, di essere rimarcato che la disciplina del procedimento arbitrale rinvenibile nel codice di rito – cfr. l'articolo 816-bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 – nel prevedere che le parti possono stabilire nella convenzione arbitrale, o con atto scritto separato anteriore all'inizio del giudizio arbitrale, le norme che gli arbitri devono osservare nel procedimento e che, in mancanza di tale determinazione, gli arbitri regolano il procedimento nel modo che ritengono opportuno, consente di desumere, affatto agevolmente, che le parti possono scegliere qualsiasi regolamento arbitrale, incluso uno con sede all'estero, confermando, così, che le stesse possono determinare liberamente le regole e la sede dell'arbitrato). Anche in questa materia, dunque, la norma riferimento deve ricercarsi nell'articolo 4, comma 2, della legge n. 218 del 1995, che prevede espressamente che la giurisdizione italiana possa essere convenzionalmente derogata a favore di un arbitro estero se la deroga è provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili. Neppure vi sono ragioni per ritenere che l'appena richiamata disposizione subisca una deroga in materia societaria. È innegabile che la rubrica dell'articolo 35 del D.Lgs. n. 5/2003 intitola le norme procedurali che regolano l'arbitrato societario come disciplina inderogabile del procedimento arbitrale , ma tale disciplina, sicuramente riferita all'arbitrato societario domestico, nulla dice in relazione all'ipotesi in cui la sede dell'arbitrato sia posta all'estero, con collegamento quindi dell'arbitrato ad un diverso ordinamento giuridico. Pertanto, si rivela affatto condivisibile l'opinione di chi ha sostenuto che, in questo caso, si viene a creare una situazione del tutto analoga a quella che si verifica con riferimento all'arbitrato di diritto comune, dove regole pacificamente inderogabili quando l'arbitrato ha sede in Italia vengono disapplicate dalla scelta di una sede estera per l'arbitrato, collegando così il procedimento a un altro ordinamento giuridico, senza che vi siano in proposito restrizioni diverse e ulteriori rispetto a quelle che impedirebbero il riconoscimento del lodo qualora si voglia ottenere il risultato della sua circolazione . Per esemplificare, anche l'articolo 829 cod. proc. civ., come l'articolo 35 D.Lgs. n. 5/2003, è norma inderogabile di diritto interno con cui ogni lodo nazionale rituale ad hoc si deve confrontare, eppure, quando la sede dell'arbitrato viene posta all'estero, nessuno dubita che questa norma ceda il passo al sistema di impugnazione dell'ordinamento cui le parti o gli arbitri hanno collegato l'arbitrato ponendo altrove la sua sede. La verità è dunque – ha proseguito, ancora una volta condivisibilmente, la medesima dottrina - che l'articolo 35 D.Lgs. n. 5/2003, esattamente come l'articolo 829 cod. proc. civ., detta una disciplina inderogabile per il procedimento arbitrale rituale soggetto alla lex arbitri interna, quello cioè la cui sede venga fissata nell'ambito territoriale dello Stato, ma entrambe le norme non escludono affatto che la disciplina imperativa dalle stesse delineata ceda il passo ad altra disciplina quando l'arbitrato ha sede all'estero ed è quindi collegato con la lex arbitri dell'ordinamento prescelto . Va considerato, poi, che la finalità del legislatore italiano nell'emanare una normativa specifica concernente l'arbitrato societario è stata dichiaratamente quella di promuoverne la cultura, anche favorendo l'incremento dei casi di arbitrato internazionale con sede in Italia. Proprio con questo scopo è stata creata una disciplina innovativa rispetto a quella ordinaria che, al momento della sua emanazione, anticipava per certi aspetti soluzioni poi divenute regole di diritto comune con la successiva riforma del 2006. Favorire l'incremento degli arbitrati con sede in Italia attraverso l'introduzione di norme interne ritenute più funzionali al contesto societario non significa, però, volontà del legislatore di restringere all'interno dei confini nazionali l'arbitrato promosso da o contro società italiane. Una deroga in tal senso all'articolo 4 della nostra legge generale di diritto internazionale privato, che andrebbe a detrimento proprio di quella cultura dell'arbitrato societario che si voleva dichiaratamente favorire, avrebbe richiesto, infatti, una specifica indicazione e motivazione. Neppure può sottacersi, del resto, – e per quanto qui può valere, considerata l'inapplicabilità, ratione temporis, della relativa disciplina alla fattispecie in esame – che una finalità sostanzialmente analoga a quella appena evidenziata si rinviene anche nella riforma della disciplina dell'arbitrato generata dalla legge delega n. 206/2021 (cfr. articolo 1, comma 15, lett. f)) come attuata dal D.Lgs. n. 149 del 2022. Infatti, nella Relazione che ha accompagnato le proposte avanzate a tale riguardo dalla cd. Commissione Luiso, tutte poi sostanzialmente recepite nella legge-delega, si rappresenta che l'obiettivo perseguito è quello di una generale valorizzazione dell'istituto arbitrale e di un potenziamento delle sue specifiche prerogative , anche al fine di rinsaldare la fiducia dei suoi potenziali fruitori , di allineare la disciplina italiana … a quanto previsto negli ordinamenti europei e di rendere il ricorso all'arbitrato maggiormente attrattivo … anche per soggetti e investitori stranieri . Benché questi ultimi rilievi mirassero a giustificare le innovazioni in punto di attribuzione al Tribunale arbitrale di poteri cautelari, essi appaiono espressivi comunque della ratio generale dell'intervento riformatore. Nello stesso senso, peraltro, si è mossa anche la successiva Relazione tecnica dell'Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia, quando afferma che la riforma persegue la finalità di inquadrare sistematicamente e valorizzare l'istituto dell'arbitrato , soprattutto a vantaggio delle imprese ed in ambito commerciale ed internazionale . Tutto ciò sta a indicare, dunque, che da tempo, ormai, il legislatore ha voluto migliorare , in linea generale, la disciplina italiana dell'arbitrato, anche guardando all'esperienza di ordinamenti stranieri (ritenuti più avanzati), sul presupposto che ciò agevoli l'afflusso di capitali stranieri e contribuisca alla modernizzazione del nostro sistema-paese. In definitiva, l'aver voluto agevolare gli arbitrati domestici attraverso l'introduzione di normative interne (prima gli articolo 34-36 del D.Lgs. n. 5 del 2003, qui applicabili ratione temporis, e, successivamente alla loro abrogazione disposta dal D.Lgs. n. 149 del 2022, gli articolo 838-bis, 838-ter ed 838-quater cod. proc. civ., introdotti da quest'ultimo e di tenore sostanzialmente analogo ai suddetti abrogati articoli del D.Lgs. n. 5 del 2003) ritenute più funzionali al contesto societario non può essere inteso come originaria (ed oggi persistente) volontà del legislatore di restringere all'interno dei confini nazionali l'arbitrato promosso da o contro società italiane. Come si è già anticipato, invero, una deroga, in questi termini, all'articolo 4 della nostra legge generale di diritto internazionale privato, che andrebbe a detrimento proprio di quella cultura dell'arbitrato societario che si voleva (e si è voluto) dichiaratamente favorire, avrebbe richiesto puntuale indicazione e motivazione. Resterebbe di ardua comprensione, altrimenti, perché, in questo specifico caso, il principio di tendenziale fungibilità delle giurisdizioni che muove gli ordinamenti moderni dovrebbe cedere il passo al gusto, per il vero un po' retrogrado, di agire solo entro confini domestici. È invece proprio lo scopo di favorire l'arbitrato in materia societaria, alla base delle già richiamate norme di cui al D.Lgs. n. 5/2003 (e, dopo la loro abrogazione, di quelle, di contenuto sostanzialmente analogo, di cui agli articolo 838-bis, 838-ter ed 838-quater cod. proc. civ., rimarcandosi, in proposito, che, l'avere inserito le poche norme del decreto societario rimaste in vigore nel codice di procedura civile aiuterà a riempire di contenuto le disposizioni sull'arbitrato societario per le parti in cui sono silenti. In altri termini, col favore di una collocazione sistematica unitaria, le lacune degli articolo 34 e ss. del D.Lgs. n. 5/2003 potranno essere integrate dalle norme generali che disciplinano l'arbitrato, salva la riserva di compatibilità con la disciplina speciale), che ha creato un nuovo modello di arbitrato speciale, che deve portare a riconoscere che pure in questa materia non vi è alcuna compressione della normale libertà degli operatori nazionali di collegare l'arbitrato con un diverso ordinamento giuridico e di dirigersi verso un arbitrato estero. Nulla vieta, perciò, che un arbitrato societario nascente da clausola compromissoria statutaria abbia la propria sede all'estero, così come nulla impedisce che soggetti domiciliati in Italia scelgano, per la definizione delle loro liti, un arbitrato con sede in territorio estero. La regola applicabile in materia è, in entrambi i casi, quella dettata dall'articolo 4, comma 2, della legge n. 218/1995, che non è derogata in materia di arbitrato societario e consente quindi, anche in quest'ambito, la scelta di un arbitrato estero. 5.4. Ammessa, dunque, la possibilità che la sede dell'arbitrato societario non stia all'interno dei confini nazionali, occorre ulteriormente interrogarsi circa il se tanto possa avvenire senza limite alcuno, oppure se il D.Lgs. n. 5/2003 (per quanto di specifico interesse in questa sede, stante la sua applicabilità, ratione temporis, nella fattispecie in esame) contenga comunque norme di carattere inderogabile. In altri termini, ed in maggiore aderenza alla odierna fattispecie concreta, occorre stabilire se la già descritta clausola compromissoria prevista dall'articolo 31 dello Statuto di FERRETTI Spa, che ha fissato in Ginevra la sede dell'arbitrato da essa previsto, sia valida, o non. Tanto impone, conseguentemente, di stabilire, prioritariamente, alla stregua di quale legge debba effettuarsi una tale valutazione. Giova ricordare, allora, che le Sezioni Unite di questa Corte, con l'ordinanza n. 24153 del 2013 (successivamente confermata, in parte qua, dalla più recente ordinanza resa da Cass., SU, n. 36374 del 2021) hanno sancito che, ai fini dell'accertamento della validità ed efficacia della clausola compromissoria che deroga la giurisdizione in favore di arbitri stranieri, occorre anzitutto stabilire quali siano le norme che il giudice debba applicare per tale esame ; occorre, cioè, stabilire se la validità vada scrutinata secondo la legge italiana ovvero secondo la legge di un altro Stato. Nel caso oggi in esame, quindi, è doveroso ricordare che la suddetta clausola dello Statuto della FERRETTI Spa prevede, tra l'altro, che (cfr. articolo 31.3) 31.3 Gli arbitri procederanno in via rituale e nel rispetto delle disposizioni di cui al codice civile . Il che viene a significare che la validità della clausola compromissoria statutaria predetta deve essere scrutinata alla luce della legge italiana (su questo profilo, peraltro, concordano entrambe le parti in lite). Del resto, – come significativamente osservato da attenta dottrina – che la legge applicabile per risolvere le controversie intra-societarie di una società italiana non possa che essere quella italiana sarebbe stata conclusione adeguata anche in assenza di un'espressa disposizione che ne prevedesse l'applicabilità. Invero, come è noto, la nostra legge di diritto internazionale privato (legge n. 218/1998) individua la legge applicabile alle materie intra-societarie, in via principale, nella legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione (cd. criterio di incorporazione) e, in via complementare, nella legge italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti (cd. criterio della sede reale dell'ente). A differenza della legge regolatrice dei contratti, in relazione alla quale i contraenti hanno la facoltà di scegliere l'applicabilità di una legge nazionale anche priva di alcun collegamento con la nazionalità delle parti o con le prestazioni oggetto del contratto stesso, ai soci di una società italiana non è consentito derogare pattiziamente alla lex societatis individuata secondo i principi di diritto internazionale privato applicabili. E ciò, nonostante la natura contrattuale delle società. Infatti, a differenza dei contratti ordinari , creazione dell'autonomia contrattuale delle parti e, dunque, dell'incontro delle loro volontà (riconosciuto e garantito in Italia dall'articolo 1322 cod. civ.), le società sono creazioni di un determinato ordinamento giuridico e, come tali, in tanto esistono in quanto l'autorità pubblica di un determinato stato conferisce loro personalità giuridica. A ciò si aggiunga che, nel permettere alle società di operare nel proprio ordinamento, lo Stato che le incorpora prevede anche una serie di norme imperative volte a tutelare i vari stakeholders con cui le società vengono quotidianamente in contatto. Sarebbe dunque paradossale – ha concluso la dottrina in esame – consentire ai soci di assoggettare la creazione di un ordinamento giuridico … alla legge di un differente ordinamento giuridico . 5.5. Dalla necessità di dover scrutinare la validità della clausola compromissoria statutaria de qua alla luce della legge italiana, deriva l'ulteriore quesito se, a tal fine, la disciplina utilizzabile (vale a dire gli articolo 34-36 del D.Lgs. n. 5 del 2003) debba considerarsi necessariamente in modo unitario oppure anche solo partitamente. Alteris verbis, se, allo scopo suddetto, debbano considerarsi tutte le disposizioni rinvenibili nei citati articoli o, magari, solo alcune di esse. La difesa del Ro.Fe. assume, sul punto (cfr. pag. 29 e ss. del ricorso), che la distinzione tra norme sostanziali (articolo 34, asseritamente rispettato) e norme processuali (gli articolo 35 e 36, in tesi inapplicabili) proposta da FERRETTI Spa e ripresa in modo acritico dalla sentenza genovese risulta erronea e si risolve in un sofisma. Non si sta parlando, infatti, di applicare norme del processo italiano (di certo non applicabili in altre giurisdizioni). Si sta parlando di come deve essere una clausola. E, proprio perché e in quanto inserita in statuto, la clausola compromissoria deve e non può (a legislazione vigente) che essere quella speciale stabilita dalla legge e prevedere un arbitrato necessariamente con sede in Italia che si svolga come prevede la legge (impugnazioni, interventi, regime pubblicitario, ecc.). La clausola deve insomma essere redatta in modo tale da rispettare tutte le previsioni degli articolo 34-35-36 e non del solo articolo 34 quale norma asseritamente sostanziale e non processuale . In alternativa, è dato oggi solo il ricorso alla giustizia statale . A suo dire, quindi, tutte le disposizioni contenute negli articolo 34-36 del D.Lgs. n. 5/2003 avrebbero rilievo sostanziale perché disciplinanti il contenuto necessario della clausola compromissoria statutaria di una società con sede in Italia; nel senso che tale clausola dovrebbe essere negozialmente redatta in modo tale da far sì che si applichino, in concreto, tutti i requisiti (anche quelli procedimentali) previsti dalla legge. Pertanto, la non conformità anche della procedura arbitrale svolta all'estero con qualsiasi disposizione degli articolo 34-36 D.Lgs. n. 5/2003 dovrebbe comportare – a suo avviso – la nullità della clausola compromissoria statutaria. FERRETTI Spa, invece, richiamando alcune delle affermazioni rinvenibili nella pronuncia resa da Cass., SU, n. 24153 del 2013, sostiene (cfr. pag. 8 del controricorso) che i) la validità di una convenzione di arbitrato si misura sulle norme sostanziali per pronunciarsi sulla validità, efficacia ed operatività della clausola compromissoria, il giudice adito ricorre spesso a regole appartenenti al diritto sostanziale, ma è altrettanto vero che ciò accade egualmente allorché debba giudicare sulla sua potestà giurisdizionale a fronte di una deroga convenzionale a favore di giudici stranieri (L. n. 218 del 1995, ex articolo 4, comma 3) ; ii) la rilevanza della disciplina processuale italiana è esclusa a fronte di una convenzione per arbitrato estero Una volta esclusa la giurisdizione del giudice italiano, per effetto della deroga in favore di arbitrato straniero, il procedimento di nomina degli arbitri e le regole che tali arbitri dovranno adottare nella decisione esulano dalla questione di giurisdizione ormai conclusa con declaratoria di insussistenza della stessa in favore del giudice italiano, rientrando, invece, esclusivamente nella giurisdizione dei giudici stranieri . La sentenza oggi impugnata non si è dilungata nell'individuare analiticamente quali fra le disposizioni contenute negli articolo 34-36 del D.Lgs. n. 5/2003 avessero natura sostanziale e quali natura processuale, essendosi limitata, invece, ad identificare nell'articolo 34, comma 2, del menzionato D.Lgs. l'unica norma sostanziale da valutare al fine di vagliare la validità della clausola compromissoria statutaria. Si tratta, tuttavia, di una distinzione particolarmente rilevante in termini generali, in quanto le norme di natura sostanziale, ricadendo nella lex causae (ossia, come si è visto, la lex societatis), seguiranno la sorte di quest'ultima e troveranno, dunque, applicazione anche nel contesto di un arbitrato estero, mentre le norme di natura processuale non avranno alcun rilievo in tale scenario poiché l'articolo 12 della legge n. 218/1998 stabilisce chiaramente che le norme processuali italiane hanno efficacia territorialmente limitata al territorio italiano. Orbene, fra le norme contenute negli articolo 34-36 suddetti sono qualificabili come norme di diritto sostanziale, ad avviso del Collegio, quelle che disciplinano l'adozione, la modifica e la vincolatività oggettiva e soggettiva della clausola arbitrale statutaria, e ciò in virtù della natura pacificamente negoziale di tale tipo di clausola. Appartengono, così, a questo nucleo di norme i) l'articolo 34, comma 1, nella parte in cui esclude le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, a norma dell'articolo 2325-bis cod. civ., dalla possibilità di inserire nei propri atti costitutivi clausole compromissorie statutarie. Ciò comporta che una società italiana che rientra in tale categoria non può adottare una clausola compromissoria statutaria da arbitrato estero, perché tale norma (che la vieta espressamente) troverebbe applicazione anche nell'arbitrato estero; ii) l'articolo 34, comma 2, ossia la norma vagliata nel caso di specie dalla sentenza qui impugnata, sul numero e sulla modalità di nomina degli arbitri (con l'eccezione, tuttavia, del meccanismo di nomina supplementare in caso di inattività del soggetto delegato, avendo tale ultima norma carattere chiaramente processuale); iii) l'articolo 34, comma 3, sulla vincolatività della clausola per la società e per i soci; iv) l'articolo 34, comma 4, sulla vincolatività della clausola nei confronti di amministratori, liquidatori e sindaci; v) l'articolo 34, comma 6, sulle modalità di introduzione e soppressione della clausola nell'atto costitutivo e sul diritto di recesso dei soci assenti e dissenzienti; vi) l'articolo 35, commi 1 e 5-bis, laddove si prevede l'obbligo di deposito nel registro delle imprese di taluni atti e provvedimenti dell'arbitrato. Come condivisibilmente sostenuto in dottrina, invero, tutte le menzionate disposizioni normative sono accomunate dall'interesse del legislatore di tutelare la posizione sostanziale dei soggetti coinvolti nelle dinamiche interne alle società. La ratio della nomina eteronoma del Tribunale arbitrale, per esempio, è garanzia di salvaguardia dei diritti di tutti i soggetti che potrebbero essere parti del procedimento arbitrale societario, i quali diritti potrebbero invece essere sacrificati da un'eventuale clausola binaria, e ciò in ossequio a quel fondamentale principio dell'arbitrato che è la natura consensuale dello stesso. I commi 3 e 4 dell'articolo 34 stabiliscono l'obbligo, in capo alla società, ai soci, agli amministratori, ai liquidatori e ai sindaci, di rispettare quanto deciso con il lodo scaturente da una clausola arbitrale validamente inserita negli atti costitutivi della società stessa. L'articolo 34, comma 6, prevedendo una maggioranza qualificata di due terzi del capitale sociale per l'adozione o la soppressione della clausola compromissoria statutaria, pone un criterio speciale in una materia pacificamente sostanziale quale appunto quella dei quorum deliberativi nelle assemblee dei soci. Simili motivi hanno spinto il legislatore ad escludere dalla possibilità di ricorrere all'arbitrato le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell'articolo 2325-bis cod. civ. La ragione dell'esclusione, infatti, è stata identificata, dalla maggior parte della dottrina nella tutela dell'azionariato diffuso, in considerazione del tendenziale distacco dalle vicende gestionali della società che accomuna tali soggetti. Gli azionisti di tali società sono generalmente all'oscuro del contenuto degli atti costitutivi delle stesse e, pertanto, il legislatore non ha voluto vincolarli ad una conseguenza gravosa come la rinuncia alla giurisdizione ordinaria a favore dell'arbitrato, anche per considerazioni relative all'espressione del consenso rispetto alla menzionata clausola. L'obbligo di deposito della domanda arbitrale e del lodo che decida sull'impugnazione di una delibera assolve, infine, ad una funzione informativa a tutela dei vari stakeholders della società. Sono qualificabili, invece, come processuali i) l'articolo 34, commi 1 e 5, i quali congiuntamente determinano il criterio di arbitrabilità delle controversie societarie; ii) l'articolo 34, comma 2, nella parte in cui disciplina il meccanismo di nomina supplementare in caso di inattività del soggetto designato; iii) l'articolo 35, commi 2-5, contenenti varie disposizioni processuali in deroga alla disciplina ordinaria degli arbitrati commerciali. Queste norme, infatti, disciplinano in forma speciale profili tipici dell'arbitrato, la cui disciplina ordinaria è contenuta nel Libro IV, Titolo VIII del c.p.c. Quanto ai commi 2-5 dell'articolo 35, depongono nel senso della natura processuale delle norme ivi dettate non solo la rubrica dell'articolo stesso ( Disciplina inderogabile del procedimento arbitrale ), ma anche i vari richiami a norme processuali contenute in tale articolo, dagli interventi ex articolo 105-107 cod. proc. civ. (comma 2), alla conoscibilità delle questioni incidentali non compromettibili in arbitri (comma 3), fino alla tutela cautelare di cui all'articolo 669-quinquies cod. proc. civ (comma 5). Sono norme di natura processuale, allo stesso modo, quelle contenute nell'articolo 36 del D.Lgs. n. 5/2003. I criteri per la deliberazione degli arbitri (decisione ex equo et bono o secondo diritto) ed i motivi di impugnazione del lodo sono anch'essi aspetti tipici della disciplina della procedura arbitrale, dettata – per gli arbitrati ordinari – dagli articolo 822 e 827 e ss. cod. proc. civ. Sono altresì norme di natura processuale quelle in materia di arbitrabilità, contenute nei commi 1 e 5 dell'articolo 34. L'arbitrabilità, infatti, è la possibilità che una certa controversia sia oggetto di compromesso arbitrale la scelta delle materie arbitrabili (rectius dei criteri per individuarle) è di ciascun legislatore nazionale che, rispecchiando i valori sociali ed economici del proprio Stato, riserva talune materie alla competenza giurisdizionale delle sole corti statali. Le norme concernenti l'arbitrabilità (o compromettibilità) delle controversie societarie, sono norme di giurisdizione e, in quanto tali, hanno natura processuale. Infine, deve qualificarsi come norma di diritto processuale il secondo periodo dell'articolo 34, comma 2. Mentre infatti il primo – riguardante l'obbligo, a pena di nullità, di prevedere la nomina degli arbitri da parte di un soggetto estraneo alla società – rientra nella sfera della tutela dei diritti sostanziali dei soci e ciò lo qualifica come una norma di natura sostanziale, il secondo stabilisce un meccanismo prettamente processuale, quale l'intervento dei tribunali statali in caso di inattività del soggetto esterno a ciò designato nella clausola compromissoria. Anche in questo caso, si può rinvenire un istituto (processuale) analogo per gli arbitrati ordinari l'articolo 810, comma 2, cod. proc. civ. prevede, invero, che, in caso di nomina degli arbitri ad opera delle parti, quella che ha già designato il proprio può chiedere al presidente del Tribunale nel cui circondario si trova la sede dell'arbitrato di supplire all'eventuale mancata nomina che avrebbe dovuto essere effettuata dalla controparte. Così posta la questione, allora, il Collegio ritiene di poter condividere l'opinione – su cui si fonda, sostanzialmente, anche la sentenza qui impugnata – secondo cui il nucleo imprescindibile della disciplina in esame resti comunque nella disposizione dell'articolo 34 del D.Lgs. n. 5/2003 laddove stabilisce che la clausola statutaria deve conferire in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società . Invero, sebbene sia innegabile che la convenzione di arbitrato sia un atto di autonomia negoziale e possa qualificarsi, quindi, come negozio giuridico privato, il suo inquadramento tra i contratti, tuttavia, non può essere operato acriticamente. Non può dimenticarsi, infatti, che il patto compromissorio non è un negozio di autoregolamentazione degli interessi delle parti, bensì basilarmente l'accordo con il quale esse scelgono di devolvere la controversia ad arbitri, ossia scelgono l'arbitrato quale forma di risoluzione delle controversie alternativa (sia pure non radicalmente diversa rispetto) alla giurisdizione statale. Esso, quindi, deve meglio definirsi come contratto con effetti processuali o come negozio di diritto sostanziale a rilevanza ed effetti processuali positivi e negativi, nel duplice senso che l'accordo arbitrale, da un lato, esprime una opzione a favore di un giudizio e di una decisione non di giudici statali bensì di arbitri cui si giunge all'esito di un procedimento del quale le parti stesse (o gli arbitri) possono determinare, a seconda dei casi, con maggiore o minore ampiezza, le regole; e, dall'altro, impedisce lo svolgimento del processo civile fino a quando è percorribile l'iter a favore del quale l'opzione è stata esercitata. In altri termini, dunque, un tale patto si rivela essere un negozio giuridico con effetti processuali, che, pur disponendo del diritto delle parti di agire davanti al giudice statuale, ha natura sostanziale ed è regolato, quindi, per quanto si è detto in precedenza relativamente al contenuto della clausola statutaria in esame, dalla legge nazionale. Conclusione, questa, assolutamente coerente con la citata pronuncia delle Sezioni Unite n. 24153 del 2013, nella quale la convenzione di arbitrato è equiparata alla convenzione con cui le parti derogano alla giurisdizione italiana attribuendo il potere di decidere una controversia a un giudice straniero. Quella pronuncia, infatti, in cui nel prendere posizione sull'efficacia processuale della convenzione di arbitrato, non ha perciò escluso la rilevanza delle norme di diritto sostanziale ma ne ha definito il perimetro di applicazione rispetto a quelle processuali, affermando che la validità di una convenzione di arbitrato si misura sulle norme sostanziali. Tanto premesso, la legislazione nazionale pone, in questo caso, attraverso l'articolo 34 del predetto D.Lgs. n. 5/2003 (cfr. comma 2), una regola di validità della convenzione di arbitrato consistente nella necessaria designazione (a pena di nullità) di un soggetto terzo estraneo alla società che nomini l'intero organo arbitrale, regola quest'ultima imperativa e neppure derogabile ove la sede dell'arbitrato sia posta all'estero. Al contrario, gli articoli 35 e 36 del medesimo D.Lgs., lungi dal prescrivere regole di validità della clausola compromissoria statutaria, dettano una disciplina di natura processuale la cui natura imperativa è indubbia per l'arbitrato societario che abbia sede in Italia. Proprio per questo ed in ragione della loro natura, si tratta di regole che disciplinano il solo arbitrato domestico e che, pertanto, non possono trovare applicazione quando la sede dell'arbitrato sia all'estero, con collegamento del giudizio a una diversa lex arbitri. Né può dirsi che le regole procedurali poste dagli articoli 35 e 36 D.Lgs. n. 5/2003 poggino su un fondamento di ordine pubblico processuale, per questa ragione inderogabile o capace di precludere il successivo riconoscimento del lodo nel nostro Paese. Infatti, l'autonomia delle parti nella redazione della convenzione di arbitrato e/o nella predisposizione di una clausola corrispondente all'interno di uno statuto societario incontra limiti invalicabili di ordine pubblico processuale, quali sono il principio del contraddittorio, le regole che impongono la parità delle parti e l'imparzialità e l'indipendenza dell'organo giudicante, nonché, più in generale, i principi che presiedono ai canoni del giusto processo, ma nessuno di questi principi viene meno per il solo fatto che si prescelga una lex arbitri diversa da quella italiana, salvo che, ovviamente, l'arbitrato non venga ancorato ad un ordinamento giuridico le cui regole procedurali comprimono in modo indebito proprio i predetti principi fondamentali. La disciplina contenuta negli articoli 35 e 36 del decreto societario, seppure fortemente innovativa soprattutto al momento della sua entrata in vigore, non contiene, ad avviso del Collegio, norme di ordine pubblico, neppure in punto di impugnazione, posto che lo stesso sistema nazionale è andato con la riforma del 2006 fortemente virando verso la regola della restrizione dell'impugnazione legata alla violazione di norme di diritto, così favorendo la stabilità del lodo. La conclusione è, quindi, quella che, mentre la norma dell'articolo 34 D.Lgs. n. 5/2003 è imperativa e regola l'unica forma possibile di arbitrato societario laddove impone a pena di nullità della convenzione di arbitrato che l'intero organo arbitrale sia nominato da un soggetto terzo estraneo alla società, una volta rispettata la forma necessaria della convenzione di arbitrato, le disposizioni processuali contenute nelle altre norme del decreto societario, invece, possono essere derogate attraverso la scelta di una lex arbitri diversa, purché rispettosa di quei canoni fondamentali, recepiti, in particolare, dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958 (recepita in Italia dalla legge n. 62 del 1968), che, a livello sovranazionale, disciplinano il riconoscimento dei lodi arbitrali. 5.6. Resta da dire che, come osservato pure nella memoria ex articolo 378 cod. proc. civ. della controricorrente, il diverso assunto del Ro.Fe. e le contrarie conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero non sono condivisibili tenuto conto delle circostanze ostative al riconoscimento dei lodi esteri, ulteriori rispetto a quella sub articolo 840, comma 3, n. 1, cod. proc. civ. (e sub articolo V .1. lett. a) della Convenzione di New York). Tali ulteriori circostanze ostative (soprattutto quelle ex articolo 840, comma 3, nn. 2, 3 e 4, cod. proc. civ. ed ex articolo V .1. lett. b), c) e d), della Convenzione di New York) sono poste, infatti, a presidio della importazione di lodi stranieri resi all'esito di un procedimento retto da una lex arbitri diversa da quella italiana che non rispetti i principi processuali del giusto processo arbitrale violazione del diritto di difesa o del principio del contraddittorio, esorbitanza del lodo rispetto alla convenzione di arbitrato ed irregolare costituzione del collegio arbitrale e dello svolgimento del procedimento arbitrale. Dunque – diversamente da quanto opinato dal ricorrente e dal Pubblico Ministero – il legislatore italiano e la Convenzione di New York tutelano le parti dalle violazioni di prerogative processuali che siano eventualmente autorizzate da una lex arbitri o da un regime di impugnazione del lodo diversi da quelli italiani con le circostanze ostative al riconoscimento del lodo dettate sub nn. 2, 3 e 4 dell'articolo 840 cod. proc. civ. e non qualificando nulla la convenzione di arbitrato che renda applicabile una lex arbitri diversa da quella italiana. Gli assunti del Ro.Fe. e le conclusioni del Pubblico Ministero volti a fare assurgere la disciplina del procedimento arbitrale societario italiano al rango di requisito di validità ex ante della clausola compromissoria statutaria trascurano le predette circostanze (sub articolo 840, comma 3, nn. 2, 3 e 4 cod. proc. civ.) e sembrano implicitamente considerare queste ultime a priori inidonee a impedire la importazione in Italia di lodi resi in violazione delle regole processuali considerate imprescindibili dall'ordinamento italiano e da tutti gli ordinamenti che hanno aderito alla Convenzione di New York. Non vi è chi non veda, tuttavia, che, come ancora condivisibilmente osservato dalla controricorrente nella già menzionata sua memoria, Dette censure e le conclusioni del P.M., se portate alle estreme conseguenze, rischiano di negare in radice il regime del riconoscimento dei lodi esteri recepito nella Convenzione di New York, che muove dall'implicito presupposto secondo cui ciascun ordinamento è libero di regolare il procedimento arbitrale come meglio ritiene, fermo che la circolazione dei relativi lodi potrà avvenire a prescindere dalla predetta eterogeneità, a patto che nei singoli procedimenti territoriali siano assicurate le prerogative processuali declinate sub articolo V Convenzione di New York e 840, cod. proc. civ. Nella prospettazione del Ricorrente e del P.M., invece, il regime processuale del procedimento arbitrale di ciascun ordinamento diventerebbe esso stesso requisito di validità della convenzione di arbitrato, con la conseguenza che, salvo il caso di identità tra procedimenti, nessun lodo potrebbe essere riconosciuto in ordinamenti diversi rispetto a quello in cui il lodo è pronunciato . 5.7. Infine, è doveroso rimarcare che la corte distrettuale (cfr. pag. 19 - 21 della sentenza impugnata) ha accertato la insussistenza del contrasto del lodo con l'ordine pubblico (respingendo, sul punto, la opposizione del dott. Ro.Fe.) ed il ricorrente non ha specificamente censurato, in questa sede, il relativo capo. Ne deriva che, come già ritenuto da questa Corte, una volta formatosi il giudicato interno, la questione non può essere rilevata d'ufficio (cfr. Cass. n. 9979 del 2023). 6. - Decisione del caso concreto e principio di diritto. Le argomentazioni tutte fin qui esposte consentono l'esame unitario di entrambi i formulati motivi di ricorso in ragione della loro evidente connessione. Gli stessi, peraltro, si rivelano insuscettibili di accoglimento, posto che la decisione della corte distrettuale risulta essere affatto coerente con dette argomentazioni e, come tali, immuni dalle censure ascrittagli dalle odierne doglianze del Ro.Fe. Quest'ultimo, infatti, oltre a dolersi (infondatamente per quanto si è già spiegato) dell'essere stata ritenuta compatibile, da quella corte, la disciplina di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003 con la fattispecie di arbitrato statutario estero, mostra di non considerare che presupposto della opposizione al decreto di riconoscimento di un lodo estero (così come di una sentenza straniera) è che (i) vi sia stata una violazione effettiva della legge processuale applicata e (ii) la stessa abbia determinato una concreta ed effettiva lesione dei diritti dell'opponente. Ebbene, nel corso dell'arbitrato sfociato nel lodo, mai si è posto il problema di applicare le disposizioni dettate agli articolo 34 - 36 D.Lgs. n. 5/2003, cui non corrispondono norme dell'ordinamento svizzero. Il Ro.Fe., del resto, lamenta, essenzialmente, (non già la violazione ma) l'astratta inapplicabilità di quelle disposizioni (considerandole come prescrittive di requisiti di validità della clausola compromissoria). Occorre rimarcare, però, che, nella specie nessun terzo ha chiesto di intervenire in causa, né oggetto della controversia era, specificamente, proprio la impugnazione di una delibera assembleare (sicché è irrilevante la previsione dell'articolo 36 secondo cui il lodo è nell'ordinamento italiano censurabile per violazione delle norme di diritto applicate al merito della controversia). Neppure ricorre, nella fattispecie de qua, un'ipotesi di giurisdizione esclusiva italiana. Rispetto ad un'azione di responsabilità promossa da una società con sede in Italia nei confronti di un amministratore, sarebbe certamente ammissibile una clausola di proroga della giurisdizione a favore di una Autorità Giudiziaria Ordinaria straniera la giurisdizione esclusiva dello Stato in cui ha sede la società sussiste, infatti, ex articolo 24 Reg. UE n. 1215/2012 (già articolo 22 Reg. 44/01, ed analogo all'articolo 22, comma 1, n. 2 della Convenzione di Lugano del 20 ottobre 2007), nel solo caso di controversie concernenti la validità della costituzione, la nullità o lo scioglimento della società o la validità delle decisioni dei relativi organi (cfr. sostanzialmente, in tal senso, Cass., SU, n. 26984 del 2020 e CGUE, 2 ottobre 2008, C-372/07, Hassett e Doherty). Sarebbe paradossale, dunque, ammettere la proroga della giurisdizione in favore di una Autorità Giudiziaria straniera e non, invece, in favore di un arbitrato estero, strumento d'elezione, quest'ultimo, per la trattazione delle vertenze implicanti profili di internazionalità. 6.1. Il ricorrente, pertanto, benché non abbia allegato di aver subito violazioni o lesioni di garanzie processuali, al fine di superare questo imprescindibile requisito della opposizione, tenta di fare assurgere (infondatamente, per quanto si è ampiamente esposto in precedenza) le previsioni (processuali) di cui agli articolo 34 - 36 del D.Lgs. n. 5/2003 al rango di requisiti di validità delle clausole compromissorie statutarie. Così operando, tuttavia, egli rovescia la prospettiva e si oppone al riconoscimento del lodo affermando che, se la clausola rendesse applicabili le previsioni processuali di un altro ordinamento e non quelle dettate agli articolo 34 - 36 D.Lgs. n. 5/2003, essa sarebbe di per sé nulla, a prescindere dalla concreta disapplicazione di queste ultime. Il Ro.Fe., in altri termini, tenta di sollecitare una valutazione ex ante ed in astratto di norme processuali; una prospettiva inammissibile, tuttavia, sia nel giudizio di opposizione di cui all'articolo 840 cod. proc. civ. sia nel ricorso per cassazione con il quale si facciano valere pretesi errores in iudicando de iure procedendo (è noto, invero, che un tale ricorso non meriterebbe accoglimento quando l'error non si fosse concretamente consumato e, se anche si fosse verificato, il ricorrente non abbia dedotto comunque un pregiudizio concreto ed effettivo alle proprie prerogative processuali). In altri termini, egli invoca la enunciazione di un principio generale e astratto del tutto sganciato dalla funzione della opposizione, posto che, se una lesione delle sue garanzie processuali si fosse effettivamente verificata, lo stesso avrebbe avuto a disposizione gli ulteriori motivi di opposizione al riconoscimento del lodo dettati all'articolo 840 cod. proc. civ.; norma (il cui tenore, giova ricordarlo, riproduce l'articolo V della Convenzione di New York) negletta nel suo ricorso, ma, invece, più che sufficiente a proteggere il nostro ordinamento dalla importazione di lodi resi in (pretesa) violazione dei principi fondanti del giusto processo arbitrale e che non giustifica il tentativo di trasformare l'arbitrato societario in un arbitrato necessariamente domestico. 6.2. In conclusione, dunque, il ricorso di Ro.Fe. deve essere respinto, contestualmente enunciandosi il seguente principio di diritto In tema di arbitrato societario, può essere riconosciuto in Italia un lodo rituale straniero pronunciato in forza di una clausola compromissoria, inserita nello statuto di una società di diritto italiano, che localizzi all'estero la sede dell'arbitrato medesimo qualora, giusta l'articolo 34, comma 2, del D.Lgs. n. 5 del 2003, applicabile ratione temporis, l'intero organo arbitrale sia nominato da un soggetto terzo estraneo alla società. Una volta soddisfatto tale requisito, infatti, le disposizioni processuali contenute negli articolo 35 e 36 del medesimo D.Lgs. sono derogabili attraverso la scelta di una lex arbitri diversa, purché rispettosa di quei canoni fondamentali previsti dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958 (recepita in Italia dalla legge n. 62 del 1968), che, a livello sovranazionale, disciplinano il riconoscimento dei lodi arbitrali . 7. – Il regime delle spese. Le spese di questo giudizio di legittimità possono essere interamente compensate tra le parti stante la novità e la complessità delle questioni giuridiche trattate. 7.1. Deve darsi atto, invece, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto, mentre spetterà all'amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso di Ro.Fe. e compensa interamente tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'articolo 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del medesimo ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.