Non costituisce legittima difesa - reale o putativa - l’erogazione di sostanza urticante azionato nei confronti di un collega che si rifiuti violentemente di uscire dall’ufficio laddove sia possibile difendersi uscendo dalla stanza oppure chiedendo aiuto ad altri colleghi.
Lo ha affermato la quinta Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza in esame. L'aggressione tra colleghi sul luogo di lavoro Nel caso di specie, la Corte di Appello di Lecce ha confermato la pronuncia del Tribunale di Taranto che condannava l'imputato, dipendente del Ministero della Difesa, per il reato di cui agli articolo 582,585, comma 2, numero 2, c.p., consistito nell'avere cagionato lesioni personali, spruzzando negli occhi di un collega una sostanza urticante, contenuta in una bomboletta spray. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia l'imputato, deducendo, inter alia, vizi motivazionali in relazione agli articolo 582,585 e 52 c.p., con riferimento alla mancata applicazione della scriminante della legittima difesa. L'imputato, infatti, ha affermato di aver agito, con le modalità descritte, solo con l'intento di difendersi dall'aggressione violenta che la parte offesa aveva posto in essere rifiutandosi di uscire dall'ufficio e strattonandolo più volte al braccio destro. Gli elementi della legittima difesa La Corte di Cassazione, in primis, ha riepilogato i presupposti essenziali per il riconoscimento della scriminante della legittima difesa di cui al comma 1 dell'articolo 52 c.p. Come osservato dalla Corte, gli elementi fondamentali sono: un'aggressione ingiusta; una reazione legittima. L'aggressione ingiusta deve consistere nel pericolo attuale di un'offesa che, se non impedita nell'immediato, potrebbe sfociare nella lesione di un diritto personale o patrimoniale tutelato dalla legge; la reazione legittima «deve inerire alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo e alla proporzione tra difesa e offesa (Sez. 1, numero 45425 del 25/10/2005, Bollardi, Rv. 233352)». In tale ottica non può ritenersi giustificabile una reazione quando: l'azione lesiva sia ormai esaurita; vengano utilizzati mezzi lesivi per l'aggressore nella disponibilità di altri meno lesivi per quest'ultimo. Come chiarito dai giudici di legittimità, la Corte d'appello ha ritenuto inverosimile la ricostruzione della vicenda operata dall'imputato nonché priva di qualsiasi riscontro oggettivo e smentita parzialmente dalla documentazione in atti. La medesima Corte territoriale ha altresì escluso con assoluta certezza la prospettabilità della legittima difesa putativa ritenendo che, anche nel caso in cui la dinamica dei fatti si fosse svolta nei termini riportati dalla difesa, non avrebbe potuto sostenersi che l'imputato avesse pensato di doversi difendere dal pericolo attuale di un'offesa ingiusta. Più precisamente l'imputato avrebbe potuto difendersi tentando di liberarsi e uscendo dalla stanza oppure chiedendo aiuto ad altri colleghi. In sintesi, la Suprema Corte ha ritenuto corretto il convincimento dei giudici di merito e ha richiamato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui «l'attualità del pericolo di un'offesa ingiusta […] contro cui l'agente si trovi nella necessità di difendersi, si identifica con l'esistenza di una situazione pericolosa ancora in atto al momento della reazione, che non può essere anticipata né posticipata, e si protrae sino a quando essa permane ovvero, qualora l'offesa abbia avuto inizio, sino a quando l'azione lesiva del bene che si vuole difendere non si esaurisca». La legittima difesa putativa Per quanto riguarda la legittima difesa putativa, come chiarito dal Collegio, i presupposti sono i medesimi di quella reale; la differenza tra i due istituti consiste nel fatto che nella difesa putativa la situazione di pericolo non sussiste obiettivamente, ma è supposta dall'agente a causa di un erroneo apprezzamento dei fatti. L'errore dell'agente, però, ha efficacia esimente soltanto se scusabile e non può valutarsi in base a un criterio esclusivamente soggettivo. La configurabilità della legittima difesa putativa, dunque, deve fondarsi su dati di fatto concreti, di per sè tali da giustificare, nell'animo del soggetto agente, il ragionevole convincimento di trovarsi in una situazione di pericolo. Nel caso di specie, come chiarito dai giudici di merito e confermato dalla Cassazione, si è trattato di una reazione di rabbia da parte dell'imputato, dettata non tanto da un percepito timore per la propria incolumità quanto dalla volontà di interrompere un'azione ritenuta irriguardosa da parte di un collega che si era introdotto nel suo ufficio senza il suo permesso. In merito alla bomboletta spray contenente sostanza urticante, la Cassazione ha ritenuto corretta la qualificazione come arma comune da sparo stante la natura del gas in essa contenuto, qualificato come un aggressivo chimico irritante per pelle e occhi, idoneo a compromettere, anche in via temporanea, l'integrità della persona. La Suprema Corte ha, quindi, rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Presidente Caputo - Relatore Muscarella Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.