Sono revocabili i pagamenti per forniture se eseguiti in attuazione di un piano di rientro

Non è applicabile l'esimente da revocatoria ex articolo articolo 67, comma 3, lett. a), l. fall. ai pagamenti eseguiti in attuazione di un “piano di rientro”, stipulato a seguito del mancato adempimento dell’obbligazione originaria entro i termini pattuiti.

La Corte di cassazione ha recentemente enunciato un importante principio di diritto in tema di esenzione da revocatoria dei pagamenti eseguiti nell'esercizio dell'attività d'impresa “nei termini d'uso”, esenzione come noto prevista dalla Legge fallimentare all'articolo 67, comma 3, lett. a), l. fall. [e oggi dal Codice della crisi all'articolo 166, comma 3, lett. a), c.c.i.i.] che così recita: «(Non sono soggetti all'azione revocatoria) a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso (…)». La questione è stata portata all'attenzione della S.C. mediante ricorso – proposto dalla creditrice di una società in amministrazione straordinaria – avverso una pronuncia della Corte d'appello di Milano che aveva confermato, con rigetto del gravame, la decisione resa in primo grado dal Tribunale. Il Giudice del primo grado aveva revocato ex articolo 49 d.lgs. numero 270/1999 due pagamenti effettuati a favore della ricorrente in quanto eseguiti nei sei mesi precedenti il deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo (aperto e successivamente revocato). Tanto il Tribunale quanto la Corte d'appello avevano ritenuto di non poter fare applicazione dell'esimente prevista dall'articolo 67, comma 3, lett. a), l. fall. nel caso di specie, in quanto i pagamenti erano stati eseguiti dalla debitrice in esecuzione di un “piano di rientro” stipulato a seguito del mancato adempimento dell'obbligazione originaria entro i termini originariamente pattuiti. Rileva sul punto la ricorrente in cassazione, con il secondo motivo, che i pagamenti erano sì stati eseguiti «entro termini di adempimento diversi e successivi rispetto a quelli “d'uso” fino ad allora osservati», e che tuttavia «i termini in uso tra le parti erano già stati pattuiti in 120 giorni, ossia nei medesimi termini di pagamento riproposti nel piano di rientro». La Corte di cassazione ha ritenuto tale motivo infondato e, valorizzando la finalità “conservativa” (cioè di conservazione dell'impresa, nell'ottica dell'uscita dalla crisi) dell'esenzione in discorso, ha affermato il seguente principio di diritto: «i pagamenti eseguiti entro termini di adempimento differenti rispetto a quelli originariamente pattuiti perché volti, rispetto all'obbligo inadempiuto di pagare il prezzo delle forniture già ricevute, a dare esecuzione ad un piano di rientro successivamente concordato tra le parti e all'interno dell'unico contesto commerciale così residuato tra le stesse, non sono riconducibili all'esimente prevista dall'articolo 67, comma 3, lett. a), l. fall.». Proprio in virtù della suddetta finalità, infatti, l'esenzione trova esclusiva applicazione per i pagamenti aventi ad oggetto il prezzo delle “forniture”, e cioè i contratti che sono «immediatamente espressivi dell'esercizio dell'attività d'impresa o comunque riferibili all'oggetto tipico dell'attività dell'imprenditore, con esclusione delle operazioni che con quell'attività non abbiano un nesso (cfr. Cass. numero 8900 del 2024, in motiv.)». L'esenzione non può, dunque, secondo la Corte, operare per i pagamenti eseguiti, dopo l'inadempimento del debitore poi fallito dell'obbligo di pagare nei termini d'uso, per dare esecuzione al piano di rientro successivamente concordato. Fonte: IUS/Crisi d'impresa

Presidente Ferro - Relatore Dongiacomo Fatti di causa 1.1. Il Tribunale di Milano, con sentenza dell'8/2/2017, ha accolto la domanda proposta dalla G.D.M. Spa in liquidazione e amministrazione straordinaria, aperta con decreto del 6/4/2012 e ha, per l'effetto, dichiarato l'inefficacia, a norma dell'articolo 49 del D.Lgs. numero 270/1999, dei due pagamenti che la G.D.M. Spa in bonis aveva eseguito, per l'importo complessivo di Euro. 180.877,57, in favore della Fratelli Ma. Textile Srl, rispettivamente, in data 18.22/10/2010 e 16.24/12/2010, ossia nei sei mesi anteriori alla data in cui, il 5/4/2011, era stata depositata la domanda con cui la solvens aveva chiesto di essere ammessa alla procedura di concordato preventivo (aperto con decreto del 22/4/2011 e poi revocato, ai sensi dell'articolo 173 L.Fall., con decreto del 9/2/2012). 1.2. La Fratelli Ma. Srl (nella qualità di società che ha incorporato la convenuta) ha proposto appello avverso l'indicata sentenza. 1.3. La corte distrettuale, con la pronuncia in epigrafe, ha rigettato il gravame. 1.4. La Corte d'Appello, in particolare, ha, innanzitutto, esaminato il motivo con il quale l'appellante ha ribadito l'eccezione già sollevata in primo grado dalla convenuta, e cioè che, al momento della proposizione della domanda (in data 15/1/2015), era già decorso il termine triennale previsto dall'articolo 69-bis, comma 1, L.Fall., il quale, a suo dire, aveva cominciato a decorrere dal momento in cui, per effetto di ricorso depositato il 5/4/2011, la G.D.M. Spa, era stata ammessa, con decreto del 22/4/2011, alla procedura del concordato preventivo: e l'ha rigettato. 1.5. La corte, sul punto, dopo aver rilevato, in fatto, che: - la G.D.M. Spa, previa contestuale revoca dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo, era stata dichiarata insolvente con sentenza del 26/1/2012; - l'esecuzione del programma di cessione è stata autorizzata con decreto ministeriale del 31/10/2012; - ha ritenuto, come già statuito dal Tribunale, che: - trovava applicazione l'articolo 49 del D.Lgs. numero270/1999 al fine non solo di identificare il periodo sospetto con il semestre 5 ottobre 2010-5 aprile 2011 ma anche di individuare il dies a quo del termine triennale previsto dall'articolo 69-bis, comma 1, L.Fall.; - tale termine decorre, pertanto, dalla data (31/10/2012) in cui il commissario liquidatore è stato autorizzato all'esecuzione del programma di cessione dei complessi aziendali; - l'azione in questione, proposta con atto di citazione notificato il 15/1/2015, era, pertanto, tempestiva. 1.6. La corte, poi, ha esaminato il motivo con il quale l'appellante aveva lamentato la mancata applicazione dell'esimente prevista dall'articolo 67, comma 3, lett. a), L.Fall.: e l'ha parimenti ritenuto infondato. 1.7. La corte, sul punto, dopo aver rilevato che: - le due società avevano pattuito che, nei loro rapporti , i pagamenti delle diverse forniture mensili dovevano essere eseguiti a 90 giorni ed in un'unica soluzione ; - tali termini da subito non sono stati rispettati dalla G.D.M. Spa, per cui la società creditrice ha portato tale termine a 120 giorni , tollerando in seguito una dilazione maggiore , fino a quando, nell'estate del 2010, come la stessa appellante ha espressamente dedotto, la Textile, in vista della fusione con la F.lli Ma., decideva di mutare il proprio orientamento commerciale e intimava a tutti i propri clienti … in ritardo coi pagamenti (compresa G.D.M.) il rientro dall'esposizione debitoria ; - la creditrice, infatti, con missiva del 13/7/2010, ha provveduto ad una vera e propria messa in mora della debitrice con sollecitazione del pagamento dell'insoluto e la prospettazione - nell'arco di dieci giorni - dell'attivazione di iniziative legali ; - le parti hanno, dunque, stipulato, il 22/7/2010, quando l'esposizione debitoria della società aveva raggiunto l'importo di Euro. 376.335,80, un piano di rientro ; - i pagamenti impugnati sono stati eseguiti dalla società debitrice, il 18.22/10/2010 e il 16.24/12/2010, proprio in esecuzione di tale piano, all'esito del quale la G.D.M., con missiva del 16/12/2010, ha sollecitato la F.lli Ma., come già nella lettera contenente la proposta del piano , la ripresa delle forniture di merci , che si verifica solo il 17 dicembre ; ha, in sostanza, ritenuto che, come già affermato dal Tribunale, tali pagamenti, essendo stati eseguiti entro termini di adempimento differenti e successivi rispetto a quelli originariamente pattuiti , non erano riconducibili all'esimente invocata dalla convenuta, dovendosi escludere che le modalità poste in essere in esecuzione del piano di rientro fossero quelle abituali ed ordinarie in quanto piuttosto determinate da un mutamento nei rapporti commerciali fino a quel momento vigenti tra le parti , con la conseguente modifica delle modalità, fino ad allora osservate, di pagamento proprie del rapporto tra le parti, e quindi dei termini d'uso . 1.8. La corte, infine, ha rigettato il motivo con il quale l'appellante aveva lamentato la mancanza di prova della scientia decoctionis in capo alla stessa, rilevando, piuttosto, come già aveva fatto il Tribunale, la ricorrenza di plurimi ed univoci elementi convergenti nel senso dell'effettiva conoscenza, nel periodo sospetto, da parte dell'appellante, dell'insolvenza della GDM, ormai incapace di far fronte con mezzi normali alle proprie obbligazioni ed escludendo, per contro, la rilevanza, sul punto, della prosecuzione del rapporto contrattuale con l'imprenditore poi fallito o divenuto insolvente . 1.9. La Fratelli Ma. Srl, con ricorso notificato lunedì 4/11/2019 ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza, notificata, come da relazione depositata insieme al ricorso, il 2/9/2019. 1.10. La G.D.M. Spa in liquidazione e amministrazione straordinaria ha resistito con controricorso con il quale ha, tra l'altro, eccepito l'inammissibilità del ricorso perché tardivo, sul rilievo che, a fronte della notificazione della sentenza il 2/9/2019, il termine di sessanta giorni andava a scadere il giorno venerdì 1 novembre, e che, in tale ipotesi, non potendo trovare applicazione la norma prevista dall'articolo 155, comma 4, c.p.c., che riguarda soltanto il caso in cui i termini scadono ab origine di sabato, il termine per la proposizione dell'impugnazione era scaduto già sabato 2/11/2019. 1.11. La ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 2.1. Il ricorso per cassazione, intanto, è tempestivo. L'articolo 155, ai commi 4, 5 e 6, c.p.c. dispone, in effetti, che se il giorno di scadenza è festivo la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo. La proroga prevista dal quarto comma si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell'udienza che scadono nella giornata del sabato. Resta fermo il regolare svolgimento delle udienze e di ogni altra attività giudiziaria, anche svolta da ausiliari, nella giornata del sabato, che ad ogni effetto è considerata lavorativa . 2.2. Ora, come questa Corte ha rilevato, l'interpretazione sistematica di questi commi induce a ritenere che il legislatore, se considera, in via di principio, la giornata del sabato come lavorativa (comma 6), ciononostante ed eccezionalmente la esclude dal computo del termine soltanto per il compimento di atti processuali che devono essere compiuti fuori dell'udienza (comma 5), per i quali, pertanto, i giorni settimanali disponibili sono cinque (e non sei). 2.3. Il sabato è rimasto, dunque, un giorno lavorativo ad ogni effetto, ad eccezione del compimento di atti processuali fuori dell'udienza , per i quali, come la notificazione dell'atto d'impugnazione, è stato eccezionalmente equiparato al giorno festivo (Cass. numero 17280 del 2023, in motiv.). 2.4. Ne consegue che, contrariamente a quanto eccepito dalla controricorrente, il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione, in quanto scadente venerdì 1/11/2019, è stato prorogato ex lege dapprima a sabato 2/11/2019 e poi a domenica 3/11/2019 e, infine, a lunedì 4/11/2019, quando, in effetti, il ricorso è stato, infine, notificato. 3.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 49, commi 1 e 2, del D.Lgs. numero 270/1999, dell'articolo 69-bis, commi 1 e 2, L.Fall. nonché dell'articolo 67 L.Fall., in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c., e la nullità del procedimento, in relazione all'articolo 360 numero 4 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d'Appello ha escluso che, al momento della proposizione della domanda (e cioè il 15/1/2015), era già scaduto il termine triennale previsto dall'articolo 69-bis, comma 2, L.Fall., omettendo, tuttavia, di considerare che, in caso di amministrazione straordinaria preceduta da un concordato preventivo, il termine triennale per la proposizione dell'azione revocatoria comincia a decorrere, al pari di quello per la determinazione del periodo sospetto, dalla data in cui, con ricorso pubblicato nel registro delle imprese il 5/4/2011, la società debitrice aveva chiesto di essere ammessa alla procedura del concordato preventivo. 3.2. Il motivo (a prescindere dal riferimento alla data di pubblicazione della domanda di concordato in luogo di quella, invocata nel corso del giudizio di merito, di apertura della procedura) è infondato: ma la motivazione resa dalla corte d'appello (per affermare la corretta statuizione di tempestività dell'azione) dev'essere corretta. 3.3. L'articolo 49 del D.Lgs. numero 270/1999 prevede, in effetti, che: - 1. Le azioni per la dichiarazione di inefficacia e la revoca degli atti pregiudizievoli ai creditori previste dalle disposizioni della sezione III del capo III del titolo II della legge fallimentare possono essere proposte dal commissario straordinario soltanto se è stata autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali, salvo il caso di conversione della procedura in fallimento ; - 2. I termini stabiliti dalle disposizioni indicate nel comma 1 si computano a decorrere dalla dichiarazione dello stato di insolvenza. Tale disposizione si applica anche in tutti i casi in cui alla dichiarazione dello stato di insolvenza segua la dichiarazione di fallimento . 3.4. L'articolo 49 cit., come emerge dal suo tenore testuale, si limita, quindi, a fare espresso rinvio esclusivamente alle azioni per … la revoca degli atti pregiudizievoli ai creditori previste dalle disposizioni della sezione III del capo III del titolo II della legge fallimentare ed ai termini stabiliti , ai fini della determinazione del periodo sospetto, dalle disposizioni indicate nel comma 1 ed al loro computo dalla dichiarazione d'insolvenza (anche in caso di successivo fallimento) ovvero (in applicazione della norma, compresa nel predetto rinvio, prevista dall'articolo 69-bis, comma 2, L.Fall.) dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese : non anche ai termini (di tre/cinque anni) per la promozione di tali azioni, così come previsti dalla norma (tra l'altro sopravvenuta) dell'articolo 69-bis, comma 1, L.Fall., che non trova, pertanto, applicazione, neppure (trattandosi di norma speciale) in via analogica, ai casi (come quello in esame) non previsti dalla stessa. 3.5. Ciò comporta che, nell'amministrazione straordinaria, in virtù del rinvio operato dall'articolo 49 cit., il termine di sei mesi stabilito dall'articolo 67, comma 2, L.Fall. si computa dalla data della dichiarazione d'insolvenza (anche in caso di successivo fallimento) o, come detto, dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese (vale a dire, nel caso in esame, dal 5/4/2011): ma il termine per l'esercizio dell'azione prevista dall'articolo 67, comma 2, L.Fall. non è quello (di tre/cinque anni) stabilito dall'articolo 69-bis, comma 1, L.Fall. bensì, in difetto di una norma che deponga in modo diverso, quello di prescrizione, pari a cinque anni (Cass. numero 31194 del 2018, in motiv.; Cass. numero 35272 del 2023, in motiv.), stabilito dall'articolo 2903 c.c. (cfr. Cass. numero 12317 del 1999, in motiv.). 3.6. Tale termine, peraltro, decorre non già dalla data della dichiarazione d'insolvenza (e, tanto meno, dalla pubblicazione della domanda di ammissione della società debitrice al concordato preventivo, come pretende la ricorrente) ma dal (successivo) momento in cui il programma di cessione dei beni aziendali è stato approvato. 3.7. L'articolo 49, comma 1, in fine, cit., a norma del quale l'azione revocatoria fallimentare può essere proposta dal commissario straordinario soltanto se è stata autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali , prevede, in effetti, l'avveramento di una specifica condizione per l'esercizio dell'azione. 3.8. Ne consegue che, a differenza di quanto avveniva in base alla precedente disciplina di cui alla L. numero 95/1979, non è più sufficiente la nomina del commissario straordinario quale unico soggetto legittimato all'esercizio dell'azione perché il diritto ai sensi dell'articolo 2935 c.c. possa essere fatto valere, essendo a tal fine anche necessario, affinché le azioni … possano essere proposte , che sia stata, appunto, autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali , che costituisce, pertanto, il momento a partire dal quale (soltanto) le azioni possono essere esercitate e che segna, in definitiva, la data di iniziale decorrenza del termine quinquennale di prescrizione (Cass. numero 35272 del 2023; Cass. numero 31194 del 2019; Cass. numero 31194 del 2018; Cass. numero 21516 del 2017). Può dunque essere riassuntivamente enunciato il seguente principio di diritto: Nell'amministrazione straordinaria, l'articolo 49 del D.Lgs. numero 270/1999 si limita a fare espresso rinvio esclusivamente alle azioni per … la revoca degli atti pregiudizievoli ai creditori previste dalle disposizioni della sezione III del capo III del titolo II della legge fallimentare e ai termini stabiliti , ai fini della determinazione del periodo sospetto, dalle disposizioni indicate nel comma 1 , non anche ai termini per promuovere tali azioni così come previsti dalla norma sopravvenuta di cui all'articolo 69-bis, comma 1, L.Fall., che non trova, pertanto, applicazione, neppure in via analogica; si tratta infatti di norma speciale, sicché, in difetto di una norma che deponga in modo diverso, l'azione revocatoria prevista dal comb. disp. degli articolo 67 L.Fall. e 49 cit. si prescrive nel termine di cinque anni stabilito dall'articolo 2903 c.c., con decorrenza dal momento in cui il programma di cessione dei beni aziendali è stato approvato . 3.9. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la nullità del procedimento, in relazione all'articolo 360 numero 4 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d'Appello ha escluso che i pagamenti impugnati fossero sottratti all'azione revocatoria in applicazione dell'esimente prevista dall'articolo 67, comma 3, lett. a), L.Fall. sul rilievo che gli stessi erano stati operati dalla società debitrice in esecuzione del piano di rientro concordato tra le parti in data 22/7/2010, quando l'esposizione debitoria della società aveva raggiunto l'importo di Euro. 376.335,80, e che tali pagamenti erano stati, di conseguenza, eseguiti entro termini di adempimento diversi e successivi rispetto a quelli d'uso fino ad allora osservati, omettendo, però, di considerare che, come emerge dai documenti prodotti in giudizio, nell'estate del 2010, i termini in uso tra le parti erano già stati pattuiti in 120 giorni, ossia nei medesimi termini di pagamenti riproposti nel piano di rientro. 3.10. Il motivo è infondato. Non v'è dubbio che, come questa Corte ha più volte affermato: - l'esenzione prevista dall'articolo 67, comma 3, lett. a), L.Fall. si configura come un'eccezionale deroga alla regola generale secondo cui, in linea di principio, tutti gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili, pur se non effettuati con mezzi normali nel periodo sospetto, sono suscettibili di revocatoria fallimentare (Cass. numero 17949 del 2023; Cass. numero 27939 del 2020, in motiv.); - il rinvio operato dall'articolo 67, comma 3, lett. a), cit. ai termini d'uso , ai fini dell'esenzione dei pagamenti (del prezzo dovuto per l'acquisto di) beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa, attiene alle modalità di pagamento concretamente invalse tra le parti (Cass. numero 7580 del 2019; Cass. numero 25162 del 2016; più di recente, Cass. numero 35272 del 2023, in motiv.); - l'articolo 67, comma 3, lett. a), cit., consente, dunque, di escludere la revocabilità dei pagamenti che siano stati eseguiti e accettati in termini diversi rispetto a quelli contrattualmente previsti tutte le volte in cui tali pagamenti, in ragione dei nuovi accordi intercorsi tra le parti, non possano essere considerati in ritardo , trattandosi, per contro, di adempimenti esatti (v. Cass. numero 27939 del 2020). 3.11. Resta, nondimeno, la necessità, ai fini dell'operatività dell'esenzione in parola, che si tratti di pagamenti che, nel rispetto dei termini determinati dagli accordi intercorsi tra le parti, costituiscano pur sempre il corrispettivo di forniture di beni e servizi eseguite in favore del debitore poi fallito che s'inseriscano nel ciclo produttivo dell'impresa, in modo tale da evitare che il timore della revocatoria possa comportare l'interruzione dell'attività e la conseguente disgregazione dell'azienda (Cass. numero 19373 del 2021). 3.12. L'esenzione prevista dall'articolo 67, comma 3, lett. a), cit., è, infatti, volta a favorire la conservazione dell'impresa nell'ottica dell'uscita dalla crisi, (solo per questo) escludendo la revocabilità dei pagamenti (del prezzo) di forniture riferibili all'oggetto tipico dell'attività imprenditoriale, che, seppur eseguiti con modalità e in tempi diversi rispetto a quelli contrattualmente previsti, sono nondimeno corrispondenti a pratiche commerciali consolidate e stabili in precedenza invalse tra le parti (Cass. numero 30127 del 2024). 3.13. L'esenzione in esame, dunque, in quanto direttamente intesa a favorire la conservazione dell'impresa nell'ottica dell'uscita dalla crisi , trova esclusiva applicazione per i pagamenti aventi ad oggetto il prezzo delle forniture (che innervano la produzione di beni e servizi), e cioè i contratti che (pur se riferiti a servizi non essenziali alla prosecuzione dell'attività d'impresa: Cass. numero 12837 del 2023, in motiv.) sono immediatamente espressivi dell'esercizio dell'attività d'impresa o comunque riferibili all'oggetto tipico dell'attività dell'imprenditore, con esclusione delle operazioni che con quell'attività non abbiano un nesso diretto (cfr. Cass. numero 8900 del 2024, in motiv.). 3.14. L'esenzione prevista dall'articolo 67, comma 3, lett. a), cit. non può, per contro, operare nel caso in cui, a fronte del (già radicatosi) inadempimento del debitore poi fallito all'obbligo di pagare il prezzo nel rispetto dei termini d'uso (in quanto contrattualmente pattuiti con il creditore ovvero corrispondenti alle pratiche commerciali consolidate e stabili in precedenza invalse con quest'ultimo), il pagamento delle somme dovute sia stato successivamente eseguito dal debitore medesimo entro il termine (convenzionalmente fissato ex post) per il suo rientro spontaneo dalla debitoria complessivamente cumulata. 3.15. La sentenza impugnata ha prestato osservanza ai principi esposti: lì dove ha ritenuto che i pagamenti impugnati non erano riconducibili all'ambito di applicazione dell'esenzione invocata dalla creditrice sul rilievo in fatto che gli stessi erano stati effettuati dalla società debitrice entro termini di adempimento differenti e successivi rispetto a quelli originariamente pattuiti perché, in realtà, volti (non già, ormai, ad adempiere all'obbligo di pagare il prezzo delle forniture convenute tra le parti ma, in ragione della pregressa inosservanza dei termini di pagamento a tal fine pattuiti e della sospensione delle forniture in corso) a dare esecuzione al piano di rientro successivamente concordato tra le parti. Può dunque essere riassuntivamente enunciato il seguente principio di diritto: I pagamenti eseguiti entro termini di adempimento differenti rispetto a quelli originariamente pattuiti perché volti, rispetto all'obbligo inadempiuto di pagare il prezzo delle forniture già ricevute, a dare esecuzione ad un piano di rientro successivamente concordato tra le parti e all'interno dell'unico contesto commerciale così residuato tra le stesse, non sono riconducibili all'esimente prevista dall'articolo 67, comma 3, lett. a), L.Fall. . 3.16. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione delle regole che presiedono all'accertamento presuntivo della scientia decoctionis ai sensi dell'articolo 2729 c.c. e la nullità del procedimento per non aver adeguatamente valutato le gravi, precise e concordanti presunzioni in violazione dell'articolo 116 c.p.c., in relazione all'articolo 360 numero 3 e numero 4 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d'Appello ha ritenuto che sussistevano plurimi ed univoci elementi convergenti nel senso dell'effettiva conoscenza in capo all'appellante dello stato d'insolvenza in cui versava la società debitrice, senza, tuttavia, procedere ad un giudizio complessivo degli indizi raccolti in giudizio, i quali, infatti, a partire dalla prosecuzione delle forniture in favore della stessa, in realtà mai interrotte, e dalla notevole distanza tra le rispettive sedi operative, avrebbero escluso che la società creditrice fosse consapevole, al momento dei pagamenti, dello stato d'insolvenza in cui versava la debitrice. 3.17. Il motivo è inammissibile. La Corte d'Appello, infatti, ha ritenuto che sussistessero plurimi ed univoci elementi convergenti nel senso dell'effettiva conoscenza, nel periodo sospetto, da parte dell'appellante, dell'insolvenza della GDM, ormai incapace di far fronte con mezzi normali alle proprie obbligazioni , escludendo, per contro, che la prosecuzione del rapporto contrattuale con l'imprenditore poi fallito o divenuto insolvente potesse essere, sul punto, rilevante. 3.18. Si tratta, com'è evidente, di un apprezzamento in fatto che la ricorrente non ha utilmente censurato (nell'unico modo a tal fine possibile, e cioè, a norma dell'articolo 360 numero 5 c.p.c.) con la precisa e puntuale deduzione (a norma degli articolo 366, comma 1, numero 6, e 369, comma 2, numero 4, c.p.c.) dei fatti storici controversi, principali o secondari, risultanti dal testo della sentenza stessa ovvero dagli atti processuali ed aventi carattere decisivo, nel senso che, ove esaminati, avrebbero senz'altro imposto al giudice di merito di ricostruire la vicenda storica in termini tali da integrare l'ipotesi normativa invocata dalla parte poi ricorrente, e cioè la certa esclusione della scientia decoctionis in capo alla stessa. 3.19. L'omesso esame di uno o più elementi istruttori, per contro, non dà luogo, a differenza di quanto pretende la ricorrente, al vizio in parola qualora il fatto rilevante in causa, e cioè la consapevolezza in capo all'accipiens dello stato d'insolvenza in cui versava la debitrice poi assoggettata a fallimento (o, come nel caso in esame, ad amministrazione straordinaria), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. SU numero 8053 del 2014; Cass. numero 9253 del 2017, in motiv.). 3.20. Questa Corte, del resto, ha ripetutamente affermato che: - la conoscenza da parte del creditore dello stato di insolvenza del debitore, al fine della revocatoria fallimentare, secondo la previsione dell'articolo 67, comma 2, L.Fall., dev'essere effettiva e non meramente potenziale (Cass. numero 25635 del 2017; Cass. numero 13169 del 2020); - agli effetti della revoca, pertanto, assume rilievo non la semplice conoscibilità oggettiva dello stato di insolvenza dell'imprenditore ma soltanto la concreta situazione psicologica del creditore al momento del pagamento impugnato (Cass. numero 27070 del 2022, in motiv.; Cass. numero 25635 del 2017), la quale, tuttavia, può essere desunta anche da semplici indizi (Cass. numero 3081 del 2018), sempre che questi, in ragione della loro gravità, precisione e concordanza, siano tali da far presumere l'effettiva scientia decoctionis da parte del creditore che riceve il pagamento (Cass. numero 4762 del 2007; Cass. numero 14978 del 2007; Cass. numero 5265 del 2010; Cass. numero 3299 del 2017; Cass. numero 3854 del 2019; Cass. numero 29257 del 2019; Cass. numero 13169 del 2020), nel senso che quest'ultimo, facendo uso della normale prudenza ed avvedutezza, rapportata alle sue qualità personali e professionali, nonché alle condizioni in cui si è trovato concretamente ad operare, non possa non aver percepito i sintomi rivelatori dello stato di decozione in cui versava il debitore (cfr. Cass. numero 27070 del 2022; Cass. numero 3081 del 2018; Cass. numero 18196 del 2012); - la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l'esistenza del fatto ignoto costituiscono, peraltro, un apprezzamento di fatto che, se (come nel caso in esame) legittimamente motivato (e cioè in modo non apparente, perplesso o contraddittorio: Cass. SU numero 8053 del 2014), sfugge al controllo di legittimità (Cass. numero 3336 del 2015; Cass. numero 3854 del 2019). 3.21. La valutazione delle prove raccolte in giudizio, infatti, al pari del giudizio relativo all'effettiva ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall'articolo 2729 c.c. (Cass. numero 1234 del 2019; Cass. numero 1216 del 2006) e all'idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit, i fatti ignoti da provare (Cass. numero 12002 del 2017), costituisce un'attività riservata in via esclusiva all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili senza essere tenuto ad un'esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. numero 42 del 2009; Cass. numero 11511 del 2014; Cass. numero 16467 del 2017). 3.22. Il giudice di legittimità, per contro, ha soltanto la facoltà del controllare, sotto il profilo della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte in ordine alla ricognizione della fattispecie concreta dal giudice di merito, così come esposte nella pronuncia impugnata, cui spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Cass. numero 40872 del 2021, in motiv.; Cass. numero 21098 del 2016; Cass. numero 27197 del 2011). 3.23. Il compito di questa Corte, infatti, non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. numero 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta (con le prove ammesse ovvero offerte) un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. numero 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato effettivamente conto, in ordine ai fatti storici rilevanti in causa, delle ragioni del relativo apprezzamento, come imposto dall'articolo 132 numero 4 c.p.c., e se tale motivazione sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. S.U. numero 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato in ordine all'accertamento dei fatti storici rilevanti ai fini della decisione sul diritto azionato, si sia mantenuto, com'è accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. numero 11176 del 2017, in motiv.). 4. Il ricorso è, dunque, infondato e dev'essere, pertanto, rigettato. 5. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. 6. La Corte dà atto, ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. numero 115/2002, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, della L. numero 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto P.Q.M. La Corte – rigetta il ricorso; – condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro. 9.200,00, di cui Euro. 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; – dà atto, ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. numero 115/2002, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, della L. numero 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.