Appalto di servizi, diritto di recesso e termine di preavviso incongruo

La Suprema Corte enuncia due principi di diritto circa il regime applicabile al recesso in caso di natura determinata o indeterminata della durata dell’appalto, nonché, in caso di contratto di somministrazione a tempo indeterminato, circa le conseguenze del recesso con termine di preavviso incongruo.

Questione e vicenda processuale La pronuncia in commento riguarda la domanda di nullità di un recesso da un contratto di affidamento di servizi (nella specie, di guardiania notturna di un parcheggio). In entrambi i gradi del giudizio di merito veniva valorizzata l'incongruità del termine del recesso, essendo la relativa lettera (datata 11.2.2015), pervenuta alla Società destinataria in data 25.2.2015 e recando efficacia a decorrere dal 28.2.2015; se ne traevano, però, conseguenze pratiche opposte: il primo giudice accoglieva la domanda di nullità; il giudice d'appello dichiarava la legittimità del recesso, procedendo d'ufficio a determinare il termine congruo (nella specie, 60 giorni dalla data di ricezione della lettera) e differendo alla scadenza del detto termine l'efficacia del recesso.   La soluzione della Cassazione I giudici di legittimità confermano la correttezza della decisione d'appello, enunciando i seguenti principi di diritto: in tema di contratto di appalto di servizi continuativi o periodici, il regime applicabile del recesso muta in relazione alla natura determinata o indeterminata della durata dell'appalto: A) trova applicazione l'articolo 1671 c.c., in tema di recesso unilaterale e ad nutum del committente, ove l'appalto sia a tempo determinato (oltre alla scadenza del contratto al termine stabilito, previa disdetta, pena la sua tacita rinnovazione); B) viceversa, allorché la durata del contratto d'appalto continuativo o periodico di servizi non sia stata stabilita, né sia determinabile, ciascuna delle parti può recedere dal contratto in tempo utile a norma dell'articolo 1569 c.c.; in tema di contratto di somministrazione a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal rapporto in corso ex articolo 1569 c.c., salvo per il giudice il potere di stabilire – in base alle clausole contrattuali, agli usi e alla natura della somministrazione – il termine congruo entro il quale il recesso debba avere efficacia.   Inquadramento normativo Rilevano le seguenti norme: articolo 1677 c.c. , secondo cui ove l'appalto abbia ad oggetto prestazioni continuative o periodiche di servizi si osservano, in quanto compatibili, le norme dedicate all'appalto nonché quelle relative al contratto di somministrazione; articolo 1569 c.c. che, in tema di somministrazione, dispone che se la durata della somministrazione non è stabilita, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dando preavviso nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi o, in mancanza, in un termine congruo, avuto riguardo alla natura della somministrazione.   Diritto di recesso e appalto di servizi a tempo determinato e indeterminato La Cassazione (richiamando Cass. 4783/1983 e 3343/1933, nonché Cass. 3530/1983) afferma che: con riferimento all'appalto di servizi a tempo determinato, la previsione di un termine di durata, scaduto il quale senza disdetta l'appalto si rinnova, non impedisce di esercitare il diritto potestativo di recesso ad nutumex articolo 1671 c.c., che può essere esercitato per qualsiasi ragione (sull'obbligo di indennizzo verso l'appaltatore si veda Cass. 29675/2024 e 15335/2024; si veda altresì Cass. 8254/1997, nonché Cass. 6873/2013, 17807/2011, 1874/1984, 4783/1983 e 447/1956); nel contratto d'appalto avente ad oggetto la prestazione di servizi continuativi o periodici senza predeterminazione della sua durata, invece, il recesso che ciascuna delle parti intenda esercitare postula che esso avvenga previo avviso nel termine pattuito in contratto o in quello stabilito dagli usi o, in mancanza, in un termine congruo secondo valutazione rimessa all'apprezzamento del giudicante, avuto riguardo alla natura del servizio appaltato (senza la previsione di alcun indennizzo, in linea col principio della libera recedibilità dai contratti conclusi a tempo indeterminato).   Recesso con termine di preavviso non congruo: conseguenze Posto dunque che a garanzia dell'appaltatore, basta (ma è necessario) che la manifestazione della volontà del committente di liberarsi dal rapporto obbligatorio debba essere preceduta da un adeguato preavviso (allo scopo di consentire al prestatore di organizzare per tempo tale cessazione), il giudice deve, in ogni caso, valutare la congruità del preavviso, in quanto richiesto dalla legge (cfr. Cass. 1496/1977). Dunque, il termine “congruo” di preavviso attiene al quomodo dell'esercizio del diritto potestativo e non ne rappresenta un indefettibile elemento costitutivo (quid). Ne consegue che, ove una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato o con un preavviso inadeguato, il rapporto si risolve comunque, benché la sua efficacia si protragga sino al decorso del termine, reputato congruo, del periodo di preavviso.

Presidente Di Virgilio – Relatore Trapuzzano Fatti di causa 1. Ve.Gi. e Ve.Re. convenivano in giudizio dinanzi alla Corte d'Appello di Brescia l'Anas Spa e Autostrade Centro Padane Spa, al fine di ottenere la condanna, quali soggetti beneficiari dell'esproprio, al pagamento in favore degli attori (affittuari dei terreni) dell'indennità aggiuntiva di esproprio nella misura di Euro 715.136,00 ex articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001. In via subordinata, chiedevano la condanna delle società convenute al risarcimento ex articolo 2043 c.c. del danno loro derivato a seguito dell'occupazione di urgenza intervenuta con i decreti numero 3/2006 del 25/10/2006 e numero 1/2007 del 20/6/2007, cui avevano fatto seguito le immissioni in possesso del 12/12/2006 e del 6/8/2007. La richiesta si fondava sulla mancata coltivazione e raccolta dei frutti dei terreni dagli stessi condotti in affitto. Infatti, a seguito dell'immissione in possesso, la proprietaria dei terreni aveva poi stipulato la cessione volontaria degli stessi in data 4/8/2009. La cessione volontaria era dunque intervenuta tra la proprietaria Fondazione Casa di Dio ONLUS e Autostrade Centro Padane. Prima della stipula della cessione volontaria, però, il contratto di affitto agrario aveva cessato i suoi effetti di pieno diritto, senza preavviso o diffida, come previsto nel negozio, in data 10/11/2007. 2. Si costituiva in giudizio l'Anas eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, stante la legittimazione esclusiva di Autostrade Centro Padane, nel cui interesse era stata attivata la procedura espropriativa e con la quale l'ente proprietario dei terreni, ossia la Fondazione Casa di Dio ONLUS, aveva stipulato la cessione volontaria degli stessi. 3. Si costituiva in giudizio anche Autostrade Centro Padane chiedendo, in via preliminare, l'autorizzazione alla chiamata in causa di Fondazione Bresciana di Iniziative Sociali ONLUS, al fine di essere manlevata e tenuta indenne in caso di accoglimento della domanda degli attori. 4 Con sentenza numero 1393/2013 la Corte d'Appello di Brescia accoglieva l'eccezione di incompetenza per materia, dichiarando la competenza del Tribunale di Brescia. 5. La causa veniva riassunta dagli attori con atto di citazione del 28/2/2014 dinanzi al Tribunale di Brescia, riproponendo la richiesta dell'indennità aggiuntiva, quali affittuari coltivatori diretti dei fondi. In via subordinata chiedevano la condanna di Anas ed Autostrade Centro Padane, ai sensi dell'articolo 2043 c.c-, e della Fondazione Bresciana di Iniziative Sociali ONLUS, ex articolo 1638 c.c., a risarcire o indennizzare gli attori, quali affittuari coltivatori diretti dei terreni per la mancata coltivazione dei terreni e raccolta e percezione dei frutti . 6. Dopo l'espletamento della CTU il Tribunale di Brescia, con sentenza del 24/8/2018 rigettava le domande degli attori nei confronti di Anas e di Autostrade Centro Padane, mentre condannava la Fondazione Casa di Dio ONLUS (già Fondazione Bresciana di Iniziative Sociali ONLUS) al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 29.278,00. 6.1. In particolare, il Tribunale rilevava che l'indennità aggiuntiva richiesta dai fittavoli non era dovuta per il mero fatto dell'occupazione di urgenza del fondo condotto in affitto ma esclusivamente in conseguenza del decreto di esproprio o della cessione volontaria . Solo da tale momento, dunque originava il relativo diritto e da esso iniziava a decorrere il termine di prescrizione. Tuttavia, nella specie, in epoca successiva all'occupazione in via di urgenza dei terreni condotti in affitto dagli attori, avvenuta con le immissioni in possesso del 12/12/2006 e del 6/8/2007, prima della intervenuta cessione volontaria dei beni, con contratto del 4/8/2009, era però intervenuta la scadenza naturale del contratto di affitto in data 10/11/2007. La perdita definitiva del terreno era stata l'effetto non già della procedura espropriativa, bensì della cessazione di efficacia del rapporto contrattuale giunto ormai a naturale scadenza precedentemente all'atto conclusivo della stessa procedura, rappresentato dalla cessione volontaria . Il Tribunale respingeva la domanda degli attori ex articolo 2043 c.c. per difetto del requisito della ingiustizia del danno lamentato . Il giudice di prime cure chiariva che non vi era stata alcuna dimostrazione della presunta collusione tra Autostrade Centro Padane e Fondazione Bresciana di Iniziative Sociali ONLUS per procrastinare la cessione dei beni oltre la scadenza del contratto d'affitto , in tal modo estromettendo gli attori dal conseguimento dell'indennità. La legge, infatti, assegnava all'autorità espropriante termine sino a 5 anni dalla dichiarazione di pubblica utilità per formalizzare l'esproprio, ex articolo 22-bis del D.P.R. numero 327 del 2001. Nella specie, erano decorsi due anni tra i decreti di immissione in possesso a seguito di occupazione di urgenza e la stipulazione della cessione volontaria dei beni. Precisava, poi, il Tribunale che il pregiudizio subito dagli attori affittuari per non aver potuto esercitare il proprio diritto di godimento sul fondo a partire dall'immissione in possesso fino alla data in naturale scadenza del contratto di affitto, in data 10/11/2007, non era senza ristoro, dovendosi accogliere la domanda ex articolo 1638 c.c. proposta dai medesimi attori nei confronti della Fondazione Casa di Dio ONLUS . Veniva citata la pronuncia di questa Corte numero 11609/1992, adottata in una fattispecie in cui all'occupazione di urgenza ex articolo 20 della legge numero 865 del 1971 non era seguito né un decreto di esproprio né la cessione volontaria del bene e neppure l'accessione invertita; in tal caso l'attore non aveva diritto ad un'indennità aggiuntiva nei confronti dell'occupante, sulla base di una applicazione analogica della disciplina prevista per l'espropriazione dell'articolo 17 della legge numero 865 del 1971, in quanto il decreto di occupazione di urgenza a differenza di quello di esproprio, si limita a sospendere, senza estinguere, l'esercizio del diritto personale sul fondo . Il pregiudizio dell'affittuario era compensato ex articolo 1638 c.c. 8. Proponevano appello gli attori chiedendo il pagamento in loro favore dell'indennità aggiuntiva ex articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001 nella misura di Euro 733.795,55 e, in subordine, nella misura di Euro 715.136,00 indicata in primo grado. Chiedevano, in via subordinata, che ove fosse ritenuto incompatibile il riconoscimento dell'indennità ex articolo 42 D.P.R. 327/2001 con quello dell'indennizzo ex articolo 1638 c.c. già disposto dal Tribunale si riformasse parzialmente la sentenza impugnata in relazione alla liquidazione e condanna al pagamento di tale indennizzo . 9. Con sentenza numero 303/2023, depositata il 23/2/2023, la Corte d'Appello di Brescia rigettava il gravame. 9.1. Preliminarmente, la Corte territoriale chiariva che non vi era stata impugnazione del rigetto della domanda risarcitoria ex articolo 2043 c.c., né la Fondazione Casa di Dio ONLUS aveva proposto appello incidentale avverso il riconoscimento dell'indennità ex articolo 1638 c.c. in favore dei fittavoli. 9.2. La Corte d'Appello riportava la doglianza degli attori per cui, in realtà, la sospensione del contratto di affitto per effetto della occupazione di urgenza e la estinzione ad opera del decreto di esproprio (...) devono ritenersi parti inscindibili di un'unica fictio iuris prevista dalla disciplina speciale ed intesa ad assicurare che tutti i diritti reali e personali incisi dalla occupazione di urgenza siano indennizzati al momento dell'esproprio, nella medesima consistenza materiale che avevano al momento dell'occupazione di urgenza (...) ovvero come se l'occupazione li avesse solo sospesi e la loro consistenza fosse immutata alla data del decreto di esproprio . Si sarebbe verificato, in sostanza un congelamento provvisorio della posizione del fittavolo. Per gli appellanti, dunque, la sospensione degli effetti del contratto avrebbe finalità conservative consentendo il collegamento con il decreto di esproprio da intendersi quale atto indispensabile per rendere definitivi gli effetti già prodotti con l'occupazione . Il decreto di esproprio, dunque, non era la causa del pregiudizio ma la condizione legale in base alla quale, compiutasi la procedura espropriativa, può essere compensato in forma indennitaria il pregiudizio . Una diversa interpretazione avrebbe favorito solo i fittavoli fortunati in quanto titolari di un rapporto avente scadenza naturale successiva all'esproprio. Per gli appellanti, poi, anche l'espressione utilizzata dall'articolo 22-bis del D.P.R. numero 327 del 2001 ( per effetto della procedura espropriativa ), nella sua ampia latitudine, consentiva di tenere conto non solo del decreto di esproprio, ma anche del precedente provvedimento di occupazione di urgenza. 9.3. La Corte d'Appello, pur reputando le argomentazioni degli appellanti come suggestive , le disattendeva. Non veniva condivisa l'interpretazione proposta, in quanto, già dal punto di vista topografico, l'istituto dell'indennità aggiuntiva ex articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001, era inserito nella sezione IV rubricata determinazione dell'indennizzo nel caso di esproprio di un'area non edificata . Dissonante era ancora il dato testuale dell'articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001 che riconosceva il diritto al fittavolo per effetto della procedura espropriativa o della cessione volontaria , che lo costringeva ad abbandonare il fondo coltivato. La cessione volontaria, infatti, costituiva un atto alternativo al decreto di esproprio , sicché il diritto del fittavolo poteva originare esclusivamente per effetto di un atto (unilaterale o negoziale) che determina la definitiva perdita di proprietà del bene e quindi non può ravvisarsi alcuna sostanziale modifica dell'ambito di applicazione del testo novellato rispetto al previgente articolo 17 legge numero 865/1971 . Il diritto al fittavolo spettava solo al momento e per effetto del trasferimento del fondo, che rende definitiva la impossibilità di condurre in locazione l'area . Si richiamava anche una recente interpretazione di questa Corte che aveva riformato la sentenza impugnata che aveva erroneamente retrodatato gli effetti della cessione del maggio 2007 al momento di adozione della delibera della giunta comunale (Cass, numero 7688 del 2021). Si aggiungeva che nei casi in cui si verifichi (...) la sospensione del diritto del fittavolo per effetto del decreto di occupazione, mentre la definitiva cessazione non sia ascrivibile al provvedimento ablatorio, il temporaneo pregiudizio del titolare del diritto di godimento è compensato ai sensi dell'articolo 1638 c.c. . 10. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Ve.Re., Ti.Ro., Ve.Ch., Ve.Lu., in qualità di eredi di Ve.Gi. 11. Ha resistito con controricorso la Fondazione Casa di Dio ONLUS. 12. Ha resistito con controricorso l'Anas Spa 13. È rimasta intimata Autostrade Centro Padane. Ragioni della decisione 1. Con un unico motivo di impugnazione i ricorrenti deducono motivo ex articolo 360, primo comma, numero 3, c.p.c. Violazione degli articoli 42,32,21-bis del D.P.R. numero 327/2001 . In particolare, i ricorrenti deducono che l'assenza di pronunce giurisprudenziali di legittimità in ordine alla spettanza del diritto all'indennità aggiuntiva del fittavolo ex articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001, anche nell'ipotesi in cui, dopo il provvedimento di occupazione di urgenza ex articolo 22-bis del D.P.R. numero 327 del 2001, si verifichi la cessazione del contratto di affitto, prima della cessione volontaria del bene da parte del proprietario o dell'adozione del decreto di espropriazione, derivi dalla prassi amministrativa seguita dagli enti esproprianti nel senso di riconoscimento dell'indennità in questione, prescindendo dalla eventuale scadenza del fitto dopo l'immissione nel possesso, ma prima dell'esproprio, essendo del resto intuitivo che in caso opposto avrebbe dovuto generarsi un contenzioso diffuso . Per i ricorrenti, la debenza dell'indennità aggiuntiva, anche nell'ipotesi in cui il contratto d'affitto sia cessato per la scadenza naturale, prima della cessione volontaria del bene o del decreto di espropriazione, a seguito di un provvedimento di occupazione di urgenza, deriva sia dal dato letterale dell'articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001, sia da argomentazioni sistematiche convergenti. Una diversa interpretazione condurrebbe ad un sostanziale svuotamento dell'ambito di applicazione dell'istituto, in termini del tutto irragionevoli . Inoltre, il decreto di esproprio e la cessione volontaria non costituiscono sempre e necessariamente, la causa del pregiudizio arrecato all'affittuario , in quanto, nell'ipotesi in cui l'affittuario sia già stato espulso dal fondo per effetto di occupazione di urgenza (ed il suo rientro sia divenuto impossibile, per essersi ormai realizzate le opere, o anche per la sola scadenza del fitto non più rinnovabile, anche volendo, dalle parti impossibilitate a consegnare e utilizzare il fondo occupato), esproprio e cessione volontaria operano come semplici condizioni legali in base alle quali il pregiudizio già subito può essere compensato in forma indennitaria . Tale meccanismo, peraltro, si verifica anche in ordine ad altri diritti suscettibili di essere esTi.Ro., già solo per effetto dell'occupazione di urgenza, ma che tuttavia trovano ristoro indennitaria solo in caso di esproprio, proprio in relazione alla fictio iuris di cui all'articolo 32, primo comma, D.P.R. numero 327 del 2001. I ricorrenti muovono dall'assunto che l'occupazione di urgenza sospende il contratto di affitto . Tuttavia, non condividono la tesi per cui l'indennità aggiuntiva spetterebbe al fittavolo solo qualora l'esproprio o la cessazione volontaria equipollente siano la causa diretta della definitiva impossibilità di coltivare, in termini tale che se tale impossibilità si è già determinata in precedenza, nulla spetta . I ricorrenti muovono dall'utilizzo legislativo dell'espressione, all'interno dell'articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001, per effetto della procedura espropriativa o della cessione volontaria , ove non si fa riferimento al decreto di esproprio ; ciò proprio in quanto - ad avviso degli attori - l'occupazione di urgenza, una volta eseguita, impone l'abbandono dei fondi . L'occupazione di urgenza, infatti, è istituto facente parte a pieno titolo della procedura espropriativa , avendo l'esclusiva finalità di consentire l'esecuzione anticipata di lavori per i quali l'espropriazione deve essere fatta , tanto che nel decreto di occupazione deve essere indicata l'indennità provvisoria di esproprio. La caratteristica dell'occupazione di urgenza è proprio quella di consentire l'avvio dei lavori dell'opera pubblica, costringendo i fittavoli ad abbandonare il fondo per effetto della procedura espropriativa . Una sorta di espulsione mediante occupazione di urgenza. Chiariscono i ricorrenti che la ratio dell'indennità aggiuntiva spettante ai fittavoli, a differenza di quella spettante ai proprietari non coltivatori diretti, e quella di tutelare il rapporto di lavoro ai sensi dell'articolo 35 Costituzione. Peraltro, l'indennità aggiuntiva spetta anche in caso di acquisizione sanante ex articolo 42-bis del D.P.R. numero 327 del 2001. Senza contare che nel caso di espulsione del coltivatore dal fondo dovuta ad occupazione di urgenza, ma non seguita da regolare esproprio, si è sempre riconosciuto il diritto dell'affittuario ad un risarcimento del danno ex articolo 1638 c.c., nella misura pari all'indennità non percepita. La diversa interpretazione condurrebbe ad una violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza . L'occupazione di urgenza, infatti, non consente di rinnovare un contratto d'affitto, dovendosi dare luogo a lavori di pubblica utilità, impedendo un'effettiva coltivazione, anche se il terreno non venga trasformato, essendo impossibile la consegna all'affittuario e l'uso produttivo agricolo . A seguire l'interpretazione della Corte d'Appello gli affittuari meno fortunati sarebbero (...) la maggior parte dei coltivatori espulsi dalle procedure di esproprio, vista la frequente lunga durata delle occupazioni . Senza contare che i contratti di affitto agrario a coltivatori diretti, ripetutamente prorogati ex lege con l'articolo 14 della legge numero 765 del 1964, vengono stipulati in deroga, ex articolo 45 della legge numero 203 del 1982, con durate normalmente minori del termine ordinario di anni 15 di cui alla stessa legge numero 203 . In tal modo, tra i soggetti oggettivamente espulsi dalla coltivazione per effetto della procedura espropriativa gli unici beneficiari dell'indennizzo sarebbero quelli che, casualmente, abbiano una scadenza naturale del fitto successiva all'esproprio . Trattandosi di disciplina avente chiare finalità sociali e valore pubblicistico, non potrebbe accedersi all'interpretazione per cui l'indennità in esame spetterebbe o meno solo in presenza di circostanze casuali, prestandosi altresì ad essere conculcata in relazione a scelte arbitrarie dell'espropriante (sul quando emettere il decreto di esproprio dei terreni già occupati) o addirittura da collusioni tra espropriante e proprietà esproprianda . L'indennità aggiuntiva deve spettare, allora, indifferentemente, a tutti gli affittuari che siano stati privati della conduzione in modo lecito e definitivo , anche se l'esproprio o la cessione volontaria siano stati preceduti da una occupazione di urgenza, tale da avere impedito il godimento dell'affittuario per essersi realizzate le opere o anche solo per essere scaduto il fitto nelle more dell'espropriazione . Ad avviso dei ricorrenti, dunque, il decreto di esproprio non opera sempre e necessariamente come causa diretta di pregiudizi, ma può operare anche solo come condizione legale in base alla quale il pregiudizio già causato dall'esecuzione dell'occupazione di urgenza diviene oggetto di ristoro indennitario, piuttosto che risarcitorio . La verifica dei presupposti di legge va fatta, dunque, in particolare con riferimento alla vigenza del contratto d'affitto, alla data dell'esecuzione dell'occupazione di urgenza, piuttosto che a quella del decreto di esproprio o dell'atto di cessione volontaria . Insomma, ai fini del riconoscimento dell'indennità aggiuntiva e necessario che venga adottato il provvedimento di esproprio o che venga stipulata la cessione volontaria, ma in caso di pregressa occupazione di urgenza, tali eventi vanno considerati solo una condizione legale e non la causa del pregiudizio indennizzabile. Del resto, in assenza di emissione del decreto di esproprio, ai fittavoli spetta, a titolo di risarcimento del danno, un importo pari all'indennità perduta (si citano Cass. numero 21058/2022; Cass., numero 514/1999; Cass. numero 2077/2003). I ricorrenti richiamano la giurisprudenza di questa Corte per cui, ai fini dell'accertamento della qualità di affittuario, deve farsi riferimento alla situazione giuridica esistente alla data di occupazione del fondo (si cita Cass. numero 974/1998). Una conferma indiretta perviene anche dall'acquisizione sanante ex articolo 42-bis del D.P.R. numero 327 del 2001, che interviene normalmente a grande distanza di tempo dall'occupazione di urgenza, quando ovviamente v'è stata la cessazione naturale del fitto esistente all'epoca dell'occupazione e ciononostante, si reputa spettante all'affittuario l'indennità aggiuntiva. Tra l'altro, per i ricorrenti l'ordinamento sull'espropriazione non richiede necessariamente che i diritti ammessi a compensazione debbano passare indenni dall'esecuzione dell'occupazione di urgenza per poi arrivare sani e salvi all'esproprio, così da poter essere indennizzati solo quando sia il decreto di esproprio la loro immediata e diretta causa di estinzione . Ciò potrebbe accadere, per le piantagioni, che vengano distrutte in corso di occupazione. Non si dubita che in tali casi il pregiudizio arrecato, nonostante le piantagioni siano state distrutte in esecuzione dell'occupazione di urgenza, sia indennizzabile ai soggetti che hanno subito il pregiudizio, nell'ambito dell'indennità di esproprio. I ricorrenti citano, poi, il precedente di questa Corte, a sezioni unite, numero 2313 del 24/4/1979, per la quale il provvedimento di occupazione di urgenza anticipa provvisoriamente gli effetti dell'espropriazione , non condividendo, però, l'argomentazione per cui si nega allo stesso decreto di esproprio effetto esTi.Ro.vo del diritto dell'affittuario. In realtà, l'affermazione di questa Corte sarebbe stata svolta al solo fine di rafforzare gli argomenti a tutela risarcitoria degli assegnatari , nei casi in cui il diritto di godimento era rimasto precluso da occupazioni attuate con la trasformazione dei fondi e poi non seguite da decreto di esproprio. Tra l'altro, la sentenza impugnata nega che il decreto di occupazione di urgenza comporti di per sé la risoluzione del contratto di affitto, ma, in realtà, ad avviso dei ricorrenti, se l'occupazione di urgenza viene disposta per un periodo eccedente la scadenza naturale dell'affitto, si provoca o la sospensione temporanea del fitto oppure la risoluzione, in presenza di un factum principis del tutto estraneo al comportamento delle parti, ai sensi degli articoli 1256 e 1463 c.c. 2. Il motivo è fondato nei termini di cui motivazione. 2.1. Deve muoversi dalla distinzione tra il diritto all'indennità aggiuntiva spettante al proprietario coltivatore diretto e il diritto all'indennità aggiuntiva spettante, come nel caso di specie, al fittavolo o al mezzadro. Nel caso di spettanza dell'indennizzo al proprietario coltivatore diretto, infatti, si viene a tutelare, soprattutto, la proprietà del soggetto espropriato, mentre l'indennità aggiuntiva spetta al fittavolo in ragione della speciale tutela del lavoro ex articolo 35 della Costituzione (Cass., sez. 1, 1/7/2022, numero 21058). 3. L'articolo 17 della legge 22/10/1971, numero 865, stabilisce, al primo comma, che nel caso che l'area da espropriare sia coltivata dal proprietario diretto coltivatore, nell'ipotesi di cessione volontaria ai sensi dell'articolo 12, primo comma, il prezzo di cessione è determinato in misura tripla rispetto all'indennità provvisoria, esclusa la maggiorazione prevista dal suddetto articolo . Pertanto, al proprietario coltivatore diretto non spettava una indennità aggiuntiva, ma la disposizione si limitava, nell'ipotesi di cessione volontaria, ad aumentare il prezzo di cessione in misura tripla (fino al 29/17/1977 era doppia) rispetto all'indennità provvisoria. Successivamente, la giurisprudenza di legittimità aveva esteso l'aumento del prezzo anche alle ipotesi di perdita del terreno in virtù di decreto di esproprio o di occupazione espropriativa, non limitandolo più esclusivamente all'ipotesi della cessione volontaria del cespite. 3.1. Il secondo comma dell'articolo 17 della legge numero 865 del 1971 si soffermava, invece, sulla posizione dei coltivatori diretti diversi dal proprietario, prevedendo che (n)el caso invece che l'espropriazione attenga a terreno coltivato dal fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante, costretto ad abbandonare il terreno stesso, ferma restando l'indennità di espropriazione determinata ai sensi dell'articolo 16 in favore del proprietario, uguale importo dovrà essere corrisposto al fittavolo, al mezzadro al colono o al compartecipante che coltivi il terreno espropriando almeno da un anno prima della data di deposito della relazione di cui all'articolo 10 . 4. Si è dunque chiarito che l'indennità aggiuntiva di cui all'articolo 17, comma 2, della legge numero 865 del 1971, che spetta - non al proprietario ma - all'affittuario coltivatore diretto del fondo espropriato è autonoma rispetto all'indennità di espropriazione, che trova fondamento nella diretta attività di prestazione d'opera sul terreno espropriato e nella situazione privilegiata che gli articoli 35 e seguenti della Costituzione assicurano alla posizione del lavoratore (Cass., sez. 1, 14/6/2018, numero 15579). Per tale ragione, tale indennità aggiuntiva (che spetta anche in caso di decreto di acquisizione sanante; Cass., sez. 1, 22/3/2021, numero 7975) non va detratta da quella di espropriazione, non potendo escludersi, anche in base alla giurisprudenza della CEDU, che, in presenza della necessità di tener conto della particolare posizione del coltivatore espropriato, l'espropriante possa andare incontro ad esborsi - preventivamente valutabili - complessivamente superiori al valore di mercato del bene ablato, senza che ciò costituisca violazione del limite previsto dall'articolo 42 della Costituzione (Cass., numero 11464 del 3/6/2016; Cass., sez. 1, numero 6088 del 2018; Cass., numero 21340 del 13/8/2019; anche Cass., sez. 5, numero 29735 del 2023; Cass., 22/3/2021, numero 7688; Cass., 13/1/2021, numero 394; Cass., 24/4/2014, numero 9269). 4.1. Successivamente, questa Corte (Cass., numero 19931 del 2017) ha distinto l'indennità, spettante al proprietario del fondo, anche coltivatore diretto, da quella relativa all'indennità aggiuntiva spettante al fittavolo, al mezzadro, al colono o al compartecipante. In particolare, si è affermato che, in tema di indennità di espropriazione, la domanda avente ad oggetto l'indennità aggiuntiva di cui all'articolo 17 della L. numero 865 del 1971 da parte del proprietario coltivatore del fondo, diversamente da quanto accade o può accadere per tutti gli altri soggetti che hanno titolo a richiedere quell'emolumento (e che sono presi in considerazione dal comma 2 della richiamata disposizione), non può essere richiesta separatamente da quella relativa alla perdita del bene, risolvendosi essa - in tali casi - in una modalità di calcolo della somma complessivamente dovuta dall'espropriante a colui che venga privato del suo diritto reale in uno con l'attività di coltivatore del fondo, somma che perciò deve essere calcolata accrescendo l'ammontare della perdita del cespite di base con l'indennità aggiuntiva del coltivatore, a ristoro della perdita complessiva, in un unico e non frazionabile giudizio di stima (Cass., sez. 1, 10/8/2017, numero 19931). Tale assunto è stato confermato anche recentemente, con riferimento all'articolo 40, comma 4, del D.P.R. numero 327 del 2001, affermandosi che l'indennità aggiuntiva spettante al proprietario coltivatore diretto o all'imprenditore agricolo professionale ex articolo 40, comma 4, del D.P.R. numero 327 del 2001, deve essere richiesta necessariamente in modo congiunto all'indennità di espropriazione, trattandosi di determinare la somma complessivamente dovuta dall'espropriante a colui che venga privato del suo diritto reale in uno con l'attività di coltivatore del fondo; diversamente, l'indennità dovuta al terzo coltivatore diretto in forza di un rapporto agrario contrattuale o compartecipativo, prevista dall'articolo 42 che rinvia per la liquidazione all'articolo 40 cit., può essere oggetto di domanda autonoma, in quanto volta a ristorare l'attività coltivatrice svolta su suolo altrui, interrotta forzatamente per effetto della procedura espropriativa (Cass., sez. 1, 3/10/2024, numero 25972). 4.2. L'articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001 prevede, al primo comma, che spetta una indennità aggiuntiva al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante che, per effetto della procedura espropriativa o della cessione volontaria, sia costretto ad abbandonare in tutto o in parte l'area direttamente coltivata da almeno un anno prima della data in cui vi è stata la dichiarazione di pubblica utilità . La ratio dell'indennità aggiuntiva prevista per il coltivatore diretto dall'articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001 risiede nella diversa natura del bene oggetto di tutela e, precisamente, nella diretta attività di prestazione d'opera sul terreno espropriato nella situazione privilegiata che l'articolo 35 della Costituzione assicura alla posizione del lavoratore, garantendo fra l'altro che la sua retribuzione sia in ogni caso sufficiente ad assicurare a lui e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa (Cass., sez. 1, 1/7/2022, numero 21058; Cass. numero 11464 del 2016). Al comma 2 dell'articolo 42 citato si chiarisce quanto all'accertamento della somma effettivamente dovuta ed all'onere della prova correlato, che l'indennità aggiuntiva è determinata ai sensi dell'articolo 40, comma 4, ed è corrisposta a seguito di una dichiarazione dell'interessato e di un riscontro della effettiva sussistenza dei relativi presupposti . Ciò comporta due considerazioni importanti: 1) da un lato appare evidente che il legislatore ha voluto dettare una disciplina dedicata esclusivamente al proprietario coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale, ben distinta da quella relativa all'indennità aggiuntiva spettante al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante; con la deduzione per cui l'indennizzo spettante al proprietario coltivatore diretto deve essere unitario, con richiesta non frazionata dell'indennità aggiuntiva; 2) dall'altro, mentre l'indennità aggiuntiva spettante al proprietario coltivatore diretto o al proprietario imprenditore agricolo a titolo principale, viene determinata in misura pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di colture effettivamente praticate, con onere della prova a carico dell'ente espropriante che intende discostarsene, le altre indennità aggiuntive necessitano della dichiarazione dell'interessato e di un riscontro della effettiva sussistenza dei relativi presupposti, con onere della prova a carico del soggetto richiedente, che deve predisporre la relativa dichiarazione. Pertanto, il fittavolo, il mezzadro e il compartecipante devono dimostrare l'esistenza del proprio titolo, mentre negli altri casi il sacrificio sofferto dal soggetto che utilizza il fondo a scopi agricoli è presunto, in quanto il D.P.R. numero 327 del 2001 non richiede alcuna prova in proposito (Cass., numero 25972 del 2024). 5. L'indennità aggiuntiva di cui all'articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001, spettante, tra gli altri, anche al fittavolo, deve tenersi distinta dall'indennizzo spettante all'affittuario, nei confronti del locatore e non nei confronti dell'autorità espropriante, in caso di espropriazione per pubblico interesse o di occupazione temporanea del fondo locato, con riguardo ai frutti non percepiti o per il mancato raccolto ai sensi dell'articolo 1638 c.c. L'indennità aggiuntiva ex articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001 va richiesta nei confronti della autorità espropriante, mentre l'indennizzo di cui all'articolo 1638 c.c., in relazione ai frutti non percepiti o per il mancato raccolto, va chiesta al locatore (Cass., sez. 1, 26/8/1998, numero 8491; Cass., sez. 3, 13/12/1993, numero 12253). Trattasi, dunque, di due pregiudizi ben disTi.Ro. l'uno dall'altro, non solo con riferimento ai legittimati passivi delle rispettive domande, ma anche in relazione al perimetro delle richieste di indennizzo, nel primo caso quantificate in base al valore agricolo medio dei terreni, e nel secondo caso, in relazione ai frutti non percepiti o al mancato raccolto. Nella specie, infatti, è stato riconosciuto in corso di causa l'indennizzo di cui all'articolo 1638 c.c., posto a carico della fondazione. Il ricorrente, però, continua a chiedere indennizzo di cui all'articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001. 6. La questione cruciale attiene alla spettanza o meno del diritto all'indennizzo di cui all'articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001 nell'ipotesi in cui sia stato adottato un provvedimento di occupazione di urgenza ex articolo 22-bis del D.P.R. numero 327 del 2001, con conseguente immissione in possesso, nelle date del 12/12/2006 e del 6/8/2007, seguita dalla scadenza naturale del contratto d'affitto in data 10/11/2007, con stipulazione della cessione volontaria dei beni da parte della proprietaria, Fondazione Casa di Dio ONLUS, in favore di Autostrade Centro Padane, il 4/8/2009, quando, appunto, il contratto di affitto era ormai inevitabilmente divenuto inefficace per scadenza naturale dello stesso. 6.1. L'occupazione di urgenza era già conosciuta dalla legge numero 865 del 1971, che all'articolo 20 prevedeva che l'occupazione di urgenza delle aree da espropriare è pronunciata con decreto del prefetto. Tale decreto perde efficacia ove l'occupazione non segua nel termine di tre mesi dalla sua emanazione. L'occupazione può essere protratta fino a cinque anni dalla data di immissione nel possesso . L'articolo 71 della legge numero 2359 del 1865 stabiliva, poi, quanto alle Occupazioni nei casi di forza maggiore e di urgenza che nei casi di rottura di argini, di rovesciamento di ponti per impeto delle acque, e negli altri casi di forza maggiore o di assoluta urgenza, i prefetti, previa la compilazione dello stato di consistenza dei fondi da occuparsi, possono ordinare la occupazione temporanea dei beni immobili che occorressero all'esecuzione delle opere all'uopo necessarie. Si procederà colle stesse norme nel caso di lavori di questa natura dichiarati urgenti e indifferibili dal Consiglio superiore dei lavori pubblici . L'articolo 73 della legge numero 2359 del 1865 stabiliva, poi, che le occupazioni temporanee prevedute dall'articolo 71 non possono in nessun caso essere protratte oltre il termine di 2 anni, decorrenti dal giorno in cui ebbero luogo . 6.2. La prassi aveva poi consentito un utilizzo generalizzato dell'istituto della occupazione di urgenza, che veniva adottato, in sostanza, in tutti i procedimenti espropriativi, con la nascita di un contenzioso assai cospicuo, proprio in relazione al mancato rispetto dei termini previsti dalla normativa da parte della PA. 7. Ciò aveva condotto alla eliminazione dell'istituto dell'occupazione di urgenza nell'ambito del D.P.R. numero 327 del 2001, mentre il legislatore successivamente ha introdotto l'articolo 22-bis del D.P.R. citato, proprio in relazione alla occupazione di urgenza preordinata all'espropriazione . 7.1 Trattasi di istituto che si distingue sia dalla determinazione urgente dell'indennità provvisoria di cui all'articolo 22 del D.P.R. numero 327 del 2001, sia dall'occupazione temporanea di cui all'articolo 49 del D.P.R. numero 327 del 2001. Nel primo caso, infatti, viene emesso un vero e proprio decreto di esproprio, qualora l'avvio dei lavori rivesta carattere di urgenza, tale da non consentire l'applicazione della procedura di determinazione dell'indennizzo di cui all'articolo 20. Il decreto di esproprio viene dunque emesso ed eseguito in base alla determinazione urgente dell'indennità di espropriazione, senza particolari indagini o formalità. Vi è comunque l'adozione di un decreto di esproprio. Nell'ipotesi di cui all'articolo 49 del D.P.R. numero 327 del 2001, si tratta, invece, di occupazione temporanea, non a carattere preliminare, e quindi con la perdita del possesso, a titolo definitivo, ma a carattere provvisorio, con riferimento ad aree non assoggettate al procedimento espropriativo, in ragione della corretta esecuzione dei lavori previsti. L'occupazione temporanea, ai sensi dell'articolo 49, comma 5, del D.P.R. numero 327 del 2001, si utilizza anche nel caso di frane, alluvioni, rottura di argini ed in ogni altro caso in cui si utilizzano beni altrui per urgenti ragioni di pubblica utilità . Anche nella nuova disciplina, dunque, ci si trova dinanzi alla distinzione tra occupazione di urgenza di carattere preliminare, preordinata all'espropriazione, di cui all'articolo 22-bis del D.P.R. numero 327 del 2001, ed occupazione di urgenza di carattere strumentale . 8. Ben diversa è la collocazione sistematica e topografica dell'occupazione di urgenza preordinata all'espropriazione ex articolo 22-bis del D.P.R. numero 327 del 2001, non a caso inserita, dall'articolo 1 del D.Lgs. numero 302 del 2002, quale ultima disposizione relativa al Capo IV, dedicato alla fase di emanazione del decreto di esproprio . In questo caso, infatti, a differenza dell'articolo 22 del D.P.R. numero 327 del 2001, che prevede l'emissione di un decreto di esproprio, sia pure con determinazione urgente dell'indennità provvisoria, si assiste all'immissione in possesso dei beni da parte della PA, senza un decreto di esproprio immediato, ma sulla base della necessità di avviare i lavori ove gli stessi rivestano carattere di particolare urgenza , tale da non consentire, in relazione alla particolare natura delle opere, le determinazioni di cui all'articolo 20. Recita, infatti, l'articolo 22-bis del D.P.R. numero 327 del 2001 qualora l'avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza, tale da non consentire, in relazione alla particolare natura delle opere, l'applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 20, può essere emanato, senza particolari indagini e formalità, decreto motivato che determina in via provvisoria l'indennità di espropriazione, e che dispone anche l'occupazione anticipata dei beni immobili necessari. Il decreto contiene l'elenco dei beni da espropriare e dei relativi proprietari, indica i beni da occupare e determina l'indennità da offrire in via provvisoria . La possibilità di procedere all'occupazione di urgenza è consentita anche: per gli interventi di cui alla legge obiettivo del 21/12/2001, numero 443, oppure di ipotesi in cui il numero dei destinatari della procedura espropriativa sia superiore a 50. Si prevede al comma 3 dell'articolo 22-bis citato che al proprietario che abbia condiviso la determinazione dell'indennità è riconosciuto l'acconto dell'80% . Di particolare rilievo è, poi, il comma 4, in base al quale l'esecuzione del decreto di cui al comma 1, ai fini dell'immissione in possesso, è effettuata con le medesime modalità di cui all'articolo 24 e deve aver luogo entro il termine perentorio di tre mesi dalla data di emanazione del decreto medesimo . Con l'ulteriore corollario, di fondamentale importanza per la decisione della presente controversia, al comma 6, per cui il decreto che dispone l'occupazione ai sensi del comma 1 perde efficacia qualora non venga emanato il decreto di esproprio nel termine di cui all'articolo 13 . L'articolo 13 del D.P.R. numero 327 del 2001 prevede che nel provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera può essere stabilito il termine entro il quale il decreto di esproprio va emanato. Se manca l'espressa determinazione del termine di cui al comma 3, il decreto di esproprio può essere emanato entro il termine di 5 anni, decorrente dalla data in cui diventa efficace l'atto che dichiara la pubblica utilità dell'opera . 9. La tesi sostenuta dai ricorrenti risulta coerente con la natura dell'occupazione di urgenza preordinato all'espropriazione, come disegnata dalla giurisprudenza di questa Corte. 9.1. Deve muoversi, in particolare dalla sentenza di questa Corte, a sezioni unite, numero 10362 del 6/5/2009, per la quale l'occupazione temporanea preordinata all'espropriazione, prevista dall'articolo 22-bis del D.P.R. 8 giugno 2001, numero 327, (aggiunto dall'articolo 1 del D.Lgs. 27 dicembre 2002, numero 302), è finalizzata a consentire all'Amministrazione di conseguire l'anticipata immissione in possesso dell'area sulla quale dev'essere realizzata l'opera pubblica dichiarata urgente ed indifferibile, per dare inizio ai lavori ed evitare di dover attendere che il procedimento espropriativo giunga alla sua naturale conclusione con la pronuncia del provvedimento ablativo; tale funzione, analogamente a quella già propria dell'articolo 71, primo comma, della legge 25 giugno 1865, numero 2359, fa sì che l'occupazione temporanea non sia più correlata alla restituzione (non prevista né prevedibile) dell'immobile al proprietario e che, quindi, sussista un collegamento funzionale tra le figure ablatorie dell'occupazione preliminare e della espropriazione, nonché tra di esse e la dichiarazione di pubblica utilità che ne costituisce il necessario presupposto legittimante, ferma la possibilità di sindacare unicamente per la mancanza del presupposto dell'urgenza la scelta dell'Amministrazione di ricorrere a tale istituto. In particolare, in motivazione, in tale sentenza, si chiarisce che l'occupazione di urgenza è finalizzata, appunto, a consentire all'amministrazione di conseguire l'immediato possesso dell'area e di superare, in questo modo, i tempi necessari per conseguirne la disponibilità all'esito del procedimento espropriativo . Per tale ragione, la legittimità del possesso da parte della pubblica amministrazione è limitata nel tempo, presupponendo quale ipotesi normale ed ordinaria che nel suo corso l'amministrazione acquisti la proprietà dell'immobile e, di converso, il proprietario non ne riacquisti il godimento . L'urgenza, dunque, è costituita, non più dalla necessità di fronteggiare calamità naturali, ma dalla durata del procedimento previsto in via ordinaria per l'espropriazione dell'area . Il provvedimento di occupazione temporanea, preordinato all'espropriazione, mira ad annullare l'effetto della durata attraverso l'attribuzione, all'amministrazione, del potere di dar comunque immediato inizio e lavori in virtù della piena disponibilità dell'area: dunque, nella sostanza, mira ad una anticipazione degli effetti del provvedimento di espropriazione . Si è ancora chiarito che nel nuovo istituto la temporaneità, non è più correlata alla restituzione dell'immobile al proprietario, che, in effetti, nell'intima logica dell'istituto non è prevista né prevedibile . Per questa Corte, nella sentenza numero 10362 del 2009, citata, vi è un collegamento funzionale tra le figure ablatorie dell'occupazione preliminare e della espropriazione, nonché tra di esse e la dichiarazione di p.u. Che ne costituisce il necessario presupposto legittimante ; di qui la conseguenza per cui il procedimento per l'occupazione preliminare ha mantenuto la sua funzione di momento normale del procedimento di espropriazione, di cui costituisce un sub procedimento subordinato alla condizione che l'avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza . Si verifica, insomma, a seguito dell'occupazione preordinata all'espropriazione, una anticipazione degli effetti del provvedimento di espropriazione, con la perdita immediata della disponibilità del bene da parte degli affittuari. Ciò comporta che gli attori, affittuari, già con l'immissione in possesso del 12/12/2006 e del 6/8/2007, hanno perduto definitivamente il possesso dei beni coltivati, senza alcuna possibilità di ottenere la restituzione dei terreni, come evidenziato dalla sentenza di questa Corte numero 10362 del 2009, dove afferma che la restituzione al privato non è prevista, né prevedibile . 9.2. Pertanto, anche se il contratto di affitto è scaduto il 10/11/2007, quindi dopo l'immissione in possesso, ma prima della stipulazione effettiva della cessione volontaria dell'area da parte dei proprietari in data 4/8/2009, sicuramente la perdita del possesso si è verificata a seguito dei due provvedimenti di occupazione di urgenza preordinato all'espropriazione numero 3/2006 del 25/10/2006, collegato all'immissione in possesso del 12/12/2006, e numero 1/ 2007 del 20/6/2007, collegato all'immissione in possesso del 6/8/2007. 10. Effettivamente, dunque, il diritto dei fittavoli all'indennità aggiuntiva ex articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001, spetta agli stessi, anche se il momento conclusivo della procedura espropriativa, individuato nel decreto di espropriazione oppure nella cessione volontaria dei terreni, sia successivo alla scadenza naturale del contratto d'affitto, ma con provvedimenti di occupazione di urgenza preordinati all'espropriazione intervenuti mentre il contratto d'affitto era ancora vigente. Una diversa interpretazione, infatti, consentirebbe al soggetto espropriante ed al proprietario, che intendano stipulare la cessione volontaria del terreno, di impedire l'acquisizione del diritto all'indennità aggiuntiva in favore dei fittavoli, semplicemente procrastinando il momento della stipulazione dell'accordo, pur definendo il procedimento espropriativo all'interno dei cinque anni previsti dall'articolo 22-bis, comma 6, del D.P.R. numero 327 del 2001. Ciò, si ribadisce, per la peculiare natura assunta dal provvedimento di occupazione di urgenza preordinato all'espropriazione che non rende, neppure prevedibile, una possibile restituzione dei terreni ai proprietari e, dunque, agli affittuari. 11. Ciò del resto è in sintonia con la giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. 1, numero 7975/2021) che ha riconosciuto la spettanza dell'indennità aggiuntiva degli affittuari e dei mezzadri di cui all'articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001, anche nell'ipotesi di adozione da parte della PA del provvedimento di acquisizione sanante ex articolo 42-bis del D.P.R. numero 327 del 2001. È evidente, infatti, che in tali ipotesi il provvedimento di acquisizione sanante può intervenire anche a distanza di moltissimi anni dalla perdita di efficacia, a seguito di scadenza naturale o di altra causa, dei contratti di affitto stipulati. Basti pensare che, ai sensi del comma 8, dell'articolo 42-bis si prevede che le disposizioni di cui al presente articolo trovano applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato . Dovendosi considerare anche che il provvedimento di acquisizione sanante non ha carattere retroattivo, ai sensi del comma 1 dell'articolo 42-bis del D.P.R. numero 327 del 2001, trattandosi di provvedimento autonomo della PA che prevede la valutazione degli interessi in conflitto. 12. Le pronunce di questa Corte, intervenute sulla questione della tutela degli affittuari, in caso di mancata adozione del decreto di espropriazione o in caso di mancata stipulazione dell'accordo di cessione ex articolo 45 del D.P.R. numero 327 del 2001 non ostano all'accoglimento della tesi dei ricorrenti. 12.1. In particolare, la sentenza di questa Corte numero 11609 del 26/10/1992, la quale prevede il diritto degli affittuari solo all'indennizzo di cui all'articolo 1638 c.c., fa riferimento ad un'ipotesi in cui al provvedimento di occupazione preordinata all'espropriazione non ha fatto seguito né la cessione volontaria dei beni, né il decreto di espropriazione, venendo in essere solo la sospensione dell'esecuzione del rapporto contrattuale. Si è, infatti, ritenuto che l'affittuario coltivatore diretto che sia stato privato del godimento del fondo locatogli in conseguenza dell'esecuzione di un decreto di occupazione d'urgenza a norma dell'articolo 20 legge 22 ottobre 1971 numero 865 (nella specie, non seguito ne' da decreto di esproprio, ne' da cessione volontaria del bene da parte del proprietario ne' dalla cosiddetta accessione invertita) non ha diritto ad un'indennità aggiuntiva nei confronti dell'occupante, sulla base di un'applicazione analogica della disciplina prevista per l'espropriazione dall'articolo 17 della legge citata, atteso che il decreto di occupazione di urgenza, a differenza di quello di esproprio, si limita a sospendere, senza estinguere, l'esercizio del diritto personale sul fondo e che il pregiudizio dell'affittuario è compensato ai sensi dell'articolo 1638 cod. civ. (Cass., sez. 1, 26/10/1992, numero 11609). 13. Non viene messo in discussione, in questa sede, l'orientamento giurisprudenziale di legittimità per cui l'occupazione di urgenza preordinato all'espropriazione non comporta l'estinzione del rapporto contrattuale di affitto, trattandosi solo di sospensione dell'esecuzione dello stesso (in precedenza per la estinzione del rapporto di affitto a seguito del decreto di occupazione di urgenza vedi Cass., Sez. U., numero 1716 del 19/5/1969; Cass., 13/10/1970, numero 1986; Cass, 7/9/1970, numero 1253; per la sospensione del rapporto contrattuale vedi Cass., Sez. U., numero 2313 del 24/4/1979; Cass. numero 983 del 7/2/1996, numero 983). Trattasi di sospensione dell'esecuzione del rapporto d'affitto, ma con le peculiari modalità conseguenti alla natura del provvedimento di occupazione di urgenza preordinato all'espropriazione, che, come detto, comporta come ipotesi ordinaria, il successivo acquisto della proprietà dell'immobile da parte della PA, a seguito di decreto di espropriazione o di cessione volontaria del bene, mentre il privato non ne riacquista il godimento. 14. Deve, poi, sottolinearsi la recente ordinanza di questa Corte numero 7215 del 13/3/2023 ove si afferma con chiarezza che l'occupazione preordinata all'esproprio, cui ha fatto seguito poi il decreto di espropriazione, ha comportato comunque la definitiva estinzione del diritto di godimento del fondo occupato e non più restituibile . Si trattava di una fattispecie in cui l'affittuario aveva già chiesto l'indennità aggiuntiva ex articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001 nei confronti dell'autorità espropriante, ma aveva poi chiesto anche l'indennizzo ex articolo 1638 c.c. nei confronti del proprietario locatore, con riferimento ai frutti pendenti ed alla mancata percezione del reddito da coltivazione. Si è chiarito in tale pronuncia che il decreto di occupazione di urgenza di un fondo oggetto di contratto di affitto determina solo la sospensione dell'esecuzione di tale rapporto durante il protrarsi dell'occupazione, con la nascita in capo al conduttore, (il cui diritto di godimento non si è potuto esercitare sul bene locato per fatto imputabile all'ente occupante), del diritto di conseguire dal locatore, ai sensi dell'articolo 1638 c.c., la mancata rendita realizzabile in base al contratto per tutto il periodo che va dall'immissione in possesso dell'occupante all'inizio dell'opera pubblica , con la precisazione che tale inizio dell'opera comporta la definitiva estinzione del diritto di godimento del fondo occupato e non più restituibile . Si è aggiunto, quindi, che l'indicato diritto dell'affittuario ex articolo 1638 c.c. - poiché per il mancato godimento il proprietario-locatore riscuote, di regola, l'indennità di occupazione - si risolve nella pretesa di ottenerne per il periodo accennato il relativo importo, se ed in quanto riscosso dal locatore, depurato delle spese gravanti sull'affittuario, ivi compreso l'importo del canone di locazione . 15. Inoltre, nell'ipotesi in cui al provvedimento di occupazione di urgenza preordinato all'espropriazione, non faccia seguito né il provvedimento di esproprio, né la cessione volontaria del terreno, ma si verifichi l'irreversibile trasformazione dello stesso, gli affittuari hanno diritto al risarcimento del danno ex articolo 2043 c.c. (Cass., sez. 1, 3/3/1999, numero 1774; Cass., sez. 1, 5/7/1990, numero 7089), modulato e declinato, però, alla stregua, non dell'articolo 1638 c.c. (utilizza, invece, il parametro di liquidazione di cui all'articolo 1638 c.c.Cass. numero 514 del 1999), ma dell'articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2021 (o dell'articolo 17, comma 2, della legge numero 865 del 1971 all'epoca vigente), laddove richiama il comma 4 dell'articolo 40, in relazione dunque al valore agricolo medio corrispondente al tipo di colture effettivamente praticata (Cass., sez. 1, 12/2/2003, numero 2077; Cass., sez. 1, 24/10/2011, numero 21945; Cass., sez. 1, 23/7/2014, numero 16731), senza fare riferimento ai parametri previsti nell'articolo 43 della legge numero 203 del 1982 (Cass., numero 983 del 1996). 16. Deve aggiungersi che, per questa Corte, proprio in fattispecie relativa a contratto d'affitto agrario, con occupazione del fondo da parte di un comune, si è affermato che ai fini dell'accertamento della qualità di affittuario (coltivatore diretto) di un fondo espropriato e quindi del diritto l'attribuzione dell'indennità aggiuntiva agraria di cui all'articolo 17 della legge 22 ottobre 1971 numero 865, deve farsi riferimento alla situazione giuridica esistente alla data di occupazione del fondo, pertanto è irrilevante la prosecuzione di fatto del rapporto di affitto in pendenza di una controversia agraria che abbia ad oggetto tale rapporto (Cass., sez. 1, 30/1/1998, numero 974; Cass., sez. 1, 28/12/1990, numero 12194). 17. Né può condurre ad una diversa interpretazione la sentenza di questa Corte numero 2238 del 2/2/2007, citata dalla Corte d'Appello, che si limita a distinguere tra l'indennità aggiuntiva spettante all'affittuario coltivatore diretto, da chiedersi nei confronti dell'autorità espropriante, commisurata al valore agricolo, e l'indennizzo per i frutti pendenti esistenti sul fondo al momento dell'occupazione e, eventualmente, per il mancato raccolto, da richiedere nei confronti del proprietario locatore. 18. Del resto, l'interpretazione qui propugnata non va a scalfire nemmeno i precedenti di questa Corte relativi al momento di individuazione del termine di prescrizione per la richiesta dell'indennità aggiuntiva di cui all'articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001 (in precedenza articolo 17,2º comma, della legge numero 865 del 1971). Si è ritenuto che il diritto dell'indennità aggiuntiva di cui all'articolo 17, secondo comma, della legge numero 865 del 1971, è soggetto alla prescrizione ordinaria decennale ex articolo 2946 c.c., il cui termine inizia a decorrere dalla data del provvedimento ablatorio, trovando il diritto suddetto pur sempre titolo nel provvedimento medesimo e nascendo, quindi, in tale momento (Cass., sez. 1, numero 2238 del 2007; Cass., sez. 1, 10/9/2004, numero 18237). Pertanto, non si vuole rimettere in discussione l'individuazione del dies a quo del termine di prescrizione del diritto all'indennizzo spettante agli affittuari, che muove sempre dal provvedimento ablatorio, ma si intende prendere atto degli effetti provocati dal decreto di occupazione di urgenza preordinato all'espropriazione che, come detto, comporta la definitiva estinzione del diritto di godimento del fondo occupato e non più restituibile . 19. Neppure contrasta con l'interpretazione qui prospettata l'ordinanza di questa Corte numero 7688 del 18/3/2021 che, effettivamente, reputa che, ai fini della spettanza dell'indennità aggiuntiva del fittavolo di cui all'articolo 42 del D.P.R. numero 327 del 2001, debba farsi riferimento alla data di stipulazione del contratto di cessione del terreno (successiva) e non alla delibera dell'ente territoriale di autorizzazione alla stipula (in data antecedente), sicché il contratto agrario non era più pendente alla data della stipula formale della cessione, con conseguente inesistenza dell'indennità spettante al fittavolo (Cass., sez. 1, 18/3/2021, numero 7688). In tale fattispecie, infatti, non era presente in alcun modo il provvedimento di occupazione di urgenza preordinato all'espropriazione di cui all'articolo 22-bis del D.P.R. numero 327 del 2001. 20. La soluzione qui prospettata non contrasta neppure con la sentenza di questa Corte, a sezioni unite, numero 514 del 27/7/1999, in base alla quale il terzo coltivatore privato del godimento del fondo, in conseguenza di un decreto di occupazione emesso a norma dell'articolo 20 della legge numero 865 del 1971, non ha diritto ad un'autonoma indennità aggiuntiva di occupazione nei confronti dell'occupante, non sussistendo i presupposti per una applicazione analogica della disciplina prevista per l'espropriazione dell'articolo 17 della legge numero 865 del 1971, in quanto il decreto di occupazione di urgenza, a differenza di quello di espropriazione, si limita a sospendere, senza estinguerlo, l'esercizio del diritto personale sul fondo, ed il pregiudizio del colono trova compenso in altra disposizione normativa quale, per l'affittuario, quella di cui all'articolo 1638 c.c. (Cass., Sez. U., 27/7/1999, numero 514). In tale fattispecie, infatti, non v'è stato il decreto di esproprio successivo e neppure la tempestiva cessione volontaria del bene. Del resto, non a caso l'articolo 22-bis del D.P.R. numero 327 del 2001 utilizza l'espressione ampia per effetto della procedura espropriativa , a significare la rilevanza, non solo del decreto di esproprio, ma anche del provvedimento anteriore di occupazione d'urgenza preordinata all'esproprio, che provoca l'immediata perdita di godimento del bene da parte del coltivatore diretto fittavolo. Si tratta, in sostanza, di una fattispecie a formazione progressiva, che muove dalla occupazione di urgenza e si completa con l'emissione del decreto di esproprio o con la cessione volontaria, ove queste ultime intervengano nel rispetto dei termini di legge. 21. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d'Appello di Brescia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'Appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.