NASpI e assegno di invalidità: sul termine di decadenza per l’esercizio del diritto di opzione

In materia di divieto di cumulo tra prestazioni previdenziali, è stato ribadito che in assenza di un termine di decadenza previsto dal legislatore per l’esercizio del diritto di opzione, non può essere l’INPS a determinarlo autonomamente.

La controversia in esame riguarda divieto di cumulo tra le prestazioni di disoccupazione e l'assegno di invalidità, quest'ultimo disciplinato dal d.l.148/93, che vieta la coesistenza dei due trattamenti senza l'esercizio di un diritto di opzione da parte dell'interessato. Nello specifico, il Tribunale aveva respinto la domanda dell'attrice per la tardiva comunicazione della scelta tra le due prestazioni, ovvero il trattamento di disoccupazione e l'assegno di invalidità, con un termine di 60 giorni previsto per l'esercizio dell'opzione. Tuttavia, la Corte d'Appello di Milano, evidenziando che la normativa applicabile non prevede un termine di decadenza per l'esercizio di tale diritto di opzione e che un tale termine non può essere introdotto tramite circolare dell'INPS, riconosceva il diritto dell'appellante a percepire l'indennità NASpI nonostante fosse già titolare di un assegno ordinario di invalidità. L'INPS, insoddisfatta della decisione, proponeva allora ricorso per cassazione. La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, si è orientata verso una tutela dei diritti dei lavoratori invalidi, concedendo loro la possibilità di scegliere tra i due trattamenti senza subire penalizzazioni per la scelta tardiva, in assenza di un termine di decadenza esplicitamente previsto dalla legge. In particolare, i Giudici hanno escluso che l'INPS possa fissare autonomamente un termine di decadenza, richiamando la Corte Costituzionale che in materia ha stabilito che i lavoratori invalidi hanno il diritto di optare per il trattamento di disoccupazione, senza essere soggetti a decadenza automatica. «A superare automatici effetti decadenziali non previsti dal legislatore per il caso di omesso esercizio del diritto di opzione della prestazione NASpI richiesta in costanza di erogazione di assegno ordinario di invalidità e nell'ottica di ragionevolezza della portata applicativa del divieto di cumulo temperato dalla facoltà di opzione, il rimedio della mancata indicazione legislativa del termine entro il quale l'opzione vada esercitata non può che rinvenirsi nel sistema: “Ne consegue che l'esercizio dell'opzione costituisce -in presenza della causa di decadenza dal diritto alla fruizione dell'indennità rappresentato dalla titolarità dell'assegno ordinario di invalidità (già in godimento o successivamente riconosciuto)- una condizione di erogabilità della prestazione cui si collega anche il diritto alla ripetizione delle somme eventualmente erogate indebitamente in mancanza di scelta da parte dell'interessato” (Cass. numero 23040/2024)». Tale conseguenza – ha, infine, spiegato la Cassazione - corrisponde a quanto stabilito nella sentenza impugnata, laddove l'ente previdenziale è stato condannato al pagamento della somma dovuta a titolo di NASpI durante il periodo di contemporanea erogazione dell'assegno di invalidità e prima dell'esercizio del diritto di opzione tardivamente esercitato dal richiedente, importo «da cui va detratto quanto già percepito a titolo di invalidità, oltre interessi legali». Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte ha, dunque, respinto il ricorso dell'INPS.

Presidente Garri - Relatore Orio Rilevato che 1. La Corte d'appello di Milano ha accolto l'impugnazione di A.L.M.N. riconoscendole, in riforma della pronuncia di primo grado, il diritto a percepire l'indennità NASpI richiesta in data successiva al riconoscimento delle condizioni sanitarie ai fini dell'assegno ordinario di invalidità. Il Tribunale - affermato il divieto di cumulo tra indennità di disoccupazione ed assegno di invalidità, e richiamata la sentenza della Corte Costituzionale numero 234/2011 sulla illegittimità dell'articolo 6 comma 7 D.L. numero148/93 nella parte in cui non prevede, per i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità e che si trovino ad avere diritto a prestazioni di disoccupazione, il diritto di opzione fra tali trattamenti - aveva respinto la domanda per comunicazione tardiva della scelta indennitaria, oltre il termine di 60 giorni dal provvedimento di accoglimento della domanda di invalidità. La Corte territoriale per contro ha evidenziato che dalla normativa richiamata dalle parti non è ricavabile alcun termine di decadenza per l'esercizio, da parte dell'assicurato, dell'opzione fra assegno di invalidità e trattamento di disoccupazione. Ha sottolineato che un termine decadenziale per esercitare il diritto di opzione non può essere introdotto attraverso una circolare dell'Istituto previdenziale. Quindi, ha riconosciuto il diritto dell'appellante a percepire l'indennità NASpI con condanna dell'INPS al pagamento di una somma di € 10.286,74, con detrazione di quanto già percepito a titolo di invalidità. 2. L'INPS propone ricorso per la cassazione della sentenza affidandosi ad un unico motivo, a cui A.L.M.N. resiste con controricorso. All'udienza camerale del 15 novembre 2024 la Corte si è riservata di decidere. Considerato che 1. Con l'unico motivo il ricorrente istituto censura, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, numero3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell'articolo 6, settimo comma, del D.L. numero138/1993 conv. in L. 236/1993, e degli articolo 2, comma 24-bis della L. numero 92/2012, e 14 del D.Lgs. numero22/2015, vigente ratione temporis, in relazione all'articolo 1287, secondo comma, cod. civ. Premesso che il riconoscimento in data 23/10/17 dell'assegno ordinario di invalidità richiesto il 6/10/17 aveva preceduto la domanda di NASpI presentata il 15/11/17 senza alcuna indicazione del diritto di opzione, e che la comunicazione dell'esercizio di tale facoltà era stata inoltrata con mail del 30/1/2018 in risposta alla richiesta di INPS del 28/11/2017, l'istituto ricorrente si duole della soluzione accolta in appello dalla quale risultava la possibilità di corrispondere entrambe le prestazioni (assegno di invalidità e indennità NASpI) nonostante un esplicito divieto di cumulo, finché il richiedente non eserciti l'opzione; la pronuncia della Corte Costituzionale numero218/95 aveva invece escluso il cumulo, tant'è che in caso di opzione del trattamento di disoccupazione l'assegno di invalidità rimane sospeso per tutto il periodo di fruizione del primo. Ritiene l'INPS la sussistenza di una alternatività fra le due obbligazioni previdenziali che, secondo la disciplina dell'articolo 1287 c.c., consente al debitore di fissare un termine per l'esercizio della scelta di una delle due prestazioni in caso di inerzia della facoltà spettante al creditore. Inoltre, nel caso di diritto all'assegno ordinario di invalidità sopravvenuto al godimento del trattamento di disoccupazione, l'articolo 11, co.1, lett. e), del D.lgs. 22/2015 prevede la decadenza dalla NASpI in difetto di opzione al momento in cui si verifica l'evento che la determina, mentre nel diverso caso di sopravvenienza della NASpI durante la fruizione di un assegno di invalidità, in mancanza di un termine espressamente previsto alla legge, l'INPS lo aveva previsto con una circolare, restando irrilevante l'esercizio tardivo del diritto di opzione, né esso poteva intendersi implicitamente esercitato con la mera presentazione della domanda NASpI; decorso il termine, la richiedente aveva perduto la facoltà di scelta, con esclusione del diritto a tale indennità, al pari di quanto normativamente previsto per l'indennità di mobilità secondo cui, ai sensi dell'articolo 6 co.7 D.L. 148/93, i lavoratori che fruiscono dell'assegno ordinario di invalidità devono optare fra tali trattamenti all'atto di iscrizione nelle liste di mobilità. In definitiva, trattasi di due erogazioni fra loro incompatibili con onere per il richiedente di dichiarare all'istituto la propria scelta per una delle due prestazioni. 2. Nel controricorso l'interessato segnala che alcuna disposizione normativa prevede l'esercizio del diritto di opzione quale requisito per il riconoscimento della NASpI, o la decadenza dalla prestazione per omesso o ritardato esercizio dell'opzione. Evidenzia inoltre una possibile disparità di trattamento fra il lavoratore inabile titolare di assegno ordinario di invalidità che, avendo diritto all'indennità di mobilità a seguito di licenziamento, rischierebbe di perdere la prestazione a sé più favorevole ove non comunichi l'esercizio dell'opzione, e colui che avrebbe diritto al solo trattamento di mobilità; e non sarebbe ammissibile la previsione di un termine di decadenza in mancanza di un'espressa normativa di riferimento che la disciplini, né sarebbe ragionevole richiamare la disciplina delle obbligazioni alternative per introdurre un termine di decadenza nell'esercizio di diritti di protezione costituzionale. Peraltro, l'INPS potrebbe recuperare o compensare quanto già corrisposto, senza introdurre in circolare un termine decadenziale, e potendo ripetere la prestazione non dovuta. In memorie illustrative richiama precedenti giurisprudenziali di legittimità a proprio favore. 3. Il ricorso è infondato e va respinto. 3.1. Il divieto di cumulo dei trattamenti di disoccupazione con le prestazioni pensionistiche di invalidità, vecchiaia e superstiti poste a carico dell'AGO è espressamente previsto dall'articolo 6 comma 7 del D.L. numero148 del 1993 convertito in L. numero236/1993 in cui si afferma la incompatibilità dei due trattamenti. Si tratta di divieto fondato, con specifico riferimento all'assegno di invalidità, sulla identità dell'elemento costitutivo della “incollocazione” (lo ricorda la pronuncia di questa Corte resa con ord. numero 9808/2012). Vi è connessa la facoltà per l'interessato di optare fra le due prestazioni. Con due interventi della Corte costituzionale è stato precisato che l'articolo 6 comma 7 è illegittimo nella parte in cui non prevede che all'atto di iscrizione nelle liste di mobilità i lavoratori che fruiscono dell'assegno o della pensione di invalidità possano optare tra tali trattamenti e quello di mobilità nei modi e con gli effetti previsti dagli articolo 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge del 16 maggio 1994, numero 299, convertito in legge 19 luglio 1994, numero 451 (Corte cost. numero218 del 1995). Con la sentenza numero234 del 2011, poi, è stata ritenuta l'illegittimità costituzionale nella parte in cui dette norme non prevedono, per i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di invalidità, nel caso si trovino ad avere diritto ai trattamenti di disoccupazione, il diritto di optare tra tali trattamenti e quelli di invalidità, limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato. In particolare con la prima pronuncia è stato affermato che: “in base al principio di eguaglianza e di ragionevolezza, cui il legislatore deve osservanza nello stabilire eventuali rapporti di non cumulabilità tra prestazioni previdenziali e assistenziali, non può pretermettersi che, in generale, chi subisce più eventi pregiudizievoli, si trovi esposto ad una situazione di bisogno maggiore di chi ne subisce uno solo e quindi il primo non può avere, rispetto al secondo, un trattamento deteriore, pur dovendo farsi a tal fine una ponderazione globale e complessiva dei plurimi trattamenti astrattamente spettanti, in ragione dei plurimi eventi verificatisi. In particolare, quando i plurimi eventi sono quelli del collocamento in mobilità e dell'invalidità e i trattamenti astrattamente concorrenti sono quelli dell'indennità di mobilità e dell'assegno (o pensione) di invalidità, il rigido regime della non cumulabilità di tali trattamenti, non temperato dalla facoltà di opzione, disposto dal D.L. numero 148 del 1993, articolo 6, comma 7, (conv. in L. numero236 del 1993), è incongruente e ingiustificato poiché, trovandosi il lavoratore parzialmente invalido, collocato in mobilità, in situazione di maggior bisogno del lavoratore valido, anch'esso collocato in mobilità, ed essendo l'importo dell'indennità di mobilità maggiore sia della pensione che dell'assegno di invalidità, il lavoratore invalido si trova a percepire una prestazione quantitativamente inferiore a quella del lavoratore valido”. Ad analoga soluzione perviene Corte Cost. numero234/2011 superando la diversità di disciplina tra indennità di disoccupazione ed indennità di mobilità ai fini dell'esercizio del diritto di opzione con l'assegno ordinario di invalidità già in corso di erogazione. 3.2. Il divieto di cumulo è dunque temperato dalla facoltà di opzione, il cui mancato esercizio è disciplinato espressamente, in tema di NASpI, dall'articolo 11 comma 1 lett. e) del d.lgs. 22/2015 (e, per la prestazione ASpI, dall'articolo 2 comma 40 lett.D L.92/12), con la previsione della decadenza dal trattamento se ad esso sopravvenga l'acquisizione del diritto all'assegno ordinario di invalidità. Non altrettanto è stato, tuttavia, previsto per il caso inverso, di trattamento di assegno di invalidità precedente alla domanda di NASpI. Seguendo la parallela disciplina dell'indennità di mobilità, l'articolo 2 comma 5 del d.l. 299/1994 aveva introdotto all'articolo 6 comma 7, del d.l. 148/93 conv. in L. numero236/93, l'ulteriore periodo secondo il quale all'atto della iscrizione nelle liste di mobilità i lavoratori che fruiscono dell'assegno o pensione di invalidità devono optare tra tali trattamenti e quello di mobilità, aggiungendo che “in caso di opzione a favore del trattamento di mobilità l'erogazione dell'assegno o della pensione di invalidità resta sospesa per il periodo di fruizione del predetto trattamento”. In sostanza, non è prevista un'automatica conseguenza decadenziale. 4. Sul punto, si innesta la questione interpretativa sollecitata dall'INPS nel suo motivo di ricorso, inerente al rinvio alla disciplina codicistica in tema di obbligazioni alternative. In presenza di una alternatività fra le due obbligazioni previdenziali sarebbe consentito al debitore, secondo la disciplina dell'articolo 1287, comma 2, c.c. di fissare un termine per l'esercizio della scelta di una delle due prestazioni in caso di inerzia della facoltà spettante al creditore; il mancato esercizio di tale facoltà “nel termine stabilito” o in quello fissatogli dal debitore, comporta che la scelta passi a quest'ultimo. 5. Rileva il Collegio che questa Corte si è già pronunciata al riguardo evidenziando che “sebbene non si possa avere nel caso dell'iscrizione alle liste di mobilità alcun passaggio della facoltà di scelta al debitore, trattandosi di obbligazioni pubbliche in cui il comportamento dell'ente previdenziale è interamente assoggettato alla volontà di legge, tuttavia l'opzione fra i due trattamenti non potrebbe essere esercitata in ogni tempo, ma deve piuttosto intervenire all'atto dell'iscrizione nelle liste di mobilità a pena di decadenza” (in tali termini, cfr. Cass. sent. numero 23040/2024; e nello stesso senso, anche ord. numero24751/2023). A tale orientamento la Corte intende dare continuità non ravvisandosi ragioni per mutare indirizzo. Si aggiunga che l'articolo 1287 c.c. disciplina l'ipotesi di una condanna alternativa a due prestazioni rimaste ineseguite e la decadenza dalla facoltà di scelta, non dal diritto a ricevere la prestazione, condizioni non ricorrenti nella scrutinata incumulabilità di prestazioni, risolta con l'ineliminabile facoltà di opzione costituzionalmente garantita. 6. A ben vedere, poi, l'incompatibilità dei due trattamenti preclude anche la loro alternatività genetica o sopravvenuta, ossia la contemporanea presenza delle due prestazioni. Per quanto innanzi visto, nel caso di assegno ordinario di invalidità sopravvenuto al trattamento NASpI il lavoratore decade dalla fruizione di quest'ultima, salvo il diritto di opzione (articolo 11 d.lgs. 22/2015), mentre nel caso inverso di assegno ordinario di invalidità preesistente al trattamento di mobilità (o di disoccupazione, evitando disparità di trattamento a mente di Corte Cost. 234/2011) l'assegno è sospeso per il periodo di fruizione del trattamento e finché non è esercitata l'opzione. 7. Esclusa la coeva coesistenza dei due trattamenti previdenziali si supera anche il problema della individuazione del momento in cui l'opzione vada esercitata, ancorato alla domanda, in tal modo evitando la previsione di un termine decadenziale di fonte non legislativa, ove introdotto attraverso circolare INPS (mero atto di interpretazione normativa e non vincolante), ed al tempo stesso evitando che l'opzione sia esercitata in ogni tempo a discapito dell'esigenza di stabilizzare una situazione giuridica di incompatibile cumulo di due prestazioni. A superare automatici effetti decadenziali non previsti dal legislatore per il caso di omesso esercizio del diritto di opzione della prestazione NASpI richiesta in costanza di erogazione di assegno ordinario di invalidità e nell'ottica di ragionevolezza della portata applicativa del divieto di cumulo temperato dalla facoltà di opzione, il rimedio della mancata indicazione legislativa del termine entro il quale l'opzione vada esercitata non può che rinvenirsi nel sistema: “Ne consegue che l'esercizio dell'opzione costituisce -in presenza della causa di decadenza dal diritto alla fruizione dell'indennità rappresentato dalla titolarità dell'assegno ordinario di invalidità (già in godimento o successivamente riconosciuto)- una condizione di erogabilità della prestazione cui si collega anche il diritto alla ripetizione delle somme eventualmente erogate indebitamente in mancanza di scelta da parte dell'interessato” (cfr. Cass. 23040/2024). 8. Tale conseguenza corrisponde esattamente a quanto statuito nella impugnata sentenza di appello, laddove l'INPS è stato condannato al pagamento della somma dovuta a titolo di NASpI durante il periodo di contemporanea erogazione dell'assegno di invalidità, e prima dell'esercizio del diritto di opzione tardivamente esercitato dal richiedente, importo “da cui va detratto quanto già percepito a titolo di invalidità, oltre interessi legali”: la soluzione adottata dal giudice di merito si sottrae alle censure di legittimità, per coerenza con le disposizioni normative, continuità all'orientamento formatosi in giurisprudenza, ed uniformità ai principi di diritto elaborati. 9. Per questi motivi il ricorso va respinto. La recente evoluzione giurisprudenziale e la novità delle questioni di diritto affermatesi in epoca successiva alla proposizione del ricorso per cassazione giustificano la compensazione delle spese della presente fase. Segue la statuizione in tema di versamento del contributo unificato ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater d.P.R. numero 115/02. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. numero115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.