Carcere duro: nuova declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 41-bis

La Corte Costituzionale, ravvisando un contrasto con gli articolo 3 e 27 della Costituzione, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 41-bis, comma 2-quater, l. 26 luglio 1975, numero 354, che limitava le ore di permanenza all’aperto dei detenuti sottoposti al regime di “carcere duro”, determinando un’ingiustificata e nociva disparità di trattamento rispetto ai detenuti in regime ordinario.

La decisione La Corte costituzionale è tornata ad occuparsi del “carcere duro”, questa volta per escludere la legittimità costituzionale dell'articolo 41-bis, comma 2-quater, l. 26 luglio 1975, numero 354. Nel catalogo delle limitazioni dei diritti dei detenuti, la previsione scrutinata concedeva soltanto due “ore d'aria”, diversamente da quanto prevede, in linea generale, l'articolo 10, in forza del quale i detenuti in regime ordinario possono trascorrere all'aria aperta almeno quattro ore al giorno. Il precedente In realtà, una questione simile era già stata trattata dal Giudice delle leggi che aveva dichiarato inammissibili censure pressoché identiche (C. Cost. numero 190/2010), ma il precedente non è stato ritenuto ostativo a un esame nel merito, soprattutto in ragione di una più precisa perimetrazione del petitum e della modifica del dato normativo intervenuta nelle more (l'articolo 11, comma 1, lett. c, d. lgs. 26 ottobre 2018, numero 123, ha innalzato da due a quattro ore il periodo minimo di permanenza all'aperto dei detenuti in regime ordinario aggravando così la disparità di trattamento). Un intervento chirurgico In ogni caso, prima di entrare in medias res, la Corte si premura di precisare che si tratta di un intervento chirurgico, che riguarda uno specifico segmento della disciplina e non pone in discussione l'impianto complessivo del regime speciale delineato dall'articolo 41-bis. I parametri costituzionali Il giudice rimettente - il Tribunale di sorveglianza di Sassari - aveva prospettato un contrasto dell'articolo 41-bis, comma 2-quater, lett. f), con gli articolo 3,27 e 32 Cost. La Corte Costituzionale, dal canto suo, ha ravvisato la fondatezza delle censure incentrate sugli articolo 3 e 27 Cost. e ha ritenuto assorbita quella elaborata intorno all'articolo 32. La ricostruzione del quadro normativo La sentenza muove dalla ricostruzione del quadro normativo e tratteggia le evoluzioni - definite “non sempre lineari” - della disciplina della permanenza all'aperto nei vari regimi di detenzione. Questa ricognizione consente di notare nel regime ordinario la tendenza del legislatore ad ampliare il periodo di permanenza, al fine di garantire l'equilibrio psicofisico dei detenuti (Cass. numero 38400/2022) e ad affidare alla discrezionalità della amministrazione penitenziaria la valutazione circa la sussistenza di “giustificati motivi” che permettano di ridurre le “ore d'aria”. Diversamente, nel regime di sorveglianza particolare, regolato dall'articolo 14-quater dell'ordinamento penitenziario, e nel regime di “carcere duro” si percepisce un approccio differente, teso a ridurre sensibilmente il periodo di permanenza all'aperto. Un orientamento che ha un preciso riscontro nella giurisprudenza di legittimità secondo la quale le innovazioni che hanno elevato ad almeno quattro ore quotidiane il periodo di permanenza all'aperto non erano applicabili in questi specifici contesti detentivi (Cass., 34800/2022). Pertanto, i detenuti in regime di “carcere duro” potevano trascorrere all'aperto due ore al giorno (Cass., 5832/2023), che potevano essere ridotte a una qualora l'amministrazione penitenziaria avesse ravvisato la sussistenza di eccezionali motivi (Cass.,17580/2019). Il carcere duro non è un “surplus di punizione”. Ciò posto, la Corte ha affermato che l'interpretazione del dato normativo deve essere elaborata tenendo in considerazione la ratio delle limitazioni contemplate dall'articolo 41-bis. Nell'ordinamento penitenziario, alla norma è affidato il compito di evitare che gli esponenti della criminalità organizzata possano continuare a impartire direttive agli affiliati in stato di libertà e mantenere anche dal carcere il controllo sulle attività delittuose (C. cost., 143/2013), contenendo così la pericolosità dei detenuti attraverso la limitazione dei contatti con il mondo esterno (C. cost., 105/2023). Tali restrizioni, che non costituiscono un surplus di punizione, sono costituzionalmente legittime soltanto se coerenti con tale finalità (C. cost. 18/2022 e C. cost., 97/2020 sulla declaratoria di illegittimità costituzionale del divieto di scambiare oggetti tra detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità). Le limitazioni delle “ore d'aria” come un'afflizione superflua Alla luce di questa premessa, la Corte rileva che nella fruizione delle “ore d'aria”, la tutela di esigenze di sicurezza è assicurata dalle limitazioni dei contatti tra i detenuti attraverso la predisposizione dei cosiddetti “gruppi di socialità” la cui formazione, ad opera della amministrazione penitenziaria, garantisce che, sia al chiuso, sia all'aperto, siano ridotte al minimo le occasioni per quei contatti illeciti che l'applicazione dell'articolo 41-bis mira ad impedire. L'illegittimità costituzionale della norma censurata, pertanto, discende dal rilievo che il divieto di stare all'aperto oltre la seconda ora non risponde alla funzione istituzionale del regime differenziato e determina un improprio surplus di punizione: mentre comprime, in misura ben maggiore del regime ordinario, la possibilità di fruire di luce naturale e di aria, nulla fa guadagnare alla collettività in termini di sicurezza. A quest'ultima, come detto, provvede esaustivamente l'accurata selezione dei componenti del gruppo di socialità, unitamente all'adozione di misure che escludano la possibilità di contatti tra diversi gruppi di socialità. Le conseguenze della declaratoria di illegittimità La declaratoria di illegittimità costituzionale della previsione scrutinata comporta la riespansione della disciplina generale contenuta nell'articolo 10 dell'ordinamento penitenziario. Conseguentemente, i detenuti in regime di “carcere duro” possono fruire di almeno quattro “ore d'aria” quotidiane, fatta salva la possibilità per l'amministrazione penitenziaria di ridurle per “giustificati motivi”.