Il procedimento per l'equa riparazione del pregiudizio derivante dalla violazione del termine di ragionevole durata del processo va considerato, ai fini della liquidazione dei compensi spettanti all'avvocato, quale procedimento avente natura contenziosa.
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in commento, affronta il tema relativo alla durata del termine ragionevole sancito dall'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Su ricorso presentato da B.G., articolato in quattro motivi di impugnazione, instaurato nei confronti dei Ministeri della Giustizia e dell'Economia e Finanze, si giunge al Giudice di legittimità al fine di decidere sull'opposizione avverso un decreto collegiale della Corte d'Appello di Roma, con cui veniva ingiunto il pagamento di una somma a titolo di equo indennizzo per la non ragionevole durata di un giudizio presupposto di equa riparazione e di due successivi giudizi di ottemperanza. Nello specifico, si ha modo di precisare, in linea con altri precedenti giurisprudenziali, che nel caso in cui il processo si sia svolto in più gradi - come nel caso di specie -, la durata complessiva viene determinata sommando il tempo effettivamente trascorso per la sua definizione, senza arrotondamenti per i singoli gradi e con esclusione dei periodi di sospensione e di quelli compresi tra il dies a quo per proporre le impugnazioni ed il momento in cui l'impugnazione è effettivamente proposta, con arrotondamento ad un anno della frazione superiore a sei mesi, operato per una volta soltanto sulla durata complessiva. Anche il riparto delle spese va determinato separatamente indicando l'importo gravante su ognuno dei Ministeri convenuti per il ritardo dei giudizi di rispettiva competenza (il Ministero della Giustizia per il giudizio di cognizione e il MEF per il giudizio di ottemperanza relativo alla riscossione del credito). Il ricorrente dimostrava l'errore di calcolo in cui incorreva la Corte d'Appello, che non considerava l'arrotondamento da effettuare sulla frazione di anno superiore a sei mesi, così come previsto dall' articolo 2 bis, comma 1, legge numero 89 del 2001. Pertanto, applicando correttamente il principio dell'unitarietà richiamato in intestazione e confermato in più occasioni dalla giurisprudenza della Corte (ex multis, Cass. numero 7943/2023; Cass. numero 21194/2022), l'irragionevole durata del giudizio di equa riparazione presupposto, raggiunge i 6 anni e non 5. Con gli ultimi due motivi di ricorso, il focus viene spostato sugli aspetti legati ai compensi professionali, nello specifico alla violazione dei valori minimi dei parametri professionali che sono inderogabili e alla liquidazione di somme simboliche non consone al decoro della professione exl. numero 247/2012, nonché della nuova tabella 12 D.M. 10/3/2014numero 55. Nel caso di specie, la Corte territoriale operava una liquidazione inferiore alla media, motivando la sua scelta in relazione alla corrispondente complessità della controversia, alla sua natura e valore, non specificando la tabella e lo scaglione di riferimento. In merito alla tabella applicabile al giudizio di opposizione, la Cassazione ha già precisato come il procedimento per l'equa riparazione vada considerato, in termini di liquidazione dei compensi spettanti all'avvocato, quale procedimento avente natura contenziosa, conseguentemente trova applicazione la tabella 12 allegata al D.M. 10 marzo 2014, numero 55 per i procedimenti collegiali dinanzi alla Corte d'Appello e la numero 13 per quelli di legittimità (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza numero 17524 del 2022; Cass. Sez. 6, Ordinanza numero 15493 del 21/07/2020). Quanto allo scaglione di riferimento, nel caso di specie si è dinanzi alla situazione di opposizione ex articolo 5-ter l. numero 89 del 2001, che investe la questione della determinazione del quantum del danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo. In tal caso, si è affermato che il giudizio di opposizione non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza una fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, e le spese di giudizio vanno liquidate in base al principio della soccombenza, sicché matura nei confronti del ricorrente anche il compenso per la fase istruttoria. In base a tali motivi, la Cassazione ha accolto il ricorso.
Presidente Manna – Relatore Amato Fatti di causa 1. B.G. ha ritualmente proposto opposizione avverso il decreto emesso dal Consigliere designato della Corte d'Appello di Roma, con cui è stato ingiunto al Ministero della Giustizia il pagamento di €. 1.600,00 oltre interessi legali dalla domanda e spese di lite da distrarsi, a titolo di equo indennizzo per la non ragionevole durata di un giudizio presupposto di equa riparazione e di due successivi giudizi di ottemperanza. Rilevava il ricorrente, tra l'altro, che il giudizio presupposto unitariamente inteso (di cognizione e di ottemperanza) ha avuto una durata complessiva di 6 anni, 6 mesi e 15 giorni, alla quale erroneamente il giudice monocratico aveva detratto 6 mesi da ciascuna tranche di processo presupposto (cognizione e ottemperanza, quest'ultimo articolatosi in due diversi giudizi), mentre doveva essere complessivamente detratta la durata ragionevole di 1 anno; sì che la durata irragionevole ammontava a 6 anni, in quanto ai fini dell'indennizzo ogni frazione di anno superiore a 6 mesi è pari ad 1 anno, ex articolo 2 bis, comma 1, L. 24/3/2001 numero 89. 2. Il giudice dell'opposizione, con il decreto numero 971/2023, accoglieva in parte il gravame, ritenendo non corretto, con riguardo all'addebitabilità del ritardo, il frazionamento effettuato dal Consigliere designato perché in contrasto con il principio dell'unitarietà dello specifico procedimento (sostenuto dall'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale) ed altresì con il divieto del principio della prevalenza tra le diverse Amministrazioni, trattandosi comunque della responsabilità dello Stato italiano per il tramite dei Ministeri interessati, a nulla rilevando che il ritardo del Ministero della Giustizia per il protrarsi del giudizio di equa riparazione – che ha, in sostanza, consumato per intero il termine di ragionevole durata – abbia determinato quello del MEF per l'adempimento dell'obbligazione derivante dall'originario provvedimento monitorio e sia quindi al primo ascrivibile, come ritenuto in via principale dall'opponente. Condannava, quindi, a corrispondere al ricorrente €. 1.600,00 in danno del Ministero della Giustizia ed €. 400,00 in danno del MEF, ritenendo di non doversi discostare dai criteri adottati dal giudice monocratico (che aveva riconosciuto la somma di €. 400,00 per ogni anno di ritardo), né di dover riconoscere la maggiorazione del 20% per gli anni successivi al terzo. 2.1. Con riguardo alle spese di lite, il giudice dell'opposizione poneva in solido a carico di entrambi i Ministeri € 1.300,00 per compensi, oltre rimborso spese generali (15%), Iva e Cpa, tenendo conto dei minimi tariffari, con l'applicazione della maggiorazione del 30% per la redazione degli atti con modalità telematiche idonee alla consultazione ex articolo 4 comma 1-bis D.M. numero 55/14, come richiesto, ed escludendo la fase istruttoria, oltre alle spese vive per €. 27,40 e quelle non documentabili per €. 10,00. 3. Avverso il suddetto decreto collegiale propone ricorso per cassazione B.G., affidandolo a quattro motivi e illustrandolo con memoria. Resistono il Ministero della Giustizia e il Ministero dell'Economia e delle Finanze. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si deduce nullità del decreto collegiale e del procedimento; anomalia motivazionale - in relazione alla rilevazione della durata irragionevole del giudizio presupposto di merito unitariamente inteso (di cognizione e di ottemperanza) e alla conseguente liquidazione del danno non patrimoniale - per: a) mancanza di motivazione sotto l'aspetto materiale e grafico; b) motivazione apparente; c) motivazione insanabilmente contraddittoria; d) motivazione perplessa; e) motivazione obiettivamente incomprensibile; violazione e/o falsa applicazione delle norme ex articolo 132, comma 2, numero 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111 Cost. (articolo 360, comma 1, numero 4 cod. proc. civ.). La ragione dell'anomalia motivazione denunciata deriva dal fatto che il giudice dell'opposizione ha ritenuto del tutto apoditticamente, erroneamente e contraddittoriamente che la durata irragionevole del giudizio presupposto unitariamente inteso è stata di soli 5 anni (che ha ritenuto indennizzabili) anziché di 5 anni, 6 mesi e 15 giorni, arrotondabili a 6 anni ai fini dell'indennizzo in quanto ogni frazione di anno superiore a 6 mesi è pari ad 1 anno, ex articolo 2 bis, comma 1, legge numero 89 del 2001. L'apparato argomentativo del decreto impugnato non consente di controllare il criterio logico e/o giuridico in base al quale egli ha ritenuto che la durata irragionevole del giudizio presupposto unitariamente inteso sia stata di soli 5 anni anziché di 5 anni, 6 mesi e 15 giorni, arrotondabili a 6 per disposizione di legge. 2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione - in relazione alla rilevazione della durata irragionevole del giudizio presupposto di merito unitariamente inteso (di cognizione e di ottemperanza) e alla conseguente liquidazione del danno non patrimoniale - delle norme ex articolo 2, comma 2-bis, 2-bis, comma 1, L. 24/3/2001 numero 89, 111 Cost., 6Convenzione EDU e 47, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (articolo 360, comma 1, numero 3 cod. proc. civ.). Osserva il ricorrente che il principio di unitarietà del giudizio presupposto di merito (di cognizione e di ottemperanza) comporta: dapprima il calcolo della complessiva durata del giudizio presupposto di merito unitariamente inteso (di cognizione e di ottemperanza); successivamente, la detrazione del periodo di durata ragionevole del giudizio (nel caso in esame 1 anno, atteso che la Corte costituzionale, con sentenza numero 36/2016, ha affermato che il termine ragionevole massimo del giudizio di equa riparazione svoltosi in entrambi i gradi, di merito e di legittimità, è di due anni, e la Corte di Cassazione ha affermato che la durata ragionevole del procedimento di equa riparazione in sede di legittimità è di un anno, e che la durata ragionevole di un procedimento di equa riparazione articolatosi – come nel caso in esame – sia nella fase di cognizione sia nella fase di ottemperanza è di un anno); la verifica della rilevanza, ai fini dell'equo indennizzo, della frazione di tempo residua se superiore a 6 mesi di durata irragionevole del giudizio presupposto, ai sensi dell'articolo 2-bis, comma 1, legge numero 89 del 2001; infine, va determinato separatamente l'importo gravante su ognuna delle Amministrazioni convenute per il ritardo dei giudizi di rispettiva competenza (nel caso in esame, il Ministero della Giustizia per il giudizio presupposto di cognizione e il Ministero dell'Economia e delle Finanze per il giudizio presupposto di ottemperanza relativo alla riscossione del credito). 3. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, poiché entrambi censurano l'impugnato decreto sotto il profilo dell'errata determinazione dell'irragionevole durata del procedimento presupposto e, di conseguenza, dell'errata quantificazione del compenso. Essi sono fondati sotto il profilo della violazione di legge per le ragioni di séguito esposte. 3.1. La Corte d'Appello, riformando la statuizione del giudice monocratico, ha correttamente applicato il principio già espresso da questa Corte, in virtù del quale «la fase di cognizione del processo che ha accertato il diritto all'indennizzo a carico dello Stato-debitore va considerata unitariamente rispetto alla fase esecutiva eventualmente intrapresa nei confronti dello Stato» (Cass. Sez. U, numero 19883/19 e, da ultimo, ord. numero 18397/23). Ha, altresì, correttamente rilevato, in esito alla sentenza numero 36/16 della Corte Costituzionale ed ai principi enunciati da Cass. Sez. S.U. numero 19883/19, che la durata ragionevole della fase di cognizione di equa riparazione e della correlata esecuzione è di un anno (cfr. da ultimo Cass. Civ. Sez. 6 - 2, Ordinanza numero 2469 del 2023, che richiama il precedente Cass. Sez. 2, Ordinanza numero 10182 del 30/03/2022). 3.1.2. Tuttavia, una volta rilevati i tempi di durata delle due fasi (cognizione ed ottemperanza) del giudizio presupposto di equa riparazione (v. sentenza, p. 6 ultimo capoverso: p. 7, 1° e 2° capoverso) non ha applicato il principio, già enunciato da questa Corte, per qui «agli effetti dell'apprezzamento del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, tale durata [del processo presupposto] va calcolata avendo riguardo all'intero svolgimento del processo medesimo, e non verificando se ciascuno dei suoi singoli gradi o fasi si sia, o meno, protratto oltre il rispettivo standard di ragionevolezza. Ne consegue che, qualora il processo si sia svolto in più gradi, come nel caso in esame, la durata complessiva si determina sommando il tempo effettivo trascorso per la sua definizione, senza alcun arrotondamento per i singoli gradi e con esclusione dei periodi di sospensione e di quelli compresi tra il dies a quo per proporre le impugnazioni ed il momento in cui l'impugnazione è effettivamente proposta, con arrotondamento ad un anno della frazione superiore a sei mesi operato solo una volta sulla durata complessiva così determinata» (Cass. Sez. 2, Sentenza numero 7943 del 2023; Cass. Sez. 2, 05/07/2022, numero 21194; Cass. Sez. 2, 30/10/2019, numero 27782; Cass. Sez. 6 - 2, 21/01/2019, numero 1520; Cass. Sez. 1, 13/04/2006, numero 8717). 3.1.3. Applicando il suddetto principio al caso che ci occupa, e tenendo conto delle risultanze riportate nel decreto impugnato: - il giudizio presupposto di cognizione relativo all'accertamento del diritto (articolato nella sola fase camerale), è iniziato il 25/6/2012, data di deposito del ricorso ex articolo 3 legge numero 89 del 2001 ed è terminato l'11/12/2017, data di deposito del decreto monocratico e, quindi, è durato 5 anni, 5 mesi e 16 giorni; - il primo giudizio presupposto di ottemperanza relativo alla riscossione del credito è iniziato il 20/11/2020, data della notifica del primo ricorso per l'ottemperanza a giudicato ed è terminato il 12/5/2021, data di deposito della prima sentenza e, quindi, è durato 5 mesi e 22 giorni. - il secondo giudizio presupposto di ottemperanza relativo alla riscossione del credito, è iniziato il 28/2/2022, data della notifica del secondo ricorso per l'ottemperanza a giudicato ed è terminato il 5/10/2022, data di deposito della seconda sentenza e, quindi, è durato 7 mesi e 7 giorni. 3.2. Diversamente da quanto dedotto dal giudice dell'opposizione, la non ragionevole durata maturata nel segmento temporale interessato dal giudizio di cognizione e dai due giudizi di ottemperanza non è di 4 anni a carico del Ministero della Giustizia e di 1 anno a carico del MEF (v. decreto p. 7, 3° capoverso): poiché la durata complessiva del procedimento di equa riparazione presupposto ammonta a 6 anni, 6 mesi e 15 giorni; detratto il periodo di ragionevole durata di un anno e stante la frazione di tempo residua superiore ai sei mesi, a séguito dell'arrotondamento, operato un'unica volta, l'irragionevole durata del giudizio di equa riparazione presupposto raggiunge i 6 anni. 3.3. Ritenuta fondata la domanda in riferimento a ciascuna delle due fasi (cognizione ed ottemperanza), occorre determinare distintamente l'importo gravante su ciascuna delle due amministrazioni, in relazione all'entità del ritardo imputabile rispettivamente al giudice ordinario e al giudice amministrativo (cfr. Cass. 33764/2022). Nel caso di specie, la ripartizione va operata nel senso di rispettare i tempi del processo identificati nei giudizi di merito: il giudizio di cognizione ha avuto la durata di 5 anni, quello di ottemperanza (complessivamente nei due distinti giudizi) di 1 anno e 29 giorni. Di conseguenza, deve essere addebitato al Ministero della Giustizia l'equivalente del compenso utilizzando il moltiplicatore per anni cinque, e al MEF l'equivalente del compenso utilizzando il moltiplicatore per un solo anno. 4. Con il terzo motivo si deduce nullità del decreto collegiale e del procedimento; anomalia motivazionale - in relazione alla liquidazione e quantificazione dei compensi del procedimento di opposizione - per: a. mancanza di motivazione sotto l'aspetto materiale e grafico; b. motivazione apparente; c. motivazione perplessa; d. motivazione obiettivamente incomprensibile; violazione e/o falsa applicazione delle norme ex articolo 132, comma 2, numero 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111 Cost. (articolo 360, comma 1, numero 4 cod. proc. civ.). Il ricorrente osserva che in presenza di un'analitica nota spese della parte vittoriosa non poteva il giudice dell'opposizione limitarsi a una globale determinazione dei compensi in misura inferiore (ma neanche superiore) a quella esposta senza fornire adeguata spiegazione delle ragioni della riduzione o esclusione delle singole voci indicate e richieste, ma aveva l'obbligo di dare ragione delle voci che ritenga di eliminare o ridurre. Di contro, il giudice dell'opposizione ha reso uno scarno apparato argomentativo che non consente di comprendere e verificare la determinazione e liquidazione dei compensi del procedimento di opposizione effettuata, in particolare: i parametri professionali; la tabella; lo scaglione di valore della causa; le specifiche attività effettivamente ritenute come espletate; le specifiche attività processuali ritenute rientranti nella fase istruttoria o di trattazione come tali ritenute non espletate e non liquidate; le voci dei parametri e della tabella per le fasi in concreto espletate e liquidate; la misura della riduzione dei valori medi applicata; l'importo liquidato per ciascuna fase in concreto espletata e liquidata; l'incongrua e riduttiva liquidazione e quantificazione. Con ciò non consentendo di controllare il criterio logico e/o giuridico in base al quale egli ha affermato il proprio convincimento e, in particolare, di come sia pervenuto alla liquidazione e quantificazione dei compensi del giudizio di opposizione, né di comprendere le effettive ragioni per cui ha ritenuto di liquidare i compensi in misura inferiore ai valori medi, e neanche di verificare il rispetto dei valori minimi. 5. Con il quarto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione - in relazione alla liquidazione e quantificazione dei compensi del procedimento di opposizione e, in particolare, alla mancata liquidazione del compenso per la fase istruttoria o di trattazione, alla violazione dei valori minimi dei parametri professionali che sono inderogabili e alla liquidazione di somme simboliche non consone al decoro della professione - delle norme ex articolo 10,14,91 cod. proc. civ., 2233, comma 2, cod. civ., 24, comma 1, L. 13/6/1942numero 794, 13, comma 6, L. 31/12/2012 numero 247, 2, comma 1, 4, commi 1 e 5, 5, commi 1 e 3, D.M. 10/3/2014 numero 55, 6, 7, comma 1, D.M. 13/8/2022 numero 147 nonché della nuova tabella 12 D.M. 10/3/2014numero 55 (articolo 360, comma 1, numero 3 cod. proc. civ.). In tesi: il giudice dell'opposizione - tenuto conto dei vigenti parametri professionali (D.M. 10/3/2014 numero 55, come modificato dal D.M. 13/8/2022 numero 147), della nuova tabella 12 dei parametri professionali relativa giudizi innanzi alla Corte di Appello, dello scaglione di valore della controversia compreso tra € 1.100,01 ed € 5.200,00, delle quattro fasi previste dalla tabella espletate (fase di studio, fase introduttiva, fase istruttoria o di trattazione e fase decisionale) e del valore inferiore a quello medio e superiore a quello minimo liquidato – avrebbe dovuto liquidare al ricorrente i compensi del procedimento di opposizione in misura non inferiore a €. 2.186,25. 6. Il terzo e quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto entrambi censurano il decreto impugnato nella parte relativa alla liquidazione dei compensi in fase di opposizione. Essi sono fondati nei limiti di quanto di séguito esposto. 6.1. Deve, innanzitutto, ribadirsi che, ai fini della liquidazione in sede giudiziale del compenso spettante all'avvocato nel rapporto col proprio cliente, in caso di mancata determinazione consensuale, come ai fini della liquidazione delle spese processuali a carico della parte soccombente, nella vigenza dell'articolo 4, comma 1, del D.M. numero 55 del 2014, come modificato dal D.M. numero 37 del 2018 e che permane a seguito del D.M. 13 agosto 2022, numero 147, dell'articolo 4, comma 1, del D.M. 10 marzo 2014, numero 55, il giudice non può in nessun caso diminuire oltre il 50% i valori medi di cui alle tabelle allegate (per tutte: Cass. Sez. 2, Sentenza numero 11788 del 2023). Nel caso di specie, la Corte territoriale ha proceduto alla liquidazione «inferiore alla media», motivando la sua scelta in tal senso («in relazione alla corrispondente complessità della controversia, alla sua natura e valore, alle questioni trattate»: v. decreto p. 7, ultimo rigo; p. 8, 1° rigo); non ha, tuttavia, specificato la tabella e lo scaglione di riferimento, oltre a non aver conteggiato nel compenso la fase istruttoria/di trattazione. 6.2. Quanto alla tabella applicabile al giudizio di opposizione, questa Corte ha già precisato come il procedimento per l'equa riparazione del pregiudizio derivante dalla violazione del termine di ragionevole durata del processo vada considerato, ai fini della liquidazione dei compensi spettanti all'avvocato, quale procedimento avente natura contenziosa, con la conseguenza che, nel caso in esame, trova applicazione la tabella 12 allegata al D.M. 10 marzo 2014, numero 55 per i procedimenti collegiali dinanzi alla corte d'appello e la numero 13 per quelli di legittimità (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza numero 17524 del 2022; Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza numero 15493 del 21/07/2020, Rv. 658776 – 01; Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza numero 16770 del 21/06/2019, Rv. 654610 – 01; Cass. Sez. 2, 10/04/2018, numero 8818; Cass. Sez. 2, 28/02/2018, numero 4689; Cass. Sez. 6 - 2, 14/11/2016, numero 23187; Cass. Sez. 1, 17/10/2008, numero 25352). Nel caso di specie, inoltre, si applicano le nuove tabelle, poiché le prestazioni defensionali si sono svolte successivamente alla loro entrata in vigore (23.12.2022), a séguito di modifica del D.M. 13 agosto 2022, numero 147. 6.3. Quanto allo scaglione di riferimento, nel caso di specie si è dinanzi alla situazione di opposizione ex articolo 5-ter della l. numero 89 del 2001 che investe la questione della determinazione del quantum del danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo. In tal caso, questa Corte in più occasioni ha affermato che il giudizio di opposizione non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza una fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo; senonché, ove detta opposizione sia proposta dalla parte privata rimasta insoddisfatta dall'esito della fase monitoria e, dunque, abbia carattere pretensivo, le spese di giudizio vanno liquidate in base al criterio della soccombenza, a misura dell'intera vicenda processuale, solo in caso di suo accoglimento, come nel caso che ci occupa, mediante l'utilizzazione dello scaglione di valore relativo alla somma in concreto liquidata alla parte privata a titolo di indennizzo per equa riparazione (ex multis: Cass. 2/8/23 numero 23599; Cass. 25/7/23 numero 22345; Cass. 13/6/23 numero 16803; Cass. numero 32458/2021; Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza numero 9728 del 26/05/2020, Rv. 658012 - 01; Cass. Sez. 6 - 2, Sentenza numero 26851 del 22/12/2016, Rv. 641924 – 01). Nel caso in esame, avendo il giudice dell'opposizione riformulato la determinazione del compenso in complessivi €. 2.000,00 (€. 1.600,00 a carico del Ministero della Giustizia, €. 400,00 a carico del MEF), in questa sede peraltro ulteriormente aumentato tenuto conto di un'annualità in più nella liquidazione, lo scaglione di riferimento è quello che prevede un minimo di €. 1.100,01 e un massimo di €. 5.200,00. 6.4. Quanto alla fase istruttoria, essa è stata esclusa dal giudice dell'opposizione in quanto ha valutato «la memoria ex articolo 127 ter cod. proc. civ. alla stregua della memoria illustrativa della fase decisoria, data la particolarità del giudizio di equa riparazione che si chiude con un decreto successivo al deposito della detta memoria»: con ciò facendo errata applicazione del principio espresso nella pronuncia di questa Corte citata dal decreto impugnato (Cass. Sez. 3, Ordinanza numero 10206 del 16/04/2021, Rv. 661243 - 01), riferito ai casi (come quello discusso nella pronuncia citata) in cui emerge dagli atti che la fase istruttoria e di trattazione non ha avuto luogo in secondo grado, in quanto lo svolgimento del giudizio di appello si era articolato unicamente nella prima udienza, nella quale, peraltro, non risultava svolta nessuna delle attività previste dall'articolo 350 cod. proc. civ. ovvero di quelle riconducibili alla previsione dell'articolo 4, comma 5, lettera c) del D.M. numero 55 del 2014, nonché nella successiva udienza di precisazione delle conclusioni. 6.5. Compete, dunque, al ricorrente sicuramente anche il compenso per la fase istruttoria, alla luce dei precedenti di questa Corte che ne hanno riconosciuto l'applicabilità nei giudizi di equa riparazione (per tutte, di recente: Cass. Sez. 2, Ordinanza numero 23906 del 2024; Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza numero 38477 del 06/12/2021, Rv. 663222 – 01), non avendo il giudice dell'opposizione escluso la totale inesistenza della fase di istruzione/trattazione, diversamente da quanto sostenuto nel controricorso (p. 6, 2° capoverso). Del resto, si osserva che il parametro tabellare di cui al D.M. numero 55 del 2014 è riferito alla «fase istruttoria e/o di trattazione», discendendone che l'eventuale mancato svolgimento della fase istruttoria in sé e per sé considerata (ossia di alcuna delle attività che in tale fase sono da intendersi comprese secondo l'indicazione esemplificativa contenuta nel comma 5, lett. c, dell'articolo 4 d.m. numero 55 del 2014) non vale ad escludere il computo, ai fini della liquidazione giudiziale dei compensi, dell'importo spettante per la fase così come complessivamente considerata nelle tabelle, restando questo comunque riferibile anche solo alla diversa fase della trattazione (come dimostra l'uso, nella descrizione in tabelle della corrispondente voce, della congiunzione disgiuntiva «o», sia pure in alternativa alla congiunzione copulativa «e»: «e/o»: v. Cass. numero 28627/2023; Cass. Sez. 2, numero 3242 del 05.02.2024). 7. Per le ragioni sopra esposte, il decreto impugnato merita di essere cassato in parte qua. Si può procedere alla decisione della causa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, liquidando le spese per la fase istruttoria nel giudizio di opposizione secondo le tariffe minime, oltre alle spese del presente giudizio, con distrazione a favore degli avvocati (omissis) (per la fase di opposizione) e (omissis) (per la fase di legittimità) che ne hanno fatto richiesta. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, così provvede: - liquida a carico del Ministero della Giustizia l'indennizzo di euro 2.000,00; - liquida a carico del Ministero dell'Economia e delle Finanze l'indennizzo di euro 400,00; - liquida le spese, a carico dei controricorrenti: - per la fase istruttoria nel giudizio di opposizione, €. 496,00 da distrarsi in favore dell'avvocato (omissis); - per il presente giudizio, €. 940,00, da distrarsi in favore dell'avvocato (omissis).