Percepisce per vent’anni la pensione della suocera morta: condotta catalogabile come appropriazione indebita

Catalogabile come appropriazione indebita, e non come indebita percezione di erogazioni pubbliche, l’illegittimo trattenimento della pensione di pertinenza di soggetto deceduto, conseguita dal delegato alla riscossione sul conto corrente su cui sono confluiti i ratei pensionistici.

A dare origine alla controversia è una vicenda durata ben vent’anni, durante i quali un uomo, delegato alla riscossione della pensione INPS spettante alla suocera, aveva conseguito indebitamente, cioè dopo la morte – avvenuta nel 1997 – della donna, ben duecentoquarantasette ratei pensionistici, assegnati dall’istituto previdenziale alla pensionata per una cifra complessiva di pochissimo inferiore ai 100mila euro. Per i giudici di merito non ci sono dubbi sulla responsabilità penale dell’uomo, ritenuto colpevole del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche. Per la Cassazione, però, va modificata la qualificazione giuridica dei fatti fornita in Appello. In altre parole, all’uomo sotto processo va contestato il reato di appropriazione indebita. Come legittimare questo cambio di rotta? In premessa, viene sottolineato che il reato indebita percezione di erogazioni pubbliche, posto a tutela degli interessi finanziari della pubblica amministrazione e, dunque, della corretta allocazione delle risorse pubbliche, si realizza con il conseguimento indebito di erogazioni pubbliche ottenute con particolari modalità dell’azione, indicata dalla norma come «“utilizzo o presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere” od “omissioni di informazioni dovute”». Di conseguenza, «è necessario che la percezione delle erogazioni pubbliche sia comunque avvenuta dietro la presentazione di documenti falsi (condotta attiva) ovvero», con riferimento alla vicenda in esame, «a cagione della omessa comunicazione di informazioni dovute (condotta omissiva)», come quella relativa al decesso della donna che aveva diritto alla pensione. E in questa ottica «l’inerzia o il silenzio possono integrare l’elemento oggettivo del reato, a condizione che siano antidoverosi, cioè che corrispondano all’omesso adempimento di un obbligo di comunicazione e che ad essi si correli l’erogazione non dovuta – cioè, sine titulo – da parte dello Stato o dell’ente pubblico». Quanto, poi, alla doverosità di tale comunicazione, è necessario rilevare che «le informazioni debbono trovare fondamento in una richiesta espressa dell’ente erogatore o, comunque, risultare imposte dal principio di buonafede precontrattuale», come da Codice Civile. Così, «l’ambito di applicabilità del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche si riduce così a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale». Cosa accade, allora, a fronte di ratei pensionistici riscossi dagli eredi o da soggetti altrimenti delegati dopo che il titolare della relativa spettanza previdenziale è deceduto? Per rispondere a tale domanda, i Giudici ricordano che la norma «prevede l’obbligo di comunicare la morte di una qualunque persona, non oltre le ventiquattro ore dal decesso, all’ufficiale dello stato civile del luogo dove la morte è avvenuta o, nel caso in cui tale luogo si ignori, del luogo dove il cadavere è stato deposto» e tale obbligo «è a carico dei congiunti o della persona convivente con il defunto (o di un loro delegato) o – in mancanza – della persona informata del decesso, ovvero, in caso di morte in ospedale, casa di cura o di riposo, collegio, istituto o qualsiasi altro stabilimento, in capo al direttore o a chi sia stato a ciò delegato». Scatta, poi, l’obbligo per il responsabile dell’Ufficio Anagrafe del Comune di «comunicare all’ente di previdenza la morte dell’assicurato». E «a seguito delle comunicazioni dei Comuni relative ai decessi, l’INPS, sulla scorta dei dati del casellario delle pensioni, comunica le informazioni ricevute dai Comuni agli enti erogatori di trattamenti pensionistici per gli adempimenti di competenza». E, ancora, la norma sancisce «l’obbligo per i medici necroscopi di invio on line del certificato di accertamento del decesso entro quarantotto ore dall’evento, utilizzando le stesse modalità già in uso per la trasmissione delle certificazioni di malattia». A fronte di tale quadro normativo sugli obblighi di comunicazione in caso di decesso, «non può ritenersi incombente sui congiunti o, comunque, sulle persone informate del decesso (e, quindi, su colui che è delegato alla riscossione della pensione)», sanciscono i Giudici di Cassazione, «l’obbligo di comunicazione di decesso all’INPS, tenuto conto che siffatto obbligo non è loro imposto in relazione al trattamento pensionistico erogato e spettando a loro unicamente la comunicazione del decesso del congiunto al Comune di appartenenza, dovendo a questa conseguire, da parte degli enti a ciò preposti (Comune e, sulla base del casellario delle pensioni, INPS), l’eventuale ulteriore comunicazione agli altri enti che risultino erogatori di trattamenti pensionistici in favore del defunto». In definitiva, la condotta tenuta dall’uomo sotto processo va catalogata come appropriazione indebita.

Presidente Aprile - Relatore Villa Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.