Si tratta di un provvedimento che, pur richiamando l’AI Act europeo, adotta un approccio nazionale articolato per settori. Il testo tocca aspetti cruciali come l’uso dell’AI nella giustizia, nella sanità, nella pubblica amministrazione e nella creazione di opere dell’ingegno, delineando un quadro normativo che cerca di bilanciare innovazione, sicurezza e tutela dei diritti fondamentali.
Analizziamo di seguito i principali snodi del disegno di legge in vista del passaggio alla Camera. Giovedì 20 marzo il Senato ha approvato, con 85 voti favorevoli, 42 contrari e nessuna astensione, il disegno di legge numero 1146 recante «Disposizioni e delega al Governo in materia di intelligenza artificiale»; il testo passa ora all’esame della Camera. Il voto era particolarmente atteso: anzitutto per la rilevanza del tema, sempre più cruciale sotto vari punti di vista nelle cosiddette società digitali; in secondo luogo perché – diversamente da quanto accade di solito – già nel corso dell’esame del provvedimento nelle commissioni parlamentari sono emerse questioni in grado di attirare l’attenzione dei non addetti ai lavori. Il disegno di legge era stato duramente criticato dalla Commissione Europea nel parere circostanziato C (2024) 7814 inviato all’Italia il 5 novembre 2024, con il quale – in sintesi – la Commissione Europea aveva segnalato difetti di coordinamento e contraddizioni con il Regolamento (UE) 2024/1689 del Parlamento Europeo e del Consiglio (“AI Act”). Successivamente la Commissione Giustizia del Senato, presieduta dalla senatrice Giulia Bongiorno, aveva espresso parere favorevole al disegno di legge, pur con qualche rilievo. Ce ne siamo occupati all’inizio di quest’anno (Il parere della Commissione Giustizia del Senato sul disegno di legge sull’intelligenza artificiale): in quell’occasione avevamo constatato la capacità della Commissione Giustizia di sintonizzarsi sul dibattito relativo alle possibili ricadute dell’intelligenza artificiale sull’amministrazione della giustizia e, più in generale, su taluni assetti normativi attuali, riconoscendo nel parere le sensibilità maggiormente diffuse nella comunità dei giuristi. Al contempo, avevamo auspicato una revisione dell’impianto normativo al fine di favorire una maggiore libertà di sperimentazione, smussando così alcuni elementi di rigidità contenuti nella bozza di provvedimento allora disponibile. Ebbene, anche a seguito dei rilievi della Commissione Europea e della Commissione Giustizia, il Senato è tornato su alcune aspetti critici del disegno di legge, talvolta cambiando approccio rispetto alle versioni precedenti. Le definizioni di sistema e modelli di intelligenza artificiale sono state allineate a quelle contenute nell’AI Act. La questione può sembrare formale, ma non è di poco conto: le incoerenze definitorie non sarebbero state solo problematiche per gli interpreti, ma avrebbero probabilmente comportato l’invalidità dei relativi articoli per contrasto con un regolamento europeo, superiore nella gerarchia delle fonti. Sono stati anche richiamati l’approccio antropocentrico e il principio di trasparenza contenuti nell’AI Act. Soffermandoci ancora sui princìpi generali, è degno di menzione il secondo comma dell’articolo 6, che prescrive che i sistemi di intelligenza artificiale destinati all’uso in ambito pubblico devono essere installati su server ubicati nel territorio nazionale, al fine di garantire la sovranità e la sicurezza dei dati sensibili dei cittadini. La ratio legis è chiara: si ritiene che la conservazione dei dati all’interno dei confini nazionali riduca i rischi per la sicurezza dei dati medesimi; va detto, però, che la disposizione dovrà essere coordinata – su un piano concettuale – con la libera circolazione dei servizi nel mercato unico e – su un piano pratico – con il business model dei grandi fornitori di cloud, che si basa (anche) sulla distribuzione più conveniente possibile dei server. Il disegno di legge prosegue, poi, secondo un approccio settoriale: l’intelligenza artificiale è disciplinata a seconda dall’ambito in cui viene adoprata. Senza pretesa di esaustività, segnaliamo gli aspetti più rilevanti. Con riferimento al settore sanitario, il Senato si è soffermato sull’annosa questione dell’utilizzo dei dati personali dei pazienti per l’addestramento dei modelli su cui si basano i sistemi di intelligenza artificiale più potenti, rinviando a un decreto che verrà adottato dal Ministero della Salute. Leggendo tra le righe della norma, si intuisce la volontà del legislatore di spostare su un piano tecnico la discussione alla ricerca di un delicato equilibrio tra le potenzialità dell’AI, in particolare in ambito diagnostico, e la tutela del diritto fondamentale alla tutela dei dati personali. Quanto all’ambito giudiziario, oggetto – per ovvie ragioni di competenza – del parere della Commissione Giustizia del Senato che avevamo esaminato, il testo licenziato dal Senato pone dei correttivi all’uso dell’intelligenza artificiale nell’esercizio della giurisdizione, prima considerato troppo ampio. Si ritrova il principio antropocentrico, ben esplicitato all’articolo 15, a mente del quale «è sempre riservata al magistrato ogni decisione sull’interpretazione e sull’applicazione della legge, sulla valutazione dei fatti e delle prove e sull’adozione dei provvedimenti». Inoltre, sino all’approvazione dell’AI Act (ecco, di nuovo, la consapevolezza della superiorità gerarchica del diritto dell’Unione) la sperimentazione e l’impiego dei sistemi di intelligenza artificiale negli uffici giudiziari è subordinata all’approvazione del Ministero della Giustizia. Analogamente, ogni pubblica amministrazione può utilizzare l’intelligenza artificiale solamente in funzione strumentale e di supporto all’attività provvedimentale, senza deroghe all’autonomia dell’essere umano che resta l’unico responsabile dei provvedimenti e dei procedimenti in cui sia stata utilizzata l’intelligenza artificiale. Il Senato, poi, non si è sottratto davanti a un’altra questione assai dibattuta: il rapporto tra diritto d’autore e intelligenza artificiale. Anzitutto, il disegno di legge intende novellare la legge sul diritto d’autore, ammettendo che un’opera dell’ingegno possa essere creata con l’ausilio di sistemi di intelligenza artificiale, purché si tratti comunque del risultato del lavoro intellettuale dell’autore. Inoltre, il provvedimento, riprendendo princìpi già stabiliti nel diritto europeo, consente le riproduzioni e le estrazioni da opere o da altri materiali contenuti in rete o in banche di dati a cui si ha legittimamente accesso ai fini dell’estrazione di testo e di dati attraverso sistemi di intelligenza artificiale, anche generativa, nel rispetto degli articoli 70 ter e quater della legge sul diritto d’autore (che recepiscono quei princìpi del diritto europeo: cosiddetta eccezione text and data mining). Infine, il nuovo testo delega il Governo ad adottare, entro 12 mesi dalla entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per adeguare e specificare la disciplina relativa agli usi illeciti di sistemi di intelligenza artificiale, con particolare riferimento alla omessa adozione o all’omesso adeguamento di misure di sicurezza per la produzione, la messa in circolazione e l’utilizzo professionale di sistemi di intelligenza artificiale, quando da tali omissioni deriva pericolo concreto per la vita o l’incolumità pubblica o individuale o per la sicurezza dello Stato. In conclusione, il disegno di legge approvato dal Senato rappresenta un tentativo – ancora in divenire – di incanalare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale entro un perimetro giuridico coerente con i valori costituzionali e con il diritto dell’Unione Europea. L’attenzione riservata alla compatibilità con l’AI Act, così come il riferimento esplicito a princìpi come l’antropocentrismo, la trasparenza e la responsabilità umana, indicano una consapevolezza istituzionale apprezzabile, e segnano un passo avanti rispetto a precedenti tentativi normativi, che parevano un po’ affrettati. Resta però il dubbio se un approccio così repentino (rispetto all’entrata in vigore di una normativa uniforme in Unione Europea), frammentato e precauzionale (per settori, per rinvii a normativa di dettaglio, per autorizzazioni ministeriali) sarà in grado di reggere il ritmo di evoluzione delle tecnologie che intende regolamentare. C’è il rischio che, nella preoccupazione di incasellare l’innovazione, si finisca per frenarla, o per delegarla – ancora una volta – a prassi amministrative o a orientamenti giurisprudenziali estemporanei. Il testo ora passa alla Camera, e sarà interessante vedere se da Montecitorio arriveranno ulteriori correzioni o chiarimenti. Ma già ora emerge un tratto caratteristico di questo disegno di legge: più che un punto d’arrivo, è l’inizio di un dialogo – tecnico, politico e culturale – sul ruolo dell’intelligenza artificiale nelle nostre istituzioni, e sul tipo di società digitale che vogliamo costruire.