La misura di sicurezza con contestuale prescrizione relativa alle modalità di esecuzione delle cure non può considerarsi una violazione del diritto all'autodeterminazione terapeutica, in quanto la pericolosità sociale della persona che abbia commesso fatti costituenti reato richiede misure atte a contenere tale pericolosità in funzione della salvaguardia della collettività.
Il Tribunale di Sorveglianza, con ordinanza, ha rigettato i due motivi di appello proposti dal difensore dell'appellante avverso il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza con il quale disponeva la prosecuzione della libertà vigilata , previa dichiarazione della non cessazione della pericolosità sociale. L'imputata veniva infatti, assolta per vizio totale di mente con sentenza del GUP, il quale le applicava la misura di sicurezza della libertà vigilata con la prescrizione di cur a poiché affetta da disturbo dell'umore e disturbo bipolare con manifestazioni psicotiche. Successivamente, il Magistrato di Sorveglianza, rilevata la persistenza della pericolosità sociale, prorogava la misura , concedendo all'interessata, inserita in una comunità terapeutica, l'autorizzazione a trasferire il domicilio presso l'abitazione familiare, visto il miglioramento del suo stato di salute grazie alla somministrazione del neurolettico per via iniettiva a lento rilascio. Allo scadere della proroga, il Magistrato accertava la persistenza della pericolosità , nonostante i progressi derivanti dalla regolare assunzione del farmaco, poiché i sanitari avevano paventato il rischio che la donna, senza la terapia iniettiva e lasciata libera di gestire in autonomia la somministrazione dei farmaci, ne dismettesse l'assunzione. Nell'udienza svolta a seguito di appello avverso l'ordinanza del Magistrato di Sorveglianza, inoltre, l'appellante dichiarava di non voler assumere più la terapia per via iniettiva in quanto in grado di gestire quella per via orale. I motivi di appello veniva dichiarati infondati dal Tribunale di Sorveglianza giustificando il ricorso per cassazione del difensore. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. In particolare, la difesa evidenziava una ingiustificata limitazione della libertà personale della ricorrente, la quale si vedeva costretta a continuare ad assumere la terapia per via iniettiva, nonostante avesse manifestato la volontà di modificare la modalità di assunzione. Il Collegio ha evidenziato che il dispositivo dell'ordinanza del Magistrato di Sorveglianza non prevede la specifica prescrizione di somministrazione della terapia per via iniettiva anziché orale, ma di fatto si impartisce la prescrizione di attenersi alle indicazioni dei medici in ordine al modo di erogazione della terapia . Non si tratta dunque, di una limitazione della libertà personale in senso stretto, ma di una previsione attinente solo alla modalità di esecuzione della prescrizione di sottoporsi a cure . Tale profilo secondo il ricorrente, integra una violazione dell' articolo 32 Cost. A tal proposito, i giudici di legittimità sottolineano che la funzione delle misure di sicurezza non è incompatibile con la finalità di cura della malattia mentale , anzi è espressiva del dovere primario dell'ordinamento di cura della salute di ogni individuo, nel pieno rispetto dell' articolo 32 Cost. Sul punto, la Suprema Corte afferma che «le misure di sicurezza nei riguardi degli infermi di mente incapaci totali si muovono inevitabilmente fra due polarità, il contenimento della pericolosità sociale e la tutela della collettività dalle sue ulteriori possibili manifestazioni pregiudizievoli, e in tanto si giustificano, in un ordinamento ispirato al principio personalista, in quanto rispondono contemporaneamente a entrambe queste finalità, collegate e non scindibili». Di conseguenza, « la previsione di prescrizioni relative alle modalità di esecuzione delle cure non può considerarsi una violazione del diritto all'autodeterminazione terapeutica, in quanto la pericolosità sociale della persona che abbia commesso fatti costituenti reato richiede misure atte a controllare tale pericolosità in funzione della salvaguardia della collettività ». Invero, il presupposto dell'esercizio della libertà di autodeterminazione terapeutica, su cui poggia il c.d. Consenso informato, è la capacità di agire del soggetto. Capacità di cui la ricorrente è totalmente priva, come accertato nel giudizio di cognizione. Di conseguenza, non è nelle condizioni di determinarsi autonomamente circa le modalità di esecuzione delle cure cui deve essere sottoposta nel proprio interesse e in quello della collettività.
Presidente Santalucia - Relatore Valiante Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza resa in data 23.4.2024, il Tribunale di Sorveglianza di Cagliari ha provveduto su un appello presentato avverso il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Cagliari del 13.7.2023 con cui era stata disposta la prosecuzione della libertà vigilata nei confronti di D.R.B., previa dichiarazione della non cessazione della sua pericolosità sociale. 1.1 L'ordinanza premette che la ricorrente è stata assolta per vizio totale di mente con sentenza del g.u.p. del Tribunale di Oristano del 7.2.2019 irrevoc. il 29.4.2019 , con cui le è stata contestualmente applicata la misura di sicurezza della libertà vigilata con la prescrizione di cura nel giudizio di cognizione, in cui era stato disposto un accertamento peritale, l'imputata, inserita in una comunità terapeutica fin dall'11.6.2018, era risultata affetta da disturbo dell'umore e disturbo bipolare con manifestazioni psicotiche . Dopo il passaggio in giudicato della sentenza, il Magistrato di Sorveglianza, rilevata la persistenza della pericolosità sociale, dichiarava applicabile la misura e la prorogava con ordinanze in data 23.3.2022 e 21.9.20222, con quest'ultima prevedendo anche che la ricorrente trasferisse il domicilio nell'abitazione familiare, in considerazione del miglioramento del suo stato di salute conseguente essenzialmente alla avvenuta somministrazione del neurolettico per via iniettiva a lento rilascio, adottata a seguito della riottosità della D.R.B. ad aderire alle terapie farmacologiche per via orale. Alla scadenza della proroga di dieci mesi della misura di sicurezza, il Magistrato di Sorveglianza riteneva ancora persistente la pericolosità sociale sulla base della Relazione sanitaria di aggiornamento, da cui risultava che la ricorrente aveva sempre mostrato una scarsissima coscienza della malattia e che, nonostante i progressi derivanti dalla regolare assunzione del farmaco per via iniettiva, comunque permaneva l'assenza di consapevolezza del disturbo da parte della D.R.B., la quale anzi attribuiva proprio al farmaco i suoi sbalzi di umore per questo, i sanitari avevano paventato il rischio che la donna, senza la terapia iniettiva e lasciata libera di gestire in autonomia la somministrazione dei farmaci, ne dismettesse l'assunzione, anche tenuto conto che nel frattempo era deceduto il padre, unica figura familiare di riferimento per lei. Pertanto, il Magistrato di Sorveglianza, pur dando atto dei progressi, rilevava la presenza di forti criticità legate alla scarsa interiorizzazione della condizione patologica e alla non ancora acquisita capacità di gestire la terapia in autonomia. 1.2 Nell'udienza camerale svolta a seguito di appello avverso l'ordinanza del Magistrato di Sorveglianza, la D.R.B. è comparsa e ha dichiarato di non voler assumere più la terapia per via iniettiva, in quanto in grado di gestire quella per via orale. Ciò posto, il Tribunale di Sorveglianza ha dichiarato infondati i due motivi di appello. In ordine al primo motivo - che lamentava la illogicità della proroga, nonostante il miglioramento dello stato di salute della donna con adesione alle terapie e recupero della vita sociale e lavorativa - l'ordinanza ha dato atto che il raggiungimento di un buon livello di compenso della sintomatologia era dovuto solo alla somministrazione del farmaco per via iniettiva, che aveva garantito certezza dell'assunzione del farmaco stesso, continuità terapeutica e stabilità della copertura farmacologica, laddove invece la somministrazione per via orale non aveva assicurato gli stessi risultati. Ha richiamato, altresì, la relazione sanitaria nella parte in cui attesta che la ricorrente non ha realmente acquisito la coscienza della gravità della sua malattia, nonché le sue stesse dichiarazioni in udienza circa la richiesta di non assumere più la terapia iniettiva. Ha considerato, di conseguenza, che il giudizio del Magistrato di Sorveglianza fosse del tutto corretto, perché dava adeguatamente atto di tutte le risultanze quelle positive e quelle negative dell'osservazione sanitaria. Ha ritenuto, dunque, che l'attuale misura di sicurezza sia l'unica applicabile in base alla storia clinica della D.R.B. - la quale storia dimostra che, ove non assuma con regolarità la terapia, ella entra in scompenso psicologico - e che sia l'unica che consenta di consolidare i risultati positivi fin qui acquisiti. In ordine al secondo motivo - che lamentava la violazione del diritto della ricorrente di autodeterminarsi nella scelta della terapia e la imposizione di fatto di un trattamento terapeutico coattivo - il Tribunale di Sorveglianza ha osservato che, in realtà, la somministrazione per via iniettiva è stata inizialmente accettata dalla paziente e che il diritto alla libertà di cura sancito dalla Costituzione e realizzato concretamente dalla legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, dalle norme del codice penale in materia di misure di sicurezza, dalla L. numero 81 del 2014 e dagli atti di normazione secondaria consente al paziente di scegliere se curarsi oppure no, ma non anche la terapia. Peraltro, la mancata assunzione della terapia aprirebbe la strada non solo ad una proroga della misura, ma anche all'adozione di prescrizioni più rigide di quelle attuali. 2. Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di D.R.B., articolando due motivi. 2.1. Con il primo motivo, deduce la mancanza e/o manifesta illogicità della violazione degli articolo 24, 27, 32 e 111 Cost. , 6 e 7 CEDU , 199, 202, 203 e 228 cod. penumero Il ricorso lamenta che il Tribunale di Sorveglianza non si è pronunciato sul quesito tecnico-giuridico che gli era stato posto, ovvero se il giudice di sorveglianza possa prevedere non solo l'obbligo di sottoporsi ad una terapia, ma anche le modalità pratiche di assunzione della terapia stessa - peraltro stabilendole di fatto a pena di prosecuzione/aggravamento della misura - o se questo aspetto non rientri piuttosto nel diritto all'autodeterminazione che può essere limitato solo con il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Le prescrizioni inerenti alla libertà vigilata sono ammissibili solo se riferite alla limitazione di diritti il cui sacrificio sia costituzionalmente disciplinato e sia funzionale a garantire la sicurezza collettiva e la salvaguardia dell'interessato. Tra questi, non rientra il diritto alla salute, sub specie dell'autodeterminazione ai trattamenti medici. La prescrizione della libertà vigilata non può intervenire sulle modalità di assunzione di una terapia farmacologica, in quanto l' articolo 32 Cost. prevede una riserva di legge su cure mediche e trattamenti sanitari, a maggior ragione se riguardano un paziente non internato in comunità ma residente nel proprio domicilio. Il motivo richiama l' articolo 1 L. numero 219 del 2017 e il principio in esso espresso della necessità del consenso libero e informato della persona al trattamento sanitario, nonché la giurisprudenza di legittimità caso Englaro e costituzionale caso Antoniani sulle questioni legate al c.d. fine-vita, per affermare che, se l'esercizio del diritto all'autodeterminazione può involgere addirittura decisioni relative alla prosecuzione stessa della vita, non si vede perché non possa avere ad oggetto le modalità di assunzione di una terapia psichiatrica. Richiama, inoltre, la giurisprudenza costituzionale sull'obbligo vaccinale sentenza numero 14 del 2023 , sulla necessità di bilanciamento tra la declinazione individuale del diritto alla salute e quella collettiva, che deve in ogni caso attuarsi con legge. In questo contesto, il Tribunale di Sorveglianza non ha valutato se il trattamento imposto fosse diretto a migliorare, oltre che la salute di chi vi era assoggettato, anche la salute degli altri, e ha imposto al soggetto una terapia al di fuori di ogni previsione legislativa, senza considerare che la ricorrente, pur non chiedendo una interruzione della terapia, sollecitava espressamente che proseguisse con modalità diverse. 2.2 Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della pericolosità sociale. La prima ordinanza del Magistrato di Sorveglianza dava atto, in sostanza, dell'assenza di pericolosità sociale, in virtù dei buoni risultati conseguiti all'assunzione della terapia, e il Tribunale di Sorveglianza ha confermato tale positivo quadro. Tuttavia, è stata decisa la proroga della misura, non a causa della condizione della ricorrente, ma per imporle l'assunzione della terapia, paventando che la sua interruzione avrebbe determinato la pericolosità, in quel momento evidentemente assente dunque, la valutazione di pericolosità non era collegata a comportamenti concreti dell'interessata, bensì alla sua contrarietà alla terapia iniettiva, sicché la prognosi di pericolosità era solo strumentale all'imposizione di un trattamento sanitario illegittimo. Pertanto, l'ordinanza è contraddittoria, perché, pur parlando di puntuale adesione alla terapia, dispone una limitazione della libertà della persona, facendo riferimento a resistenze verificatesi nel passato, peraltro solo in relazione alle modalità di assunzione del farmaco. Inoltre, mancano la attualità e la concretezza della pericolosità sociale non si fa riferimento ad episodi concreti di pericolosità e in sostanza si tratta di un processo alle intenzioni della ricorrente. Con il ragionamento del Tribunale di Sorveglianza, si rischia di prorogare sine die la misura che riguardi una malattia psichiatrica cronica. 3. Con requisitoria scritta trasmessa il 13.11.2024, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, osservando che, quando, come nel caso di specie, il disturbo psichico altera la libertà di discernimento, non si può invocare la violazione della libertà di autodeterminazione e la libertà di scelta del trattamento medico più idoneo. 4. In data 26.11.2024, il difensore della ricorrente ha fatto pervenire una memoria di replica. Considerato in diritto Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato. 1. Con le doglianze espresse nel primo motivo, è stato posto il problema della compatibilità costituzionale delle prescrizioni di un provvedimento dell'autorità giudiziaria che, oltre ad imporre una terapia medica, ne preveda anche le concrete modalità di assunzione. Viene in questione, innanzitutto, l' articolo 13 Cost. , il quale prevede la possibilità di restrizioni della libertà personale con atto motivato dell'autorità giudiziaria, nei casi e nei modi previsti dalla legge. Sotto questo profilo, non è inutile precisare da subito che, nel caso della libertà vigilata, l' articolo 228, comma 2, cod. penumero stabilisce che alla persona in stato di libertà vigilata siano imposte dal giudice prescrizioni idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati la riserva assoluta di legge, pertanto, è rispettata. In relazione alla individuazione della natura e della tipologia di tali prescrizioni, è stato più volte affermato da questa Corte che, nell'ipotesi di applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata, il giudice può imporre finanche la prescrizione della residenza temporanea in una comunità terapeutica, a condizione che la natura e le modalità di esecuzione della stessa non snaturino il carattere non detentivo della misura di sicurezza in atto Sez. 1, numero 35224 del 9/10/2020, Rv. 280197 - 01 Sez. 1, numero 50383 del 12/11/2019, Rv. 277338 - 01 deve trattarsi, cioè, di prescrizioni funzionali all'esecuzione di un programma terapeutico, che non comportino alcun sacrificio aggiuntivo alla libertà di movimento rispetto a quello che inerisce a qualsiasi percorso di cura. Nel caso di specie, l'ordinanza impugnata ha più limitatamente disposto la prosecuzione della misura della libertà vigilata con la prescrizione per la D.R.B. di seguire i programmi terapeutici elaborati dagli operatori della Clinica Psichiatrica che la ha in carico, sottoponendosi con regolarità alla somministrazione della terapia farmacologica prescritta . Per vero, il dispositivo dell'ordinanza del Magistrato di Sorveglianza, confermata dal Tribunale di Sorveglianza, non prevede la specifica prescrizione di somministrazione della terapia per via iniettiva anziché orale, ma la motivazione dei provvedimenti di merito giustifica il mantenimento della misura di sicurezza proprio per l'esigenza di continuare ad assicurare che la somministrazione del farmaco non sia rimessa alla libera volontà della ricorrente dopo le dimissioni dalla struttura residenziale, sicché di fatto si impartisce alla D.R.B. la prescrizione di attenersi alle indicazioni dei medici e degli operatori sanitari in ordine al modo di erogazione della terapia farmacologica. Non si tratta, dunque, di una limitazione della libertà personale in senso stretto, ma di una previsione attinente solo alla modalità di esecuzione della prescrizione di sottoporsi a cure. Sotto questo profilo, allora, il ricorrente ipotizza che tanto integri una violazione dell' articolo 32 Cost. A tal proposito, si può richiamare la sentenza della Corte costituzionale numero 22 del 2022 , che, con riferimento alle misure di sicurezza, ha ricordato che esse trovano la propria peculiare ragion d'essere in una specifica funzione di contenimento della pericolosità sociale di chi abbia già commesso un reato in una condizione di vizio totale o parziale di mente. Questa funzione, d'altronde, non è incompatibile con la finalità di cura della malattia mentale anzi, proprio in tale concorrente finalità - essa stessa espressiva del dovere primario dell'ordinamento di cura della salute di ogni individuo, sancito dall' articolo 32 Cost. - si realizza, rispetto a questa specifica categoria di autori di reato, la vocazione naturale di ogni misura di sicurezza al loro recupero sociale che accomuna, nel vigente quadro costituzionale, pene e misure di sicurezza. L'infermità di mente di autori di reato che, essendo penalmente non responsabili, non possono essere destinatari di misure aventi un contenuto anche solo parzialmente punitivo, richiede misure a contenuto terapeutico, non diverse da quelle che in generale si ritengono adeguate alla cura degli infermi psichici. Le misure di sicurezza nei riguardi degli infermi di mente incapaci totali si muovono inevitabilmente fra due polarità - il contenimento della pericolosità sociale e la tutela della collettività dalle sue ulteriori possibili manifestazioni pregiudizievoli - e in tanto si giustificano, in un ordinamento ispirato al principio personalista articolo 2 Cost. , in quanto rispondano contemporaneamente a entrambe queste finalità, collegate e non scindibili. Di conseguenza, la previsione di prescrizioni relative alle modalità di esecuzione delle cure non può considerarsi una violazione del diritto all'autodeterminazione terapeutica, in quanto la pericolosità sociale della persona che abbia commesso fatti costituenti reato richiede misure atte a controllare tale pericolosità in funzione della salvaguardia della collettività. Del resto, anche la L. numero 219 del 2017 , espressamente richiamata nel ricorso, stabilisce all'articolo 1 Consenso informato che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge . In ogni caso, il presupposto dell'esercizio della libertà di autodeterminazione terapeutica, come affermato dalla L. 219 del 2017 e dalla Corte costituzionale le cui più recenti sentenze sul tema del c.d. fine vita il ricorso pure richiama , è la capacità di agire del soggetto. L' articolo 1, comma 5, L. numero 219 del 2017 riconosce il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari o di rinunciarvi a ogni persona capace di agire mentre nell'ordinanza numero 207 del 2018 e nella sentenza numero 242 del 2019, la Corte costituzionale ha infine riconosciuto la possibilità di assecondare la scelta di rifiutare le cure, finanche quando da essa derivi la morte, di persona che sia comunque pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli . D.R.B., invece, è stata assolta nel giudizio di cognizione per vizio totale di mente e, dunque, le è stata applicata una misura di sicurezza perché non era - e non è tuttora, per quanto è risultato dalle ultime relazioni sanitarie prese in considerazione dai giudici di sorveglianza - pienamente capace di intendere e di volere. Di conseguenza, la ricorrente non è nelle condizioni di determinarsi autonomamente circa le modalità di esecuzione delle cure, cui deve essere sottoposta nel proprio interesse che pure lo Stato, ai sensi degli articolo 2 e 3, comma 2, Cost. ha il compito di tutelare, trattandosi di persona che versa al momento in situazione di fragilità e in quello della collettività. Né si potrebbe invocare, a tal proposito, la possibilità, prevista dall' articolo 3 L. numero 219 del 2017 , che il consenso sia eventualmente espresso da un rappresentante dell'incapace vi osta, in ultima analisi, la, decisiva, considerazione che la libertà vigilata applicata all'infermo di mente, in quanto misura di sicurezza, è distinta da ogni ordinario trattamento sanitario della salute mentale e che, dunque, la sua esecuzione ammette la previsione di modalità attuabili nonostante l'eventuale contraria volontà dell'interessato. Peraltro, non v'è chi non veda che, ove si riconoscesse alla D.R.B. la possibilità di sottrarsi alla somministrazione della terapia per via iniettiva, l'autorità giudiziaria dovrebbe, al contempo, ragionevolmente formulare una prognosi infausta circa la cessazione della sua pericolosità sociale a causa della mancanza di ogni garanzia circa la - alternativa - spontanea assunzione del farmaco per via orale , così da determinare proprio quella situazione che la ricorrente collega invece all'attuale decisione, e cioè il mantenimento indeterminato della misura, che è appunto contrario allo spirito e alla funzione della previsione della libertà vigilata nei confronti dell'infermo di mente. Deve ritenersi, pertanto, che nel caso di specie non sia ravvisabile alcuna delle violazioni di legge denunciate e fermo restando che le violazioni delle norme della Costituzione o della Convenzione Edu non possono formare motivo di ricorso, ma solo di questione di legittimità costituzionale delle norme con esse contrastanti . Il primo motivo di ricorso, quindi, è infondato. 2. Quanto al secondo motivo, l'ordinanza impugnata - diversamente da quanto censurato nel ricorso - non è affatto contraddittoria, dal momento che collega espressamente il miglioramento dello stato di salute e delle relazioni sociali della D.R.B. alla avvenuta modifica delle modalità di somministrazione del farmaco, cui sono stati costretti a ricorrere i sanitari. Di contro, il Tribunale di Sorveglianza dà atto che precedentemente c'era una scarsa adesione spontanea alle terapie a causa dell'atteggiamento oppositivo della paziente , alla quale conseguiva una insufficiente remissione della sintomatologia. In ogni caso, l'ordinanza prende atto che, comunque, la relazione sanitaria attesta chiaramente che la ricorrente non ha acquisito realmente coscienza della malattia e della sua gravità e non ha maturato una effettiva compliance verso la terapia. Ne discende che la motivazione sia del tutto conforme ai canoni della logica e della ragionevolezza, quando, premettendo - in ciò non smentita nemmeno dal ricorso - che la terapia per via orale avesse determinato il protrarsi della condizione patologica con persistenza degli aspetti più severi della sintomatologia , considera che il mancato completamento del percorso di consapevolezza della malattia non consente l'affidamento della gestione dei farmaci alla stessa ricorrente e la conseguente cessazione della terapia iniettiva, per il rischio assai elevato che in tal modo si determinino la sostanziale interruzione dell'assunzione della terapia stessa e la riattivazione di effetti negativi in termini di pericolosità sociale della D.R.B Sotto questo profilo, deve tenersi conto che il giudizio sulla pericolosità sociale, rilevante ai fini dell'applicazione di una misura di sicurezza, costituisce compito esclusivo del giudice, che deve tenere conto dei rilievi dei periti sulla personalità, sui problemi psichiatrici e sulla capacità criminale dell'imputato per valutare l'effettivo pericolo di recidiva, ma anche degli altri parametri desumibili dall' articolo 133 cod. penumero Sez. 1, numero 50164 del 16/5/2017, Rv. 271404 - 01 . Nel caso di specie, i giudici di sorveglianza hanno adeguatamente motivato circa la persistenza della pericolosità sociale, peraltro facendo anche riferimento almeno nel provvedimento del magistrato di sorveglianza, sul punto non avversato né con l'appello, né con il ricorso per cassazione alla gravità del reato commesso e alle modalità di esecuzione delle condotte illecite e, quindi, evocando i criteri di cui all' articolo 133 cod. penumero , di cui deve pure tenersi conto, ex articolo 208 e 203 cod. penumero , per la prognosi relativa alla pericolosità sociale. Anche questo motivo, pertanto, deve essere disatteso. 3. A quanto fin qui complessivamente osservato, consegue, dunque, che il ricorso debba essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si deve disporre, inoltre, che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell' articolo 52 D.Lgs. 196/03 in ragione delle condizioni di salute del ricorrente che sono state richiamate. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.