«La commissione dei reati-fine nell'interesse del sodalizio mafioso è un elemento di non univoca valenza, ben potendo la relativa deliberazione criminosa essere maturata successivamente alla costituzione all'associazione o all’adesione ad essa del singolo partecipe. È necessario, dunque, che l’associazione e i reati ulteriori siano contemporaneamente ideati e deliberati nella loro tendenziale specificità».
Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ribadisce in quali casi sia ipotizzabile la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati-fine. Nello specifico, sulla scia del costante insegnamento della Suprema Corte, la continuazione «è ipotizzabile a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio». Di conseguenza, non è configurabile la continuazione tra il reato associativo e quei reati-fine che, pur rientrando nell'ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al suo rafforzamento, «non erano programmabili ab origine perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasioni o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell'associazione». Nel caso in esame, il giudice dell'esecuzione rigettava l'istanza di applicazione della disciplina della continuazione perché i fatti della seconda sentenza attenevano ad avvenimenti del tutto imprevedibili, frutto di un'iniziativa estemporanea e non preventivata, del tutto eterogenea rispetto al programma dell'associazione a delinquere. L'imputato infatti, veniva condannato per il reato di partecipazione ad un'associazione di stampo mafioso, a far data dal dicembre 2004 e successivamente, nel 2018, per i reati di violenza privata e danneggiamento. Questi quindi, i quali il difensore chiedeva di mettere in continuazione, venivano posti in essere diversi anni dopo l'adesione al sodalizio criminale e risultavano del tutto occasionali e sconnessi rispetto al programma associativo. Il Collegio ha affermato, a tal proposito, che il riconoscimento della continuazione richiede un disegno criminoso, il quale non può essere identificato nel programma dell'associazione, ma nella ideazione e deliberazione di una serie di reati da compiere. Ragionando diversamente infatti, sottolineano, si finirebbe per configurare «una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente trattamento sanzionatorio di favore, in virtù del quale tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie di cui all'articolo 416 bis c.p.».
Presidente De Marzo - Relatore Valiante Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 12.10.2024, la Corte d'Appello di Napoli, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha rigettato una istanza, proposta nell'interesse di C.F., di applicazione della disciplina della continuazione ai reati giudicati con sentenza della Corte d'Appello di Napoli del 22.6.2023 (irrevocabile il 28.2.2024) e con sentenza del G.u.p. del Tribunale di Napoli del 27.4.2018 (irrevocabile l'1.3.2019). Il giudice dell'esecuzione rileva che la prima sentenza nei confronti di C.F. riguarda una condanna per il reato di cui all'articolo 416-bis cod. penumero, quale affiliato del clan (OMISSIS) da dicembre 2004 a febbraio 2020, mentre la seconda sentenza riguarda una condanna per i reati di violenza privata e danneggiamento ai danni di una troupe del programma televisivo “(OMISSIS)” che stava realizzando un servizio sul traffico di stupefacenti nel rione (OMISSIS) di (OMISSIS) in data (OMISSIS). Di conseguenza, ritiene che i fatti della seconda sentenza attengano ad avvenimenti del tutto imprevedibili, che avevano portato alla ribalta il territorio di (OMISSIS) in quel periodo, e che, dunque, sono frutto di un'iniziativa estemporanea e non preventivata, del tutto eterogenea rispetto al programma dell'associazione a delinquere. 2. Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore del condannato, articolando un unico motivo, con cui deduce, ai sensi dell'articolo 606, lett. b) ed e), cod. proc. penumero, l'erronea applicazione della legge penale e la illogicità della motivazione. Evidenzia che il clan di cui faceva parte C.F. svolgeva attività di spaccio di stupefacenti a (OMISSIS) e che, pertanto, l'attacco alla troupe televisiva era un'azione riconducibile all'associazione, non essendo dettata da una iniziativa personale dell'associato, il quale non aveva propri motivi di astio nei confronti del giornalista che voleva documentare il traffico di droga. Nell'organigramma associativo, C.F. aveva appunto il compito di garantire il rispetto della “piazza di spaccio” con la forza intimidatrice dell'associazione. 3. Con requisitoria scritta del 22.11.2024, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, in quanto la motivazione dell'ordinanza impugnata è congrua e logica, come tale non suscettibile di censura in sede di legittimità. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere disatteso per le ragioni di seguito esposte. 1. Per costante insegnamento della Suprema Corte, la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati-fine è ipotizzabile a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio (Sez. 1, numero 23818 del 22/6/2020, Rv. 279430 – 01; Sez. 1, numero 1534 del 9/11/2017, dep. 2018, Rv. 271984 – 01). Ma non è configurabile la continuazione tra il reato associativo e quei reati-fine che, pur rientrando nell'ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al suo rafforzamento, non erano programmabili ab origine perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell'associazione (Sez. 6, numero 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, Rv. 259481 – 01; Sez. 5, numero 54509 dell'8/10/2018, Rv. 275334 – 02). 2. Ciò detto, si deve tenere conto innanzitutto che C.F., con la prima delle due sentenze prese in considerazione nell'istanza presentata al giudice dell'esecuzione, è stato condannato per il reato di partecipazione ad un'associazione di stampo mafioso – per quanto risulta dall'ordinanza impugnata – a far data dal dicembre del 2004, mentre i fatti successivi che egli chiede di mettere in continuazione con tale primo reato sono stati commessi nel 2018. Di conseguenza, è del tutto congrua la motivazione dell'ordinanza impugnata quando evidenzia – per escludere la continuazione – che i reati di violenza privata e danneggiamento, posti in essere diversi anni dopo l'adesione del ricorrente al sodalizio criminale di matrice camorristica, sono stati evidentemente commessi in relazione a singole circostanze del tutto occasionali e sconnesse da quelle in cui fu inizialmente deliberato il programma associativo. In questo modo, l'ordinanza fa corretta applicazione del principio, sopra menzionato, secondo cui non è configurabile la continuazione tra il reato associativo e i reati-fine quando questi ultimi dipendano da eventi contingenti e non previsti. Se può essere vero – come sostiene il ricorso – che la gestione del territorio su cui l'associazione estende la propria pervasiva influenza costituisce verosimilmente uno dei punti suscettibili di una previsione generale e ipotetica nel contesto di un'organizzazione di stampo mafioso, ciò nondimeno è necessario un disegno criminoso, che non è identificabile nel programma dell'associazione, ma è piuttosto la ideazione e la deliberazione di una serie di reati da compiere. Efficacemente è stato osservato in una delle precedenti pronunce già sopra citate (Sez. 1, numero 23818 del 22/6/2020, Rv. 279430 – 01) che, ragionando diversamente, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente trattamento sanzionatorio di favore, in virtù del quale tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie di cui all'articolo 416-bis cod. penumero La finalità ultima collegata ai reati commessi in ambito associativo può contribuire a provare il disegno criminoso, ma è esterna ai reati stessi e non lo integra da sola. La commissione dei reati-fine nell'interesse del sodalizio mafioso è un elemento di non univoca valenza, ben potendo la relativa deliberazione criminosa essere maturata successivamente alla costituzione all'associazione o all'adesione ad essa del singolo partecipe. E' necessario, dunque, che l'associazione e i reati ulteriori siano contemporaneamente ideati e deliberati nella loro tendenziale specificità. Conseguentemente, la motivazione del giudice dell'esecuzione non è affatto illogica o contraddittoria quando considera che la continuazione non sia ravvisabile tra fatti determinati da circostanze contingenti e non prevedibili nella loro singolarità. 3. Peraltro, la esclusione in sede di esecuzione del collegamento tra i reati di cui s'è fin qui trattato è, in ogni caso, giustificata da altri due argomenti dì sicura rilevanza. Il primo è che C.F. è stato condannato per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e non per il reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti di cui all'articolo 74 D.P.R. numero 309 del 1990. Se si considera che l'associazione a delinquere di tipo mafioso, secondo la formulazione dell'articolo 416-bis cod. penumero, ha il programma di commettere delitti funzionali all'acquisizione della gestione o al controllo di attività economiche e comunque alla realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti, ovvero al turbamento delle elezioni e al procacciamento di voti, non è possibile ritenere che condotte delittuose volte ad agevolare l'attività di illecita vendita di stupefacenti siano funzionali rispetto alle finalità economico-elettorali dell'associazione. Il secondo è che non risulta che in sede di cognizione i reati oggetto della seconda sentenza siano stati ritenuti aggravati dalla finalità di agevolare l'attività dell'associazione mafiosa di cui era partecipe C.F.. Di conseguenza, il principale elemento su cui si fonda il ricorso – ovvero che l'intimidazione e il danneggiamento dell'autovettura della troupe del noto programma televisivo fossero riconducibili all'associazione mafiosa e all'intento di preservarne la sua attività – non ha trovato spazio nel giudizio di cognizione, ove pertanto il ricorrente ha conseguentemente ricevuto un trattamento più favorevole di quello che gli sarebbe stato riservato se avesse avuto applicazione la più grave qualificazione del fatto che egli ora invoca (per farne derivare opposte conseguenze) in sede esecutiva. 4. Si può affermare, dunque, che, nel caso di specie, il giudice dell'esecuzione ha adeguatamente valutato i fatti già giudicati e ha ritenuto di escludere che i reati fossero riconducibili ad una preordinazione di fondo con una motivazione del tutto adeguata e ragionevole. A fronte di tale motivazione, il ricorrente sollecita non più che una diversa valutazione degli indici della eventuale medesimezza del programma criminoso, ma gli elementi che adduce non sono idonei a superare l'apprezzamento dei fatti operato in sede esecutiva. Ne consegue, dunque, il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.