Nella decisione sulla sostituzione della pena detentiva con una pena sostitutiva, il giudice è chiamato ad effettuare una valutazione ampia sul pericolo di recidiva dell’imputato: anche le condizioni di salute possono rilevare solo se si risultano talmente gravi da non poter essere curate in carcere e laddove l’imputato mostri affidabilità nel rispetto delle prescrizioni imposte dalla pena sostitutiva.
In altri termini, la finalità rieducativa non può essere prevalente rispetto al pericolo di recidiva del condannato in fase esecutiva di una sanzione sostitutiva alla pena detentiva breve. Il giudice deve valutare l'affidabilità dell'imputato in fase di decisione sulla pena sostitutiva Nella decisione sulla scelta della sostituzione con una pena sostitutiva alle pene detentive brevi, introdotte con il d.lgs. 150/2022, il giudice deve effettuare una valutazione sulla affidabilità dell'imputato al rispetto delle prescrizioni in fase esecutiva. Laddove infatti, il giudice ravvisi un margine di recidivanza, non può procedere alla sostituzione, dovendo ritenere assorbita la finalità rieducativa che potrà essere comunque soddisfatta in esecuzione con il diverso circuito delle misure alternative. La Cassazione precisa i criteri di scelta delle pene sostitutive La Corte di Cassazione, pur ritenendo infondato il ricorso, è tornata ad occuparsi della disciplina delle pene sostitutive, fornendo delle importanti precisioni di sistema sui poteri discrezionali di decisione e di individuazione ad opera del giudice. Partendo infatti da una questione marginale, come è quella della possibile incidenza delle condizioni di salute dell'imputato, la Cassazione si è soffermata sul rapporto di prevalenza o di assorbimento della finalità rieducativa rispetto al pericolo di recidiva. La ratio della riforma Cartabia Con la riforma Cartabia, il legislatore ha modificato la disciplina delle pene sostitutive, introducendo nuove sanzioni per consentire al giudice, anche d'ufficio, di uscire dalla logica carcerocentrica e di individuare delle pene-programma che consentano di ridurre il pericolo di recidiva e di anticipare la finalità rieducativa già in cognizione con sanzioni, in parte sovrapponibili, e in parte strutturalmente diverse, dal circuito delle misure alternative tipiche dell'esecuzione. Anche le pene sostitutive, quindi, mirano ad arginare il pericolo di recidiva sulla base di una pena-programma redatta dall'UEPE, sulla base della situazione personale dell'imputato e nel rispetto delle prescrizioni imposte dal giudice. Come ha affermato, di recente, anche la Corte costituzionale, la pena sostituita dal giudice è una pena-programma, «caratterizzata da elasticità nei contenuti, predeterminati dalla legge, perché funzionale alla individualizzazione del trattamento sanzionatorio, così da garantire la rieducazione e la risocializzazione del condannato e, al contempo, anche le istanze di prevenzione speciale» (così, Corte cost. numero 84/2024). Sulla discrezionalità del giudice nella valutazione del pericolo di recidiva La riforma Cartabia ha inteso attribuire ampi poteri discrezionali al giudice sia sull'an della decisione, sia, potenzialmente, anche sul tipo di pena e sull'individuazione anche delle prescrizioni. Sono poteri discrezionali che, in ogni caso, rispecchiano i criteri di commisurazione della pena di cui all'articolo 133 c.p. Per quanto il giudice, tuttavia, debba tener conto della finalità rieducativa, non la può ritenere prevalente nel caso in cui l'imputato mostri un pericolo di recidiva circa il rispetto delle prescrizioni correlate alla pena sostitutiva. In altri termini, la sostituzione della pena con una sostitutiva non è incompatibile in astratto con la recidiva, ma lo diviene in concreto «con quel tasso di recidiva che il giudice non reputa di poter azzerare o ridurre nemmeno attraverso l'adozione di quelle particolari prescrizioni che accompagnano la pena sostitutiva nella fase di esecuzione della stessa, la quale in quanto non restrittivo, o del tutto restrittivo, necessita di adeguati controlli e prescrizioni e, soprattutto, per poter ʻfunzionareʼ come pena programma ha bisogno della piena collaborazione del condannato» . In tal senso, si deve leggere l'articolo 58 della l. numero 689/1981, che attribuisce ampia discrezionalità al giudice nel valutare tutti quei motivi, fondati, per ritenere che l'imputato non sarà in grado di rispettare le prescrizioni e di adempiere alla pena-programma. Se c'è pericolo di recidiva, le condizioni di salute non rilevano ai fini della sostituzione della pena detentiva Rientra nella discrezionalità del giudice la valutazione dell'incidenza delle condizioni di salute dell'imputato: esse infatti rappresentano un elemento importante della situazione soggettiva dell'imputato, unitamente al lavoro, alla situazione abitativa e socio-familiare o di dipendenze certificate. Le specifiche condizioni di salute verranno prese in considerazione dal giudice, non tanto nella decisione se sostituire o meno, quanto nella fase di individuazione del tipo di pena o nell'ambito del programma prescrittivo. Possono, invece, incidere in modo più decisivo sulla stessa sostituzione solo se l'ingresso o la permanenza in carcere sia pregiudizievole e laddove vi siano prospettive concrete di reinserimento sociale del condannato. Ma, laddove, le condizioni di salute siano curabili all'interno del carcere e laddove l'imputato abbia dato dimostrazione di non risultare affidabile nel rispetto delle prescrizioni, il giudice, nell'ambito di una valutazione più ampia sul pericolo di recidiva, non potrà dare seguito alla sostituzione, lasciando che la finalità rieducativa trovi concretizzazione nella fase di esecuzione della pena detentiva con il diverso circuito delle misure alternative al carcere della l. numero 354/1975.
Presidente Miccoli - Relatore Sessa Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 15.11.2023, la Prima sezione penale di questa Corte di Cassazione ha annullato il provvedimento del 11 maggio 2023, con cui il Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice dell'esecuzione, aveva respinto l'istanza del condannato, F.A., di applicazione in executivis delle pene sostitutive ex articolo 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, numero 150. In particolare, il giudice dell'esecuzione aveva ritenuto di non poter formulare prognosi favorevole alla luce dell'ulteriore condanna riportata dal F.A. con sentenza della Corte d'appello di Brescia del 7 dicembre 2022. 1.1. Con la sentenza di annullamento questa Corte ha affermato che, in definitiva, per effetto del combinato disposto dell'articolo 58 legge 689 del 1981 e dell'articolo 95 d.lgs. 150 del 2022, il giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto decidere sulla istanza di sanzioni sostitutive valutando se esse risultassero più idonee alla rieducazione del condannato e se esse assicurassero, al contempo, la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati, ed avrebbe dovuto senz'altro negarle se avesse formulato una prognosi di inadempimento delle prescrizioni da parte del condannato. Ha rilevato che, invece, nel caso in esame, il giudice dell'esecuzione aveva dettato a verbale di udienza un provvedimento che non consentiva di comprendere adeguatamente il percorso logico seguito dal giudicante per respingere l'istanza. Il sintetico riferimento all'ulteriore condanna riportata dall'imputato con sentenza della Corte d'appello di Brescia del 7 dicembre 2022 - osserva la sentenza di annullamento - induce a pensare che il giudice dell'esecuzione abbia ritenuto che le sanzioni sostitutive non assicurassero la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati, però una motivazione di questo tipo andava pur sempre riempita di contenuto per non essere giudicata puramente assertiva. Sotto questo profilo, questa Corte di Cassazione ha, pertanto, annullato l'ordinanza impugnata, con la specificazione che essa non consentiva di comprendere se il giudice dell'esecuzione avesse valutato che i reati attribuiti al ricorrente nel diverso procedimento pendente nei suoi confronti risalivano al 2010 e 2011, e che in epoca successiva il condannato aveva svolto l'affidamento terapeutico con esito favorevole. 2. Il Tribunale di Bergamo, decidendo in sede di rinvio, con ordinanza del 28.11.2024, ha rigettato nuovamente l'istanza originariamente presentata nell'interesse del F.A., adducendo plurimi argomenti a sostegno. 3. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il condannato, per il tramite del difensore, articolato in unico motivo, con cui deduce violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando altresì la mancata assunzione di una prova decisiva. Il Tribunale di Bergamo si è limitato ad osservare che il F.A. mostra un profilo soggettivo di pericolosità e di spiccata capacità criminale perché il percorso comunitario intrapreso dal predetto sarebbe stato caratterizzato da comportamenti contrari all'obiettivo di socializzante sperato e che la malattia, da cui è affetto, non sarebbe grave, quindi tale da porre in pericolo la vita o da provocare rilevanti conseguenze dannose, anche alla luce del progressivo miglioramento registrato Il Tribunale, tuttavia, ha omesso di considerare le significative e rilevanti deduzioni e produzioni documentali della difesa, che segnalavano che il F.A. avesse già positivamente svolto due percorsi terapeutici riabilitativi dal 2013 al 2018 e dal 2018 al 2022, presso la comunità (OMISSIS) in (OMISSIS); che in data 2 luglio 2019 era stata concessa al predetto la misura alternativa dell'affidamento terapeutico; che nel corso dell'esecuzione di tale misura il ricorrente aveva dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione tenendo un comportamento rivelatore del positivo evolversi della sua personalità; che a riprova di quanto esposto, al predetto era stata concessa una riduzione di pena a titolo di liberazione anticipata (pari a 225 giorni); che a partire dal 7 dicembre 2022 era stata nuovamente applicata in via provvisoria la misura alternativa dell'affidamento terapeutico con un fine pena previsto per il 18 settembre 2028. Il Tribunale di Bergamo non ha in alcun modo tenuto conto dei suddetti rilevanti e decisivi elementi e pertanto, su tale specifico punto, la motivazione del provvedimento impugnato è del tutto mancante. Nell'istanza di applicazione di pene sostitutive era stato altresì dedotto e documentato come nel corso di recenti colloqui psichiatrici, educativi e psicologici erano emerse dettagliate descrizioni di abusi anche (a sfondo sessuale) subiti in carcere, abusi il cui solo ricordo provocava al F.A. ansia, angoscia e profondo senso di vergogna. Fin dal momento del ritorno in comunità il ricorrente aveva manifestato in modo dettagliato ideazioni anticonservative legate al ricordo del periodo vissuto in carcere, al timore di poterci rientrare. Peraltro, la stessa comunità aveva segnalato numerosi agiti autolesivi nel corso della vita del ricorrente, l'ultimo dei quali avvenuto in carcere nel mese di agosto del 2022. La medesima comunità aveva altresì sottolineato come permanessero fragilità psichiche e fisiche del F.A., il quale non è pertanto idoneo ad un rientro in carcere. Nemmeno di tali ultimi rilevanti e decisivi elementi ha tenuto conto il Tribunale di Bergamo. Deduce altresì il ricorrente che non si può affermare che sussista, ad oggi, il pericolo di commissione di nuovi reati, perché egli negli ultimi 10 anni è sempre vissuto all'interno di una comunità terapeutica, ove ha svolto proficuamente plurimi programmi di disintossicazione e reintegrazione sociale senza ovviamente commettere alcun reato. Per di più il percorso terapeutico comunitario del F.A. è destinato a durare fino al (OMISSIS), data di fine pena, per cui anche per il futuro non può sussistere alcun concreto pericolo che il medesimo commetta ulteriori reati. L'erronea applicazione della legge penale deriva altresì dal fatto che considerate le pacifiche, documentate, condizioni psicofisiche del F.A., afflitto da tossicodipendenze e gravi problemi psichiatrici, le sanzioni sostitutive richieste risultano evidentemente più idonee alla rieducazione del medesimo rispetto alla pena detentiva. In ogni caso il Tribunale di Bergamo non ha disposto l'acquisizione di un programma di trattamento elaborato dall'ufficio di esecuzione penale esterna, né ha disposto che quest'ultimo ufficio prendesse in carico il condannato e riferisse periodicamente sulla sua condotta e sul percorso di reinserimento sociale. Risulta pertanto pacifico che il Tribunale non abbia assunto una prova decisiva. Dall'esame della documentazione medica trasmessa dal carcere di (OMISSIS), risulta evidente come la direzione sanitaria abbia confermato le gravi condizioni psichiatriche e psicofisiche del F.A., afflitto da disturbo bipolare nonché da rischio suicidiario. Peraltro, l'unico colloquio psichiatrico risulta risalente al 21 maggio 2024 e quindi a circa 7 mesi orsono, per cui si ritiene che avrebbe dovuto essere disposto un aggiornamento della situazione psichiatrica del ricorrente. Ciò anche in considerazione del fatto che al termine del colloquio lo stesso psichiatra riteneva necessario rivalutare il rischio suicidiario con successivo staff multidisciplinare. Dall'esame della relazione della comunità (OMISSIS) risulta evidente come almeno inizialmente il F.A. si sia dimostrato adeguato e volenteroso nell'intraprendere il percorso comunitario. La suddetta comunità aveva inoltre valutato la necessità di trasferire il predetto in una comunità psichiatrica. Né la temporanea mancanza di un domicilio idoneo potrebbe in alcun modo costituire condizione ostativa all'applicazione della sanzione sostitutiva alla stregua del terzo comma dell'articolo 56 legge 689/81, che, in un caso del genere, demanda all'ufficio di esecuzione penale esterna di predisporre il programma di trattamento, individuando soluzioni abitative, anche comunitarie, adeguate alla detenzione domiciliare. E, secondo il combinato disposto di cui agli articolo 95, comma 1, d.lgs. 150/22 e 545-bis cod. proc. penumero, il giudice che procede, anche il giudice dell'esecuzione quindi, allorquando deve decidere sulla richiesta di sostituzione della pena detentiva breve, ha la possibilità di acquisire dall'ufficio dell'esecuzione penale esterna e dalla polizia giudiziaria tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita, personali, familiari, sociali, economiche e patrimoniali del condannato. Sussistono pertanto le condizioni affinché venga applicata la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità ovvero, in subordine, della detenzione domiciliare ovvero, ancora, della semilibertà. Trattasi di pene che risultano infatti maggiormente idonee alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato, assicurando al contempo la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati, non sussistendo motivi per ritenere che le opportune prescrizioni da adottare non saranno adempiute dal condannato. Né sussistono le condizioni soggettive ostative di cui all'articolo 59 legge 689/81. 4. Il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso. Il difensore del ricorrente, con la memoria pervenuta in atti, ha insistito nell'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è, nel suo complesso, infondato, pur presentando tratti di inammissibilità, avendo in buona sostanza il provvedimento impugnato pienamente soddisfatto i parametri valutativi imposti dalla sentenza di annullamento di questa Corte. Tuttavia, si impongono alcune precisazioni in ordine ad alcuni aspetti involgenti le condizioni di salute del ricorrente, sollevati in ricorso - di cui vi era cenno nell'istanza originaria, con approfondimenti nella memoria presentata dinanzi al Tribunale di Bergamo in sede di rinvio - il cui esame non è precluso dall'ampia portata della pronuncia di annullamento di questa Corte. E ciò al di là dei profili di inammissibilità che presentava la stessa istanza originaria di sostituzione della pena detentiva con pena sostitutiva imperniata unicamente su ragioni legate alle condizioni di salute del ricorrente, senza un benché minimo accenno alla prospettiva rieducativa che permea la ratio delle pene sostitutive. 1.1. Essendo stato, il provvedimento impugnato, emesso in sede di giudizio di rinvio, a seguito di annullamento di questa Corte con sentenza Sez. 1, numero 1238 del 2024, occorre partire dal contenuto di tale pronuncia. Ebbene, tale sentenza di annullamento, a ben vedere, non si è limitata ad evidenziare che “l'ordinanza impugnata non resiste alle censure articolate in ricorso non consentendo di comprendere se il giudice dell'esecuzione abbia valutato che i reati attribuiti al ricorrente nel diverso procedimento pendente nei suoi confronti risalivano al 2010 e 2011, e se abbia valutato che in epoca successiva il condannato aveva svolto l'affidamento terapeutico con esito favorevole”, ma aveva in buona sostanza inteso stigmatizzare, nel suo complesso, la esigua motivazione resa dal Tribunale a sostegno del rigetto dell'istanza di sostituzione della pena detentiva breve avanzata nell'interesse del ricorrente - che col ricorso in quella sede proposto aveva sollevato una pluralità di aspetti, molti dei quali riproposti con il ricorso in scrutinio. La sentenza di annullamento ha innanzitutto evidenziato come la valutazione del giudice dell'esecuzione - chiamato a decidere, nel caso di specie, sulla richiesta di pena sostitutiva in luogo del giudice della cognizione per essere il procedimento, all'atto dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia introdotte con la riforma Cartabia, pendente in Cassazione - , deve essere di ben più ampio respiro, trattandosi di verificare, per effetto del combinato disposto di cui agli articolo 58 l. 689/81 e articolo 95 d.lgs. 150 del 2022, se le pene sostitutive risultano idonee alla rieducazione del condannato e se assicurano, al contempo, la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati, con la conseguenza che le stesse debbono essere negate in caso di formulazione di una prognosi di inadempimento delle prescrizioni da parte del condannato Indi ha rilevato come nel caso di specie il giudice si fosse limitato a dettare a verbale di udienza un provvedimento che non consentiva in alcun modo di comprendere il percorso logico seguito dal medesimo giudice per respingere l'istanza di sostituzione della pena detentiva breve con una delle pene sostitutive previste dalla legge. Questa Corte ha ritenuto che, infatti, il mero sintetico - unico - riferimento all'ulteriore condanna riportata dal condannato con sentenza della Corte d'appello di Brescia del 7 dicembre 2022 non fosse di per sé idoneo a supportare la ragione per la quale le pene sostitutive non erano state reputate adeguate ai fini della prevenzione del pericolo di commissione di altri reati, traducendosi esso in una motivazione puramente assertiva. 1.2. A fronte di tale dictum, il Tribunale di Bergamo, rispettando il percorso motivazionale delineato dalla sentenza di annullamento ed acquisendo dalle autorità competenti informazioni rilevanti alla decisione ai sensi dell'articolo 666, comma 5, cod. proc. penumero, ha innanzitutto osservato come il ricorrente non fosse attinto solo dalla sentenza di condanna del 2022, risultando emesso, nei suoi confronti, dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, in data 7 marzo 2024, un provvedimento di esecuzione di pene concorrenti che prevede un cumulo sanzionatorio di anni 21 e mesi 2 di reclusione - di cui fa parte anche la sentenza di condanna alla pena detentiva di anni tre di reclusione inflittagli per i reati di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale commessi nel 2011, in relazione alla quale si è avanzata l'istanza di sostituzione in argomento. Il giudice del provvedimento impugnato ha poi sottolineato che il F.A. presenta una biografia penale che - pur non rappresentando ex se elemento ostativo alla concessione delle pene sostitutive - ne restituisce un profilo soggettivo di pericolosità e di spiccata capacità criminale; che il più recente percorso di affidamento comunitario presso la comunità (OMISSIS) ha avuto un esito infausto (al riguardo, è stata acquisita una relazione dei responsabili della comunità dalla quale è emerso, tra l'altro, che egli “metteva a rischio” tutti i pazienti); che anzi egli si è allontanato in più occasioni dalla comunità dando giustificazioni vaghe e che è rimasto - tra le altre vicende segnalate - anche coinvolto in movimenti di denaro poco chiari. Circostanze che avevano indotto la comunità a revocare la disponibilità ad accogliere il F.A. a cui conseguiva, poi, proprio la declaratoria di definitiva cessazione della misura provvisoria della detenzione domiciliare presso la comunità. Il Tribunale, pertanto, pur considerando che il F.A. aveva concluso positivamente due percorsi terapeutici riabilitativi, ha tuttavia dovuto rilevare che “la sua più recente esperienza comunitaria e i reiterati episodi ivi occorsi esprimono un attuale e persistente incapacità del ricorrente di governare il proprio comportamento e di adeguarsi spontaneamente al sistema di regole etero-imposto, lasciando così concretamente presagire la difficoltà a conformarsi alle prescrizioni necessariamente connesse - perché previste dalla legge, impartite dall'autorità giudiziaria e previste dal progetto di trattamento elaborato dall'U.E.P.E. - alle forme sostitutive della pena detentiva (le quali, anche nelle forme più restrittive, presuppongono pur sempre un atteggiamento di autoresponsabilità di chi vi è sottoposto), e ciò sia per la detenzione domiciliare presso una comunità (soluzione invocata dalla difesa per il caso di indisponibilità di un domicilio idoneo), sia per la semilibertà sostitutiva. Quest'ultima, infatti, pur maggiormente restrittiva rispetto alle altre pene sostitutive assegna comunque spazi di libertà al di fuori dell'ambiente carcerario per lo svolgimento di attività di lavoro di studio, di formazione professionale o comunque utili alla rieducazione e al reinserimento sociale secondo un apposito programma di trattamento”. Il Tribunale, pertanto, ha adeguatamente spiegato come “la prospettiva della rieducazione non può prevalere sull'esigenza di neutralizzazione del pericolo di recidiva”, concludendo che, persistendo nel caso di specie “un tasso di recidiva non azzerabile o riducibile attraverso prescrizioni che ragionevolmente rimarrebbero inattuate”, la prognosi in ordine alla sostituzione della pena detentiva dovesse essere necessariamente sfavorevole. 1.3. Tale impostazione deve ritenersi corretta. Occorre in proposito soffermarsi, innanzitutto, su quella che è la ratio della rinnovata disciplina delle sanzioni sostitutive brevi, ora denominate espressamente pene, tema che il ricorso in scrutinio, attraverso il motivo articolato, ha devoluto a questa Corte di legittimità. È necessario, in particolare, stabilire, ai fini che occupano, se la ‘rinnovata' prospettiva della rieducazione e del reinserimento sociale, come si assume, nella sostanza, in ricorso, permei le nuove disposizioni al punto da lasciare in secondo piano l'esigenza special preventiva - sempre - presente nell'ambito del processo sanzionatorio, e da incidere - e in che termini - anche sull'impronta di tipo discrezionale del potere sanzionatorio del giudice. Va subito detto che il nuovo articolo 20-bis cod.penumero - introdotto dal D.lgs. 10 ottobre 2022, numero 150, attuativo dei principi enunciati con l'articolo 1, comma 17 della L. 27 settembre 2021 numero 134, legge delega della cd. Riforma Cartabia - segna il formale ingresso nel Codice penale della categoria delle ‘pene detentive brevi' - in ottemperanza alla riserva di codice - e che l'articolo 71 del medesimo d.lgs. 150/22 ha introdotto una riforma organica della legge 24 novembre 281 numero 689, ridisegnando anche il quadro generale delle cd. sanzioni sostitutive di pene detentive brevi; sanzioni sostitutive che già all'epoca furono dettate dall'intento di deflazionare la carcerazione breve, ritenuta inefficace, de-socializzante e persino criminogena, a fronte di pene detentive di breve durata, intento perseguito appunto sostituendole con una risposta sanzionatoria che, accanto alla portata special preventiva, avesse anche un intrinseco effetto risocializzante e riparativo in generale, come d'altronde impone l'articolo 27 della Costituzione. Vi è stata innanzitutto un'estensione della nozione di pena detentiva “breve”, che prima della riforma comprendeva le pene detentive di durata non superiore ai due anni, mentre adesso le pene sostitutive si applicano alle pene di durata fino a quattro anni. Il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna o di applicazione pena ex articolo 444 cod.proc.penumero, quando ritiene di determinare la durata della pena detentiva entro il limite di quattro anni, può sostituire tale pena con quella della semilibertà o della detenzione domiciliare; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di tre anni, può sostituirla anche con il lavoro di pubblica utilità - sicché nel caso di specie sussiste(va), in astratto, il presupposto quantitativo della pena sostituibile sia delle prime che della seconda; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno, può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente, determinata ai sensi dell'articolo 56-quater. Prima della riforma la durata della pena detentiva breve era sostanzialmente pari a quella della pena suscettibile di essere condizionalmente sospesa e comunque i due benefici, la sospensione condizionale e la sostituzione della pena, erano cumulabili. Con la riforma, invece, i due istituti non possono trovare applicazione congiunta in quanto il beneficio della sospensione condizionale della pena esclude la possibilità di sostituire la pena detentiva, secondo quanto previsto dall'articolo 61-bis della legge numero 689 del 1981, introdotto dall'articolo 71, comma 1, lett. i), del d.lgs. numero 150 del 2022. Anche da tale divieto di cumulo si evince che la riforma mira ad arginare il pericolo di recidiva soprattutto attraverso la finalità rieducativa e risocializzante cui devono tendere le pene sostitutive, corredate dal programma stilato dall'UEPE sulla base della situazione specifica del condannato e dalle prescrizioni imposte dal giudice, finalità che il beneficio della sospensione condizionale della pena non consente invece di realizzare nella sua pregnanza, fondandosi esso sul mero obbligo di astensione incentivato dalla perdita del beneficio in caso di commissione di un nuovo reato (non essendo esso necessariamente ancorato - in special modo quando si versa nell'ipotesi della prima concessione - a prestazioni accessorie idonee ad incidere efficacemente sul processo di rieducazione). La semilibertà, la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità costituiscono, invece, delle vere e proprie pene-programma, imperniate non solo su obblighi di astensione e divieti, ma anche sul programma redatto da U.E.P.E. e sulle prescrizioni positive che il giudice, all'esito del contraddittorio e basandosi anche sul progetto di trattamento dell'U.E.P.E., andrà ad individuare (articolo 56-ter l. numero 689/1981). Degna di rilievo sono le considerazioni di principio espresse dalla Corte Costituzionale con la sentenza numero 84 del 2024, secondo cui tanto deve ritenersi «anzitutto funzionale a conferire spiccata finalità rieducativa alla pena sostitutiva, che nelle intenzioni del legislatore (delegante e delegato) non dovrebbe servire soltanto a evitare i noti effetti desocializzanti della pena detentiva breve, ma anche - in positivo - ad assicurare il mantenimento, e in ipotesi il potenziamento, dei legami del condannato con il proprio contesto lavorativo, educativo, affettivo e in generale sociale. E ciò sulla base di uno specifico programma di trattamento elaborato dall'ufficio di esecuzione penale esterna, che prende in carico il condannato e che riferisce periodicamente sulla sua condotta e sul percorso di reinserimento sociale (articolo 56, secondo comma)». Il tutto in un'ottica che la Corte definisce, appunto, in termini di pena-programma , caratterizzata da «elasticità nei contenuti, predeterminati dalla legge, perché funzionale alla individualizzazione del trattamento sanzionatorio», così da garantire la rieducazione e la risocializzazione del condannato e, al contempo, le istanze di prevenzione speciale. 1.4. Ciò posto, venendo quindi ai poteri discrezionali che il legislatore ha voluto attribuire al giudice in sede di applicazione e scelta delle pene sostitutive, si deve osservare che essi sono significativi e pienamente coerenti con la ratio generale di questa parte della riforma in vista di una deflazione delle pene detentive brevi, ma soprattutto di un senso rieducativo effettivo dato alle pene sostitutive: “il giudice tenuto conto dei criteri indicati nell'articolo 133 c.p., se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato” (articolo 58). L'esigenza di rieducazione si compenetra con quella di tutela della collettività nel senso che questa si realizza essenzialmente anche tramite il processo di rieducazione che si avvia con la pena sostitutiva, puntellato dalle prescrizioni imposte dal giudice. L'applicazione delle pene sostitutive non solo non è incompatibile con il pericolo di recidiva, ma costituisce la specifica modalità prescelta dal legislatore per arginarlo al meglio, sia pure in un'ottica che si proietta necessariamente dopo il completamento del percorso rieducativo conseguente all'applicazione; essa è quindi, in definitiva, incompatibile solo con quel tasso di recidiva che il giudice non reputa di poter azzerare o ridurre nemmeno attraverso l'adozione di quelle particolari prescrizioni che accompagnano la pena sostitutiva nella fase di esecuzione della stessa, la quale in quanto di tipo non restrittivo, o del tutto restrittivo, necessita di adeguati controlli e prescrizioni e, soprattutto, per poter ‘funzionare' come pena programma ha bisogno della piena collaborazione del condannato. Sicché, sebbene la decisione di applicare la pena sostitutiva si muova, in coerenza con la ratio sopra delineata, nell'ottica di individuare una pena che sia - la - più idonea alla rieducazione del condannato, nell'ambito di tale valutazione trova posto - e non potrebbe essere altrimenti trattandosi di contemperare interessi di pari rango - in una posizione di uguale grado, anche la necessità che essa - corredata dalle indispensabili prescrizioni che vanno a bilanciare i margini di libertà che tali misure in maniera più o meno intensa, a seconda del tipo, lasciano al condannato - scongiuri, medio tempore, la commissione di altri reati. È in tale ottica che l'articolo 58 stabilisce che la pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato. Risulta evidente, allora, che l'ambito valutativo entro cui deve muoversi il giudice al fine di verificare l'an dell'applicazione della pena sostitutiva non può prescindere dalla verifica della sussistenza, o meno, di fondati motivi che inducano a ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute. E ciò non solo perché la prospettiva della rieducazione non può prevalere sull'esigenza di neutralizzazione del pericolo di recidiva che necessita di essere soddisfatta anche durante l'esecuzione della pena mirante alla rieducazione, ma anche perché lo stesso processo di rieducazione presuppone il rispetto, prima ancora delle norme penali si potrebbe dire, del programma insito nella pena e delle prescrizioni imposte dal giudice. Quanto alla motivazione, l'articolo 58 si limita a prevedere che il giudice deve indicare i motivi che giustificano l'applicazione della pena sostitutiva, diffondendosi, piuttosto, sulla struttura argomentativa che il provvedimento deve avere quanto alla scelta del tipo (essendo chiaramente da privilegiare, secondo l'impostazione seguita dal legislatore, nei limiti del possibile, la pena non detentiva); è soprattutto in tale fase di selezione della pena che entra in gioco la specifica esigenza rieducativa dovendo il giudice - per espressa previsione contenuta nell'articolo 58 - scegliere quella più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato con il minor sacrificio della libertà personale (sicché, quando applica la semilibertà o la detenzione domiciliare, il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonei nel caso concreto il lavoro di pubblica utilità o la pena pecuniaria). 1.5. Nel caso di specie, il giudice ha, a monte, reputato non sostituibile la pena detentiva inflitta al ricorrente, indicando i fondati motivi - richiesti nella valutazione preliminare dall'articolo 58 - dei quali si è già sopra detto, per i quali ritenere che le prescrizioni non sarebbero state adempiute dallo stesso; ha, quindi, concluso che non solo non sarebbe stato possibile conseguire una più adeguata finalità rieducativa, ma si sarebbe potuto anche innescare il rischio di recidivanza, avendo, in particolare, il prevenuto già violato precedenti prescrizioni relative a pene alternative alla detenzione di cui aveva usufruito nel recente passato, rendendosi per di più autore anche di fatti illeciti all'interno della stessa comunità che lo ospitava. In definitiva, tenuto conto che la valutazione circa l'an dell'applicazione della pena sostitutiva che compete al giudice è di tipo discrezionale (prevedendo l'articolo 58 che <<Il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell'articolo 133 del codice penale, se non ordina la sospensione condizionale della pena, ‘può' applicare le pene sostitutive della pena detentiva>>), si deve ritenere sufficientemente congrua la motivazione resa dal Tribunale nel caso di specie, per avere essa espresso, peraltro in maniera approfondita, quelle ragioni ostative alla prognosi favorevole circa l'adempimento delle prescrizioni che l'articolo 58 impone di formulare in via preliminare sulla base di elementi concreti (laddove la rieducazione, legata alla puntuale esecuzione della pena sostitutiva, non potrà che costituire la prospettiva in cui si muove l'applicazione della pena sostitutiva, applicazione che rimane pertanto, in ogni caso, subordinata al giudizio di idoneità della pena sostitutiva a scongiurare il pericolo di recidiva anche medio tempore). In altri termini, si ritiene che il controllo di questa Corte, rispetto alla decisione del giudice di merito di non farsi luogo alla sostituzione della pena detentiva, non possa che fermarsi - secondo i principi generali che regolano il giudizio di legittimità e quelli specificamente affermati in tema di trattamento sanzionatorio - alla verifica della sussistenza di una congrua motivazione che dia conto della esistenza di quei fondati motivi ostativi ad una prognosi favorevole in ordine al futuro comportamento del condannato che involge il rispetto delle prescrizioni (e non solo quelle imposte dal giudice ma anche quelle insite nelle stesse pene sostitutive, che tendenzialmente impongono adempimenti comportamentali specifici). 2. A fronte della corretta impostazione, in fatto ed in diritto, del provvedimento impugnato, il ricorso mira a sottolineare le esigenze di cura e tutela del ricorrente legate alle sue condizioni di salute mentale e fisica, che imporrebbero di applicare una delle sanzioni sostitutive indicate, in particolare quella della detenzione domiciliare, proposta in via principale, se del caso da eseguire presso una comunità o altro luogo idoneo a ricevere il F.A.. Si sottolineano in particolare i traumi subiti in carcere dal prevenuto, che avrebbero aggravato la sua condizione di salute psico-fisica (essendo egli affetto da disturbo da uso di cocaina oramai da anni in remissione e tuttora da disturbo bipolare), e si assume che - solo - con il collocamento in luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza ovvero in comunità o in casa famiglia protetta, il rischio di agiti autolesionistici - già verificatisi nel passato - sarebbe arginato e il F.A. potrebbe ricevere tutte le cura adeguate alla sua patologia. Ebbene, tale prospettiva è in realtà smentita dagli argomenti posti, a base del rigetto, nel provvedimento impugnato, che, in particolare, evidenzia come il ricorrente abbia mostrato di non rispettare le regole della comunità in cui era collocato, vanificando il processo rieducativo e di cura avviato nei suoi confronti, tant'è che era intervenuta la revoca della misura alternativa della detenzione presso comunità terapeutica, e come, una volta rientrato in carcere, le sue condizioni di salute non solo non erano peggiorate ma erano ben gestibili in ambiente carcerario, essendo il F.A. seguito sin dal suo ingresso in carcere dal medico psichiatra dell'istituto penitenziario (come accertato dal Tribunale di Sorveglianza di Brescia - ordinanza del 5.3.2024 - in occasione della decisione di rigetto assunta in merito a richiesta di applicazione della misura alternativa della detenzione domiciliare in luogo di differimento dell'esecuzione della pena). Ha, altresì, posto in evidenza il Tribunale - che non è affatto incorso nell'omessa acquisizione di prova decisiva segnalata dalla difesa avendo disposto, come già sopra detto, l'acquisizione di informative al fine di decidere il caso di specie - che anche le relazioni sanitarie successive al Marzo 2024, acquisite, e comprensive dei referti delle visite psichiatriche nel frattempo effettuate, evidenziano l'esistenza di un rischio suicidiario ma nel contempo assicurano la possibilità di monitorare tale rischio all'interno della struttura carceraria, anche alla luce del registrato progressivo miglioramento delle condizioni di salute del detenuto (rischio suicidario che peraltro la stessa difesa ha collocato anche nell'ambito del ricovero in comunità). E ha quindi concluso il Tribunale che, nel quadro sopra delineato e alla stregua dei resoconti delle visite effettuate dal servizio medico interno al carcere, non si ravvisa nel ricorrente uno stato di salute psicofisica incompatibile col regime penitenziario nell'ambito del quale il condannato potrà invece godere di adeguata assistenza. 3. E' anche il caso di precisare che, a rigore, le condizioni di salute sono espressamente prese in considerazione dal citato articolo 58, che, in relazione alla scelta della pena sostitutiva, così prevede “In ogni caso, nella scelta tra la semilibertà, la detenzione domiciliare o il lavoro di pubblica utilità, il giudice tiene conto delle condizioni legate all'età, alla salute fisica o psichica, alla maternità, o alla paternità nei casi di cui all'articolo 47-quinquies, comma 7, della legge 26 luglio 1975, numero 354, fermo quanto previsto dall'articolo 69, terzo e quarto comma. Il giudice tiene altresì conto delle condizioni di disturbo da uso di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche ovvero da gioco d'azzardo, certificate dai servizi pubblici o privati autorizzati indicati all'articolo 94, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, numero 309, nonché delle condizioni di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, certificate dai servizi indicati dall'articolo 47-quater, comma 2, della legge 26 luglio 1975, numero 354”. Ciò è coerente con la ratio della nuova normativa, dal momento che non avrebbe senso non dare rilievo, in sede di individuazione della pena sostitutiva che meglio si attagli alle circostanze concrete, alle specifiche condizioni individuate dal legislatore al quarto comma dell'articolo 58 ove esse emergano già nella fase di cognizione. Sembra, dunque, doversi desumere che, alla stregua della struttura delle previsioni contenute nell'articolo 58 e della stessa ratio sottesa alla rimodulazione del sistema delle pene sostitutive, che si pongono sul diverso piano della cognizione, entrando a far parte del trattamento sanzionatorio, le condizioni di salute non rilevano nel momento della decisione in ordine all'an della sostituzione, se non nella misura in cui si dovesse ritenere che il loro trattamento al di fuori del circuito carcerario giochi un ruolo decisivo ai fini della rieducazione del condannato e sempre che non sussistano fondati motivi per ritenere che le prescrizioni che accompagnano la pena sostitutiva non saranno adempiute. Sicché, ove, come nel caso di specie, sono state ritenute - per essere stato il tema devoluto alla cognizione del decidente, che lo ha quindi giustamente affrontato - con congrui argomenti, non sussistenti ragioni di incompatibilità delle condizioni di salute con la restrizione in carcere, potendo esse trovare adeguata cura in ambito carcerario (come starebbe già accadendo), e sono stati di contro ravvisati fondati motivi per ritenere che le prescrizioni che accompagnano la pena sostitutiva, anche quella più restrittiva, non sarebbero state adempiute, le condizioni di salute del condannato e le correlate esigenze di cura non potranno che costituire oggetto di compiuto monitoraggio nell'ambito del circuito carcerario, che si svolgerà sul diverso piano dell'esecuzione della pena. D'altra parte, come ha già avuto modo di osservare questa Corte nel corpo motivazionale di Sez.6, numero 31606 del 30/05/2024 (con massima Rv. 286851 - 01 non pertinente al caso di specie), vi è disomogeneità di disciplina tra la detenzione domiciliare quale misura alternativa alla detenzione e la detenzione domiciliare quale pena sostitutiva, introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, numero 150. - disomogeneità ritenuta ragionevole proprio alla luce delle peculiari finalità risocializzanti e deflattive che connotano la detenzione domiciliare come pena sostitutiva. Tale sentenza, nel riportare l'ottica espressa dalla Corte Costituzionale nella pronuncia numero 84 del 2024, già sopra citata, afferma: “[o]ttica, questa, che invece, ad avviso della Consulta, deve ritenersi «scarsamente percepibile, sul piano della concreta disciplina legislativa, nelle due forme di detenzione domiciliare attualmente previste come misure alternative alla detenzione - detenzione ordinaria e speciale - la cui attuale configurazione è soprattutto funzionale ad assicurare l'espiazione della pena al di fuori del carcere a persone particolarmente vulnerabili.” Ha quindi concluso, tale pronuncia, che ai fini della pena sostitutiva prevale la finalità rieducativa, la quale tuttavia non può assumere valore assorbente ove il soggetto non sia affidabile quanto all'osservanza delle prescrizioni e, quindi, ove, pure al netto della possibile futura rieducazione, residuerebbe un margine di recidivanza. Non può, pertanto, ragionarsi sul nuovo istituto in termini di sovrapposizione con la disciplina delle misure alternative alla detenzione previste dalla legge di ordinamento penitenziario, pur nella, in parte, coincidente finalità delle due discipline di offrire una opportunità di risocializzazione diversa dalla tradizionale pena detentiva. 4. Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex articolo 616 cod. proc. penumero, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento. In ragione del riferimento nella presente pronunzia allo stato di salute del ricorrente, in caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'articolo 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'articolo 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.