CGUE: la clausola contrattuale che obbliga un giovane atleta a versare una parte dei suoi redditi se diventa un professionista può essere abusiva

Il giudice nazionale è tenuto a valutare se una clausola di questo tipo è da ritenersi abusiva, con particolare attenzione alla sua chiarezza e comprensibilità per quanto riguarda le conseguenze economiche dell'impegno.

È quanto stabilito dalla CGUE, nella causa C-365/23. Nel 2009, un giovane atleta minorenne, rappresentato dai suoi genitori, firmava un contratto con un'impresa lettone che fornisce servizi per lo sviluppo delle capacità professionali e della carriera degli atleti. Questo contratto, della durata di quindici anni, mirava a garantire al giovane atleta una carriera sportiva di successo nel settore della pallacanestro. In cambio dei servizi offerti, come ad esempio allenamenti specializzati, assistenza medica, supporto psicologico, marketing, servizi legali e contabili, il giovane atleta si impegnava a versare all'impresa il 10% dei suoi redditi netti derivanti da eventi sportivi, pubblicità, marketing e media legati allo sport, a condizione che tali redditi superassero i 1.500 euro mensili. Considerato che i redditi generati dal giovane atleta, divenuto nel frattempo un giocatore professionista di pallacanestro, derivanti dai contratti conclusi con le società sportive, hanno raggiunto, in totale, un ammontare di più di 16 milioni di euro, egli sarebbe tenuto a versare il 10% di tale importo a detta impresa, ossia oltre 1,6 milioni di euro. La controversia è giunta ai giudici lettoni, che hanno considerato la clausola del contratto abusiva. L'impresa ha presentato ricorso per cassazione dinnanzi alla Corte suprema lettone, che ha interrogato la Corte di Giustizia per chiarimenti: nello specifico, i giudici lettoni chiedono se la direttiva sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori si applichi anche al contratto in questione e, in tal caso, se vieti una simile clausola. La Corte di Giustizia ha confermato che la direttiva si applica al caso concreto. Tuttavia, la Corte sottolinea che «tale direttiva prevede che la valutazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale che non sia stata oggetto di negoziato individuale non può vertere sulle clausole relative alla definizione dell'oggetto principale del contratto, né su quelle riguardanti la perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall'altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile». In effetti, una clausola come quella in discussione rientra in tale eccezione, il che significa che un giudice nazionale può esaminare se sia abusiva solo se ritiene che essa non sia formulata in modo chiaro e comprensibile. Tuttavia, la legge nazionale potrebbe offrire un livello più elevato di protezione ai consumatori: in tal caso, il giudice potrà valutare la clausola come abusiva anche se è stata redatta in maniera chiara e comprensibile dal professionista. Per quanto riguarda la chiarezza della clausola controversa, la Corte evidenzia l'obbligo di trasparenza previsto dalla direttiva: il consumatore, infatti, deve ricevere tutte le informazioni necessarie per comprendere le implicazioni finanziarie del suo impegno; se ciò non avviene, la clausola non può considerarsi chiara e comprensibile. La Corte sottolinea che il fatto che un giovane atleta si impegni a versare il 10% dei suoi redditi nei quindici anni successivi non implica automaticamente uno squilibrio significativo tra le parti: infatti, lo squilibrio deve essere valutato considerando «le norme applicabili nel diritto nazionale in mancanza di accordo tra le parti, le pratiche di mercato leali ed eque alla data di conclusione del contratto relative alla remunerazione nel settore sportivo di cui trattasi, nonché di tutte le circostanze che accompagnano la conclusione del contratto e di tutte le altre clausole di quest'ultimo o di un altro contratto da cui esso dipende».  Peraltro, «la circostanza che il consumatore fosse minorenne al momento della conclusione del contratto e che quest'ultimo sia stato stipulato dai genitori del minore a suo nome è rilevante ai fini della valutazione del carattere abusivo di una simile clausola». Infine, la Corte precisa che un giudice non può ridurre l'importo dovuto dal consumatore fino alle sole spese effettivamente sostenute dal prestatore di servizi nell'ambito dell'esecuzione del contratto se viene rilevata l'abusività di una clausola in un contratto tra un professionista e un consumatore.