Condanna penale e illegittimità del licenziamento

In tema di licenziamento per giusta causa, la condotta illecita extralavorativa del lavoratore è suscettibile di rilievo disciplinare, atteso che lo stesso è tenuto a comportamenti che non ledano gli interessi morali e materiali del datore di lavoro. Spetta quindi al giudice di merito accertare se i infatti accertati in sede penale abbiano una gravità tale da costituire giusta causa di recesso.

I fatti di causa La dipendente di un’azienda, attiva nell’ambito dei servizi postali, veniva arrestata nell’anno 2013, per traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. La datrice di lavoro veniva a conoscenza dei fatti dai quotidiani locali. Soltanto nel gennaio del 2019, l'azienda aveva effettiva contezza dell'esito del procedimento penale che aveva condannato, con sentenza passata in giudicato, la prestatrice di lavoro alla pena di 4 anni di reclusione ed alla multa di € 18.000. La società procedeva a contestare i fatti alla lavoratrice nel febbraio 2019; pure si induceva a licenziarla per giusta causa, avuto riguardo al contratto collettivo applicato che, appunto, puniva col recesso in tronco le condotte extralavorative, oggetto di condanne passate in giudicato, per fatti che costituiscano reato. Ne nasceva un contenzioso che, il tribunale prima e la Corte territoriale successivamente, risolvevano nel senso di ritenere insussistente la giusta causa di recesso, con conseguente condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro, ai sensi dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Avverso la sentenza di secondo grado, proponeva ricorso per Cassazione l'azienda, affidando gravame tre motivi, cui resisteva lavoratrice con controricorso. La pronuncia Con questa sentenza, i Supremi Giudici confermano la pronuncia di secondo grado, attraverso l'analisi dei tre motivi di ricorso. In particolare, è stato chiarito che, certamente, il lavoratore deve astenersi da qualunque condotta, anche extralavorativa, che sia in contrasto con i doveri tipici del rapporto di lavoro subordinato o che leda irrimediabilmente il presupposto del rapporto fiduciario (sul punto v. Cass. n. 26181 / 2024). Inoltre, la condotta extra lavorativa è suscettiva di rilievo disciplinare, in quanto il lavoratore non deve porre in essere comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore. (sul punto, v. Cass. n. 267/2024, n. 28368/2021, n. 16268/2015). In tale situazione, la pronuncia dei giudici di merito, che la Corte Suprema ratifica, ha chiarito che i fatti addebitati erano stati commessi nell'anno 2012, ma, dalla metà dell'anno 2016 e fino alla contestazione disciplinare, la lavoratrice aveva ripreso le proprie mansioni di impiegata, senza avere contatti con il pubblico e senza alcuna responsabilità operativa e funzionale. Di più, gli episodi di spaccio contestati e accertati erano stati ritenuti, dal giudice penale, di lieve entità e la prestatrice di lavoro non aveva mai avuto altri incidenti disciplinari. Secondo il Supremo Collegio, la sentenza di secondo grado non è incorsa in alcuna violazione del giudicato penale, considerando che i fatti non integrassero alcuna ipotesi di giusta causa di recesso, anche per la mancanza di un pregiudizio all'immagine aziendale. Infine, la sentenza di secondo grado ha giustamente considerato insussistente il fatto di cui era stata incolpata la lavoratrice, che deve ritenersi tale non solo in senso materiale, ma anche in senso giuridico. Da quanto sopra, discende che deve considerarsi corretta l’applicazione della disciplina di cui all’articolo 18, comma 4, dello Statuo dei Lavoratori, che prevede il potere del giudice, in caso di insussistenza del fatto oggetto di recesso, di annullare il licenziamento e condannare il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione. In conclusione, il ricorso viene rigettato con condanna dell'azienda ricorrente al pagamento delle spese di giustizia e dell'ulteriore contributo unificato.

Presidente Pagetta – Relatore Cinque Rilevato che 1. Con lettera ricevuta il 18.2.2019 POSTE ITALIANE contestava alla dipendente Lo.Ca., assunta nel giugno 2006, addetta all'Ufficio CD di Siena ed inquadrata come addetto senior, i seguenti fatti: La Corte di appello di Firenze con sentenza n. 759/16 del 4 marzo 2016, depositata il 5 maggio 2016 ed irrevocabile nei suoi confronti il 26 novembre 2016, aveva condannato Lo.Ca. alla pena di anni 2 di reclusione e Euro 4.000 di multa; ma l'informazione relativa a tale decisione era stata reperita da POSTE ITALIANE il 25 gennaio 2019, a seguito di specifica richiesta di accesso agli atti rivolta alla cancelleria del Tribunale di Firenze; fin dal novembre 2013, quando era venuta a conoscenza dell'arresto della stessa lavoratrice dai quotidiani locali, la società si era adoperata periodicamente per reperire informazioni sull'esito definitivo del relativo procedimento penale, rivolgendosi a numerosi uffici giudiziari, ma senza trovare riscontro dal momento che si trattava di pronunce non definitive (quella di appello essendo stata ricorsa in Cassazione da altri imputati, seppur non da Lo.Ca.); il 21 novembre 2013 la società aveva appreso dai quotidiani locali dell'arresto della dipendente coinvolta in vicende di traffico e spaccio di stupefacenti; all'epoca la lavoratrice era assente dal servizio per interdizione anticipata per gravidanza a rischio dal gennaio 2013 e, quindi, era rimasta in congedo fino al dicembre 2013; il 12 febbraio il GUP del Tribunale di Firenze aveva condannato Lo.Ca. a 4 anni e 4 mesi di reclusione ed Euro 18.000 di multa per detenzione a fini di spaccio di quantitativi (imprecisati ma consistenti) di cocaina, in più occasioni ed in tempi distinti ceduti dalla stessa per la rivendita a terzi; la sentenza penale di primo grado era stata appellata dalla lavoratrice, così impedendo l'azione disciplinare da parte di POSTE ITALIANE, poiché per contratto collettivo (articolo 54 co. 6 lettera h CCNL) il licenziamento per giusta causa può essere intimato a fronte di condotte extralavorative oggetto di condanne passate in giudicato per fatti che costituiscono reato; la condotta sanzionata in sede penale definitiva era addebitabile alla lavoratrice e, per quanto non strettamente connessa con il rapporto di lavoro con la società, rifletteva i suoi effetti diretti ed indiretti nell'ambito del medesimo contesto, violava , infatti, leggi penali e regole aziendali, pregiudicava l'immagine della società, elideva il vincolo fiduciario fra le parti; oltre che violare l'obbligo di diligenza, era contraria al Codice etico aziendale che impone a tutti i dipendenti comportamenti di integrità, onestà, correttezza e leale competizione fra le parti, considerando altresì che POSTE ITALIANE svolge un servizio di rilevanza pubblica . 2. Con successiva lettera ricevuta il 13.3.2019 alla dipendente veniva intimato il licenziamento per giusta causa. 3. Impugnato il provvedimento di recesso, il Tribunale di Siena riteneva che il fatto contestato come giusta causa non sussistesse, annullando il licenziamento e ordinando la reintegra, con condanna della società al pagamento dell'indennità risarcitoria pari all'ultima retribuzione globale di fatto dal licenziamento alla reintegra, nel limite di dodici mensilità, oltre agli accessori e alla regolarizzazione contributiva ed assistenziale. 4. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza n. 637/2023, confermava la pronuncia di primo grado rilevando che: a) la rilevata tardività della contestazione disciplinare non fondava la pronuncia reclamata in tema di reintegra ed indennizzo, bensì rappresentava una premessa logica del ragionamento che aveva portato ad escludere la stessa sussistenza del fatto contestato ai sensi dell'articolo 18 co. 4 St. lav.; b) la società non aveva assolto l'onere di dimostrare l'effettiva rilevanza giuridica della condotta extralavorativa del 2011/2012, nel contesto aziendale del 2019, proprio considerando le mansioni impiegatizie interne agli uffici e prive di responsabilità ovvero il fatto che la lavoratrice avesse un ruolo meramente esecutivo e privo di visibilità e che non poteva in alcun modo essere identificato con la generale immagine aziendale di soggetto che esercita servizi di interesse pubblico; c) esclusa la giusta causa, era inevitabile ritenere il fatto insussistente da intendere non solo come inesistenza del fatto materiale, ma anche come fatto privo della illiceità necessaria a consentire l'esercizio del potere disciplinare di recesso, con il conseguente riconoscimento della tutela ex articolo 18 co. 4 legge n. 300 del 1970. 5. Avverso la sentenza di secondo grado POSTE ITALIANE Spa proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resisteva con controricorso Lo.C.. 6. Le parti depositavano memorie. 7. Il Collegio si riservava il deposito dell'ordinanza nei termini di legge ex articolo 380 bis 1 cpc. Considera to che 1. I motivi possono essere così sintetizzati. 2. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2119 cc e dell'articolo 54 co. 4 lett. H del CCNL Poste, in relazione all'articolo 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale accertato la insussistenza della giusta causa di licenziamento sulla base di una errata e falsa applicazione della norma di legge. Si obietta, in particolare, che non era stato valorizzato il profilo della chiara sussistenza del fatto contestato, avente natura di illecito penale ed anche disciplinare, e che la condotta era stata commessa quando la Lo.Ca. era comunque dipendente della società, configurandosi, quindi, una violazione dell'obbligo di fedeltà e diligenza da parte del lavoratore ai sensi degli articolo 2104 e 2105 cc. Si deduce, che il fatto materiale sussisteva e non poteva dirsi neutro, ma rivestiva carattere di illecito ed assumeva rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario. Si conclude evidenziando, da un lato, che ai sensi dell'articolo 653 cpp, la sentenza penale irrevocabile di condanna della lavoratrice aveva efficacia di giudicato nel presente giudizio e, dall'altro, che correttamente POSTE ITALIANE Spa aveva applicato la norma collettiva di cui all'articolo 54 co. VI lett. H che prevede espressamente sanzionabile con il licenziamento senza preavviso la condotta addebitata. 3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli articolo 18 co. 4 legge n. 300 del 1970, in relazione all'articolo 360 co. 1 n. 3 cpc, perché, in ogni caso, la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare la tutela di cui al co. 5 dell'articolo 18 St. lav. vertendosi nelle cd. altre ipotesi previste dalla suddetta disposizione. 4. I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro interferenza, sono infondati. 5. In punto di diritto, la gravata sentenza è in linea con i principi affermati in sede di legittimità che di seguito vengono specificati. 6. Invero, è stato precisato che, dall'integrazione dell'obbligo di fedeltà, di cui all'articolo 2105 c.c., con i principi generali di correttezza e buona fede ex articolo 1175 e 1375 c.c., deriva che il lavoratore deve astenersi da qualsiasi condotta, anche extralavorativa e potenzialmente dannosa, che sia in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della stessa, o sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto (Cass. n. 26181/2024). 7. Inoltre, è stato statuito che la condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall'ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso; tali condotte, ove connotate da caratteri di gravità, possono anche determinare l'irrogazione della sanzione espulsiva (Cass. n. 267 del 2024; n. 28368 del 2021; n. 16268 del 2015). 8. Entro tale perimetro si colloca la decisione d'appello che non ha attribuito ai fatti già accertati in sede penale una valenza di gravità tale da ledere in modo irrimediabile, alla luce delle precipue caratteristiche della prestazione richiesta alla Lo.Ca., la fiducia nel futuro corretto adempimento dell'attività lavorativa. 9. La Corte di appello, infatti, ha vagliato la fattispecie ad essa sottoposta evidenziando che la lavoratrice, dopo i fatti commessi risalenti al 2011/2012, dalla metà dell'anno 2016 fino alla contestazione disciplinare avvenuta nel 2019 (dopo un periodo in cui era stata anche assente dal servizio per interdizione anticipata per gravidanza dal gennaio 2013) aveva ripreso le proprie mansioni di impiegata addetta agli uffici interni di POSTE ITALIANE Spa, che si esaurivano nella lavorazione della corrispondenza destinata ai portalettere e nella tenuta della contabilità di eventuali incassi effettuati dagli stessi portalettere, senza contatti con il pubblico e senza alcuna responsabilità operativa e funzionale; e la società era a conoscenza della vicenda penale fin dall'originario arresto del novembre 2013, e non aveva mai ritenuto di sospendere in via cautelare la dipendente. 10. Quanto alla gravità, la Corte territoriale ha condivisibilmente ritenuto non sussumibile, nel concetto di giusta causa, il fatto extralavorativo addebitato, atteso che: gli episodi di spaccio contestati ed accertati erano stati ritenuti, in sede penale, di lieve entità; la Lo.Ca. non aveva mai avuto altro incidente disciplinare né le erano stati addebitati altri inadempimenti; il ruolo lavorativo espletato da quest'ultima, di natura meramente esecutiva e privo di visibilità, non poteva arrecare alcun pregiudizio all'immagine aziendale. 11. Ne consegue che i giudici di seconde cure non sono incorsi in alcuna violazione del giudicato penale, come sostiene parte ricorrente, in quanto esso è stato considerato nel loro percorso logico-giuridico e valutato nella sua consistenza ai fini disciplinari, né hanno ritenuto giustamente il fatto sussumibile nella fattispecie di cui all'articolo 54 co. VI lett. h del CCNL di settore applicato proprio per la rilevata mancanza di pregiudizio alla immagine aziendale. 12. Lungi dallo stabilire un automatismo tra la condanna penale e l'integrazione della giusta causa di licenziamento, la sentenza d'appello ha, quindi, ben colto le implicazioni dei fatti penalmente illeciti sulla regolare esecuzione della prestazione, nel rispetto degli obblighi facenti capo al lavoratore e posti a tutela degli utenti del servizio; del pari la Corte territoriale ha valutato - con apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità - tutta la vicenda nel suo articolarsi temporale avendo riguardo anche al comportamento adottato dalle parti dalla commissione della condotta extra-lavorativa alla contestazione disciplinare avvenuta dopo molti anni. 13. In ordine, infine, alle doglianze sulla tutela assegnata, la Corte di merito, esclusa la giusta causa, ha considerato insussistente il fatto incolpato che deve intendersi non solo in senso materiale, ma anche in senso giuridico, come più volte affermato in sede di legittimità (per tutte, Cass. n. 13383/2017, Cass. n. 29062/2017), se cioè privo della illiceità necessaria a consentire l'esercizio del potere disciplinare di recesso, applicando, conseguentemente e in modo esatto, l'articolo 18 co. 4 legge n. 300 del 1970. 14. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato. 15. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. 16. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.