Complicazioni post intervento laser: quando è responsabile anche la struttura sanitaria “ospitante”?

Una struttura sanitaria che concede in locazione degli immobili ad una società di medici non risponde dei danni causati da uno di questi ad un paziente, in quanto il rapporto di locazione tra un centro medico ed un dottore non implica che il primo debba rispondere degli errori professionali del secondo.

Nel caso in esame, in seguito ai danni determinati da un intervento laser agli occhi, l’attore chiedeva il risarcimento al medico che a sua volta chiamava in causa anche la casa di cura presso cui era stata eseguita l’operazione. La domanda veniva inizialmente rigettata dal Tribunale sulla scorta di una CTU che sembrava escludere il nesso causale, ma in Appello, i giudici di secondo grado ribaltavano la decisione, pur ridimensionando il risarcimento richiesto dal paziente. Avverso tale decisione, presentava ricorso per cassazione la casa di cura ospitante, la quale negava di avere con il medico un qualche tipo di rapporto che potesse renderla responsabile delle condotte di costui, avendo concluso un semplice contratto di locazione di un locale (con relativa strumentazione). I Giudici, censurando la tesi della Corte di Appello per cui tra la struttura e il dottore intercorreva un contratto con effetti protettivi verso il paziente, hanno spiegato che la casa di cura risponde del fatto del medico soltanto qualora si sia avvalsa della sua opera nell’adempimento della propria obbligazione: «occorre dunque che la struttura abbia assunto obbligazione verso il paziente e, per adempiervi, si sia avvalsa del medico.» «La responsabilità della struttura locatrice non si giustifica» – ha spiegato la Suprema Corte - «in base al contratto di locazione, dal quale come è noto sorgono responsabilità per il locatore per i danni a terzi causati dalla cosa locata, non da quello che il conduttore personalmente compie all’interno dell’immobile.» Si è, inoltre, sottolineato che la locazione degli strumenti di lavoro da parte della casa di cura non implica automaticamente che la struttura sia responsabile per le azioni di chi utilizza tali attrezzature, a meno che non sia dimostrato un difetto di funzionamento. In tal caso, la responsabilità verrebbe attribuita a diverso titolo che, tuttavia, non rileva nel caso di specie, ove il danno è stato causato dalle azioni del medico e non da un difetto degli strumenti di lavoro. La Cassazione ha, dunque, accolto il ricorso enunciando il principio di diritto secondo cui «la struttura sanitaria che abbia concesso in locazione alcuni suoi immobili ad una società di medici non risponde dei danni causati da uno di questi ad un paziente, in quanto il rapporto di locazione tra una struttura ed un medico, ed a maggiore ragione tra una struttura ed una società di medici, non comporta che la prima debba rispondere degli errori professionali dei secondi».

Presidente Vincenti - Relatore Cricenti Fatti di causa 1. - Ba.En. si è sottoposto ad un intervento laser agli occhi, eseguito presso la casa di cura VILLA ANNA di San Benedetto del Tronto, dal dott. Ol.Lu. Dall'intervento sono risultati danni alla vista. Il Ba. ha dunque citato in giudizio il medico chiedendo un risarcimento dei danni per un ammontare di 1.160.000 euro. 2. - Il medico ha chiamato in causa sia la casa di cura VILLA ANNA che la compagnia di assicurazione di costei, che però si è costituita per dire che il portafoglio delle polizze era stato ceduto a Generali Spa. Quest'ultima ha spiegato intervento volontario, ma, a sua volta ha eccepito che il medico convenuto in giudizio non aveva azione diretta, non poteva, cioè, chiamarla direttamente. E dunque alla chiamata ha provveduto di conseguenza la casa di cura. 3. - Il Tribunale di Ascoli Piceno ha rigettato la domanda, sulla scorta di una CTU che ha dubitato del nesso di causa. Ma la Corte di Appello di Ancona ha in parte riformato la decisione di primo grado, poiché ha inteso diversamente la consulenza, nel senso che, secondo i giudici di appello, nella consulenza, il nesso di causalità era affermato come altamente probabile. Ha però notevolmente ridimensionato il danno limitandolo ad un offuscamento della vista, e dunque ha concesso un risarcimento di molto inferiore rispetto alla iniziale domanda. 4. - Questa decisione è oggetto di ricorso per Cassazione da parte della casa di cura VILLA ANNA, con cinque motivi di censura e memoria e da parte di GENERALI ITALIA, con ricorso incidentale basato su due motivi e memoria. Sono costituiti in giudizio con controricorso sia Ba. che Ol., costui anche con memoria. La casa di cura ha altresì notificato controricorso al ricorso incidentale. Ragioni della decisione 1. - Come si è detto, la decisione è oggetto sia di un ricorso principale che di un ricorso incidentale. Il ricorso incidentale, proposto dalle Generali Spa è basato su due motivi che sono formulati a supporto del primo motivo del ricorso principale. Si può dunque scrutinare insieme il ricorso incidentale con il primo motivo del ricorso principale, proprio in quanto entrambi vertono sulla medesima questione. Che è la seguente. Il medico ha chiamato in causa la casa di cura VILLA ANNA, la quale si è difesa negando di avere con il medico un qualche tipo di rapporto che potesse renderla responsabile delle condotte di costui. I giudici di appello hanno disatteso questa tesi sostenendo che era stato stipulato un contratto di spedalità con effetti protettivi verso il terzo. Questa ratio è impugnata con il primo motivo del ricorso principale e con i due motivi del ricorso incidentale. 1.1. - Il primo motivo del ricorso principale prospetta omesso esame di un fatto controverso e rilevante. La casa di cura assume di avere posto la questione della sua estraneità al fatto, ossia di avere eccepito che il suo rapporto con il medico era di semplice locazione di un locale interno alla struttura. La casa di cura aveva, in particolare, concesso in locazione un locale, con relativa strumentazione ad una società, la Refrattiva Srl, di cui era socio il dott. Ol., convenuto per responsabilità professionale dal suo cliente. Con la conseguenza che tra la casa di cura ed il medico non vi era alcun rapporto tale che la prima dovesse rispondere dell'operato del secondo. 1.2. - Questa stessa questione è posta con i due motivi del ricorso incidentale. Il primo motivo denuncia violazione degli articoli 1218,1228 c.c. Il secondo motivo denuncia anche esso violazione degli articoli 1218 e 1228 c.c., oltre che 1372 c.c. In entrambi si aderisce alla questione posta con il ricorso principale. Si assume, cioè, come errata la decisione della Corte di Appello nella parte in cui ha ritenuto la casa di cura responsabile dell'operato del medico. Osserva la ricorrente incidentale che la casa di cura aveva soltanto un rapporto di locazione con la società di cui era socio il medico, e che un rapporto di locazione non è un rapporto di collaborazione professionale, dunque, non è titolo perché la casa di cura risponda dell'attività del medico: essa ne risponde solo se costui è un dipendente, un ausiliario o un collaboratore, ossia contribuisce alla prestazione professionale. Questi tre motivi, che hanno tra loro connessione, sono fondati. La tesi della Corte di Appello è la seguente: tra casa di cura e medico intercorre un contratto con effetti protettivi verso il paziente: tra il medico e la Casa di cura sussiste un contratto che rientra nella fattispecie del contratto con effetti protettivi a favore del terzo. Da tale contratto, a fronte del pagamento del corrispettivo, sorgono a carico della clinica obblighi di tipo alberghiero, di messa a disposizione del personale, di fornitura dalle strutture necessarie, nonché di quanto necessario anche a far fronte all'insorgere di eventuali complicazioni . Inoltre, la Casa di cura è responsabile ai sensi dell'articolo 1228 c.c. poiché, sebbene tra la stessa e il medico non esista rapporto di lavoro subordinato, quando il chirurgo opera all'interno della clinica, assume la veste di ausiliario necessario della struttura stessa . Queste due rationes sono errate. A parte il riferimento al contratto con effetti protettivi a favore di terzo, che è uno schema utilizzato in passato dalla giurisprudenza, ma non più seguito da questa Corte, che anzi ha negato che nel contratto fra medico e struttura possa ravvisarsi un contratto con effetti protettivi per il paziente (Cass. 11320/2022); a parte ciò, la responsabilità della struttura, sia prima che dopo la legge del 2017, ed in questo caso siamo nel regime previgente, presuppone che vi sia un rapporto di tipo professionale tra i due, ossia che il medico collabori con la struttura, in forma autonoma o dipendente, alla prestazione, vale a dire che presuppone che la struttura sia coinvolta nella prestazione sanitaria: occorre un titolo perché essa risponda del fatto del medico. Nella fattispecie, è emerso (ne dà atto la sentenza a pagina 15) che la casa di cura ha concesso in locazione un suo locale, con strumentazione medica, alla società Refrattiva Srl, di cui era socio il dott. Ol. La circostanza che parte del compenso fosse costituito dagli utili, ossia che parte minima del corrispettivo fosse costituita da una percentuale sugli utili, non trasforma quel contratto di locazione in un contratto di collaborazione professionale, così come non lo rende tale il fatto che la strumentazione fosse fornita dalla casa di cura. Ciò in quanto la pattuizione di una percentuale sugli utili, 5%, costituisce una parte del canone di locazione, ed in quanto la concessione in godimento delle strumentazioni fa parte anche essa della locazione, che ben può estendersi alla strumentazione tecnica. Sia chiaro altresì che il fatto che siano locati anche gli strumenti non rende la casa di cura responsabile dell'operato di chi quegli strumenti utilizza, e salvo ovviamente il difetto di funzionamento, ma per il quale la responsabilità è a diverso titolo, e che comunque non è il caso che ci occupa: qui il danno è causato dalla condotta del medico, e non dal difetto dello strumento da costui avuto in godimento dalla casa di cura. La struttura sanitaria risponde dunque del fatto del medico qualora si sia avvalsa dell'opera del medico, nell'adempimento della propria obbligazione (articolo 7 l. n. 24 del 2017): occorre dunque che la struttura abbia assunto obbligazione verso il paziente e, per adempiervi, si sia avvalsa del medico. Valga un argomento a contrario: questa Corte ha statuito che ove l'azienda sanitaria affidi la logistica ad altra azienda nella quale operi un suo medico, ossia un medico a lei legato da un qualche rapporto professionale, essa è chiamata a rispondere dell'operato del sanitario, di cui non risponde invece l'azienda a cui è stata meramente affidata la logistica (Cass. 34516/2023). Ciò a conferma del fatto che l'azienda risponde in quanto il medico che ha operato aveva con lei un rapporto di collaborazione, agiva cioè nell'interesse della struttura anche se materialmente l'intervento è stato eseguito presso una diversa azienda cui era stata affidata semplicemente la logistica. Si consideri, inoltre, che, anche prima della legge del 2017, la responsabilità della struttura per fatto del medico è responsabilità per fatto proprio (Cass. 29001/2021), per cui è pur sempre necessario, anzi lo è a maggior ragione, che la struttura si serva del medico per la prestazione sanitaria, o in un qualche modo condivida con il medico l'interesse alla prestazione sanitaria. Se la struttura risponde per fatto proprio si intende che l'obbligazione è propria, sebbene eseguita da altri (ausiliario, dipendente), e cioè significa che la struttura ha assunto direttamente l'obbligazione di effettuare la prestazione sanitaria. Il che implica che vi sia una fonte di quella obbligazione secondo la previsione codicistica. Del resto, anche a considerare la responsabilità per fatto altrui, allora deve esistere un rapporto con il medico che giustifichi il fatto che la struttura risponde non per un fatto proprio ma per la condotta di costui, e questo rapporto non può essere quello di aver locato ad una società, di cui il medico è parte, i locali dove costui svolge la sua attività. In entrambi i casi, come è agevole intuire, non basta un rapporto di locazione con la società di cui è socio il medico che ha operato: la locazione non comporta assunzione di una obbligazione alla prestazione sanitaria in capo al locatore, né può dirsi che costui trae utilità dall'attività svolta da conduttore nei locali dati in godimento. La responsabilità della struttura locatrice non si giustifica ovviamente nemmeno in base al contratto di locazione, dal quale come è noto sorgono responsabilità per il locatore per i danni a terzi causati dalla cosa locata, non da quello che il conduttore personalmente compie all'interno dell'immobile. E dunque non può ritenersi che il semplice fatto di avere dato in locazione un locale ad una società di cui il medico è socio faccia sorgere responsabilità della locatrice per la colpa professionale del medico, socio della conduttrice: è di tutta evidenza che nel rapporto di locazione non sono coinvolti interessi inerenti alla prestazione sanitaria. La struttura risponde del fatto del medico sul presupposto che esista tra i due un rapporto volto alla esecuzione della prestazione sanitaria, in cui la casa di cura abbia interesse anche proprio alla prestazione sanitaria, interesse che non può dirsi però implicato dalla mera locazione di alcuni locali. Inoltre, va fatto un ulteriore rilievo: nella misura in cui la casa di cura VILLA ANNA ha concesso in locazione i suoi locali ad una diversa società, la Refrattiva Srl, sorge una diversa struttura di riferimento, per l'appunto costituita dalla Refrattiva Srl, e dunque semmai è lei a rispondere del fatto dei propri medici. Ancora una volta valga l'argomento tratto da Cass. 34516/2023: l'affidamento della logistica ad un altro soggetto non esclude la responsabilità dell'affidante, purché il medico sia suo, ossia purché il medico che ha operato presso la società cui la logistica è stata affidata, sia uno che ha rapporti con l'affidante. Ma se invece l'azienda affida la logistica (e non è neanche questo il caso, poiché ha solo concesso in locazione una parte dell'immobile) ad un'altra struttura i cui medici hanno rapporti solo con quest'ultima, è per l'appunto quest'ultima a dover rispondere per fatto del medico. Va quindi enunciato il principio di diritto secondo cui la struttura sanitaria che abbia concesso in locazione alcuni suoi immobili ad una società di medici non risponde dei danni causati da uno di questi ad un paziente, in quanto il rapporto di locazione tra una struttura ed un medico, ed a maggiore ragione tra una struttura ed una società di medici, non comporta che la prima debba rispondere degli errori professionali dei secondi . I tre motivi vanno dunque accolti. Il loro accoglimento determina l'assorbimento del secondo, terzo, quarto e quinto motivo del ricorso principale, in quanto si tratta di censure che attengono al regolamento delle spese e che presuppongono che la casa di cura venga ritenuta responsabile per il fatto del medico: ove questa ipotesi venga meno, viene meno anche il conseguente regime delle spese. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale ed entrambi i motivi del ricorso incidentale. Assorbiti gli altri. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.