Il licenziamento disciplinare e i limiti del potere datoriale

La Corte Suprema di Cassazione si è pronunciata su un caso di licenziamento per giusta causa, ribadendo i principi relativi all’onere di collaborazione del lavoratore, al rispetto delle tempistiche nella contestazione disciplinare e ai criteri per l’applicazione delle sanzioni previste dallo Statuto dei Lavoratori.

L’ordinanza in commento offre un quadro dettagliato dei motivi di impugnazione del licenziamento e della valutazione da parte del giudice, approfondendo aspetti legati alla giustificazione dell’intento dell’impresa e alla legittimità delle procedure adottate nell’ambito del contesto lavorativo. Il caso La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro contro la sentenza della Corte d'Appello di Milano che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa di un lavoratore, ordinandone la reintegrazione. L'ordinanza esamina le ragioni addotte dalla società, suddivise in cinque motivi, evidenziando la mancata dimostrazione dell'inadempimento contrattuale e la carenza di un obbligo legale per il lavoratore di consegnare una sentenza penale non definitiva. La Corte ha confermato la reintegrazione e il risarcimento, concludendo per l'inammissibilità dei motivi di ricorso. Primo grado di giudizio il Tribunale di Milano Il procedimento ha avuto inizio con il ricorso del lavoratore dinanzi al Tribunale di Milano , che, in primo grado, aveva respinto le domande del lavoratore, ritenendo legittimo il licenziamento per giusta causa intimato dalla società datrice di lavoro. Il tribunale aveva ritenuto fondata la decisione della società datrice di lavoro, evidenziando la gravità dell'inadempimento contestato, ossia il reiterato rifiuto del lavoratore di consegnare una sentenza penale di condanna non definitiva Tribunale di La Spezia, 2020 , e sulla conseguente perdita di fiducia da parte del datore di lavoro. La società aveva argomentato che tale omissione impediva una valutazione autonoma degli effetti della condanna sul rapporto di lavoro, con potenziali ripercussioni sull'ambiente lavorativo e sulla reputazione aziendale. Secondo grado di giudizio la Corte d'Appello di Milano La sentenza di primo grado è stata impugnata dal lavoratore dinanzi alla Corte d'Appello di Milano , che ha ribaltato il verdetto, ritenendo il licenziamento illegittimo . La Corte d'Appello ha fondato la propria decisione su diversi elementi chiave l'azienda non poteva imporre al dipendente la consegna della sentenza, in assenza di un obbligo normativo o contrattuale specifico articolo 2 octies del d.lgs. 196/2003 l'addebito disciplinare relativo ai fatti della sentenza di patteggiamento del 2014 era tardivo, essendo stata la sentenza consegnata dal lavoratore nel 2020, ben otto mesi prima della contestazione disciplinare la reiterazione delle richieste aziendali e dei rifiuti del lavoratore costituiva un comportamento unitario già sanzionato con misure conservative, impedendo la configurazione di una nuova e più grave sanzione disciplinare per gli stessi fatti principio del “ bis in idem ” la società non aveva fornito prove di una propria autonoma valutazione dell'impatto delle condotte contestate sui principi etici aziendali e sugli obblighi di protezione degli altri dipendenti articolo 2087 cod. civ. .   La Corte d'Appello di Milano ha riformato la sentenza di primo grado, accertando l'illegittimità del licenziamento per giusta causa e disponendo la reintegrazione del lavoratore nonché il pagamento di dodici mensilità di retribuzione . Ricorso in Cassazione e motivi di impugnazione La società ha proposto ricorso per Cassazione , articolando cinque motivi di censura , contestando la decisione della Corte d'Appello. ​Violazione degli obblighi di collaborazione del lavoratore ex articolo 2104 cod. civ. e del CCNL Energia e Petrolio la società ha denunciato che la Corte d'appello aveva trascurato la reiterata mancata consegna da parte del lavoratore della sentenza di condanna penale emessa dal Tribunale di La Spezia nel 2020, ritenendo che la società avesse posto richieste “persecutorie” e “mobbizzanti”. La società, al contrario, sosteneva che le richieste di consegna della sentenza avessero una finalità legittima, ossia consentire all'azienda di compiere un'autonoma valutazione sulla condotta del lavoratore e l'effetto che tale condotta potesse avere sul rapporto di lavoro. La società ha contestato la decisione d'Appello, sostenendo che il lavoratore avesse reiteratamente disatteso le disposizioni aziendali sulla consegna della sentenza penale, configurando una violazione dei doveri di correttezza e buona fede. La Corte ha dichiarato inammissibile il motivo, rilevando che la Corte d'Appello aveva già accertato l'insussistenza di un obbligo legale di consegna. Errata interpretazione del Codice Etico Aziendale e del d .lgs. 231/2001 , per non aver ritenuto rilevanti le condotte contestate ai fini del rapporto fiduciario nel secondo motivo, la società ha contestato il fatto che la Corte d'appello avesse ritenuto illegittima la richiesta di consegna della sentenza penale del 2020, affermando che il Codice Etico aziendale imponeva ai lavoratori di adottare comportamenti improntati a buona fede, correttezza, lealtà e reciproco rispetto. Secondo l'azienda, la violazione di questi principi, come la condotta del lavoratore mancata consegna della sentenza , poteva giustificare una sanzione disciplinare, tra cui il licenziamento, in quanto comportamenti extralavorativi che ledono la dignità e gli interessi morali del datore di lavoro sono rilevanti dal punto di vista disciplinare. Inoltre, il CCNL Energia e Petrolio prevede la possibilità di licenziamento in caso di violazione del Codice Etico aziendale. La Corte di Cassazione ha rigettato il motivo, ritenendo che il datore di lavoro non avesse effettuato una valutazione autonoma delle ripercussioni della condotta del lavoratore. Violazione dell' articolo 7 della legge 300/1970 , per aver considerato tardiva la contestazione disciplinare relativa alla sentenza del 2014 nel terzo motivo, la società ha argomentato che la Corte d'appello avesse erroneamente ritenuto decaduto il potere disciplinare per il ritardo nella contestazione della condotta relativa a una sentenza di patteggiamento del 2014, semplicemente perché il lavoratore aveva consegnato la sentenza di patteggiamento solo nell'estate del 2020. La società ha sostenuto che la tardiva consegna della sentenza non dovesse considerarsi un motivo per escludere la validità del licenziamento, e che, al contrario, il ritardo non implicava la rinuncia della società ad esercitare il potere disciplinare. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il motivo, ribadendo che la valutazione sulla tempestività della contestazione è di competenza del giudice di merito. Illegittimità dell'annullamento del licenziamento per la condanna non definitiva nel quarto motivo, la società ha sottolineato che la Corte d'appello avesse erroneamente collegato la legittimità del licenziamento al passaggio in giudicato della sentenza penale del 2020, ma la società sosteneva che la legittimità del licenziamento dovesse essere valutata sulla base della situazione di fatto esistente al momento dell'adozione del provvedimento di licenziamento, e non sulla condanna non definitiva del lavoratore. La Cassazione ha rigettato il motivo, confermando che il giudice di merito aveva correttamente valutato la rilevanza della riforma della sentenza penale in sede di legittimità. Esclusione della giusta causa di licenziamento e richiesta di risarcimento con errata applicazione dell' articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori nel quinto motivo, la società ha contestato la decisione della Corte d'appello che aveva escluso la giusta causa di licenziamento, ordinando la reintegrazione del lavoratore e il risarcimento del danno per un massimo di 12 mensilità. Secondo la società, la giusta causa di licenziamento sarebbe stata presente in considerazione della violazione dei doveri aziendali da parte del lavoratore e la sanzione disciplinare avrebbe dovuto limitarsi al solo risarcimento del danno, senza la reintegrazione. La Cassazione ha rigettato il motivo, confermando la corretta applicazione della tutela prevista dall' articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori .   Decisione della Corte di Cassazione La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la decisione della Corte d'Appello di Milano . In particolare inammissibilità dei primi due motivi di ricorso la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i primi tre motivi di ricorso, che riguardavano la richiesta di consegna della sentenza penale sia quella non definitiva del 2020 sia quella di patteggiamento del 2014 . In particolare, la Corte ha sottolineato che, in base alla giurisprudenza consolidata ex multis  Cass. S.U. numero 7931/2013 Cass. numero 15399/2018 Cass. numero 13880 del 2020 , quando la decisione impugnata si fonda su diverse ragioni, tra cui una che non viene impugnata, le censure relative alle altre ragioni non possono comportare l'annullamento della decisione. In questo caso, la Corte d'appello aveva escluso la legittimità del licenziamento sulla base dell'assenza di un obbligo di consegna della sentenza e sull'invio tempestivo da parte del lavoratore di altre informazioni pertinenti come la citazione a giudizio e i relativi documenti . Poiché la società non aveva impugnato queste ragioni, il ricorso non poteva essere accolto. il terzo motivo, che riguardava la questione della tardiva consegna della sentenza di patteggiamento del 2014, è stato anch'esso dichiarato inammissibile. Posto che il canone del rispetto dell'immediatezza della contestazione nel procedimento disciplinare assume carattere “relativo”, che impone una valutazione caso per caso, secondo un risalente insegnamento giurisprudenziale, la valutazione della tempestività della contestazione disciplinare rientra nella discrezionalità del giudice di merito Cass. numero 14113/2006 Cass. numero 29480 del 2008 Cass. numero 5546 del 2010 Cass. numero 20719 del 2013 Cass. numero 1247 del 2015 Cass. numero 14324 del 2015 Cass. numero 16841/2018 per quanto riguarda il quinto motivo, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d'appello, che aveva escluso la giusta causa di licenziamento. La Corte ha ribadito che la Corte d'appello aveva correttamente applicato l' articolo 18, comma 4, della Legge numero 300 del 1970 Statuto dei Lavoratori , che prevede la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, limitando il risarcimento del danno a un massimo di 12 mensilità Cass. numero 1247/2015 . La Cassazione ha quindi rigettato il ricorso della società.

Presidente Pagetta - Relatore Boghetich Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.