Violazione dei doveri coniugali e dei comportamenti diretti alla disgregazione familiare ai fini dell’addebito alla tutela della prole

La decisione ha toccato diversi punti fondamentali in tema di separazione: dall’addebito a causa della violazione dei doveri coniugali, all’affidamento del figlio minore, al diritto alla bigenitorialità e affido condiviso, fino all’assegnazione della casa coniugale per garantire alla prole il mantenimento dell’habitat familiare e consentire la prosecuzione di tutte le relazioni più significative.

Per l'addebito della separazione a causa della violazione dei doveri coniugali, si è evidenziato come l'esistenza di comportamenti contrari agli stessi, in un procedimento di separazione, acquista rilievo ai fini della pronuncia di addebito ma, la domanda, deve essere formulata appositamente dalla parte interessata e, sotto il profilo processuale, ad essa spetta l'onere di provare il comportamento posto in essere dall'altro coniuge e il generarsi dello stato di intollerabilità della convivenza. In fatto Con ricorso ex articolo 473 c.p.c. la ricorrente premetteva che aveva contratto matrimonio concordatario in regime di comunione dei beni e che dall'unione erano nati 2 figli, spiegando come questa si era rilevata infelice a causa del comportamento del marito, il quale aveva manifestato nel corso degli anni, un atteggiamento di disinteresse e di indifferenza per le esigenze della moglie e dei figli; che i due, pur continuando a vivere sotto lo stesso tetto, da tempo erano di fatto separati ed avevano instaurato legami affettivi diversi; che avevano cercato di raggiungere un accordo di separazione consensuale ma erano emerse divergenze sull'assegnazione della casa coniugale e sull'assegno di mantenimento; che entrambi i coniugi erano comproprietari della casa coniugale ma dovevano pagare un mutuo. Premesso ciò, chiedeva che fosse pronunciata la separazione con addebito a carico del marito, che il figlio minore fosse affidato in modo condiviso ad entrambi, con domiciliazione presso la madre, che le fosse assegnata la casa coniugale in comproprietà per continuare a vivere insieme ai figli e che le fosse corrisposto l'assegno di mantenimento per entrambi i figli, sia quello minorenne che maggiorenne. Il marito si costituiva in giudizio contestato tutto quanto dedotto dalla controparte. In particolare, negava che la crisi del rapporto coniugale fosse a lui ascrivibile e che egli era sempre stato un marito e padre diligente ed affettuoso, mentre era stata la moglie a tenere comportamenti inappropriati e ad intrattenere una relazione con un altro uomo (riferitogli da poco più di un anno), intrattenendo anche rapporti sentimentali con altri uomini. Lamentava dunque il mancato adempimento dei doveri familiari, soprattutto in relazione ai figli e che nell'ultimo anno ella aveva infangato la sua reputazione, anche andando in vacanza insieme al compagno. In più, osservava che la moglie fosse venuta meno ai doveri di madre poiché aveva abbandonato i figli per rincorrere relazioni extraconiugali e che il figlio minore desiderava vivere nella casa coniugale insieme al padre. Relativamente al mantenimento parte convenuta sottolineava che aveva sempre provveduto allo stesso, compatibilmente con le proprie risorse, si dichiarava disponibile ad una separazione consensuale per le condizioni sopra riportate e che, in mancanza, chiedeva che il figlio minore fosse affidato in modo condiviso con domiciliazione presso il padre e che gli fosse assegnata la casa coniugale o che questa fosse divisa in porzioni così che entrambi i coniugi potessero continuarvi a vivere, che fosse stabilito il diritto di visita della madre e che il mantenimento fosse fissato “nel minimo alimentare” e che fosse tenuto conto del comportamento della controparte riguardo l'addebito della separazione, in considerazione del fatto che egli aveva appreso solo da pochi giorni le circostanze di cui sopra. All'udienza veniva esperito il tentativo di conciliazione. Non riuscito. Venivano ascoltati i figli ed il delegato provvedeva ad autorizzare i coniugi a vivere separati, invitando i procuratori delle parti a precisare le conclusioni e a discutere oralmente la causa. La decisione del Collegio Il Collegio pronunciava la separazione personale dei coniugi, come richiesta sia dalla ricorrente che dal resistente. Il Tribunale di Messina dopo aver autorizzato i coniugi a vivere separatamente, con la sentenza in esame ha dichiarato dunque la separazione giudiziale, ha rigettato la domanda di addebito di separazione avanzata dalla ricorrente e dichiarata inammissibile quella avanzata dal resistente (costituitosi tardivamente), ha affidato il figlio minore in maniera condivisa ad entrambi i genitori con domiciliazione presso il padre (assegnatario della casa coniugale) per il soddisfacimento dell'interesse dello stesso ad una continuità nell'habitat domestico ed ha disposto che ciascun genitore provveda in via esclusiva al mantenimento di ciascun figlio con lui convivente (giacché il figlio maggiorenne ha espresso la volontà di continuare a vivere con la madre). Intollerabilità della convivenza Ai sensi dell'articolo 151 c.c. la pronuncia di separazione giudiziale non è vincolata a presupposti tassativi e specifici, ma è collegata all'accertamento dell'esistenza di fatti che rendono intollerabile per i coniugi la prosecuzione della convivenza. Il Tribunale di Messina ha richiamato una sentenza del Palazzaccio riguardo quest'ultimo elemento «diviene il presupposto della separazione anche quando il comportamento non sia direttamente imputabile alla condotta dell'uno o dell'altro coniuge» (Corte di Cass. Sent. n. 7148/1992). Orbene, nel caso in cui tale elemento si verifica, si ritiene che l'altro coniuge abbia diritto a chiedere la separazione e, nella fattispecie della sentenza in commento, i fatti dimostrano in maniera inequivoca che la prosecuzione della convivenza era da tempo intollerabile. Il Collegio ha, invero, rilevato che una condizione di disaffezione nel matrimonio è tale da rendere incompatibile la convivenza. Nel caso in esame «è certa la volontà dei coniugi di pervenire ad una disgregazione del nucleo familiare, posto che entrambi hanno sul punto rassegnato conclusioni conformi ed in sede di udienza presidenziale è emerso chiaramente come il contenuto del rapporto coniugale fosse già da tempo inidoneo a realizzare la personalità dell'una o dell'altro». Addebito della separazione e violazione dei doveri matrimoniali Il Tribunale di Messina ha premesso che l'esistenza di comportamenti che sono contrari ai doveri coniugali acquista rilievo ex articolo 151 co. 2 c.c., ai fini della pronuncia di addebito. Rifacendosi all'orientamento di dottrina e giurisprudenza della Suprema Corte, ha sottolineato come il nostro legislatore abbia voluto attribuire sicuramente rilievo alla pronuncia di separazione, in presenza di situazioni di grave colpa di uno dei due coniugi ovvero violazioni di doveri matrimoniali, che abbiano costituito il fondamento della intollerabilità della convivenza. Inoltre, l'addebito della separazione non è fondato sulla mera inosservanza dei doveri ex articolo 143 c.c., ma sulla effettiva incidenza della violazione. Il Collegio ha rigettato la domanda di addebito fatta dalla ricorrente stante che, sotto il profilo processuale, l'articolo 2697 c.c. impone l'onere di provare la violazione dei doveri coniugali ed il rapporto diretto tra il comportamento del coniuge e lo stato di intollerabilità della convivenza. Grava sull'altro coniuge, invece, la prova di privare di rilevanza i fatti allegati dalla parte istante. La ricorrente non ha dimostrato il nucleo fondamentale delle accuse ed il Tribunale non ha ritenuto che vi fossero elementi tali da ritenere la disgregazione dell'unità familiare come conseguenza del disinteresse del marito. Orbene, il Tribunale ha altresì dichiarato inammissibile la domanda di addebito proposta dal marito giacchè non era chiara la richiesta: si era limitato solo a chiedere che si prendessero in esame le condotte tenute dalla moglie “ai fini dell'addebito” senza chiarire se volesse rigettare la domanda fatta da quest'ultima o se lo stesse chiedendo in via riconvenzionale. In ogni caso, «anche una eventuale domanda riconvenzionale di addebito della separazione sarebbe inammissibile, in quanto il resistente non si è costituito nel termine di 30 giorni prima dell'udienza per la rituale proposizione di domande riconvenzionali». Fatti sopravvenuti o conosciuti nel corso del giudizio ai fini dell'addebito Per essi, il Tribunale di Messina ha sottolineato che non valgono i fatti dai quali poteva desumersi la violazione dei doveri coniugali da parte della moglie, essendo stati appresi dal marito solo recentemente, giacchè (a prescindere dall'aver fornito prova o meno) «per effetto del principio che l'addebitabilità della separazione può essere pronunciata anche per fatti sopravvenuti o comunque conosciuti nel corso del giudizio, non esclude il rispetto delle norme processuali, con la conseguenza che tali fatti possono acquistare rilievo solo se la richiesta di addebito sia proposta tempestivamente» (Corte di Cass. Sent. 1919/1984). L' affidamento del figlio minore La L. 54/2006 «disposizioni in materia di separazione dei genitori ed affidamento condiviso dei figli», ha stabilito il principio che pure nella disgregazione del nucleo familiare, al minore spetta il diritto alla “bigenitorialità” ex articolo 9 della Convenzione internazionali sui diritti del minore, nonché il diritto alla conservazione da parte del minore di rapporti significativi anche con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. In coerenza con detto principio, l'articolo 337 ter c.c. al co. 2 stabilisce che il giudice nell'adottare i provvedimenti relativi alla prole deve valutare la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi, adottando ogni altro provvedimento relativo alla prole. Ebbene, il legislatore ha eliminato l'assoluta discrezionalità che esisteva in precedenza ed ha imposto l'obbligo di motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, «ma anche in negativo o sulla inidoneità educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della potestà genitoriale o sulla rispondenza all'interesse del figlio dell'adozione nel caso concreto del modello legale prioritario di affidamento» (Cass. Sent. n. 16593/2008). Affido condiviso e affido monogenitoriale Il Tribunale di Messina ha evidenziato la differenza tra i due ovvero la maggiore elasticità e continuità dei rapporti tra genitori e figli e la corresponsabilità degli stessi che devono riuscire ad adottare, nell'educazione dei figli minori una linea comune ed impegnarsi a realizzarla. Invero, ha escluso che vi fossero elementi che potessero far escludere l'affidamento condiviso del figlio minore (conformemente alla richiesta di entrambe le parti) non emergendo pregiudizi per la prole, stante che occorre salvaguardare il diritto del figlio minore ad avere due genitori. Orbene, il Collegio ha deciso che «nelle decisioni concernenti l'affido della prole occorre avere riguardo in modo esclusivo all'interesse del morale e materiale dei figli. La decisione del giudice non è un “premio” dato a uno dei genitori ed una “punizione” o (…) un “ammonimento” per l'altro, ma è rivolta a disegnare un nuovo assetto di relazioni in conseguenza della disgregazione della società familiare, cercando di evitare che la patologia della coppia si risolva in un pregiudizio per gli incolpevoli figli. Naturalmente anche nel regime dell'affido condiviso occorre individuare la domiciliazione privilegiata della prole presso uno dei due genitori, al fine di assicurare la stabilità dei rapporti familiari e la continuità dell'habitat domestico, indispensabili per una crescita serena ed equilibrata». Il figlio minore è ormai adolescente e le sue opinioni devono essere tenute in considerazione, provenendo da un soggetto maturo e consapevole e non sono stati allegati fatti per poter presumere che la domiciliazione presso il padre potesse essere pregiudizievole, per cui, nel caso in esame è parso opportuno domiciliare il figlio minore presso il padre, avendo lo stesso ragazzo affermato di voler continuare a vivere con egli. Inoltre, il figlio potrà stare con la madre nei fine settimana alterni ad almeno ed almeno un pomeriggio infrasettimanale a settimana ma comunque le parti potranno sempre concordare le modalità degli incontri per effetto dello spirito di affidamento condiviso. Decisione sul mantenimento… È pacifico che i figli, siano essi minorenni o maggiorenni, hanno il diritto ad essere mantenuti dai genitori, non avendo una loro autonomia economica ed essendo entrambi impegnati negli studi ed i giudici hanno tenuto in considerazione la volontà del figlio maggiorenne di vivere con la madre. Su questo punto, il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza della Corte di Cassazione con la sent. n. 15065/2000 e n. 3363/1993 che enunciano il principio di diritto secondo cui «in seguito a separazione, la prole, anche dopo il raggiungimento della maggiore età, ha diritto ad un mantenimento tale da garantire un tenore di vita corrispondente a quello goduto in precedenza». E «il mantenimento mira a rendere omogeneo lo standard di vita dei genitori e dei figli, integrando in una comune condizione economico-sociale le persone legate dal rispettivo diritto e obbligo; ciò spiega anche perché il diritto al mantenimento sorge al momento stesso in cui nasce il rapporto familiare su cui si fonda, tenuto conto che il fatto stesso della procreazione determina l'impegno e la responsabilità del genitore verso la prole, i quali prescindono dai rapporti di affetto che in concreto si instaurano con il genitore o dalla disponibilità delle parti ad instaurarli» (Corte di Cass. sent. n. 9300/2010). Importante, sottolinea il Tribunale, è anche il principio generale di tutela della prole che porta ad assimilare la posizione del figlio maggiorenne, dipendente dai genitori (anche non per colpa sua) a quella del figlio minorenne. …Le modalità di mantenimento Il nostro legislatore ha stabilito ai sensi dell'articolo 337 ter c.c. che «salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito», indicando i criteri che il giudice deve seguire per la misura dell'assegno periodico, tra queste vi sono: le esigenze del figlio, i tempi di permanenza presso ciascun genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. Nel gennaio 2024, gli Ermellini hanno, con l'ordinanza n. 2536, “ripercorso” l'analisi di tutti gli elementi di determinazione delle modalità di mantenimento, nonché degli elementi concreti rivelatori delle capacità economiche di ciascun genitore posta la valutazione comparata dei redditi di entrambi, effettuate soprattutto tenendo conto delle esigenze dei figli e del tenore di vita da questi goduto, dal contesto sociale di appartenenza e delle loro abitudini di vita. Nel caso in esame, ciascun genitore provvederà in via diretta al soddisfacimento delle esigenze del figlio (visto che i figli vivranno ciascuno con un genitore) con lui convivente e saranno tenuti a contribuire al mantenimento del figlio convivente con l'altro genitore, tenendo conto dei criteri citati in misura pressoché equivalente. Considerando poi, che ciascuna parte dovrebbe corrispondere all'altro genitore un importo uguale a quello di cui avrebbe diritto, il Tribunale ha preferito stabilire che ciascun genitore provvederà in via esclusiva alle esigenze del figlio con lui convivente. L'assegnazione della casa coniugale Il Collegio ha ritenuto assegnare la casa coniugale al marito con il quale vivrà il figlio minorenne poiché l'interesse di quest'ultimo a permanere in essa è più pregnante rispetto a quello del figlio maggiorenne, non solo perché si tiene conto della sua età ma anche perché il figlio ormai maggiorenne è proiettato verso un futuro lontano (avendo espresso il desiderio di continuare gli studi altrove). Il tutto per assicurare alla prole la continuità dell'habitat domestico.

In fatto ed in diritto Con ricorso ex articolo 473 bis .12 e 473 bis.47 c.p.c. depositato il (omissis), (omissis) premesso che in data (omissis), a (omissis), aveva contrato matrimonio concordatario con (omissis) in regime di comunione dei beni (atto trascritto al n. 13 parte 2 serie A anno 2004); che da tale unione erano nati due figli, (omissis) nato a (omissis) P.G. (omissis) il (omissis) e (omissis) nato a (omissis) P.G. (omissis) il (omissis); che il matrimonio si era rivelato infelice a causa del comportamento del marito, il quale aveva manifestato sempre più, nel corso degli anni, un atteggiamento di disinteresse e di indifferenza per le esigenze della moglie e dei figli; che i coniugi, pur continuando a vivere sotto lo stesso tetto, da tempo erano di fatto separati ed entrambi avevano instaurato legami affettivi diversi; che le parti avevano cercato di raggiungere un accordo di separazione consensuale ma erano emerse divergenze sugli aspetti relativi all'assegnazione della casa coniugale ed al mantenimento dei figli; che ella era titolare di una ditta individuale e nell'ultimo anno aveva percepito un reddito di € 7.754,00 mentre il (omissis) era titolare della ditta (omissis) e dipendente della (omissis) s.r.l.s.; che entrambi i coniugi erano comproprietari della casa coniugale ma dovevano pagare un mutuo. Tutto ciò premesso, chiedeva che fosse pronunciata la separazione dei coniugi con addebito a carico del marito; che il figlio minore (omissis) fosse affidato in modo condiviso ad entrambi i genitori con domiciliazione presso la madre; che conseguentemente fosse assegnata alla deducente la casa coniugale in comproprietà, dove avrebbe continuato a vivere insieme ai figli; che fosse posto a carico del (omissis) l'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli, quello minorenne e quello maggiorenne ancora non autonomo, mediante la corresponsione di un assegno mensile di € 250,00 per ciascun figlio, oltre al 50% delle spese straordinarie. Il ricorso veniva trasmesso al Pubblico Ministero che rendeva il proprio parere in data (omissis). Instaurato il contraddittorio, con comparsa depositata il (omissis) si costituiva tardivamente (omissis) il quale contestava quanto dedotto da controparte nel ricorso introduttivo del giudizio. Negava che la crisi del rapporto coniugale fosse ascrivibile a proprie condotte ed evidenziava che egli era stato sempre un marito ed un padre affettuoso e diligente, mentre era stata la (omissis) a tenere comportamenti inappropriati ed a determinare la disgregazione della famiglia, instaurando una relazione con un altro uomo, come gli era stato riferito da tale (omissis) che aveva frequentato la (omissis) per poco più di un anno e che gli aveva detto che la (omissis) aveva intrattenuto rapporti sentimentali anche con altri uomini. Lamentava, altresì, che la (omissis) non aveva mai adempiuto i doveri familiari, soprattutto in relazione ai figli, e che nell'ultimo anno di convivenza la stessa aveva infangato la reputazione del marito agli occhi dei figli e dei parenti, anche andando in vacanza fuori dalla (omissis) insieme al compagno. Osservava, poi, che la (omissis) aveva abbandonato i figli per rincorrere relazioni extraconiugali e che il figlio minore desiderava vivere nella casa coniugale insieme al padre. Sottolineava che egli aveva sempre provveduto al mantenimento dei figli, compatibilmente con le proprie risorse, posto che lavorava come imbianchino e che la rata mensile del mutuo contratto per la casa era di € 757,56 oltre all'assicurazione con rata mensile di € 103,00. Dichiarava di essere disponibile ad una separazione consensuale alle condizioni indicate nella medesima comparsa ed in mancanza di accordo chiedeva che il figlio minore fosse affidato in modo condiviso con domiciliazione presso il padre, che fosse assegnata al deducente la casa coniugale o in subordine che la stessa fosse divisa in due porzioni nelle quali entrambi i coniugi avrebbero potuto continuare a vivere, che fossero disciplinate le visite della madre al figlio, che il mantenimento fosse fissato nel minimo alimentare , che si tenesse conto del comportamento assunto dalla controparte anche ai fini dell'addebito della separazione, in considerazione del fatto che egli aveva appreso solo da pochi giorni le suddette circostanze. All'udienza del 18.02.2025, fissata ai sensi dell'articolo 473 bis .21 c.p.c., il (omissis) delegato esperiva il tentativo di conciliazione, che non riusciva. (omissis) delegato effettuava, quindi, l'ascolto del figlio minorenne ultradodicenne (omissis) ed assumeva informazioni sentendo il figlio maggiorenne (omissis) delegato, provvedeva, quindi, ai sensi dell'articolo 473 bis .22 c.p.c. autorizzando i coniugi a vivere separati e, ritenuto che la causa fosse matura per la decisione senza bisogno di assunzione di mezzi di prova, invitava i procuratori delle parti a precisare le conclusioni ed a discutere oralmente la causa, riservando all'esito di riferire al collegio per la decisione. Ritiene il Collegio che alla luce delle risultanze processuali, vada pronunciata la separazione personale dei coniugi. Invero, ai sensi dell'articolo 151 c.c., la pronuncia della separazione giudiziale non è vincolata a presupposti tassativi e specifici, ma è, piuttosto, collegata all'accertamento dell'esistenza di fatti che rendono intollerabile per i coniugi la prosecuzione della convivenza, e della sussistenza di fatti obiettivamente apprezzabili e, quindi, giuridicamente controllabili, che rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza, diviene, pertanto, il presupposto della separazione, anche quando il comportamento non sia direttamente imputabile alla condotta dell'uno o dell'altro coniuge (Cass. 10.06.1992 n. 7148). Ove tale situazione di intollerabilità si verifichi, anche rispetto ad un solo coniuge, deve ritenersi che questi abbia diritto a chiedere la separazione, con la conseguenza che la relativa domanda costituisce esercizio di un suo diritto (Cass. Civ., sez. I, sentenza 30 gennaio 2013 n. 2183). I fatti desunti dalla trattazione della causa dimostrano in modo inequivocabile che la prosecuzione della convivenza è divenuta ormai da tempo intollerabile ex articolo 151, primo comma, c.c.. Infatti, in una doverosa visione evolutiva del rapporto coniugale, in base a tutti gli elementi di conoscenza disponibili, ivi compreso il comportamento processuale delle parti, può serenamente affermarsi l'esistenza, in entrambi i coniugi, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile, allo stato, pure a prescindere da elementi di addebitabilità da parte di uno o dell'altro, la convivenza e le risultanze del tentativo di conciliazione. Invero, è certa la comune volontà dei coniugi di pervenire ad una disgregazione del nucleo familiare, posto che entrambi hanno sul punto rassegnato conclusioni conformi ed in sede di udienza presidenziale è emerso chiaramente come il contenuto del rapporto coniugale fosse già da tempo inidoneo a realizzare la personalità dell'una o dell'altro. Va, dunque, pronunciata la separazione personale come richiesta sia dalla ricorrente che dal resistente. Riguardo alla domanda di addebito formulata dalla ricorrente, si deve premettere che, pur essendo la obiettiva impossibilità di continuare la convivenza il presupposto fondamentale per la separazione personale dei coniugi, nondimeno, l'esistenza di comportamenti contrari ai doveri coniugali acquista rilievo, ai sensi del 2° comma dell'articolo 151 c.c., al fine della pronuncia di addebito, ove venga formulata apposita domanda dalla parte interessata. La dottrina dominante e la costante giurisprudenza della Suprema Corte hanno sottolineato che il legislatore ha voluto in tal modo attribuire rilievo, in modo autonomo rispetto alla pronuncia di separazione (vedi in tal senso Cass. civ. sez. un. 3.12.2001 n. 15248), alla presenza di situazioni di grave colpa di uno dei coniugi, derivanti da violazioni notevoli e coscienti dei doveri matrimoniali, che abbiano costituito la causa della intollerabilità della convivenza. Inoltre l'addebito non è fondato sulla mera inosservanza dei doveri che l'articolo 143 c.c. pone a carico dei coniugi, ma sulla effettiva incidenza di detta violazione nel determinarsi della situazione di intollerabilità della convivenza (Cass. 20.12.1995 n. 13021; Cass. 12.01.2000 n. 279). Sotto il profilo processuale, in base alla regola generale posta dall'articolo 2697 c.c., l'onere di provare la violazione dei doveri coniugali ed il rapporto diretto tra il comportamento posto in essere dal coniuge e il generarsi dello stato di intollerabilità della prosecuzione della convivenza grava sul coniuge che richiede l'addebito; mentre grava sull'altro coniuge la prova di quei fatti che possano privare di rilevanza i fatti allegati dalla parte istante, come per esempio, la non anteriorità del comportamento adottato rispetto al verificarsi dell'effettiva crisi coniugale. Nella fattispecie in esame, nondimeno, la ricorrente non ha dimostrato il nucleo fondamentale delle sue accuse e non vi sono elementi per ritenere che la disgregazione della unità familiare sia stata una conseguenza del disinteresse del marito per le esigenze della moglie e dei figli. Di conseguenza, la domanda di addebito della separazione proposta da (omissis) va rigettata. Va, invece, dichiarata inammissibile la domanda di addebito della separazione proposta da (omissis) Invero, non è chiaro se il resistente abbia inteso proporre domanda di addebito della separazione a carico della moglie, essendosi limitato a chiedere che si prendessero in esame le condotte tenute dalla moglie “ai fini dell'addebito” senza però chiarire se con tale espressione intendesse richiedere esclusivamente il rigetto della domanda di addebito della separazione proposta dalla controparte o chiedere a sua volta, in via riconvenzionale, l'addebito della separazione a carico della moglie. In ogni caso, una eventuale domanda riconvenzionale di addebito della separazione sarebbe inammissibile, il quanto il resistente non si è costituito nel termine di trenta giorni prima dell'udienza, prescritto dall'articolo 473 bis .16 c.p.c. per la rituale proposizione di domande riconvenzionali. Non vale, poi, sottolineare che i fatti dai quali poteva desumersi la violazione dei doveri coniugali da parte della moglie erano stati da lui appresi solo recentemente, poiché, a prescindere dal fatto che di ciò non è stata fornita alcuna prova, in ogni caso, il principio che l'addebitabilità della separazione può essere pronunciata anche per fatti sopravvenuti o comunque conosciuti nel corso del giudizio di separazione, non esclude il rispetto delle norme processuali, con la conseguenza che tali fatti possono acquistare rilievo solo se la richiesta di addebito sia stata proposta tempestivamente (Cass. civ. Sez. 1, Sentenza 1919 del 22.03.1984). Quanto all'affidamento del figlio minore (omissis) nato a (omissis) P.G. (omissis) il (omissis), si deve premettere che la legge n. 54 dell'8.02.2006, contenente “disposizioni in materia di separazione dei genitori ed affidamento condiviso dei figli”, ha stabilito il principio che pure nella disgregazione del nucleo familiare, al minore spetta il diritto alla “bigenitorialità”, già previsto dall'articolo 9 della Convenzione internazionale di Ginevra del 20.11.1989 sui diritti dei minori, nonché il diritto alla conservazione da parte del minore di rapporti significativi anche con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Coerentemente con il suddetto principio, l'articolo 337 ter c.c. prevede in via generale che “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. Il comma 2° dell'articolo 337 ter stabilisce, poi, che il (omissis) nell'adottare i provvedimenti relativi alla prole “valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori […]. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole”. Nella valutazione dell'interesse morale e materiale della prole, il legislatore ha, pertanto, eliminato l'assoluta discrezionalità che esisteva precedentemente in materia ed ha imposto al (omissis) uno specifico obbligo di motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo o sulla inidoneità educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della potestà genitoriale o, comunque, sulla non rispondenza all'interesse del figlio dell'adozione, nel caso concreto, del modello legale prioritario di affidamento (Cass. civ., Sez. I, 18.06.2008, n. 16593). La differenza tra l'affido condiviso e quello monogenitoriale si coglie, essenzialmente, nella maggiore elasticità e continuità di rapporti tra genitori e figli e nella corresponsabilizzazione dei genitori, i quali devono riuscire ad adottare, nella educazione dei figli minori, una linea comune e devono impegnarsi a realizzarla entrambi. Nel caso in esame non sono emersi elementi che inducano ad escludere l'affidamento condiviso del figlio, conformemente, peraltro alle richieste di entrambe le parti e, ed in simili casi, non emergendo un concreto pregiudizio per la prole, occorre salvaguardare il diritto del figlio ad avere due genitori. Nelle decisioni concernenti l'affidamento della prole occorre, infatti, avere riguardo in modo esclusivo “all'interesse morale e materiale” dei figli. La decisione del giudice non è, infatti, un “premio” dato ad uno dei genitori ed una “punizione” o, peggio ancora, un “ammonimento” per l'altro, ma è rivolta a disegnare un nuovo assetto di relazioni in conseguenza della disgregazione della società familiare, cercando di evitare che la patologia della coppia si risolva in un pregiudizio per gli incolpevoli figli. Naturalmente, anche nel regime dell'affido condiviso occorre individuare la domiciliazione privilegiata della prole presso uno dei due genitori, al fine di assicurare la stabilità dei rapporti familiari e la continuità dell'habitat domestico, indispensabili per una crescita serena ed equilibrata. È pacifico, d'altronde, che l'affido condiviso non determina una parificazione circa modalità e tempi di svolgimento del rapporto tra i figli e ciascuno dei genitori. Nel caso in esame appare opportuno domiciliare il figlio minore presso il padre, avendo lo stesso ragazzo affermato con fermezza di volere continuare a vivere con il padre. (omissis), il minore è ormai adolescente e le sue opinioni, come previsto dall'articolo 473 bis .4 comma 1 c.p.c., devono essere tenute in considerazione, provenendo da un soggetto maturo e consapevole, mentre non sono stati allegati elementi di alcun tipo per potere presumere che tale domiciliazione possa essere pregiudizievole per il figlio o che il padre non sia in grado di accudire il figlio, avendo, peraltro il (omissis) mostrato in sede di audizione si essere attento e preoccupato per il disagio mostrato dal figlio a seguito della separazione dei genitori. Quanto ai rapporti tra madre e figlio, non sembra che sia necessario dettare una disciplina dettagliata, in quanto il figlio appare in grado di gestire in via autonoma la relazione con entrambi i genitori, sicché appare sufficiente specificare che il figlio potrà stare con la madre nei fine settimana a settimane alterne ed almeno un pomeriggio infrasettimanale ogni settimana. In ogni caso, nello spirito dell'affidamento condiviso, le parti potranno sempre concordare modalità di incontro diverse da quelle stabilite, ove ritenute più rispondenti alle esigenze dei coniugi e del figlio. Quanto al mantenimento dei figli, è pacifico che tanto il figlio maggiorenne (omissis) nato a (omissis) P.G. (omissis) il (omissis), quanto il figlio minorenne (omissis) nato a (omissis) P.G. (omissis) il (omissis) hanno diritto ad essere mantenuti dai genitori, non avendo una loro autonomia economica ed essendo entrambi impegnati negli studi. Si deve, poi, tenere in considerazione che il figlio maggiorenne (omissis) ha espresso l'intenzione di continuare a vivere con la madre. Ciò premesso, costituisce principio consolidato in giurisprudenza che, in seguito alla separazione, la prole, anche dopo il raggiungimento della maggiore età, ha diritto ad un mantenimento tale da garantire un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza (Cass. 2000 15065; 1993 n. 3363). Il mantenimento, infatti, mira a rendere omogeneo lo standard di vita dei genitori e dei figli, integrando in una comune condizione economico-sociale le persone legate dal rispettivo diritto e obbligo; ciò spiega anche perché il diritto al mantenimento sorga al momento stesso in cui nasce il rapporto familiare su cui si fonda, tenuto conto che il fatto stesso della procreazione determina l'impegno e la responsabilità del genitore verso la prole, i quali prescindono dai rapporti d'affetto che in concreto si instaurano con il genitore o dalla disponibilità delle parti ad instaurarli (Cass. civ. 09.-04.2010 n. 9300). La costante giurisprudenza della Suprema Corte ha sostenuto, poi, che il principio generale di tutela della prole, desumibile da varie norme dell'ordinamento (articolo 30 cost., articolo 147,315 bis, 316 bis, 337 ter, 337 septies c.c.), porta ad assimilare la posizione del figlio divenuto maggiorenne, ma tuttora dipendente non per sua colpa dai genitori, a quella del figlio minore. Per quanto concerne le modalità con le quali entrambi i genitori devono provvedere al mantenimento della prole, il legislatore ha stabilito nell'articolo 337 ter c.c., che, “salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito” ed ha, quindi, indicato i criteri che il (omissis) deve seguire nel determinare la misura dell'assegno periodico, tra i quali vengono in considerazione le “esigenze del figlio”, “i tempi di permanenza presso ciascun genitore” e “la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”. Occorre, pertanto, analizzare tutti gli elementi concreti rivelatori della capacità economica dei coniugi, posto che il principio di proporzionalità impone di effettuare una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, ma l'esame delle risorse economiche dei genitori va effettuato in relazione alle esigenze attuali dei figli ed al tenore di vita da questi goduto, tenendo conto del contesto sociale di appartenenza dei figli e delle loro abitudini di vita ( Civ., Sez. I, ord. 26 gennaio 2024 n. 2536, Cass. Civ. Sez. I, Ord. 11 dicembre 2023, n. (omissis); Corte di Cass. n. 4811/2018). Sennonché, nel caso in esame, vivendo un figlio con un genitore e l'altro figlio con l'altro genitore, ciascuno provvederà in via diretta al soddisfacimento delle esigenze del figlio con lui convivente e sarà tenuto a contribuire al mantenimento del figlio convivente con l'altro genitore. La misura di tale contributo a carico di ciascun genitore ed a favore dell'altro, tenuto conto dei criteri sopra indicati, deve essere determinata in una somma di denaro pressoché equivalente per entrambi i genitori, poiché si può presumere che le esigenze di ciascuno dei figli siano in qualche modo simili ed anche i redditi delle parti sostanzialmente si equivalgono. Infatti, la (omissis) ha prodotto modello (omissis) 2023 da cui risulta nel 2022 un reddito annuo di € 7.754,00, mentre il (omissis) ha prodotto dichiarazione dei redditi 2024 da cui risulta un reddito annuo lordo di € 1.929,00, ma dalla dichiarazione dei redditi dell'anno prima risulta un reddito di € 7.640,00 e da quella del 2022 un reddito annuo di € 15.690,00, sicché, facendo la media dei redditi degli ultimi tre anni, risulta che la situazione economica dei coniugi è quasi uguale. Considerato, allora, che ciascuna parte dovrebbe corrispondere all'altro genitore un assegno di importo uguale a quello che avrebbe diritto a ricevere, appare preferibile stabilire che ciascun genitore provvederà in via esclusiva alle esigenze del figlio con lo stesso convivente. Quanto all'assegnazione della casa coniugale, l'articolo 337 sexies considera prioritario ai fini del godimento del suddetto bene l'interesse dei figli, compresi quelli maggiorenni ma ancora non autonomi, a non interrompere, a causa della separazione dei genitori, quel vincolo intimo con l'habitat dell'ambiente domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare (Cass., n. 14348/2012) e la relativa pronuncia, in quanto finalizzata alla tutela dell'interesse della prole, di rilevanza pubblicistica, non richiede neppure una specifica domanda di parte (Cass. civ. 11.04.2000 n. 4558). Ai fini dell'assegnazione della casa coniugale non può, invece, rilevare l'eventuale situazione di disagio patito da uno dei coniugi o che conseguirebbe all'assegnazione della casa all'altro coniuge, poiché è pacifico che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale non può avere una finalità di riequilibrio economico ed una funzione assistenziale per il coniuge economicamente più debole (Cass. civ. 01.08.2013 18440). Orbene, ritiene il collegio che la soluzione preferibile sia quella di assegnare la casa coniugale al (omissis) con il quale vivrà il figlio minorenne (omissis) poiché l'interesse del figlio minore a permanere in detta casa appare più pregnante rispetto all'analogo interesse del figlio maggiorenne (omissis) tenuto conto non solo della minore età del primo, ma anche del fatto che il figlio (omissis) ormai è proiettato verso un futuro lontano da (omissis) avendo espresso il desiderio di continuare gli sudi presso il (omissis) di (omissis) sicché appare evidente che per lui il legame con la casa nella quale è cresciuto non assume uno specifico rilievo, mentre per il figlio (omissis) detta abitazione è non solo il luogo ove è cresciuto, ma anche il luogo dove ha gli amici e dove mantiene tutte le relazioni più significative. Naturalmente il provvedimento di assegnazione della casa coniugale comprende anche l'assegnazione degli arredi, trattandosi di una statuizione inscindibilmente legata alla prima, diretta ad assolvere l'identica funzione di assicurare alla prole la continuità dell'habitat domestico. Appare, infine, equo compensare interamente tra le parti le spese processuali, tenuto conto della natura della controversia, della soccombenza reciproca e della difficile prevedibilità dell'esito della lite in relazione alla complessità della situazione di fatto ed alla sua mutevolezza nel tempo. P.Q.M. Il Tribunale, sentiti i procuratori delle parti, acquisito il parere del Pubblico Ministero, disattesa ogni contraria istanza eccezione e difesa, definitivamente pronunciando nella causa n. 4317/2024 R.G., così provvede: 1) dichiara la separazione giudiziale dei coniugi (omissis) nato a (omissis) il (omissis), e (omissis) nata a (omissis) il (omissis), uniti in matrimonio in data (omissis), a (omissis), con atto trascritto nel registro dello Stato Civile di detto comune al n. (omissis) parte 2 serie A anno 2004; 2) rigetta la domanda di addebito della avanzata dalla ricorrente, mentre dichiara inammissibile la domanda di addebito della separazione avanzata dal resistente; 3) affida il figlio minore (omissis) nato a (omissis) P.G. (omissis) il (omissis), in modo condiviso ad entrambi i genitori con domiciliazione presso il padre; dispone che i rapporti con il genitore non domiciliatario siano disciplinati come meglio specificato in parte motiva; 4) dispone che ciascun genitore provveda in via esclusiva al mantenimento del figlio con lo stesso convivente; 5) assegna a (omissis) la casa coniugale sita in (omissis), unitamente agli arredi; 6) dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali; 7) ordina all'Ufficio dello Stato Civile del Comune di (omissis) di annotare la presente sentenza a margine dell'atto di matrimonio.