In tema di diffamazione, gli insulti contenuti nei commenti sui social – quando si risolvono in «concetti» rivolti in via esclusiva al genere – sono inquadrabili in «comportamenti sessisti» e «discorsi d’odio» realizzati con l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione TIC [ ].
[ ] Il collegamento tra sessismo e violenza sulle donne è previsto dalla normativa comunitaria ed è da escludersi, in caso di offese di tal fatta, che possa configurarsi la scriminante del legittimo esercizio di critica. La persona offesa sporgeva denuncia-querela verso ignoti per diffamazione poiché, a seguito della diffusione virale del filmato che riprendeva il suo ex convivente leggerle pubblicamente una lettera per concludere la loro relazione, era esposta a commenti offensivi e minacce sui social . La querelante ne selezionava alcuni ritenuti particolarmente ingiuriosi. Alla querela veniva allegata altresì la relazione di un consulente tecnico, finalizzata a certificare l'integrità e la corrispondenza dei post selezionati e ad estrapolare il numero ID univoco dei singoli profili di Facebook . Il PM avanzava richiesta di archiviazione sulla base dell' impossibilità di raggiungere una compiuta identificazione dei responsabili – che spesso utilizzano nomi di fantasia sui social network–, nonché della sussistenza dell'esercizio del diritto di critica , ritenendo che l'interpretazione del requisito della continenza debba essere improntato a criteri più elastici, in rapporto tanto al mutato contesto sociale quanto al linguaggio utilizzato sui social. La persona offesa presentava opposizione, evidenziando che non fosse stata svolta alcuna indagine in ordine all'identificazione degli autori del reato si producevano altresì degli articoli di giornale critici in merito alla richiesta di archiviazione, finalizzati a dimostrare che, pure sulla base della sensibilità comune, il linguaggio e i toni utilizzati fossero da considerarsi eccessivi. Ritenendo fondata l'opposizione, il GIP di Torino indicava al PM di svolgere ulteriori indagini finalizzate a identificare gli autori del reato, fissando il termine di sei mesi. Si argomenta nel provvedimento che – non inserendosi gli autori dei post in contesti di criminalità informatica – l'attribuzione dei singoli profili di Facebook ai singoli soggetti possa avvenire anche in base ad elementi logici, desumibili «dalla convergenza di plurimi e precisi dati indiziari» , meglio specificati nell'ordinanza, oltre che percorrendo la strada degli accertamenti tecnici. L'ordinanza del GIP contiene tuttavia importanti osservazioni, in via generale, in ordine alle condotte di utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione TIC nella violenza sulle donne e nei discorsi d'odio , compendiate dalla normativa comunitaria, ma pure all'astratta configurabilità dell'esimente del diritto di critica nell'elaborazione giurisprudenziale . In prima battuta, il GIP nota che tutti i commenti indicati in querela attengano alla morale sessuale femminile , sostanziandosi nell'espressione di concetti rivolti in via esclusiva al genere femminile che si risolvono, nel caso di specie, anche in vere e proprie minacce. Ebbene, si tratta di fenomeni inquadrabili nel genus dei «comportamenti sessisti» e «discorsi d'odio», realizzati con l'utilizzo delle TIC , definiti dalla normativa comunitaria e da essa ritenuti forme di manifestazione del più ampio concetto di violenza sulle donne . Il giudice richiama le definizioni fornite dalla Convenzione di Istanbul, dalla Direttiva UE numero 1385/2024 e dalla Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 2019. In particolare, per la Direttiva UE numero 1385 « l'uso delle TIC comporta il rischio di un'amplificazione facile, rapida e diffusa di alcune forme di violenza on line, con l'evidente rischio di provocare e aggravare danni profondi e a lungo termine per la vittima ». Trattasi di fattispecie che, per il GIP di Torino, può ritenersi connessa al contrasto dei discorsi d'odio sessista, di cui all'articolo 8 Dir. cit., il quale introduce il « genere» fra i motivi di discriminazione che determinano la punibilità delle condotte che istigano all'odio e alla violenza. Sulla scriminante del diritto di critica , invece, il giudice rammenta che i requisiti richiesti dal c.d. « diritto vivente» per la sua configurabilità sono a verità della notizia b interesse pubblico alla sua conoscenza c continenza delle espressioni. Ebbene – pur essendo il requisito della verità da interpretarsi in senso più ampio rispetto al diritto di cronaca –, nel caso di diritto di critica è comunque sempre necessario che il giudizio di valore si basi su un nucleo fattuale veritiero e dunque rigorosamente verificabile in caso contrario il giudizio espresso è diffamatorio. Nel caso di specie, gli insulti contenuti nei commenti sono sganciati dall'evento concreto, non essendo indicato il fatto storico su cui il giudizio stesso è fondato, e perciò si risolvono in insulti immotivati e gratuiti . In relazione all'interesse pubblico, il giudice richiama l'indirizzo di legittimità per cui esso difetti nel caso in cui il giudizio sia indirizzato alla sfera privata del criticato, a prescindere da eventuali cariche pubbliche ricoperte dal medesimo, ciò risolvendosi in null'altro che in un attacco personale. Ancora, la continenza richiede sempre una forma espositiva funzionale alle finalità critiche perseguite nel caso di specie, le parole utilizzate nei commenti appaiono inutilmente umilianti, integrando veri e propri insulti, anche in base ad una valutazione più elastica del requisito in parola, in rapporto al mutato contesto sociale e al luogo in cui i medesimi sono espressi i.e. il social network .
Giudice Minutella Fatto e Diritto 1. I fatti in sintesi Il 3.11.2023 omissis sporge denuncia-querela per diffamazione nei confronti di ignoti. Premette di esser stata suo malgrado protagonista della vicenda sentimentale conclusasi il 27.7.2023, con una lettera letta pubblicamente dall'ex convivente omissis nel corso di una festa. L'episodio è stato filmato ed il video è stato ampiamente diffuso, tanto da diventare virale , esponendola ad una serie di commenti offensivi e minacce sui social. Tra questi commenti, la persona offesa ne ha selezionato alcuni, da lei ritenuti esageratamente volgari e offensivi. Si riportano, a mero titolo di esempio, alcuni di questi commenti omissis , omissis . Alla querela è stata allegata la relazione di un consulente tecnico di parte, che ha proceduto a certificare l‘integrità e l'effettiva corrispondenza dei post ritenuti diffamatori, nonché ad estrapolare il numero I.D. univoco di ciascun profilo Facebook. Il pubblico ministero avanza richiesta di archiviazione. Due gli argomenti. In primo luogo, sarebbe impossibile addivenire ad una compiuta identificazione dei responsabili, i quali spesso si celano sotto falsi profili social, utilizzando nomi di fantasia. In secondo luogo, sarebbe configurabile la scriminante dell'esercizio del diritto di critica, sussistendo i tre presupposti cui la giurisprudenza subordina il riconoscimento dell'esimente in parola. In particolare, l'interpretazione del requisito della continenza non potrebbe non tenere conto dell'evoluzione della società e del suo linguaggio soprattutto del linguaggio utilizzato sui social network , dovendosi adeguare a criteri più elastici, sino a ricomprendere anche l‘utilizzo di espressioni “forti”. La persona offesa presenta opposizione. In merito all'asserita impossibilità di identificare gli autori del reato, evidenzia che non è stata svolta alcuna attività di indagine da parte del pubblico ministero. Rispetto all'esimente del diritto di critica, sostiene che non sia ravvisabile alcuno dei tre requisiti non il requisito della verità della notizia che non può esser confuso con quello della verità soggettiva raccontata da omissis , non quello dell'interesse pubblico dal momento che omissis non ricopriva alcuna carica pubblica , non certamente quello della continenza trattandosi di insulti ed aggressioni gratuite, sessiste e volgari . La difesa dell'opponente conclude chiedendo lo svolgimento di ulteriori indagini da parte della Polizia Postale ai fini della identificazione degli autori dei commenti diffamatori. L'opponente deposita altresì memoria ex articolo 121 c.p.p. , allegando taluni articoli di giornale a commento del caso in esame, critici rispetto alla richiesta di archiviazione. Lo scopo è quello di dimostrare che, anche sulla base della sensibilità comune, i toni utilizzati nei post sono da considerarsi eccessivi e non accettabili. 2. Sulla richiesta di archiviazione La richiesta di archiviazione non può essere accolta, essendo l'opposizione fondata. 2.1 Sull'esimente del diritto di critica Occorre partire dalla verifica in merito alla configurabilità dell'esimente del diritto di critica, dal momento che si tratta di argomento logicamente preliminare. Qualora la notizia di reato risultasse infondata, infatti, perderebbe di rilevanza il tema della identificazione degli autori dei commenti. Sul diritto di critica e di libera manifestazione del pensiero, mentano di essere sottolineati due aspetti il primo attiene alle caratteristiche dei commenti ed alla normativa comunitaria sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nei comportamenti sessisti e nei discorsi d'odio il secondo riguarda i limiti dell'esercizio del diritto di critica, secondo l'ormai consolidata elaborazione giurisprudenziale. 2.1.1 Tecnologie dell'informazione e della comunicazione TIC nella violenza sulle donne, comportamenti sessisti e discorsi d'odio Andando a leggere i commenti indicati in querela, essi attengono tutti, in buona sostanza, alla morale sessuale femminile. Gli aggettivi omissis , omissis per citare i più frequenti si sostanziano in concetti rivolti in modo esclusivo al genere femminile. Tanto che non stupisce la successiva ed immediata evoluzione dei commenti in vere e proprie minacce omissis” , poi rivolte non più solo nei confronti di omissis ma in generale, di tutte le donne omissis” . Si tratta di fenomeni inquadrabili nell'ambito di comportamenti sessisti e discorsi d'odio , realizzati con l'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione TIC - fenomeni cui la normativa comunitaria dedica particolare attenzione, ritenendoli forme di manifestazione del più ampio concetto di violenza sulle donne. La Convenzione di Istanbul fornisce una definizione di violenza contro le donne assai ampia, che ricomprende qualsiasi atto di violenza di genere perpetrata nei confronti di donne o che comunque colpisce le donne in modo sproporzionato, che provochi o possa provocare danni o sofferenza fisica sessuale, psicologico o economica, incinse le minacce di compiere tali atti . La Direttiva UE numero 1385/24 del 14.5.2024 si concentra sulle forme di violenza sulle donne online, soprattutto nei casi in cui la violenza sia intrinsecamente connessa all'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, e tali tecnologie sono utilizzate per amplificare in modo significativo la gravità dell'impatto dannoso del reato modificando in tal modo le caratteristiche dello stesso”. Il riferimento, quindi, non è solo all'utilizzo di strumenti informatici per perpetrare un delitto di violenza contro le donne diffusione non consensuale di materiale intimo o manipolato, stalking on Iine, molestie on line . Il concetto assume una valenza più generale, anche connessa al contrasto dei discorsi d'odio sessista cfr. articolo 8 istigazione alla violenza e all'odio online . L‘utilizzo dei social - ricorda la Direttiva - determina una diffusione dei commenti offensivi facile e rapida, così aumentando esponenzialmente i potenziali danni per la vittima. L'uso delle TIC comporta il rischio di un amplificazione facile, rapida e diffusa di alcune forme di violenza on line, con l'evidente rischio di provocare o aggravare danni profondi e a lungo termine per la vittima”. Il collegamento tra sessismo e violenza sulle donne, infine, è esplicitato nella Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 27.3.2019. Esiste un continuum tra gli stereotipi di genere, le disparità eh genere, il sessismo e la violenza contro le donne e ragazze. Pertanto, gli atti di sessismo ordinario sotto forma eh comportamenti, commenti, e battute sessiste apparentemente insignificanti e privi dì conseguenze si collocano ad una delle estremità di tale continuum. Tali atti sono spesso umilianti e contribuiscono a creare un clima sociale in cui le donne sono svilite, la loro autostima è ridotta e le loro attività e scelte vengono limitate, nel contesto lavorativo, nella sfera privata, in quella pubblica e in rete . Anche in questo caso, i social e le moderne tecnologie amplificano il fenomeno e lo incrementano. Internet ha attribuito una nuova dimensione all'espressione e alla diffusione del sessismo presso il vasto pubblico, in particolare, il discorso d'odio sessista, anche se le origini del sessismo non sono da ricercare nell'ambito delle tecnologie ma nel persistere delle disparità di genere”. Ed è proprio in questo ambito che si inserisce l'articolo 8 della Direttiva citata, che introduce il genere fra i motivi di discriminazione che determinano la punibilità delle condotte di istigazione all'odio e alla violenza. Alla luce dell'inquadramento normativo ora sintetizzato, i commenti in esame, proprio perché volti a stigmatizzare la parte lesa in funzione del genere, appaiono marcatamente discriminatori. Essi non sono espressione di un giudizio meramente critico, ma appaiono commenti basati su stereotipi di genere, animati in via esclusiva da finalità offensive. In altri termini, già dal principio, appare arduo ravvisare un legittimo esercizio del diritto di critica. Il che ovviamente non esime da una analisi nel dettaglio dei requisiti cui la giurisprudenza subordina il riconoscimento dell'esimente in parola. Analisi che ora si andrà ad affrontare. 2.1.2 I limiti all'esercizio di critica secondo l'elaborazione giurisprudenziale Il diritto di critica, inteso come diritto di esprimere un giudizio negativo su determinati fatti, vale a scriminare un commento offensivo dell'altrui reputazione solo qualora il suo esercizio rispetti taluni requisiti. I tre limiti dell'esercizio legittimo del diritto di critica, frutto dell'elaborazione della giurisprudenza civile e penale in materia, sono a verità della notizia b interesse pubblico c continenza. Nessuno dei tre limiti appare rispettato nel caso in esame. a Nel diritto di critica il requisito della verità della notizia viene interpretato in senso più ampio rispetto a quanto non avvenga nel diritto di cronaca. Per spiegare la differenza, la Corte di Cassazione e la Corte EDU distinguono tra statement of facts dichiarazioni di fatti e value judgements giudizi di valore solo i primi possono essere oggetto di prova, mentre i secondi non sono suscettibili di dimostrazione. Tuttavia, anche nel secondo caso, è necessario che il giudizio si basi su di un nucleo fattuale veritiero e rigorosamente controllabile se il nucleo fattuale è insufficiente, il giudizio è gratuito e, pertanto, ingiustificato e diffamatorio. Venendo al caso di specie, gli utenti Facebook che scrivono i commenti sopra ricordati non spiegano gli elementi fattuali su cui essi fondano il loro convincimento . Si limitano di fatto ad insultare omissis senza che l'offesa a lei rivolta possa essere ricollegata ad un evento verificabile. Anche assumendo che il nucleo fattuale possa identificarsi come sostenuto dal pubblico ministero con la venta raccontata da nel video, i commenti si collocano su un piano assai distante dall'evento concreto, dal quale finiscono per restare del rutto sganciati. In altri termini, se mi limito ad offendere una persona omettendo di indicare quale sia il fatto storico su cui fondo il mio giudizio, l'offesa resta tale. La critica presuppone pur sempre un ragionamento logico ma se insulto immotivatamente, senza indicare il presupposto di fatto del mio giudizio, la frase resta diffamatoria. b L'interesse pubblico va legato alla notorietà del soggetto cui la notizia è riferita. In ogni caso, precisa la Suprema Corte, l'interesse pubblico manca se il giudizio non si indirizza alla dimensione pubblica della persona criticata, bensì alla sfera privata, risolvendosi così in un attacco personale. Tornando al caso concreto, non occorre neppure interrogarsi sulle cariche pubbliche o private rivestite da omissis all'epoca dei fatti o in epoca anteriore i commenti non riguardano la dimensione pubblica di omissis ma la sua sfera personale. Non vi è alcun interesse pubblico da garantire. Non vi è motivo per comprimere il diritto all'onore della parte lesa, per dare spazio a un contraddittorio su comportamenti privati di omissis che nulla hanno a che fare con il suo operato di personaggio pubblico. c Il criterio della continenza è compatibile con toni aspri ed accesi, ma richiede sempre una forma espositiva funzionale alla finalità critica che si intende perseguire. I toni in ogni caso non possono esorbitare in invettive sproporzionate o in espressioni gravemente infamanti. Nel caso di specie, pur concordando in linea generale sulla necessità di adeguare la valutazione del requisito di continenza al mutato contesto sociale ed al luogo ove il commento viene espresso Facebook , le parole scelte dagli autori del post appaiono oggettivamente sopra le righe ed inutilmente umilianti. Sono veri e propri insulti. I temimi scelti non sono semplicemente inurbani o forti, sono volutamente ed inequivocabilmente offensivi. Sul punto è sufficiente rinviare alla lettura dei messaggi. 2.3 Sulla identificazione degli autori del reato Sono necessarie ulteriori indagini al fine di identificare gli autori del reato. Al riguardo, va ricordato che l'attribuzione di un profilo Facebook ad una determinata persona fisica può avvenire anche sulla base di elementi logici, desumibili dalla convergenza di plurimi e precisi dati indiziari. In molti casi, il nome dell'utente si compone di nome e cognome visualizzando le informazioni dell'account, ecc. eventualmente disponibili data di nascita, città in cui vive, numero di telefono, etc. è possibile verificare, attraverso l'ausilio delle banche date in uso alle forze dell'ordine, se esiste un nominativo con dati corrispondenti. In molti casi, gli autori hanno anche una foto profilo che verosimilmente li ritrae. Sono tutte informazioni utilmente sviluppabili in chiave investigativa. E' vero che esiste la possibilità di creare profili fake, ma è anche vero che gli autori del post non si inseriscono in un contesto di criminalità informatica di alto livello, essendo ben possibile che essi abbiano utilizzato il profilo a loro direttamente riconducibile, senza ricorrere a sofisticate tecniche di anonimizzazione. In aggiunta ed m ogni caso, è percorribile la strada degli accertamenti di tipo tecnico, attraverso richieste a Facebook. La persona offesa, con consulenza tecnica, ha già individuato il numero ID univoco di Facebook di ciascun amore dei post. E' possibile quindi inoltrare una richiesta volta ad ottenere i dati di registrazione User Basic Subscriber , quali indirizzo mail, data e ora di creazione account e degli accessi più recenti, numero di cellulare eventualmente registrato. Sarà possibile inoltre richiedere l'acquisizione dei file di log relativi agli ultimi accessi dell'ente, in modo da poter risalire attraverso l'indirizzo IP ad ulteriori informazioni utili alla identificazione dell'utilizzatore degli account. Si ritiene congruo indicare il termine di mesi sei per lo svolgimento delle indagini. P.Q.M. Visti gli articolo 408 , 409 c.p.p indica al P.M. le indagini di cui in motivazione. Fissa un termine di sei mesi per il compimento delle indagini. Dispone la restituzione degli atti al P.M. Manda alla Cancelleria per le notificazioni alle parti .