«L’attribuzione mortis causa effettuata tramite legato rimuneratorio ex articolo 632 c.c. è un’attribuzione liberale e, in caso di lesione di legittima, è soggetta a riduzione, non potendo trovare applicazione l’articolo 770 c.c., secondo cui “non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o, comunque, in conformità agli usi».
Nella sentenza in esame punto focale è stato l'accoglimento della domanda di riduzione proposta dagli eredi legittimi della de cuius con conseguente obbligo del coerede alla restituzione in natura degli immobili agli aventi diritto alla reintegrazione della quota di legittima. Si è evidenziato come mancano i presupposti di fatto per poter estendere la fattispecie in esame a quella ex articolo 770 co. 2 c.c. escluso che si tratta di “legato d'uso”. Il Tribunale ha osservato che, anche qualora si fosse trattato di quest'ultimo, non potrebbe trovare comunque applicazione neppure analogica tale norma e dunque, in mancanza di una disciplina, tali legati restano assoggettati all'azione di riduzione (indipendentemente dal motivo di gratitudine o riconoscenza), soprattutto con riferimento all'articolo 770 co. 1 c.c. per la quale opera la riduzione delle disposizioni lesive della quota di legittima. Tra l'altro l'articolo 770 c.c. non prevede un trattamento differenziato tra donazione e donazione rimuneratoria, in quanto trattasi comunque di attribuzioni gratuite e perciò soggette ad azione di riduzione per la reintegra della quota spettante ai legittimari. Punto focale della sentenza è stata anche la netta distinzione tra la disciplina degli atti inter vivos e quella degli atti mortis causa in quanto il beneficiario del legato è il destinatario di una attribuzione riconducibile alla volontà del disponente (carattere unilaterale che caratterizza il legato ed il testamento) mentre dall'altro lato, il donatario concorre con la propria dichiarazione di volontà nella formazione dell'atto. Fatti di causa Con atto di citazione parti attrici esponevano che la madre con testamento pubblico aveva disposto i diritti spettanti agli eredi legittimi e che, con lo stesso testamento (del 2011), erano stati legati diversi diritti su beni immobili in favore della nuora, “in rimunerazione della continua assistenza” prestata alla suocera, lesivi della quota dei legittimari che avevano accettato l'eredità della defunta madre con beneficio di inventario e chiedevano che il legato disposto in favore della nuora fosse ridotto al valore della quota disponibile e fino alla reintegrazione della quota di legittima dovuta a ciascuno di essi. Si costituiva in giudizio (con comparsa di costituzione) parte convenuta contestando la fondatezza della domanda attorea e chiedendo in via riconvenzionale che fosse accertato e dichiarato il proprio credito nato dall'attività di assistenza come badante in favore della madre degli attori che, dopo essere stata colpita da un ictus con successiva recidiva, aveva bisogno di continua assistenza e si era trasferita nell'abitazione della defunta proprio per prestarle assistenza continua, mentre gli attori (a detta della convenuta), si disinteressavano della madre. Rilevava poi che il debito che gravava sull'asse ereditario avrebbe dovuto essere preso in considerazione anche in sede di riunione fittizia per verificare se i diritti successori degli attori fossero stati lesi, evidenziando anche che il calcolo effettuato dagli stessi era errato stante che non avevano considerato la donazione per atto pubblico fatta ai nipoti, figli di uno delle parti, avente ad oggetto un appartamento che supererebbe la quota del 50% di proprietà della de cuius, in quanto doveva essere riunito fittiziamente nella massa e che, il criterio utilizzato per calcolare il valore dei beni donati era stato ingiustamente diverso da quello utilizzato per calcolare il valore dei beni relitti. Chiedeva dunque, il rigetto della domanda attorea e, in via riconvenzionale, chiedeva che fosse effettuata una compensazione tra il credito vantato per l'attività di assistenza ed il valore degli immobili facenti parte dell'asse ereditario e altresì la condanna degli attori all'eventuale pagamento della differenza. Con memoria integrativa, parte attrice eccepiva che il credito vantato dalla controparte non poteva essere fatto valere in quanto prescritto e che la convenuta non poteva impugnare la donazione effettuata ai nipoti poiché non era erede e perché nel I testamento (del 2000) la de cuius aveva affermato che il denaro utilizzato per l'acquisto dell'immobile donato ai nipoti, era stato fornito dal figlio. Invero, con memoria integrativa, parte convenuta eccepiva dal canto suo che aveva richiesto il pagamento delle somme dovutegli come badante nel procedimento di mediazione del 2015 (quindi non prescritto) ed osservando che la dichiarazione contenuta nel II testamento aveva inteso lasciare i diritti spettanti su diversi beni immobili «anche in rimunerazione per la continua assistenza» integrava ricognizione di debito da tenere in considerazione in sede di riunione fittizia per il calcolo della legittima. Con successive memorie le parti ribadivano le proprie domande ed eccezioni, formulando le rispettive istruttorie. Alla successiva udienza, mancando parte attrice, per il giudice non era stato possibile espletare il tentativo di conciliazione ed interrogava liberamente la parte convenuta chiedendo i necessari chiarimenti. Veniva disposta CTU per verificare la sussistenza della lesione della quota di riserva spettante ai legittimari mediante la determinazione del valore della massa ereditaria al momento dell'apertura della successione, con l'accertamento del valore della donazione fatta ai nipoti, con riferimento al momento della donazione e calcolo d'acquisto al momento dell'apertura della successione nonché il calcolo della quota disponibile. Il giudice non ammetteva prova per testi chiesta dalla convenuta sulla base del principio che l'attribuzione mortis causa effettuata tramite legato rimuneratorio ex articolo 632 c.c. è un'attribuzione liberale e, in caso di lesione di legittima, è soggetta a riduzione, non potendo trovare applicazione l'articolo 770 c.c., secondo cui «non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o, comunque, in conformità agli usi». Parte convenuta, poi, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'articolo 632 c.c. in relazione all'articolo 770 c.c. per violazione dell'articolo 3 Cost. nella parte in cui non prevedeva l'esclusione del legato rimuneratorio dalla riduzione, essendo tale soluzione viziata da irragionevolezza non essendovi sostanziale differenza tra la donazione rimuneratoria, per la quale tale esclusione era prevista, ed il legato rimuneratorio. Invero, con riferimento alle conclusioni del CTU, si riportava alle conclusioni effettuate dal tecnico di parte sul mercato immobiliare e sul valore superiore delle quotazioni. Orbene, parte attrice contestava le sopra dette deduzioni e con successive note sottolineava che la donazione ed il legato sono disciplinati in modo diverso anche se, accomunate dallo spirito di liberalità e che comunque il legato non è sovrapponibile con la liberalità d'uso, fattispecie esclusa dall'azione di riduzione. Conclusioni delle parti Alla successiva udienza il giudice rimetteva la causa in decisione e le parti concludevano con le rispettive comparse conclusionali: - parte attrice chiedeva la dichiarazione della lesione della quota di legittima, per effetto di questa, disporre la riduzione delle disposizioni testamentarie e, in ogni caso, fino alla reintegrazione della quota di legittima; - parte convenuta chiedeva l'ammissibilità della questione di legittimità e la sospensione del giudizio in attesa della decisione. In subordine, in via istruttoria, ammissione della richiesta di richiamo CTU per verificare l'effettivo valore di mercato dell'immobile donato ai nipoti, ammissione testi e ammissione CTU per la valutazione dell'attività di assistenza prestata; nel merito chiedeva al Tribunale di respingere tutte le domande formulate da parti attrici ed in via riconvenzionale, la dichiarazione dell'attività di badante della suocera nonché la somma di 168.000€ per l'attività espletata e che il valore della stessa venga detratto dal valore attribuito al legato ai fini della riduzione nonché la disposizione di detto credito con carico sulla massa ereditaria, tenendo conto che gli attori hanno accettato l'eredità con beneficio di inventario. Decisione del giudice Il Tribunale di Messina ha: -dichiarato la comproprietà degli attori in successione della madre, per i beni relitti per i quali è stata aperta la successione ab intestato; - accolto la domanda di azione di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima; - reintegrato, per l'effetto dell'accoglimento della riduzione, gli attori nella loro quota di legittima. L'azione di riduzione e la donazione rimuneratoria Il giudice ha spiegato nella sentenza in esame la disciplina dell'azione di riduzione facendo richiamo alla sentenza della Corte di Cass. numero 9424/2003. Essa è volta a far dichiarare l'inefficacia, in tutto o in parte, delle disposizioni testamentarie e degli atti di liberalità posti in essere durante vita dal de cuius che abbiano leso la quota riservata agli eredi legittimi; ha come causa petendi la qualità di erede necessario e l'avvenuta lesione della quota di legittima per effetto del testamento e, come petitum, la diminuzione delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore degli eredi o di terzi nella misura eccessiva per reintegrare la quota di riserva e ciò, con effetto retroattivo al momento dell'apertura della successione. Per cui essa è una azione di accertamento costitutivo giacchè diretta ad accertare l'esistenza di una lesione della quota di legittima che consegue automaticamente una lesione del legittimario e del diritto a lui spettante e quindi, l'automatica modificazione del contenuto giuridico dello stesso diritto ovvero l'integrazione della quota a lui riservata. Tale azione può essere sia individuale stante che ogni legittimario può agire da sé ovvero divisibile in quanto ogni legittimario può agire anche contro uno solo dei beneficiari (sempre nel limite però, della quota di legittima). La conseguenza è, spiega il Tribunale, che nel giudizio non devono essere convenuti, come litisconsorti necessari, tutti i legittimari, essendo necessaria la sola presenza in causa della persona che ha beneficiato della disposizione testamentaria che si assume essere lesiva (Corte di Cass. sent. numero 27414/2005). Da ultimo, richiama il giudice, l'oggetto dell'azione: ai sensi dell'articolo 554 c.c. disposizione testamentaria a titolo universale o a titolo particolare e ai sensi dell'articolo 555 c.c. la riduzione delle donazioni. Orbene, nel caso di specie, la de cuius aveva disposto, dopo aver revocato il precedente testamento del 2000, che legava alla nuova “tutti i diritti spettanti” su alcuni beni immobili citati nello stesso atto, anche in considerazione della continua assistenza. Convenuta sosteneva che la disposizione fosse un legato rimuneratorio ex articolo 632 c.c. e che dunque non fosse possibile aggredirlo con azione di riduzione stante che avrebbe un trattamento differenziato rispetto agli altri legati, così come l'articolo 770 c.c. pone un trattamento differenziato tra la donazione rimuneratoria e le altre donazioni. Il giudice non ha condiviso tale argomentazione difensiva giacché come è noto, la donazione rimuneratoria consiste nell' attribuzione gratuita compiuta in modo spontaneo nella consapevolezza di non dover adempiere alcun obbligo giuridico, morale o sociale per compensare i servizi resi dal donatario. Invero, lo scopo rimuneratorio, dice il Tribunale di Messina, costituisce il motivo dell'attribuzione stessa per ricambiare al beneficiario un beneficio ricevuto, per dovere di gratitudine, a prescindere dal valore del servizio ricevuto. Ha osservato poi, che la donazione rimuneratoria presuppone un servizio specifico e che non sussista un vero e proprio dovere giuridico di pagare il rispettivo corrispettivo, in quanto si tratta di servizi che si prestano e si accertano in maniera gratuita, anche se normalmente retribuibili. Vero è che l'articolo 770 co. 2 c.c. stabilisce un trattamento differenziato affermando che «non costituisce donazione» esclusivamente con riferimento alla «liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi» ma è una figura, afferma il Tribunale, che si discosta sensibilmente dalla donazione rimuneratoria. E allora, l'articolo 770 c.c. non prevede (sempre in riferimento alla donazione rimuneratoria), un trattamento differenziato tra donazione e donazione rimuneratoria, in quanto trattasi comunque di attribuzioni gratuite e perciò soggette ad azione di riduzione per la reintegra della quota spettante ai legittimari. Differenza tra donazione rimuneratoria per “speciale donazione” e liberalità rimuneratoria d'uso Il giudice a tal proposito ha richiamato alcuni filoni interpretativi sul delicato argomento: - un primo orientamento ha affermato che la differenza tra le due figure dovrebbe ravvisarsi sotto il profilo della proporzionalità o meno del servizio effettuato. La speciale rimunerazione così, starebbe a significare che vi deve essere una sproporzione tra il corrispettivo ed il valore dei servizi e ciò implica che lo stesso non deve essere effettuato in adempimento di una obbligazione che deriva dalla legge o in osservanza di un dovere morale o sociale, poiché si parlerebbe di liberalità d'uso; - la seconda opinione (prevalente) afferma che la differenza tra le due figure non deve essere ravvisata sotto il profilo quantitativo ma sotto quello oggettivo, in aderenza al dettato normativo che non contempla il requisito della proporzionalità mentre richiede che la prestazione sia effettuata “in conformità agli usi” (Corte di Cass. Sent. numero 15334/2018). In base al secondo orientamento, il legislatore ha ricondotto nell'alveo delle “liberalità” anche le donazioni d'uso previste dall'articolo 770 co. 2 c.c. sicchè il discrimen non può essere individuato nella circostanza che la donazione «venga effettuata in adempimento di un'obbligazione prevista dalla legge o in osservanza di un dovere nascente dalle comuni norme morali e sociali». Perché? Perché in tal caso verrebbe meno la “liberalità” e in più la distinzione tra le due figure va ribadita sempre poiché l'obbligazione naturale è sempre adempiuta animo solvendi mentre nelle liberalità d'uso la causa liberale è solo attenuata dal motivo specifico di conformarsi all'uso, per cui l'erogazione non è del tutto libera e spontanea, ma non è neppure doverosa. In quest'ultima «l'uso determina l'occasione, i soggetti nonché la misura della liberalità e, se è vero che l'occasione può essere costituita anche dai servizi resi, occorre sempre che l'elargizione corrisponda ad un uso, vale a dire ad una consuetudine, anche se non in senso tecnico giuridico, quale regola giuridica da rispettare». Nella fattispecie in esame Nei fatti di causa l'attribuzione da parte della suocera deceduta di alcuni immobili alla nuora non costituisce una “liberalità d'uso” stante che detti beni costituivano larga parte del patrimonio della donante e perché non è configurabile alcuna consuetudine in base al quale il soggetto che abbia prestato assistenza sia solito beneficiare della maggior parte dei beni del de cuius. Il Tribunale di Messina ha concluso per la mancanza dei presupposti di fatto dovendosi escludere che il legato oggetto della causa sia un “legato d'uso” e «non può trovare applicazione, nemmeno in via analogica, l'articolo 770 co. 2 c.c. in quanto (anche come sottolineato dalla giurisprudenza), tali legati restano assoggettati alla disciplina della riduzione, indipendentemente dal fatto che per il loro contenuti siano collegati ad un intento satisfattivo ovvero ad un semplice motivo di gratitudine o di riconoscenza, in quanto nel vigente ordinamento vi è una netta distinzione tra la disciplina degli atti inter vivos e quella degli atti mortis causa e ciò preclude qualsiasi possibilità di assimilare nel trattamento giuridico le disposizioni testamentarie a carattere patrimoniale, a titolo universale o a titolo particolare, che abbiano analoga struttura». (Corte di Cass. Sent. numero 5775/1978) L'eccezione costituzionale Stante che la fattispecie in esame non corrisponde a quella prevista dall'articolo 770 co. 2 c.c. ma eventualmente al co. 1, il Tribunale di Messina ha ritenuto infondata la questione di legittimità sollevata da parte convenuta vista la netta distinzione tra le due fattispecie ampiamente spiegata ovvero sulla differenza tra gli atti inter vivos e gli atti mortis causa, con una conseguenza fondamentale: nell'atto a causa di morte non viene di regola attribuita alcuna rilevanza alle posizioni di terzi contro interessanti. Le disposizioni testamentarie sotto atti di liberalità? La parte convenuta non ha ritenuto fondamentali le differenze tra i due istituti a fronte del rilievo che, secondo la parte, si sarebbe al cospetto in entrambi i casi di attribuzioni liberali. Nella sentenza in esame, il giudice ha richiamato i fondamenti degli atti di liberalità, connotati dalla spontaneità, assenza di corrispettivo e soprattutto lo spirito di liberalità, inteso come un intento dell'autore dell'atto di arricchire il destinatario, senza che detta attribuzione risponda ad un interesse economico del beneficiario. Per rispondere alla domanda, il giudice ha osservato che «l'intento del de cuius di arrecare vantaggio patrimoniale al legatario (…) non rappresenta un elemento costitutivo del legato stesso, il quale deve considerarsi valido anche allorquando la relativa disposizione sia stata predisposta per ragioni diverse, come avviene per esempio nel legati di debito di cui all'articolo 659 c.c., la cui funzione non consiste nel determinare un arricchimento a favore del legatario, ma nell'assicurare a quest'ultimo la soddisfazione del preesistente credito vantato nei confronti del testatore, la liberalità di ricondurre il legato alla categoria delle liberalità si traduce in un ulteriore elemento di distinzione tra il legato stesso e la donazione, fattispecie di differente natura e di differente disciplina». L'eccezione di prescrizione e riconoscimento di debito nel testamento La parte attrice aveva eccepito la prescrizione di un eventuale diritto vantato da parte convenuta sull'ottenimento di una retribuzione per l'attività lavorativa di assistenza svolta, contestando la fondatezza della domanda. Il Tribunale, premesso che, il credito avente ad oggetto l'obbligo di pagamento di somme di denaro relative ad attività lavorativa va espletato con il rito del lavoro e che non è possibile l'esame di detta questione in un procedimento trattato e deciso con rito ordinario, ha ritenuto l'eccezione fondata atteso che l'articolo 2948 c.c. prevede un termine prescrizionale di 5 anni per la richiesta di pagamento di retribuzione, contributi previdenziali ed altre indennità di lavoro. È stato anche osservato che è ampiamente decorso il termine prescrizionale e che in sede di mediazione la parte si era limitata ad allegare che aveva accudito la suocera, ma non aveva compiuto alcun atto interruttivo di prescrizione o di costituzione in mora. Quindi, non appare condivisibile la tesi della parte convenuta riguardo la richiesta di riconoscimento di debito inquadrato, talaltro, nella categoria di negozio di accertamento e non implica l'assunzione di un obbligo ma va a determinare l'inversione dell'onere probatorio. Riguardo al riconoscimento del debito nel testamento, il giudice ha aderito alla giurisprudenza secondo cui «qualora si assuma la simulazione della ricognizione testamentaria e si indaghi sulla natura liberale o meno della relativa disposizione, la ricognizione effettuata dal testatore non è sufficiente a dimostrare l'esistenza del debito nei confronti degli eredi legittimari e deve essere corroborata dal creditore con altri elementi che ne sostengano la genuinità e diano dimostrazione della esistenza del rapporto fondamentale». Nella fattispecie in esame non è stato sufficiente da parte della convenuta allegare che per diversi anni insieme al marito ha prestato assistenza alla suocera, poiché non è sufficiente a dimostrare che abbia accumulato un credito da lavoro. Anche qui, il giudice ha richiamato la giurisprudenza sull'attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro dipendente: «essa si deve presumere che sia caratterizzata dalla gratuità della prestazione lavorativa quando il rapporto sia stato istituito in virtù di un legame effettivo e di familiarità» proprio come nel caso in esame. La presunzione può essere superata fornendo prova formale dell'esistenza del vincolo di subordinazione ma, nel caso in esame non è stata offerta alcuna prova ma al contrario, risulta che la stessa attività sia stata espletata con modalità di gratuità delle prestazioni. Riducibilità del legato Parte convenuta aveva affermato che il legato nei suoi confronti non fosse riducibile in quanto la de cuius aveva inteso adempiere ad un vero a proprio dovere morale, anche in assenza di un vero e proprio obbligo giuridico di ricompensa per l'assistenza prestata. Ebbene, l'esecuzione di una prestazione in adempimento ad un dovere morale, rientra tra le obbligazioni naturali ex articolo 2034 c.c. che vanno distinte dalle donazioni, sicchè non è applicabile l'azione di riduzione prevista per le seconde. Relativamente al legato, il legislatore ha posto una diversa disciplina soprattutto con riferimento ai cd. legati di debito. Disciplinati dall'articolo 659 c.c., si prevede una «presunzione relativa che il legato costituisca un atto di liberalità, se il debito non venga menzionato, sicchè, al contrario, si ricava che, se nella scheda testamentaria vi è menzione del debito, si presume che il legato abbia funzione satisfattiva, ma in entrambi i casi si è al cospetto di una presunzione iuris tantum, così da poter essere superata dalla prova contraria fornita dalla parte interessata». Nel caso in cui il testatore, a soddisfazione del creditore, disponga di un bene (come una sorta di datio insolutum), dottrina e giurisprudenza concordano sul problema di coordinazione tra l'articolo 1197 c.c. ed il meccanismo acquisitivo di legato. Il Tribunale, seguendo la giurisprudenza, ha ipotizzato che «nel caso di vittorioso esperimento dell'azione di riduzione, il legato deve essere diminuito del suo valore economico e si avrebbe solo un'estinzione parziale del debito vantato dal legatario e che dall'altro lato non è ipotizzabile l'applicazione dell'articolo 2034 c.c. analogicamente, che nega la ripetibilità di quanto già prestato in esecuzione di obblighi naturali, qualora il testatore, dichiarandolo espressamente, abbia inteso soddisfare un'obbligazione naturale disponendo un legato in favore del creditore, non solo per il carattere eccezionale e limitato della norma, ma anche per la somiglianza dei casi». (Corte di Cass. Sent. numero 1297/1971) Riunione fittizia e differenza con la collazione Si è anche osservato che in sede di riduzione occorre effettuare due operazioni preliminari alla reintegrazione della quota riservata ai legittimari ovvero la riunione fittizia e l'imputazione ex articolo 556 c.c. che prevede che per l'accertamento della lesione della quota di legittima e della quota disponibile, occorre determinare il valore della massa ereditaria, della quota disponibile e della quota di legittima. Si procede poi alla formazione della massa dei beni relitti e alla determinazione del loro valore economico al momento dell'apertura della successione, alla detrazione del relictum dei debiti contratti dal defunto, alle spese funerarie e di sepoltura e a quelle relative al pagamento della tassa di successione. E allora, occorre effettuare una riunione fittizia tra attivo netto e donatum ovvero il patrimonio costituito dai beni disposti a titolo di donazione in vita dal de cuius, indipendentemente dalla qualità di congiunto, erede o estraneo del donatario. L'istituto della riunione fittizia si differenzia da quello della collazione o meglio, operano in maniera diversa e i due hanno in comune la disciplina relativa all'oggetto ed alla valutazione dei beni, in forza del rinvio contenuto dell'articolo 556 c.c. e alle regole ex articolo 747 e 750 c.c. sicchè i beni oggetto di donazione vanno stimati nell'oggetto, nel momento della donazione e nel loro valore economico in base al potere di acquisto al momento dell'apertura della successione. Nel caso in esame non è stato allegato che gli attori abbiano beneficiato di donazioni, né emerge dagli atti; ai fini dell'accertamento della lesione degli attori quali legittimari, sarà sufficiente la verifica se i beni loro spettanti siano sufficienti a comporre la quota riservata alla luce della sommatoria tra relictum e donatum. La convenuta aveva contestato le conclusioni di CTU ma il Tribunale non ha ritenuto tali censure condivisibili poiché il professionista ha applicato nella valutazione degli immobili il criterio sintetico comparativo sulla base di indagini effettuate nel mercato con l'ausilio di agenzie immobiliari e tenendo conto di tutti i dettagli relativi agli immobili. Debiti da detrarre dal relictum Come detto, vi è una impossibilità di prendere in considerazione il credito vantato dalla convenuta dei confronti del de cuius per l'attività di assistenza prestata e va altresì esclusa la possibilità di prendere in considerazione il credito affermato dagli attori derivante da un prestito che la madre avrebbe effettuato per l'acquisto di un immobile poi donato ai nipoti. Non vi è alcun confronto con elementi di prova né simili dichiarazioni (fatte dalla de cuius) nei confronti dell'erede legittimo non possono valere per un esonero del credito e per la prova dello stesso. Effetti dell'azione di riduzione Ai sensi dell'articolo 553 c.c. alla riduzione delle quote legali si procede ab intestato ope legis senza l'intervento del giudice in quanto è lo stesso legislatore che disciplina una compressione delle quote di legittima per evitare il verificarsi della lesione mentre, sarà necessario esperire l'azione di riduzione ove tale meccanismo di automatica riduzione non sia sufficiente ad eliminare la lesione. Gli effetti dell'accoglimento della domanda fanno sì che rientri nell'asse ereditario l'oggetto delle disposizioni lesive per consentire al legittimario l'acquisizione di un patrimonio netto, calcolato al momento dell'apertura della successione e che soddisfi il suo diritto di legittima. Infine, importante è stato sottolineare come la riduzione comporta l'obbligo del coerede alla restituzione in natura degli immobili al coerede avente diritto alla reintegrazione della sua quota di legittima, senza che si possa procedere ad imputazione del valore dei beni che è facoltà prevista per la sola collazione.
Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.