Legittimo il risarcimento da danno parentale anche per il compagno della madre, essendo irrilevante la mancata convivenza, ma decisivo il rapporto intercorso tra lui e la bambina centrato sul ruolo di padre putativo assunto dall’uomo.
Il drammatico episodio risale ad oltre dieci anni fa. Nel 2013, in pochi attimi, una famiglia viene distrutta all’uscita del parcheggio di un centro commerciale, difatti, una vettura travolge e trascina per qualche metro una bambina di 4 anni, sotto gli occhi della nonna. Inimmaginabile il dramma per la madre e per il compagno a cui è legata da tempo. Accertate le colpe dell’automobilista, l’Ufficio Centrale Italiano versa alla madre della bimba ben 270mila euro come indennizzo. Ciò nonostante, i giudici di merito riconoscono in Tribunale, nel 2020, alla donna il massimo risarcimento previsto dalle tabelle del Tribunale di Roma per quanto attiene al danno parentale e, per quanto riguarda il solo danno biologico, da quelle del Tribunale di Milano, con la massima personalizzazione ivi contemplata. Così, in cifre, alla donna viene riconosciuto un ulteriore risarcimento, di pochissimo inferiore ai 300mila euro, a titolo di danno parentale e di danno biologico, cui si aggiungono poi circa 63mila euro quale rifusione delle spese funerarie, mediche e di assistenza legale nella fase stragiudiziale. Respinta, invece, la richiesta di risarcimento per danno da perdita del rapporto parentale avanzata dal compagno della donna. A modificare tali equilibri provvedono poi i giudici d’Appello, i quali provvedono nel 2023 ad una nuova liquidazione del danno in favore della donna, rideterminando tanto il danno non patrimoniale quanto quello parentale, rispettivamente sulla scorta delle tabelle milanesi del 2021 e di quelle del medesimo Tribunale sopravvenute nel giugno del 2022, applicando il criterio di liquidazione a punti del danno parentale . Allo stesso tempo, viene riconosciuto alla donna il danno per la sofferta inabilità temporanea della durata di circa tre anni , mentre viene ridimensionata dal 41 per cento al 30 per cento la personalizzazione del danno biologico da lei patito, e infine le viene nuovamente negato il danno per la presunta perdita di capacità reddituale. Per quanto concerne, invece, il suo compagno, gli viene riconosciuto il diritto al risarcimento per il sofferto danno parentale – escluso, però, il danno biologico –, con una cifra quasi pari a 250mila euro. Su questo fronte i giudici d’Appello ritengono inequivocabile «i l rapporto intercorso tra l’uomo e la bambina, avendo egli assunto il ruolo di padre vicario, in sostituzione del genitore biologico della bambina, del tutto eclissatosi dalla breve esistenza della figlia ». Propone ricorso per cassazione dunque, l’Ufficio Centrale Italiano, il quale contesta il risarcimento riconosciuto in Appello. Per quanto concerne la madre della bambina, viene messa in discussione la liquidazione del danno non patrimoniale da morte poiché le veniva riconosciuta una personalizzazione della componente biologica del danno in misura pari al 30 per cento sulla base della considerazione delle modalità di verificazione dell’incidente e della successiva insorgenza di una patologia psichica di origine post-traumatica, senza dare in alcun modo conto, osserva il ricorrente, di eventuali conseguenze anomale o del tutto peculiari. In sostanza, in Appello è stata valorizzata l’intensità del dolore sofferto dalla madre , non solo per aver perduto la figlia di soli 4 anni, ma per le modalità repentine e cruente con cui è avvenuto il suo decesso particolarmente significativi sono stati ritenuti i tormenti che le vengono procurati da reiterati incubi notturni durante i quali essa ripete l’esperienza dolorosa dell’agonia della figlia. Inoltre, la donna presentava e presenta dal drammatico evento fino ad oggi una sintomatologia depressiva , e tale patologia psichica, valutata nella misura del 18 per cento, presenta sintomi che persistono ormai da sette anni, pur riducendosi gradualmente. Per il legale è evidente l’errore compiuto in Appello, poiché il nucleo della personalizzazione del danno, ossia la modalità del fatto, coincide con la ragione della menomazione permanente. Ad avviso dei magistrati di Cassazione, le obiezioni sollevate dall’Ufficio Centrale Italiano hanno un solido fondamento. In generale, la liquidazione può essere incrementata, in sede di personalizzazione del danno biologico, con motivazione analitica e non stereotipata, ma solo in presenza di conseguenze anomale e del tutto eccezionali, tempestivamente allegate e provate dal soggetto danneggiato . Invece, i giudici d’Appello, dopo avere dato atto della stima fatta dal perito in merito ad un danno psichico pari al 18 per cento, fanno presente che per fondare la richiesta di personalizzare il risarcimento del danno biologico diverso da quello parentale la donna ha allegato tanto la tragicità della perdita dell’unica figlia, non avendone, all’epoca dell’incidente, altri dei quali occuparsi, quanto la circostanza che il decesso sia avvenuto in maniera cruenta. Il perito ha poi spiegato che la sintomatologia depressiva della donna corrisponde ad almeno sette criteri di un episodio depressivo maggiore, ossia umore depresso, marcata diminuzione di interesse, perdita di peso nel primo anno , insonnia e disturbi del sonno, rallentamento psicomotorio, mancanza di energia, pensieri di morte e ideazione suicidaria nei primi mesi . Questi sintomi tendenzialmente stabilizzati travalicano dal danno da perdita del rapporto parentale a quello psichico permanente e vanno riferiti ad un episodio assolutamente traumatico rappresentato dalla perdita della figlia, il quale ha determinato un notevole disturbo post-traumatico da stress. Di conseguenza, argomentando sui presupposti della personalizzazione e, quindi, della eccezionalità e dell’anomalia del danno, rispetto ad altro analogo pregiudizio di natura biologica, i giudici d’Appello hanno legato l’incremento del 30 per cento all’intensità del dolore sofferto dalla madre , non solo per aver perduto la figlia, ma per le modalità con cui questo è avvenuto. Tuttavia, osserva la Corte Suprema, « soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali allegate dalla persona danneggiata , che rendano il danno più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione ». Secondo i giudici d’Appello, ci si ritrova di fronte a circostanze tali da giustificare il riconoscimento della personalizzazione del risarcimento, ma, obiettano i magistrati di Cassazione, «i profili individuati quali gravi sofferenze patite dalla madre per la perdita della figlioletta si sovrappongono agli stessi profili ritenuti rilevanti nella valutazione fatta dal perito al fine di giungere al riconoscimento della patologia psichica post-traumatica in capo alla donna». Da ciò è derivata una duplicazione delle conseguenze risarcitorie in quanto, nonostante la oggettiva gravità della vicenda, «le conseguenze descritte dal perito e valorizzate dai giudici d’Appello sono proprio quelle fisiologicamente e tristemente derivanti da pregiudizi dello stesso elevato grado, sofferte da persone della stessa età e con il medesimo ruolo genitoriale rispetto alla vittima» dell’incidente. In conclusione, non vi sono i presupposti per la personalizzazione in aumento sancita in Appello. Respinte, invece, dai magistrati di Cassazione le obiezioni sollevate dall’Ufficio Centrale Italiano in merito al risarcimento in favore del compagno della madre della bambina. Irrilevante il riferimento alla mancanza di convivenza tra l’uomo e la bimba, visto il profondo rapporto intercorso tra loro «l ’uomo aveva assunto un vero e proprio ruolo di padre vicario nei confronti della piccola , venendo in tutto e per tutto a ricoprire questo ruolo in sostituzione del genitore biologico, del tutto eclissatosi dalla breve esistenza della figlia», e, di conseguenza, egli «ha subito un danno da perdita del rapporto parentale» a seguito della «morte della bambina». Corretta, quindi, la prospettiva adottata in Appello, anche alla luce del principio secondo cui «la convivenza more uxorio non è da sola sufficiente a dimostrare il pregiudizio subito», dovendosi rinvenire, al fine di liquidare il danno parentale, quegli indici che, l’uomo ha provato, cioè «l a sua dedizione e l’assistenza morale e materiale alla bambina». E ciò è sicuramente sufficiente, anche alla luce del principio secondo cui « il vincolo di sangue non è un elemento imprescindibile ai fini del riconoscimento del danno da lesione del rapporto parentale , dovendo esso essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale, ma che ha con il danneggiato analoga relazione di affetto, di consuetudine di vita e di abitudini, e che infonda nel danneggiato quel sentimento di protezione e di sicurezza insito nel rapporto padre figlio».
Presidente Rubino - Relatore Positano Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.