Il messaggio WhatsApp inviato due minuti prima del tamponamento prova la distrazione dell'automobilista

Condannato il conducente che, alla guida di un autocarro, ha centrato una vettura ferma sulla corsia di emergenza. A bordo una madre e una figlia, decedute tre mesi dopo l’incidente.

Scenario del drammatico episodio, verificatosi quasi sei anni fa, è un tratto autostradale in Sicilia. Indagato il conducente di un autocarro a seguito del tamponamento di un vettura ferma sulla corsia di emergenza i cui passeggeri, una madre e una figlia, a causa delle gravissime lesioni riportate, morivano tre mesi dopo l’incidente. I giudici di merito condannavano quindi, il conducente dell’autocarro per omicidio stradale, avendo egli «invaso la corsia d’emergenza – su cui l’auto investita da tergo si trovava ferma a causa di un malore della figlia della conducente – travolgendo la vettura in sosta, lungo un tratto di strada caratterizzato da lieve curva a destra, con manto stradale asciutto e buone condizioni di visibilità e senza rilevamento di segni di frenata». Inoltre, secondo il consulente del pubblico ministero: «l’autocarro viaggiava ad una velocità di 115 chilometri orari, velocità superiore a quella consentita, a cavallo tra la propria corsia di marcia e quella d’emergenza; il conducente non ha rispettato la segnaletica orizzontale che demarcava il tratto di strada percorribile rispetto a quello destinato alle fermate d’emergenza; ad esito, poi, di specifica perizia sul suo telefono cellulare, è pure emerso che, durante la guida, l’uomo stava chattando con la fidanzata, avendo scambiato una decina di messaggi nell’arco temporale in cui si iscrive il tamponamento mortale». Impossibile, quindi, secondo i giudici di merito, porre in dubbio l’addebito di colpa a carico del conducente dell’autocarro, poiché «egli ha oltrepassato la suddetta linea di demarcazione, senza neppure avvedersi della presenza dell’auto in sosta sulla corsia di emergenza, e non ha approntato alcuna manovra di frenata», e «quanto alla causa di tale condotta, va ipotizzata la distrazione del conducente, avvalorata dall’esito della perizia svolta sul suo cellulare». Su quest’ultimo punto, in particolare, «lo scambio di messaggi è avvenuto nell’arco temporale in cui si è verificato il sinistro, essendo emerso che tra l’ultimo messaggio (ore 12:53:08) scambiato» dall’uomo con la fidanzata «e il sinistro (ore 12:55:02) era passato poco tempo» e che quell’ultimo messaggio «si collocava in termini di prossimità al sinistro, giustificando la conclusione che l’utilizzo del cellulare è stato la causa della distrazione, non facendosi questione, poi, di imprevedibilità dell’evento, attesa la evidente prevedibilità della presenza di un mezzo sulla corsia di emergenza». La difesa con ricorso per cassazione sosteneva solo una colpa generica a carico del conducente dell’autocarro poiché vi era «la mancata concretizzazione del rischio rispetto all’utilizzo del telefono da parte dell’uomo, non essendo stato dimostrato che ciò fosse avvenuto proprio nel preciso momento in cui si verificò il sinistro, cosicché l’imprudente comportamento non è stato causa diretta o indiretta dell’incidente». Per il Collegio però, la versione proposta dalla difesa è assolutamente priva di fondamento, soprattutto alla luce del quadro probatorio delineato tra primo e secondo grado che ha consentito di appurare che «il conducente dell’autocarro ha perso il controllo del suo mezzo, come dimostrato dal mancato rilevamento di tracce di frenata, e ha violato la segnaletica stradale, vale a dire la linea divisoria che separa la corsia di marcia da quella riservata ai soli veicoli in fermata d’emergenza». Senza dimenticare, poi, le conseguenze drammatiche dell’incidente, ossia la morte della madre e della figlia presenti nella vettura in sosta. Decisivo infine, il riferimento all’accertato utilizzo del telefono cellulare (scambio messaggistica via ‘WhatsApp’) da parte del conducente dell’autocarro: «una volta dimostrata l’invasione della corsia d’emergenza e una volta accertato il mancato governo del proprio veicolo da parte del conducente, in assenza di elementi interruttivi del nesso causale tra detta condotta e l’evento», si è rilevato che «lo scambio dei messaggi» tra l’uomo e la fidanzata «è avvenuto nell’arco temporale in cui si è verificato l’incidente, ciò risultando dimostrativo, stante la prossimità temporale dell’ultimo messaggio rilevato rispetto al tamponamento, di una condotta di guida improntata alla imprudenza, e valutando la compatibilità del rilevamento» del messaggio «rispetto alla invasione della corsia d’emergenza».

Presidente Di Salvo - Relatore Cappello Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale di Enna, con la quale G.R. era stato condannato per il reato di omicidio stradale ai danni di L.M. e L.G., passeggere su un'auto ferma all'interno della corsia d'emergenza, per avere con colpa generica e specifica, condotto un autocarro sull'autostrada A19 in corrispondenza di una curva destrorsa ad ampio raggio, in violazione degli articolo 141, comma 2, e 146, comma 1, cod. strada, tamponando l'auto sulla quale viaggiavano le vittime (fatti accaduti in (OMISSIS) il (OMISSIS), con decesso di L.G. in Catania il (OMISSIS)). 2. La Corte del gravame ha ricostruito gli eventi sulla scorta delle risultanze probatorie, ritenendo in conclusione che l'imputato, nell'occorso, avesse invaso la corsia d'emergenza (sulla quale l'auto investita da tergo si trovava a causa di un malore della figlia della conducente che, reduce da un intervento cardiaco, stava rigurgitando), travolgendo l'auto in sosta, lungo un tratto di strada caratterizzato da lieve curva a destra, con manto stradale asciutto e buone condizioni di visibilità e senza rilevamento di segni di frenata, il consulente del pubblico ministero avendo accertato che l'autocarro viaggiava a cavallo tra la propria corsia di marcia e quella d'emergenza ad una velocità di 115 Km/h, superiore a quella consentita. Oltre a ciò, l'imputato non aveva rispettato la segnaletica orizzontale che demarcava il tratto di strada percorribile rispetto a quello destinato alle fermate d'emergenza. Ad esito, poi, di specifica perizia sul suo telefono cellulare, era pure emerso che, durante la guida, l'uomo stava chattando con la fidanzata, avendo scambiato una decina di messaggi nell'arco temporale in cui si iscriveva il tamponamento mortale. Quanto ai motivi del gravame, i giudici territoriali hanno disatteso quello inerente all'addebito di colpa, evidenziando come fosse incontestato che il G.R. aveva oltrepassato la suddetta linea di demarcazione, senza neppure avvedersi della presenza dell'auto in sosta, non avendo approntato alcuna manovra di frenata, quanto alla causa di tale condotta avendo i giudici ipotizzato la distrazione del conducente, avvalorata dall'esito della perizia svolta sul suo cellulare. Allo stesso modo, la Corte del merito ha ritenuto infondato il rilievo inerente all'accertamento dell'avvenuto superamento del limite di velocità, tale circostanza non avendo svolto un ruolo causale rispetto all'evento, atteso che il G.R. aveva invaso la corsia riservata alle fermate d'emergenza, non accorgendosi della presenza dell'auto in sosta; ma anche quello concernente l'utilizzo del cellulare durante la marcia. Quanto a quest'ultimo, in particolare, i giudici del gravame hanno precisato come fosse stato accertato che lo scambio di messaggi era avvenuto nell'arco temporale in cui si era verificato il sinistro, dalle stesse allegazioni difensive essendo emerso che tra l'ultimo messaggio scambiato (ore 12:53:08) e il sinistro (ore 12:55:02) era passato poco tempo e che il messaggio si collocava in termini di prossimità al sinistro, giustificando la conclusione che questa era stata la causa della distrazione, non facendosi questione, poi, di imprevedibilità dell'evento, attesa la evidente prevedibilità della presenza di un mezzo su quella corsia. 3. La difesa ha proposto ricorso, formulando tre motivi, con i quali ha contestato la motivazione della sentenza impugnata in ordine a tre distinti profili. Il primo riguarda l'addebito di colpa specifica di cui all'articolo 146, comma 1, cod. strada, al quale aveva fatto esplicito riferimento il giudice di primo grado, addebito che, secondo la difesa, non troverebbe alcun riscontro oggettivo, residuando solo quello di colpa generica di cui all'articolo 141, comma 2, stesso codice. Sotto altro profilo, poi, la difesa ha rilevato la mancata concretizzazione del rischio rispetto all'utilizzo del telefono da parte del G.R., non essendo stato dimostrato che ciò fosse avvenuto proprio nel preciso momento in cui si verificò l'incidente, cosicché l'imprudente comportamento non sarebbe stato causa diretta o indiretta dello stesso. Infine, si è censurato il diniego delle generiche, giustificato in relazione alle dichiarazioni del G.R. alla Polstrada, ritenute posticce, senza considerare che verosimilmente esse erano state conseguenza del forte sconcerto per la tragedia appena verificatasi. 4. Il Procuratore generale aggiunto, Giulio ROMANO, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza di tutti i motivi. 2. Quanto al primo e al secondo, la difesa ha omesso un effettivo confronto con le ragioni della decisione censurata, del tutto coerenti, del resto, rispetto all'ipotesi d'accusa. In base al compendio probatorio, infatti, i giudici del merito hanno ritenuto, in maniera conforme, che il G.R., nell'occorso, avesse perso il controllo del suo mezzo (articolo 141, comma 2, codice strada), come dimostrato dal mancato rilevamento di tracce di frenata, e violato la segnaletica stradale (articolo 146, comma 2, stesso codice), vale a dire la linea divisoria che separa la corsia di marcia da quella riservata ai soli veicoli in fermata d'emergenza, con conseguente sussistenza, quindi, di entrambi i profili di colpa addebitati e correttezza della qualificazione giuridica attribuita al fatto. In sede di ricorso, la difesa ha ribadito il proprio dissonante punto di vista, senza introdurre argomenti idonei a mettere in luce il denunciato vizio motivazionale e senza neppure tener conto dei limiti propri del giudizio di legittimità. La cognizione della Corte di cassazione, infatti, è funzionale a verificare la compatibilità della motivazione della decisione con il senso comune e con i limiti di un apprezzamento plausibile, non rientrando tra le sue competenze stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti, né condividerne la giustificazione (Sez. 1, numero 45331 del 17/02/2023, Rezzuto, Rv. 285504 - 01), essendo estranei al presente sindacato, per consolidata giurisprudenza, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6 numero 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482 - 01; numero 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 - 01; Sez. 6 numero 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099 - 01). Allo stesso modo, la difesa ha mostrato di non aver correttamente interpretato il ragionamento dei giudici quanto alla rilevanza dell'accertato utilizzo del telefono cellulare (scambio messaggistica via (OMISSIS)) rispetto ai fatti per cui è processo. Invero, una volta dimostrata l'invasione della corsia d'emergenza e il mancato governo del proprio veicolo da parte dell'imputato, in assenza di elementi interruttivi del nesso causale tra detta condotta e l'evento, i giudici del merito si sono limitati a rilevare che lo scambio dei messaggi era avvenuto in un arco temporale nel quale si era verificato l'incidente, ciò risultando dimostrativo, stante la prossimità temporale dell'ultimo messaggio rilevato rispetto al tamponamento, di una condotta di guida improntata alla imprudenza, valutando la compatibilità del rilevamento rispetto alla invasione della corsia d'emergenza. 3. È, poi, manifestamente infondata anche la doglianza inerente al diniego delle generiche. Premesso, infatti, che il loro riconoscimento non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. 3, numero 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590 - 01; Sez. 4, numero 32872 del 08/0 6 /2022, Guarnieri, Rv. 283489-01, in cui si è precisato, di conseguenza, che il loro diniego può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'articolo 62 bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, numero 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, numero 125, per effetto della quale, ai fini della concessione di esse, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato), nella specie, i giudici del merito hanno giustificato il giudizio di non meritevolezza, non limitandosi a richiamare il dato normativo (articolo 62 bis, comma 3, cod. penumero), vale a dire del difetto di elementi positivi a tal fine valutabili, ma valorizzando altresì la particolare pericolosità della condotta, anche in ragione della tipologia del mezzo condotto (un autocarro). La congruità di tale incedere argomentativo trova espressa eco nel consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, per il quale non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di tale rilevanza tenga conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall'interessato (Sez. 3, numero 2233 del 17/06/2021, Bianchi, Rv. 282693 - 01; Sez. 2 numero 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826 - 01; Sez. 7 numero 39396 del 27/05/2016, Rv. 268475 - 01; Sez. 2, numero 17347 del 26/01/2021, Angelini, Rv. 281217 - 01). 4. All'Inammissibilità segue, a norma dell'articolo 616, cod. proc. penumero, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. numero 186/2000). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.