Non costituisce legittima difesa - reale o putativa - l’erogazione di sostanza urticante azionato nei confronti di un collega che si rifiuti violentemente di uscire dall’ufficio laddove sia possibile difendersi uscendo dalla stanza oppure chiedendo aiuto ad altri colleghi.
Lo ha affermato la quinta Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza in esame. L'aggressione tra colleghi sul luogo di lavoro Nel caso di specie, la Corte di Appello di Lecce ha confermato la pronuncia del Tribunale di Taranto che condannava l'imputato, dipendente del Ministero della Difesa, per il reato di cui agli articolo 582, 585, comma 2, n. 2, c.p. , consistito nell'avere cagionato lesioni personali, spruzzando negli occhi di un collega una sostanza urticante , contenuta in una bomboletta spray. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia l'imputato, deducendo, inter alia , vizi motivazionali in relazione agli articolo 582, 585 e 52 c.p. , con riferimento alla mancata applicazione della scriminante della legittima difesa . L'imputato, infatti, ha affermato di aver agito, con le modalità descritte, solo con l'intento di difendersi dall'aggressione violenta che la parte offesa aveva posto in essere rifiutandosi di uscire dall'ufficio e strattonandolo più volte al braccio destro. Gli elementi della legittima difesa La Corte di Cassazione, in primis , ha riepilogato i presupposti essenziali per il riconoscimento della scriminante della legittima difesa di cui al comma 1 dell' articolo 52 c.p. Come osservato dalla Corte, gli elementi fondamentali sono: un' aggressione ingiusta ; una reazione legittima. L'aggressione ingiusta deve consistere nel pericolo attuale di un'offesa che, se non impedita nell'immediato, potrebbe sfociare nella lesione di un diritto personale o patrimoniale tutelato dalla legge; la reazione legittima «deve inerire alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo e alla proporzione tra difesa e offesa (Sez. 1, n. 45425 del 25/10/2005, Bollardi, Rv. 233352)». In tale ottica non può ritenersi giustificabile una reazione quando: l'azione lesiva sia ormai esaurita ; vengano utilizzati mezzi lesivi per l'aggressore nella disponibilità di altri meno lesivi per quest'ultimo. Come chiarito dai giudici di legittimità, la Corte d'appello ha ritenuto inverosimile la ricostruzione della vicenda operata dall'imputato nonché priva di qualsiasi riscontro oggettivo e smentita parzialmente dalla documentazione in atti . La medesima Corte territoriale ha altresì escluso con assoluta certezza la prospettabilità della legittima difesa putativa ritenendo che, anche nel caso in cui la dinamica dei fatti si fosse svolta nei termini riportati dalla difesa, non avrebbe potuto sostenersi che l'imputato avesse pensato di doversi difendere dal pericolo attuale di un'offesa ingiusta. Più precisamente l'imputato avrebbe potuto difendersi tentando di liberarsi e uscendo dalla stanza oppure chiedendo aiuto ad altri colleghi. In sintesi, la Suprema Corte ha ritenuto corretto il convincimento dei giudici di merito e ha richiamato l' orientamento giurisprudenzi ale secondo cui «l'attualità del pericolo di un'offesa ingiusta […] contro cui l'agente si trovi nella necessità di difendersi, si identifica con l'esistenza di una situazione pericolosa ancora in atto al momento della reazione , che non può essere anticipata né posticipata, e si protrae sino a quando essa permane ovvero, qualora l'offesa abbia avuto inizio, sino a quando l'azione lesiva del bene che si vuole difendere non si esaurisca». La legittima difesa putativa Per quanto riguarda la legittima difesa putativa , come chiarito dal Collegio, i presupposti sono i medesimi di quella reale; la differenza tra i due istituti consiste nel fatto che nella difesa putativa la situazione di pericolo non sussiste obiettivamente, ma è supposta dall'agente a causa di un erroneo apprezzamento dei fatti . L'errore dell'agente, però, ha efficacia esimente soltanto se scusabile e non può valutarsi in base a un criterio esclusivamente soggettivo. La configurabilità della legittima difesa putativa, dunque, deve fondarsi su dati di fatto concreti, di per sè tali da giustificare, nell'animo del soggetto agente, il ragionevole convincimento di trovarsi in una situazione di pericolo . Nel caso di specie, come chiarito dai giudici di merito e confermato dalla Cassazione, si è trattato di una reazione di rabbia da parte dell'imputato, dettata non tanto da un percepito timore per la propria incolumità quanto dalla volontà di interrompere un'azione ritenuta irriguardosa da parte di un collega che si era introdotto nel suo ufficio senza il suo permesso. In merito alla bomboletta spray contenente sostanza urticante, la Cassazione ha ritenuto corretta la qualificazione come arma comune da sparo stante la natura del gas in essa contenuto, qualificato come un aggressivo chimico irritante per pelle e occhi, idoneo a compromettere, anche in via temporanea, l'integrità della persona. La Suprema Corte ha, quindi, rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Presidente Caputo - Relatore Muscarella Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, ha confermato la pronunzia del Tribunale di Taranto del 16.03.2022 che condannava Ca.Cl. per il reato di cui agli citt.582, 585, comma 2, n.2, cod. pen., alla pena ritenuta di giustizia, consistito nell'avere cagionato, spruzzando agli occhi della persona offesa sostanza ubicante, contenuta in una bomboletta spray, lesioni personali consistite in abrasione corneale , giudicate guaribili in giorni due. 2. Avverso la suindicata sentenza l'imputato propone ricorso a mi2Z20 del difensore di fiducia, Avv. Vincenzo Gigante, affidato a cinque motivi sintetizzati ai sensi dell' articolo 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1 Il primo motivo di ricorso lamenta vizio di inosservanza e falsa applicazione della legge penale, in relazione agli articolo 614, comma 4, e 610, cod. pen. e 192 cod. proc. pen., proponendo una diversa versione dei fatti secondo cui la parte offesa, dipendente civile del Ministero della Difesa e sindacalista da oltre 40 anni, avrebbe tenuto un comportamento incivile, violento, irregolare e illecito, entrando una prima volta, senza bussare, nell'ufficio del Comandante Ca.Cl., nonostante avesse ricevuto un ordine imperativo di uscita, e subito dopo, atteso alcuni minuti, una seconda volta, senza averne avuto il permesso, chiedeva in modo violento la restituzione della propria pendrive, aggredendo contemporaneamente il militare impedendogli di uscire(Omissis), più volte, la divisa sul lato destro, commettendo il reato di violenza privata e che il ricorrente avrebbe agito per la salvaguardia della propria incolumità personale e per interrompere la ingiusta aggressione. Deduce, inoltre, il ricorrente che non sarebbe stata adeguatamente valutata l'attendibilità della persona offesa che la Corte di appello desume dal fatto che non si è costituita parte civile. Si contesta che la p.c. ha in realtà tentato la costituzione di p.c. ma tardivamente, come dimostrato dal verbale di udienza del 16.12.2021, ove tale costituzione è stata ritenuta inammissibile; la p.o. ha anche ripetutamente richesto, stragiudizialmente, un risarcimento di oltre 10 mila euro. 2.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta vizi motivazionali in relazione all' articolo192 cod. proc. pen. , alla valutazione della prova, deducendo che la Corte di appello non avrebbe valutato l'atteggiamento violento e, comunque, illecito della persona offesa e non avrebbe tenuto conto della versione dell'imputato, della complessiva personalità dello stesso, della sua carriera per oltre 30 .anni nel Genio Militare, degli importanti incarichi ricoperti come Capitano di Fregata sulle navi e a terra, trasferito negli ultimi tre anni all'Arsenale Militare di Tara-ilo con incarico di addetto al direttore, svolgendo incarichi di estrema rilevanza ai fini della sicurezza del luogo di lavoro. 2.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta vizi motivazionali in relazione adi articolo 582, 585 e 52 cod. pen. , con riferimento alla mancata applicazioni della discriminante della legittima difesa, ripercorrendo le deposizioni della persona offesa, dell'imputato e di alcuni testi, che dovevano portare a concludere per la sussistenza quanto meno della legittima difesa putativa, sussistendo senza dubbio proporzionalità tra offesa e difesa opposta dal ricorrente ad una aggressione o quantomeno nella supposizione di trovarsi in una situazione di pericolo per essere stato strattonato fortemente al braccio destro in modo brutale o comunque irregolare. 2.4 Il quarto motivo di ricorso lamenta vizi motivazionali in relazione agli articolo 582 e 52 cod. pen. , alla mancata applicazione della scriminante della legittima difesa, deducendo che il ricorrente era stato costretto all'use dello spray urticante sulla persona offesa dalla necessità di difendere un diritto proprio, della incolumità della propria persona contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, e che sussisteva rapporto di proporzionalità tra difesa e offesa in quanto l'aggressore violava il domicilio ai sensi dell' articolo 614 cod. pen. e l'aggredito, legittimamente presente, usava un'arma legittimamente detenuta idonea al fine di difendere la propria incolumità ovvero beni propri o altrui per interrompere un'aggressione ingiusta. 2.5 Il quinto motivo di ricorso lamenta vizio di inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla contestata aggravante dall'uso dell'arma, deducendo che la bomboletta spray contenente oleroresir non è qualificabile come arma, poiché rientra nella categoria degli strumenti di autodifesa, che non hanno attitudine a recare offese alle persone e, dunque, la legittimità dell'uso con finalità di autodifesa della persona. Il difensore ha depositato motivi aggiunti ed allegati, reiterando le deduzioni contenute nel ricorso e deducendo vizi motivazionali in relazione alla valutazione della prova, ai sensi dell' articolo192 cod. proc. pen. Considerato in diritto 1. Il ricorso è nel complesso infondato. 2. I primi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente per il contenuto delle questioni trattate. 2.1 I motivi sono inammissibili in quanto aspecifici. Riguardo all'approccio nella valutazione del ricorso, il Collegio accede all'esegesi secondo cui il giudizio di legittimità è circoscritto alla verifica sulla completezza e sulla correttezza della motivazione di una sentenza e non può esondare dai limiti cognitivi sanciti dagli articolo 606 e 609 cod. pro. pen., mediante una rinnovata valutazione o rivalutazione degli elementi probatori acquisiti al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle dei i (iudice del merito. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Se; . U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibé, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n L2 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260). Sono, pertanto, inammissibili le deduzioni critiche che si pongono in diretto confronto con il materiale probatorio acquisito, sollecitandone un diverso apprezzamento da parte della Corte di cassazione, secondo lo schema tipico di un gravame di merito, il quale esula, tuttavia, dallo scrutinio delle funzioni di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 13442 dell'8.03.2016, De Angelis; Sez. 6, n.439 53 del 30.09.2013, Basile; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F.; Sez, 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; pronunzie che trovano precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, Cugliari, Rv. 233780; Sez, 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). Il controllo di legittimità non è, in altri termini, diretto a sindacare la intrinseca attendibilità dei risultati della interpretazione delle prove, né a ripercorrere l'analisi ricostruttiva della vicenda processuale operata nei gradi anteriori, ma soltanto a verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee giustificative adeguate, che rendano persuasive, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte (S.U. n.47289 del 24.09.2003, Petrella). Le valutazioni espresse dalla sentenza impugnata, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il precesso formativo del libero convincimento del giudice non ha subito il condizionamento di una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un'imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (Sez. U, n. 21 .0 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767). Alla stregua del costante orientamento di questa Corte ( Cass. Sez. 2, n. 18404 del 05/04/2024 Rv. 286406 - 02), la motivazione per relationcrn alla sentenza di primo grado nel giudizio di appello è legittima nel caso in cui il complessivo quadro argomentativo fornisca una giustificazione propria del provvedimento e si confronti con le deduzioni e con le allegazioni difensive provviste del necessario grado di specificità. Tanto premesso va ad ogni modo ribadito che, nel caso di specie, si è in presenza di una doppia conforme di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, giungano a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione delle medesime emergenze istruttorie, cosicché vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia quando, per l'appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (cfr., Sez. 2- , n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valeria, 252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595). 2.1.1 I motivi sono generici e ripropongono questioni dedotte in c rado di appello alle quali la Corte di merito ha offerto congrua ed adeguata motivazione. La Corte di merito con motivazione, corretta ed immune da vizi logico-giuridici, premettendo che le censure formulate non contengono elementi ed argomenti diversi, già disattesi dal giudice di prime cure, alla cui motivazione precisa ed articolata si riportava integralmente, ha fatto buon governo del compendio probatorio valutando in sinergia gli elementi di prova in alti quali innanzi tutto la credibilità soggettiva e oggettiva ed attendibilità della persona offesa. Invero, come correttamente rilevato dal Procuratore Generale, i motivi propongono doglianze che sono esclusivamente di fatto, e sollecita io una rivisitazione nel merito della valutazione degli elementi di prova utilizzati dal decidente a fondamento della pronuncia di condanna. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una 'r lettura' degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944). Alla luce del principio suindicato, la motivazione della Corte territoriale risulta corretta in diritto ed adeguatamente illustrata, poiché ha spiegato le ragioni della ritenuta attendibilità della persona offesa, intrinseca, sulla base della precisione del racconto, senza mai incorrere in aporie logiche o di rilievo, limitandosi a denunciare i fatti di cui è stato vittima in maniera lineare,, senza intenti calunniatori o di vendetta, spiegando sia in sede di querela che in dibattimento, in termini perfettamente sovrapponibili, l'episodio di cui è stato vittima, senza mai cadere in contraddizione. La Corte di appello ha inoltre ritenuto sussistere il requisiti) della attendibilità estrinseca della persona offesa sulla base dei plurimi riscontri oggettivi esterni, quali le dichiarazioni rese dai testi escussi in dibattimento, Mo.Da., che riferisce di urla provenienti da altro ufficio e soccorre nella immediatezza la persona offesa, To.An., medico, che si occupa di redigere la relazione dei fatti, nonché la certificazione sanitaria acquisita, mentre l'imputato si è limitato ad offrire una ricostruzione alternativa dei fatti, riguardo al momento antecedente la sua condotta, priva di alcun riscontro e senza che la rappresentazione di inattendibilità della persona offesa sia giustificata con richiami a passaggi delle dichiarazioni della stessa idonei ad inficiarne la credibilità, sottolineando la assenza di alcun riferimento, neppure nella memoria difensiva depositata nel procedimento disciplinare, alla presunta aggressione e che la dichiarata inidoneità al servizio non è stata ricollegala alla condotta aggressiva della parte offesa riguardando un disturbo bipolare da cui era affetto l'imputato. La Corte di appello ha evidenziato come l'imputato non ha offerto un resoconto completo e idoneo a far ritenere verosimile la sua versione, considerato che la persona offesa chiedeva solo la restituzione della sua chiavetta e non risulta che l'imputato non si fosse reso disponibile a restituirla, sebbene ciò avveniva solo alcuni giorni dopo i fatti per cui è processo; non sono stati addotti altri motivi di screzio tra i due o verosimili ragioni per le quali la persona offesa avrebbe dovuto attuare la dedotta aggressione o nutrir; alcun premeditato proposito ai suoi danni; l'imputato non riferisce neppure di una accesa discussione pregressa. La Corte di merito con motivazione, corretta ed immune da vizi logico-giuridici, premettendo che le censure formulate, generiche ed ai limiti dell'inammissibilità, non contengono elementi ed argomenti diversi, già disattesi dal giudice di prime cure, alla cui motivazione precisa ed articolata si riportava integralmente, ha fatto buon governo del compendio probatorio valutando in sinergia gli elementi di prova in atti quali la denuncia e le dichiarazione della persona offesa, formulando un giudizio di attendibilità della persona offesa immune da censure. Va incidentalmente ricordato, a questo riguardo, che l'esegesi pacifica di questa Corte, che il Collegio intende ribadire, ritiene che le regole dettate dall' articolo 192, comma 3, cod. proc. pen. non trovano applicazione relativamente alle dichiarazioni della parte offesa queste ultime possono essere legittimamente poste da sole a base dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell'attendibilità intrinseca del racconto. Più di recente, il principio è stato ribadito e precisato, affermandosi, quanto ai riscontri estrinseci, che questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione, posto che la loro funzione è sostanzialmente quella di asseverare esclusivamente ed in via generale la sua credibilità soggettiva (Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312). Costituisce, infine, principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione secondo cui la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il decidente non sia incorso in manifeste contraddizioni (oltre a Sezioni Unite Bell'Arte, cfr., tra le più recenti, Sez. 4, n. 101 3 del 11/02/2020, C., Rv. 278609; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota e altro, Rv. 262575). Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto rispettati i canoni della valutazione di credibilità soggettiva e di attendibilità intrinseca del racconto della persona offesa, non costituita parte civile, avuto riguardo alla linearità e precisione delle dichiarazioni rese, oltre alla coerenza con quanto esposto nella denuncia-querela, ai riscontri esterni di natura documentale e testimoniali. Con riferimento al richiamo alle fattispecie di cui agli articolo 614 e 61.0 cod. pen. i motivi sono aspecifici. Questa Corte ha, infatti, stabilito, con orientamento espresso a Sezioni unite, che l'appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità estrinseca dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto peste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. un., n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822; Ssz. 2, Sentenza n. 51531 del 19/11/2019, Rv. 277811 - 01). È stato altresì precisato, successivamente all'arresto espresso dalle Sezioni Unite, che affinché il motivo devoluto possa ritenersi specifico, è necessario che il ricorrente non si limiti a contestare sic et simpliciter il punto della pronuncia di cui chiede la riforma ma che prenda posizione rispetto ad esso indicando le ragioni di fatto o di diritto per cui non ne condivide la valutazione, così da | orre il giudice dell'impugnazione nella condizione di individuare i rilievi mosse di esercitare il proprio sindacato di merito; ma che ciò non implica tuttavia che le censure svolte debbano diffondersi in analitiche e particolareggiate disquisizioni sulle ragioni dell'invocata riforma, non potendo l'essenzialità del motivo ricadere sul requisito della sua specificità che postula invece l'identificabilità, con accettabile precisione, dei punti cui si riferiscono le doglianze e le ragioni essenziali per le quali viene contestato il ragionamento seguito dal prime giudice (Sez.3, n.12727 del 21/2/2019, Jallow, RV. 275841; Sez. 4, Sentenza n. 36154 del 12/09/2024, Rv. 287205 - 01). Invero, a fronte di una valutazione del compendio probatorio, computa con motivazione congrua ed immune da vizi logici, in punto di ritenuti riscontri oggettivi esterni e di decisività della prova, il ricorrente non si confronta, deducendo una non corretta valutazione degli elementi di prova, sollecitando a questa Corte una inammissibile rivalutazione degli stessi, non risultando esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni eli fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata. Ne consegue l'inammissibilità del motivo, per quanto ribadito anche dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823), in ragione del principio per cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato. 2.2 Il terzo e quarto motivo di ricorso, che possono esaminarsi congiuntamente, sono infondati. Parimenti in relazione alla scriminante della legittima difesa, il ricorrente ripropone questioni già trattate nei giudizi di merito e rigettate dalla Certe di appello con motivazione congrua, corretta ed immune da vizi di illogicità e da censure. Il motivo è reiterativo di censure, formulate proposte nei giudizi di merito, che non introducono alcuno specifico profilo di novità, e non contengono elementi ed argomenti diversi, già disattesi dal giudice di prime cure, prima, e dalla Corte di appello, poi, con motivazione immune da vizi. Sul punto, i giudici del merito si sono confrontati con l'alternativa descrizione del contesto del fatto offerta dall'imputato, il quale aveva affermato di aver agito, con le modalità descritte, solo per difendersi dall'aggressione violenta che la parte offesa, contravvenendo ad un preciso ordine di uscire dall'ufficio, lo avrebbe aggredito violentemente strattonandolo più volte al braccio destro, situazione dalla quale il ricorrente avrebbe cercato di difendersi colpendo spruzzando agli occhi del Fortunato il contenuto urticante di una bomboletta spray. La Corte di merito ha evidenziato come l'evocazione della necessità di considerare la percezione soggettiva delle condizioni di fatto in cui l'agente ha operato non si conforma alla lezione interpretativa della giurisprudenza di legittimità in tema di legittima difesa reale o putativa. Com'è noto, i presupposti essenziali per il riconoscimento della scriminante della legittima difesa nella forma c.d. ordinaria di cui al comma 1 dell' articolo 51 cod. pen. , sono costituiti da un'aggressione ingiusta e da una reazione legittima mentre la prima deve concretarsi nel pericolo attuale di un'offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione di un diritto (personale o patrimoniale) tutelato dalla legge, la seconda deve inerire alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo e alla proporzione tra difesa e offesa (Sez. 1, n. 45425 del 25/10/2005, Bollardi, Rv. 233352). Ne consegue che non è giustificabile una reazione quando l'azione lesiva sia ormai esaurita, né può ritenersi legittimo l'uso di mezzi che non siano gli unici nella circostanza disponibili, perché non sostituibili con altri ugualmente idonei ad assicurare la tutela del diritto aggredito e meno lesivi per l'aggressore. Ed invero, il requisito della proporzione viene meno, nel conflitto tra beni eterogenei, quando la consistenza dell'interesse leso è enormemente più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionalmente e penalmente protetti, di quella dell'interesse difeso e il male inflitto all'aggredito abbia una intensità di gran lunga superiore a quella del male minacciato (Sez.l n.9595 del 15/04/1999, De Rosa, Rv. 214936-01; Sez. 1 n.51262 del 13/06/2017, Cali, Rv. 272083-01; Sez. 1 n.45425 del 25/10/2005, Bollardi, Rv. 233352-01). La Corte territoriale ha ritenuto le modalità dell'azione, riportate dall'imputato, inverosimili nella dinamica nonché prive di qualsiasi riscontro oggettivo nonché, in parte smentite dalla documentazione in atti, escludendo, con assoluta certezza, anche la semplice prospettabilità della legittima difesa, anche putativa, incompatibile con una azione difensiva che non può attuarsi attraverso una condotta ben più violenta e lesiva quale quella posta in essere dall'imputato (spruzzando lo spray urticante, molte volte in direzione del viso). La Corte territoriale ha escluso che la condizione psicofisica particolare in cui si trovava l'imputato (vittima, in epoca precedente, di aggressioni da parte di alcuni dipendenti del personale civile per il ruolo rivestito in talune indagini all'interno dell'Arsenale Militare), enfatizzata dalla difesa, fosse tal 2 da giustificare l'avvertito pericolo per la propria incolumità personale e quindi l'uso della bomboletta spray di cui l'imputato si era premunito per le aggressioni precedenti, evidenziando che questi non ha posto in essere altre e possibili azioni contenitive della presunta aggressione. Con motivazione immune da vizi e censure, la Corte di appello ha ritenuto che, quand'anche la condotta della persona offesa, sia stata posta in essere nei termini descritti dalla difesa, non potrebbe sostenersi che la stessa avrebbe determinato nell'imputato l'insorgenza dell'erroneo convincimento di doversi difendere d un'aggressione ingiusta e dunque la supposizione di trovarsi in una situazione di pericolo attuale. Con riferimento alla attualità del pericolo, ai fini della sussistenza della scriminante di cui all' articolo 52 cod. pen. , non è necessario che l'offesa eia cui scaturisce la necessità di difesa abbia già cominciato a realizzarsi, essendo sufficiente il pericolo attuale nel senso di pericolo in corso 0 comunque imminente di detta offesa, il quale può essere integrato anche da una semplice minaccia (Sez. 5 n. 25810 del 17/05/2019, Onnis, Rv. 276129-01). Si muove nella medesima direzione l'arresto della giurisprudenza di questa Corte, insuperato, secondo cui l'attualità del pericolo di un'offesa ingiusta (da distinguere dall'attualità dell'offesa, quest'ultima normalmente non ancora iniziata) contro cui l'agente si trovi nella necessità di difendersi, si identifica con l'esistenza di una situazione pericolosa ancora in atto al momento della reazione, che non può essere anticipata né posticipata, e si protrae sino a quando essa permane ovvero, qualora l'offesa abbia avuto inizio, sino a quando l'azione lesiva del bene che si vuole difendere non si esaurisca (Sez. 1 n.103615 del 11/06/1984, Lubrano di Ricco, Rv. 166788-01). A fronte di questa motivazione le censure della difesa si risolvono in argomenti di merito, laddove viene dedotto che le sentenze non avrebbero motivato né sulla proporzionalità tra difesa e offesa, quantomeno putativa, a fronte di una aggressione in atto, né sulla necessità di difendere un diritto proprio, della incolumità della propria persona contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta in relazione alla dedotta violazione di domicilio .ai sensi dell' articolo 614 cod. pen. ed al legittimo utilizzo di un'arma, legittimamente detenuta, idonea al fine di difendere la propria incolumità ovvero beni propri o altrui per interrompere un'aggressione ingiusta. La legittima difesa putativa postula i medesimi presupposti di quella reale, con la conseguenza che, nella prima, la situazione di pericolo non sussiste obiettivamente, ma è supposta dall'agente a causa di un erroneo apprezzamento dei fatti. Tale errore, che ha efficacia esimente, se è scusabile e comporta la responsabilità di cui all' articolo 59, ult. comma, cod. pen. , quando sia determinato da colpa, deve in entrambe le ipotesi trovare adeguata giustificazione in qualche fatto che, sebbene malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell'agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto dinanzi al pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sicché la legittima difesa putativa non può valutarsi al lume di un criterio esclusivamente soggettivo e desumersi quindi, dal solo stato d'animo dell'agente, dal solo timore o dal solo errore, dovendo anche essere considerata anche la situazione obiettiva che abbia determinato il controllo. Essa, pertanto, può configurarsi se e in quanto l'erronea perdizione della necessità di difendersi sia fondata su dati di fatto concreti, di per sé inidonei a creare un pericolo attuale, ma tali da giustificare, nell'animo dell'agente, la ragionevole persuasione di trovarsi in una situazione di pericolo; persuasione che deve trovare adeguata correlazione nel complesso delle circostanze oggettive in cui l'azione della difesa venga ad estrinsecarsi (Sez. 1, n.4337 del 6/12/2005; Sez.3 n.3257 del 25/01/1991, Calabria, Rv. 186621-01). Nella specie, correttamente la Corte di appello ha ritenuto l'assenza li alcun concreto elemento da cui desumere l'asserito timore dell'imputato di potere essere aggredito e ciò anche tenendo conto dello stato di agitazione n cui versava sia per gli episodi pregressi sia per le questioni di cui si stava occupando) e, invece, si è trattato di una reazione istintiva, adirata, indetta non tanto da un percepito timore per la propria incolumità quanto dalla volontà di interrompere un'azione ritenuta irriguardosa da parte di un uomo che neanche conosceva, che si era introdotto nel suo ufficio, nonostante la sua contraria volontà e nonostante, in quel momento, stesse affrontando problematiche di lavoro di estremo rilievo, rivolgendosi con il tu e non con il lei , mentre indossava la divisa, giungendo, secondo la prospettazione difensiva, en he a prenderlo per un braccio. La Corte di appello ha correttamente sottolineato che anche se l'imputato avesse subito uno strattonamento del braccio, offesa irriverente e sconveniente, tanto più nell'ambito delle gerarchie militari, non c'era alcuna aggressione in atto ai danni dell'imputato, né, in quel momento, vi erano elementi per ritenerla sussistente, neppure dal punto di vista putativo, in quanto non idonea a determinare nell'agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al sericolo attuale di un'offesa ingiusta, ben potendo tentare di liberarsi uscendo dalla stanza o chiedere aiuto ai colleghi anziché spruzzare ripetutamente lo spray urticante in direzione del viso della vittima da cagionare quel tipo di lesione diagnosticata. In altri termini, a fronte di un pericolo non attuale e tuttavia evitabile, l'imputato aveva adottato una non necessitata reazione, in quanto del tutto possibile la messa in condizioni di sicurezza e la richiesta di intervento. Quanto alla violazione del domicilio ed alla violenza privata, il motivo è inammissibile in quanto inedito per essere dedotto soltanto in sede di legittimità, posto che non risulta dall'incontestata sintesi dei motivi di appello, per come riportata nella sentenza impugnata né dall'atto di appello, che il deducente avesse formulato doglianze in ordine, appunto, al tema dedotto, di medi) che, trattandosi di questione che involge profili di merito (ossia, attinenti all'uso della discrezionalità del giudice) non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità, stante il combinato disposto degli articolo 606, comma 3, 609, comma 2, cod. proc. pen. , in quanto non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione violazioni di legge sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare siccome non devolute alla sua cognizione, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza. Quanto alla prospettazione dell'eccesso colposo nella legittima difesa, che presuppone la esistenza di una causa di liceità anche putativa e si qualifica per il superamento, per colpa, dei limiti fissati dalla legge per l'esercizio della s essa, la Corte di appello, con motivazione corretta ed immune da vizi, ne ha escluso la configurabilità sulla base della considerazione che ritenuta la insussistenza della legittima difesa, non può parlarsi di eccesso colposo in quanto le due figure presuppongono identità di situazioni e si differenziano solo per l'elemento dell'adeguatezza della reazione (Sez. 5 n.2505 del 14/11/2008). Invero, l'assenza dei presupposti della scriminante della legittima difesa, in specie della necessità di contrastare o rimuovere il pericolo attuale di un'aggressione mediante una reazione proporzionata ed adeguata, impedisce di ravvisare l'eccesso colposo, che si caratterizza per l'erronea valutazione di detto pericolo e dell'adeguatezza dei mezzi usati. (Sez. 5, Sentenza n. 19065 del 12/12/2019, dep. 2020, Rv. 279344 - 02). Quanto ai requisiti della proporzionalità tra lo strattonamento di un braccio e l'insistente getto dello spray urticante in direzione del viso della persona offesa, la Corte di appello richiama, condividendole, le considerazioni del Tribunale che aderisce al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il requisito della proporzione tra offesa e difesa deve essere valutato con un giudizio ex ante calato all'interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutarie ne di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, ponendo a confronto i mezzi usati e quelli a dispostone dell'aggredito nonché i beni giuridici, personali e patrimoniali in conflitto con la conseguenza che tale proporzione viene comunque meno nel caso dei beni eterogenei in conflitto, quando la consistenza dell'interesse leso, quale la vita e l'incolumità della persona, sia enormemente più rilevante, sul pian i della gerarchia dei valori costituzionali e di quelli penalmente protetti, dell'interesse patrimoniale difeso (Sez.5, n.32414/2020). Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto che, anche se l'imputato avesse subito un semplice strattonamento al braccio (offesa ritenuta sgradevole e irriguardosa, tanto più nell'ambito delle gerarchie militari), la condotta della persona attuata dalla persona offesa non avrebbe mai potuto condurre ad un giudizio di ritenuta proporzione a fronte di una difesa esercitata attraverso l'utilizzo di uno spray urticante, tale da cagionare lesioni come quelle diagnosticate nel caso di specie, e che l'imputato non ha posto in essere altre e possibili azioni contenitive della presunta aggressione. Invero, la scriminante in parola, per costante giurisprudenza, è configurabile solo qualora l'autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e prive di alternative Ila sua reazione all'offesa mediante aggressione, all'opposto, ritenendola insussistente qualora l'agente abbia avuto la possibilità di evitare lo scontro con l'antagonista, fuggendo oppure allontanandosi dall'aggressore senza pregiudizio e disonori. La Corte di merito ha rilevato che sotto il profilo della adeguatezza della reazione dell'imputato ad una offesa ingiusta, la valutazione non rispetta i criteri di proporzionalità e immediata necessita della risposta in quanto, anche a ritenere che la persona offesa abbia tenuto un contegno verbali mente provocatorio nei suoi confronti o lo avesse strattonato per un braccio, impedendogli di uscire dal suo ufficio perché davanti alla porta, l'imputato aveva immediatamente reagito a tale presunta aggressione impugnando una bomboletta spray contenente sostanza urticante al peperoncino, spruzzandola insistentemente in direzione del viso della vittima (circostanza non contestata), ben potendo salvaguardare la propria incolumità, sempre che fosse in pericolo, allontanandosi dalla vittima o scostandola con il braccio (circostanza neppure riferita dall'imputato, non evincendosi la assoluta impossibilità a liberaci, non riportando neppure arrossamento sull'arto di presunta aggressione), invocando l'aiuto di terze persone (nessuno dei testimoni ha dichiarato provenire urla dall'imputato, udendo invece lamentarsi la persona offesa) ovvero chiedendo soccorso ai colleghi delle stanze limitrofe (come accaduto alla vittima). 2.3 Il quinto motivo di ricorso è infondato. Quanto alla qualificazione come arma della bomboletta spray contenente sostanza urticante, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione dell'orientamento assolutamente pacifico del giudice di legittimità. La sentenza impugnata ha correttamente considerato quale arma comune da sparo la bomboletta spray detenuta dall'imputato, ponendo l'accento siili sulla natura del gas in essa contenuto, qualificato come un aggressivo chimico', che sulle sue potenzialità nocive (essendo lo stesso fortemente irritante per la pelle e gli occhi). Tale condivisibile soluzione ermeneutica costituisce una coerente applicazione del consolidato e pacifico principio di diritto affermato da cuesta Corte secondo cui Integra il reato previsto dall'articolo 4 L. 2 ottobre 1967, r. 895 e succ. modd., il porto in luogo pubblico di una bomboletta spray contenente gas urticante idoneo a provocare irritazione degli occhi, sia pure reversibile in un breve tempo, in quanto idonea ad arrecare offesa alla persona e corno tale rientrante nella definizione di arma comune da sparo di cui all' articolo 2 L. n. 1.0 del 1975 (Sez. 1, n. 11753 del 28/02/2012, Cecchetti, Rv. 252261; Sez. 1, n 4994 del 14/11/2007, Amantonico, Rv. 238704). In particolare, la qualificazione della bomboletta contenente gas urticante come arma comune da sparo si fonda sul dato letterale desumibile dall'articolo 2, comma 3, legge 18 aprile 1975, n. 210 che considera tali, tra le altre, quelle...ad emissione di gas.. Si considera, inoltre, la potenzialità nociva del contenuto, trattandosi, comunque, di aggressivi cii mici -quale, nel caso in esame, il gas CS - idonei a compromettere, anche in via temporanea, l'integrità della persona. Peraltro, qualora l'elevata concentrazione del gas determinasse una spiccata potenzialità nociva del contenitore che lo racchiude, potrebbe ravvisarsi un'arma da guerra, ai sensi dell' articolo 1, legge n. 110 del 1975 . La norma, infatti, considera tali le armi di ogni specie che, per la loro spiccata potenzialità di offesa, sono o possono essere destinate al me derno armamento delle truppe nazionali o estere per l'impiego bellico, nonché le tombe di qualsiasi tipo o parti di esse, gli aggressivi chimici, biologici, radicativi, i congegni bellici micidiali di qualunque natura, le bottiglie e gli involucri esplosivi o incendiari. Come è noto, col Decreto Ministeriale n. 103/2011 , recante Disposizioni in materia di sicurezza pubblica il Ministero dell'Interno ha prescritto le condizioni in presenza delle quali uno strumento di autodifesa fondato sull'impiego di capsaicina può essere legittimamente detenuto, stabilendo, all'articolo 1, con ma 1, che gli strumenti di autodifesa di cui all' articolo 2, comma 3, L. n. 110 del 19 75, in grado di nebulizzare una miscela irritante a base di oleoresin capsicum che non hanno attitudine a recare offesa alle persone, devono presentare le seguenti caratteristiche a) contenere una miscela non superiore a 20 mi; b) contenere una percentuale di oleoresin capsicum disciolto non superiore al 10 per cento, con una concentrazione massima di capsaicina e capsaicinoidi totali pari al 2,5 per cento; c) la miscela erogata dal prodotto non deve contenere sostanze infiammabili, corrosive, tossiche, cancerogene o aggressivi chimici; d) essere sigillati all'atto della vendita e muniti di un sistema di sicurezza contro l'attivazione accidentale; e) avere una gittata utile non superiore a tre metri . Il secondo comma della medesima disposizione prevede che Tutti gli strumenti di autodifesa di seguito denominati prodotti non conformi alle caratteristiche tecniche di cui al comma 1 rimangono disciplinati dalla normativa in materia di armi . La regolamentazione normativa di tali strumenti si è resa necessaria in ragione del fatto che l'oleoresin capsicum è una sostanza naturale Ile cui proprietà vasodilatatori e, proprie della capsaicina, provocando l'irritazione; delle mucose e degli occhi degli esseri umani, vengono utilizzate per finalità di autodifesa della persona, disciplinate in modo estremamente diversificalo nei Paesi europei. Con l'introduzione del D.M. 203 del 2011, dunque, il Ministero dell'Interno, nella consapevolezza della diversificazione normativa riscontra bile nelle legislazioni del continente europeo, ha ritenuto necessario individuare le condizioni in presenza delle quali uno strumento di autodifesa, fondato sull'impiego nebulizzante di oleoresin capsicum, può presentare caratteristiche di offensività tali da costituire un pericolo per la pubblica incolumità. In questo modo, il Ministero dell'Interno ha individuato le condizioni per potere ritenere uno strumento di autodifesa fondato sull'impiego di capsaicina - non riconducibile né alle armi da guerra o tipo guerra né alle armi comuni da sparo - pericoloso per la pubblica incolumità. In questa cornice normativa, deve rilevarsi che solo in presenza delle connotazioni di offensività previste dal combinato disposta degli articolo 2, comma 3, legge n. 110 del 1975 e 1 D.M. n. 203 del 2011 - da accertarsi previa verifica giudiziale -, la detenzione delle bombolette spray può essere ritenuta illecita, ai sensi dell' articolo 699 cod. pen. , conformemente al seguente principio di diritto 'Integra la contravvenzione di porto abusivo di arm, di cui all' articolo 699 cod. pen. , il porto in luogo pubblico di una bomboletta contenente spray urticante a base di oleoresin capsicunn che non rispetti le caratteristiche stabilite dal decreto ministeriale 12 maggio 2011 n. 103 °Sez. 1, n. 15083 del 10/02/2021, d'Italia, Rv. 280903 - 01; Sez. 1, n. 1407 del 07/01/2016, Delnnastro, Rv. 267284-01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 3116 del 24/10/2011, dep. 2012, Cantier, Rv. 251825-01). La bomboletta spray urticante al peperoncino, pur in aderenza alle caratteristiche del citato decreto ministeriale, resta uno strumento di |. er sé ontologicamente e funzionalmente deputato all'offesa alla persona è evidente infatti che, in assenza di una sia pur minima e temporanea compromissioni della sfera fisica dell'aggressore, viene meno l'utilità dello strumento. In questo senso, può più correttamente parlarsi di minora idoneità offensiva; e, in realtà, tale appare essere l'effetto dello spray con le caratteristiche individuate dal decreto del Ministero dell'Interno (Sez. 2, Sentenza n. 14608 del 14/03/20 3, Rv. 284404 - 01). Pertanto, una volta escluso che l'utilizzo di tale bomboletta fosse avvenuto nella ricorrenza delle condizioni per le quali poteva rinvenirsi l'esimente dell' articolo 52 cod. pen. , il mezzo aggressivo utilizzato dal ricorrente integra l'aggravante dell'uso dell'arma, in quanto resta uno strumento di per sé ontologicamente e funzionalmente deputato all'offesa della persona considerato che, nella specie, è emerso che lo spray urticante è stato spruzzato dall'imputato negli occhi delle persona offesa tanto da cagionare una lesione consistita in abrasione (Omissis) (provocando irritazione anche ai danni di altra persona estranea ai fatti), senza che vi fosse una aggressione in atto e dunque non per finalità difensive bensì di aggressione alla persona. 3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. A norma dell' articolo 52 D.Lgs. n. 196 del 2003 va disposto che, in kso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell 'articolo 52 D.Lgs. n. 196 del 200 3, in quanto imposto dalla legge.