Pensione di reversibilità per l'ex coniuge: come determinare il quantum?

In tema di determinazione della quota di pensione di reversibilità all’ex coniuge divorziato, la quota spettante a quest’ultimo deve considerare anche l’entità dell’assegno divorzile in modo tale che l’attribuzione risponda alla finalità solidaristica propria dell’istituto, correlata alla perdita del sostegno economico apportato in vita dal lavoratore deceduto in favore di tutti gli aventi diritto.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in seguito al ricorso con il quale si contestava il fatto che all'ex moglie del defunto spettasse una quota della pensione di reversibilità decisamente superiore all'assegno di divorzio, mentre per la coniuge superstite era stata prevista una quota considerevolmente inferiore. I Giudici hanno accolto il ricorso, sottolineando che in caso di coniuge divorziato e coniuge superstite aventi entrambi i requisiti per la pensione di reversibilità, la ripartizione di quest'ultima deve essere effettuata considerando, oltre alla durata dei rispettivi matrimoni, anche altri elementi correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento in questione. Nel caso in esame, la Corte di Appello aveva omesso di considerare l'entità dell'assegno divorzile, non ponderando correttamente tale elemento nel contesto della valutazione complessiva delle condizioni economiche dei coniugi. Tale decisione - secondo la Cassazione - non appariva, dunque, in linea con la precedente giurisprudenza di legittimità, secondo cui «il requisito funzionale del trattamento di reversibilità è riconducibile al presupposto solidaristico finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell'ex coniuge, fermo restando che non si tratta di una mera continuazione post mortem dell'assegno di divorzio, ma si giustifica con le stesse ragioni che giustificavano il sostegno economico all'ex coniuge, anche se il quantum, in caso di concorso con il diritto del coniuge superstite, deve essere modulato sulla base della verifica giudiziale, diretta ad accertare gli elementi in fatto, che conducono a una ripartizione equa fra gli aventi diritto.» (Cass. numero 22434/2018). In conclusione, la sentenza impugnata è stata cassata con l'enunciazione del seguente principio di diritto: «In tema di determinazione della quota di pensione di reversibilità all'ex coniuge divorziato ai sensi dell'articolo 9, comma 3, l. numero 898 del 1970, la quota spettante a quest'ultimo non deve necessariamente corrispondere all'importo dell'assegno divorzile, né tale quota di pensione ha in detto importo un tetto massimo non superabile, ma, in conformità all'interpretazione costituzionalmente orientata dell'istituto, tra gli elementi da valutare, senza alcun automatismo, deve essere compresa anche l'entità dell'assegno divorzile, in modo tale che l'attribuzione risponda alla finalità solidaristica propria dell'istituto, correlata alla perdita del sostegno economico apportato in vita dal lavoratore deceduto in favore di tutti gli aventi diritto.»

Presidente Giusti - Relatore Reggiani Svolgimento del processo Con ricorso depositato presso il Tribunale di Bergamo in data 10/06/2022, Fr.Ma., nella sua qualità di ex coniuge di Fa.Pi., deceduto in data 04/05/2021, conveniva in giudizio Me.Cl., seconda moglie dell'ex marito, e l'INPS al fine di vedersi riconosciuta, ai sensi dell'articolo 9, comma 3, L. numero 898 del 1970, la quota dell'80% della pensione di reversibilità dell'ex marito e, comunque, una somma non inferiore a Euro 315,00 mensili, rivalutati all'attualità, condannandosi l'INPS a versare in proprio favore i ratei pensionistici maturati e maturandi dalla sopravvenuta morte dell'ex marito, oltre agli interessi dal dovuto al saldo. La Fr.Ma. deduceva che, in ragione della durata del matrimonio (contratto in data 10/05/1975 e cessato in data 15/10/2014), le spettava una quota di pensione più elevata rispetto a quella che spettava alla seconda moglie il cui matrimonio era durato solo 5 anni. Deduceva altresì che, considerato che nella sentenza di divorzio il Tribunale di Bergamo aveva stabilito un assegno divorzile in proprio favore pari a Euro 315,00 mensili, doveva considerarsi equo che lei potesse godere di una quota di pensione pari ad almeno tale importo. Precisava di essere pensionata e di percepire una pensione di Euro 500,00 al mese e di aver presentato in data 13/05/2021 domanda di riconoscimento della pensione di reversibilità. In data 28/09/2022 si costituiva l'INPS esponendo che il Fa.Pi. era titolare di un trattamento pensionistico di vecchiaia e che l'importo mensile della pensione di reversibilità ammontava a Euro 1.905,79, pari circa al 60% della pensione diretta. Esponeva altresì che a seguito del decesso del Fa.Pi. erano state presentate domande di pensione di reversibilità da parte della ricorrente e da parte della vedova e che l'INPS aveva sinora legittimamente erogato la prestazione economica a quest'ultima. Si rimetteva alle determinazioni del Tribunale chiedendo tuttavia che l'emanando provvedimento disponesse solo per l'avvenire. In data 12/10/2022 si costituiva la ultima moglie del Fa.Pi., chiedendo accertarsi e dichiararsi il proprio diritto a percepire una quota della pensione di reversibilità del defunto marito in misura non inferiore all'80% del totale, rigettarsi le richieste formulate dalla ricorrente e condannarsi l'INPS al pagamento delle mensilità di pensione maturate e maturande, oltre interessi legali, con rifusione delle spese di lite. La Me.Cl. esponeva di essere la coniuge superstite del Fa.Pi. in virtù di matrimonio contratto in data 06/04/2016 e di avere presentato, a seguito della morte del marito, domanda di riconoscimento della pensione di reversibilità presso l'INPS di Treviglio, il quale si era rifiutato di erogare la prestazione, sostenendo che la medesima domanda era stata presentata dall'ex coniuge del Fa.Pi. e che era pertanto necessario attendere le determinazioni del Tribunale prima di procedere con l'erogazione. Precisava di non avere finora percepito alcunché a titolo di pensione di reversibilità, di avere avuto con il Fa.Pi. una relazione prematrimoniale durata tre anni, di essere stata sposata per sei anni e di versare in uno stato di indigenza economica, tanto da essere stata costretta a presentare domanda per ottenere il reddito di cittadinanza (regolarmente approvata). Con sentenza numero 29/2022, il Tribunale di Bergamo attribuiva all'ex coniuge di Fa.Pi., Fr.Ma., il 70% della pensione di reversibilità erogata dall'INPS e alla coniuge superstite, Claudia Elisabeth Me.Cl., la quota del 30% della stessa pensione di reversibilità, ordinando all'INPS di corrispondere quanto dovuto a ciascuna di esse con decorrenza dal mese successivo a quello del decesso di Fa.Pi. (maggio 2021), oltre interessi al tasso legale dal dì del dovuto al saldo effettivo. Proposto appello dalla seconda moglie di Fa.Pi., nel contraddittorio delle parti, la Corte territoriale di Brescia ha respinto l'impugnazione. Avverso tale pronuncia Me.Cl. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un solo motivo di censura. Solo l'intimata Fr.Ma. si è difesa con controricorso. Il 26/04/2024 il Consigliere delegato della Prima Sezione Civile - Area 1 - ha formulato la proposta di definizione anticipata ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c., comunicata in data 02/05/2024. Il 10/06/2024, la ricorrente ha presentato istanza di decisione ai sensi dell'articolo 380 bis, comma 2, c.p.c., corredata da nuova procura speciale. È stata, quindi, fissata adunanza in camera di consiglio per il giorno 04/12/2024. La ricorrente ha depositato memoria difensiva. Ragioni della decisione 1. Con il primo e unico motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3), c.p.c., con riferimento all'articolo 9 L. numero 898 del 1970, come modificato dalla L. numero 74 del 1987, alla luce dei criteri correttivi stabiliti dalla sentenza della Corte costituzionale numero 419 del 1999, per non avere la Corte d'Appello tenuto conto che il coniuge superstite ha conseguito una quota di pensione di reversibilità del tutto inadeguata alle più elementari esigenze di vita rispetto all'ex moglie, che ha conseguito, invece, una quota di pensione di reversibilità del tutto sproporzionata rispetto all'assegno di divorzio in precedenza goduto, non ispirandosi ai principi di equità, che regolano l'istituto, essendo stato riconosciuto dalla Corte di appello a titolo di pensione di reversibilità all'ex coniuge una quota di pensione di reversibilità pari al 70% a seguito della morte dell'ex marito, quantificata dalla Corte in Euro 1.200,00 al mese, ben superiore all'assegno divorzile, pari ad Euro 357,00 al mese, mentre e al coniuge superstite Me.Cl. è stata attribuita la rimanente quota del 30%, quantificata in Euro 573,29. 2. Il motivo di ricorso è fondato sia pure nei termini di seguito evidenziati. 2.1. Com'è noto, l'articolo 9 L. numero 898 del 1970, ai commi 2 e 3, nel testo applicabile ratione temporis, dispone quanto segue: 2. In caso di morte dell'ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell'articolo 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza. 3. Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal Tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell'assegno di cui allo articolo 5. Se in tale condizione si trovano più persone, il Tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze. 2.2. La Corte costituzionale (Corte cost., Sentenza numero 419 del 04/11/1999) ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 9 L. numero 898 del 1970 (nella parte in cui prevede che una quota della pensione e degli altri assegni spettanti al coniuge superstite, che abbia i requisiti per la pensione di riversibilità, è attribuita dal Tribunale, tenendo conto della durata del rapporto matrimoniale, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell'assegno divorzile), in relazione agli articolo 3 e 38 Cost., evidenziando che la norma si presta ad una interpretazione che consente di ricavarne un contenuto normativo compatibile con i principi indicati per la verifica di legittimità costituzionale, poiché la previsione stabilisce che il giudice deve certamente tenere conto dell'elemento temporale, la cui valutazione non può in nessun caso mancare ed, anzi, a tale elemento può essere riconosciuto valore preponderante e il più delle volte decisivo, ma non prevede che sia l'unico criterio utilizzabile nell'apprezzamento del giudice, la cui valutazione non si riduce ad un mero calcolo aritmetico. Una conferma del significato relativo della espressione tenendo conto , contenuta nell'articolo 9 cit., si trova nel sistema della stessa legge, che altre volte usa la medesima espressione per riferirsi a circostanze da considerare quali elementi rimessi alla ponderazione del giudice. Ciò proprio per definire i rapporti patrimoniali derivanti dalla pronuncia di divorzio (cfr. articolo 5, comma 6, L. numero 898 del 1970). La diversa interpretazione, che porta alla ripartizione dell'ammontare della pensione esclusivamente in attuazione di una proporzione matematica, non giustificherebbe, tra l'altro, la scelta del legislatore di investire il Tribunale per una statuizione priva di ogni elemento valutativo, potendo la ripartizione secondo quel criterio automatico essere effettuata direttamente dall'ente che eroga la pensione, come avviene in altri casi, nei quali la ripartizione tra più soggetti che concorrono al trattamento di reversibilità è stabilita in base ad aliquote fissate direttamente dal legislatore. Del resto, quando il legislatore ha inteso stabilire in modo rigido e automatico i criteri per la determinazione di prestazioni patrimoniali dovute all'ex coniuge, ha usato una diversa espressione testuale, direttamente significativa della percentuale di ripartizione e del periodo da considerare, come avviene, per esempio, per l'indennità di fine rapporto, ripartita tra il coniuge e l'ex coniuge in una percentuale determinata ed in proporzione agli anni in cui il rapporto di lavoro che vi dà titolo è coinciso con il matrimonio (articolo 12 bis L. numero 898 del 1970). 2.3. Questa Corte ha conseguente affermato che, in caso di decesso dell'ex coniuge, la ripartizione dell'indennità di fine rapporto tra il coniuge divorziato e il coniuge superstite, che abbiano entrambi i requisiti per la pensione di reversibilità, deve essere effettuata ai sensi dell'articolo 9, comma 3, L. numero 898 del 1970, oltre che sulla base del criterio legale della durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica dell'istituto e individuati dalla giurisprudenza, quali l'entità dell'assegno riconosciuto al coniuge divorziato e le condizioni economiche di entrambi, tenendo inoltre conto della durata della convivenza, ove il coniuge interessato alleghi, e provi, la stabilità e l'effettività della comunione di vita precedente al proprio matrimonio con il de cuius (v. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza numero 21247 del 23/07/2021). In particolare, la ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per l'ottenimento della stessa, deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando (alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale numero 419 del 1999) ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di reversibilità, da individuare facendo riferimento all'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge ed alle condizioni economiche dei due, nonché alla durata delle rispettive convivenze prematrimoniali. Non tutti questi elementi, peraltro, devono necessariamente concorrere né essere valutati in egual misura, rientrando nell'ambito del prudente apprezzamento del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto (Cass., Sez. L, Ordinanza numero 8263 del 28/04/2020). L'attribuzione delle quote della pensione di reversibilità ex articolo 9 L. numero 898 del 1970 a favore dell'ex coniuge divorziato e del coniuge già convivente e superstite, consegue, infatti, al principio solidaristico - secondo cui il meccanismo divisionale non è strumento di perequazione economica fra le posizioni degli aventi diritto, ma è preordinato alla continuazione della funzione di sostegno economico, assolta a favore dell'ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell'assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi - sicché la ripartizione del trattamento economico va effettuata, oltre che sulla base del criterio primario della durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, quali l'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, alle condizioni economiche dei due e alla durata delle rispettive convivenze prematrimoniali (Cass., Sez. 1, Sentenza numero 16093 del 21/09/2012), fermo restando che l'entità dell'assegno divorzile non costituisce un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso (Cass., Sez. 1, Sentenza numero 10391 del 21/06/2012; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza numero 5268 del 26/02/2020). D'altronde, nel negare la spettanza del trattamento di reversibilità al coniuge divorziato allorché il diritto all'assegno divorzile sia già stato definitivamente soddisfatto con la sua corresponsione in unica soluzione, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, Sentenza numero 22434 del 24/09/2018), muovendo dall'interpretazione che della normativa in esame ha dato la Corte costituzionale nella sentenza sopra menzionata, hanno rinvenuto il presupposto per l'attribuzione del trattamento di reversibilità a favore del coniuge divorziato nel venir meno del sostegno economico apportato in vita dall'ex coniuge scomparso e la sua finalità nel sopperire a tale perdita economica, così identificando la titolarità dell'assegno nella fruizione attuale, da parte del coniuge divorziato, di una somma periodicamente versata dall'ex coniuge. In particolare, secondo le Sezioni Unite, il requisito funzionale del trattamento di reversibilità è riconducibile al presupposto solidaristico finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell'ex coniuge, fermo restando che non si tratta di una mera continuazione post mortem dell'assegno di divorzio, ma si giustifica con le stesse ragioni che giustificavano il sostegno economico all'ex coniuge, anche se il quantum, in caso di concorso con il diritto del coniuge superstite, deve essere modulato sulla base della verifica giudiziale, diretta ad accertare gli elementi in fatto, che conducono a una ripartizione equa fra gli aventi diritto (Cass., Sez. U, Sentenza numero 22434 del 24/09/2018). Quanto appena detto, ovviamente, non mette in discussione la natura strettamente previdenziale della pensione di reversibilità (Cass., Sez. U, Sentenza numero 159 del 12/01/1998), che non può certamente identificarsi nella prosecuzione con altro debitore del diritto all'assegno divorzile del quale si era titolari nei confronti dell'ex coniuge, ma riconduce i presupposti del diritto alla pensione di reversibilità alla ratio della sua estensione al coniuge divorziato oltre che a quello superstite (Cass., Sez. L, Sentenza numero 20477 del 28/09/2020). 2.4. Nella specie, la Corte d'Appello ha, sul punto, statuito come segue: ...Se si considerasse solo il criterio della durata del matrimonio, come rilevato dal giudice di I grado si nota che il matrimonio della Me.Cl. col marito è durato circa 1/8 di quello tra il Fa.Pi. e l'ex moglie (quello della Me.Cl. è durato da aprile 2016 al maggio 2021 mentre quello tra il Fa.Pi. e la Fr.Ma. è durato 39 anni essendo stato celebrato nel maggio 1975 ed essendo intervenuto il divorzio nel 2014). Tuttavia correttamente il Tribunale ha ritenuto di dovere pervenire a una determinazione delle quote spettanti a moglie ed ex moglie facendo applicazione, a mitigazione del criterio della durata dei due matrimoni, anche dei criteri correttivi individuati dalla Corte Costituzionale nella pronuncia sopra citata considerato che la sig.ra Fr.Ma. percepisce una pensione di 648 Euro netti al mese mentre la Me.Cl. durante il matrimonio era mantenuta dal marito e ora è priva di fonti di reddito avendo smesso di percepire anche il reddito di cittadinanza. La Corte ritiene che la suddivisione di percentuali stabilita dal Tribunale (70% in favore dell'ex moglie e 30% in favore della moglie) sia equa e che l'applicazione dei criteri correttivi, a fronte di una così grande differenza di durata tra i due matrimoni (da quello con l'ex moglie sono anche nati due figli), non possa portare a incrementare la percentuale stabilita dal Tribunale in favore della Me.Cl.: in effetti la Fr.Ma. percepisce una pensione di 648 Euro mensili, tuttavia la sig.ra Me.Cl. oggi ha 56 anni e quindi è ancora in età lavorativa. La Me.Cl. afferma di non avere mai lavorato in costanza di matrimonio e di essere stata mantenuta dal marito; tuttavia il matrimonio col sig. Fa.Pi. è avvenuto nel 2016, quando la Me.Cl. aveva 48 anni, sicché prima di quel momento la stessa avrà per mantenersi sicuramente svolto una qualche attività lavorativa che ora ben potrebbe riprendere. Invece la Fr.Ma. ha 69 anni sicché sicuramente non può più lavorare. Inoltre è vero che la sig.ra Fr.Ma. percepisce una pensione di 648 Euro al mese, tuttavia la sig.ra Me.Cl. è stata nominata erede universale dal marito e, anche se dagli atti non emerge cosa abbia lasciato il Fa.Pi. al momento della morte, sicuramente nell'eredità del Fa.Pi. vi erano un immobile e denaro depositato su due conti correnti, come si ricava dal verbale di mediazione e dalla scrittura privata transattiva prodotti dalla difesa della Fr.Ma Considerati nel loro complesso tutti gli elementi sopra citati, la circostanza che la sig.ra Me.Cl., con l'attribuzione della percentuale del 70% della pensione di reversibilità del marito, arrivi a percepire una somma (circa 1.200 Euro al mese netti) ben superiore all'ammontare dell'assegno divorzile percepito al momento della morte del marito (357 Euro al mese) non rappresenta un elemento tale da giustificare una diversa modulazione delle percentuali: anche la Corte di Cassazione sul punto ha affermato che non è consentito individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso (sent. Cass 10391/2012; ord 5268/2020). E comunque il criterio della durata del matrimonio rimane pur sempre l'elemento preponderante... . 2.5. La Corte di merito, dunque, non solo non ha tenuto dell'entità dell'assegno divorzile come limite alla determinazione della quota di pensione di reversibilità, ma non ha valutato in alcun modo di tale elemento, aggiungendo che, comunque, il criterio della durata del matrimonio rimane pur sempre l'elemento preponderante. Tuttavia, il giudice non può creare in via d'interpretazione quell'astratto automatismo che, come precisato dalla Corte costituzionale, non è nella ratio dell'istituto. Come sopra evidenziato, è orientamento consolidato di questa Corte ritenere che, ove l'ex coniuge e il coniuge superstite abbiano entrambi i requisiti per la pensione di reversibilità, la determinazione della quota spettante a ciascuno di essi deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio legale della durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, e individuati dalla giurisprudenza, quali l'entità dell'assegno riconosciuto al coniuge divorziato, le condizioni economiche di entrambi e l'eventuale convivenza prematrimoniale. Il principio secondo il quale l'entità dell'assegno non costituisce un limite alla determinazione della quota di pensione di reversibilità non comporta che l'entità di tale assegno non debba essere in alcun modo valutato, essendo, anzi, la considerazione dello stesso fondamentale per consentire l'esplicazione, nella concreta fattispecie, della funzione solidaristica propria dell'istituto, volto a sopperire alla perdita del sostegno economico dato in vita dal lavoratore deceduto da parte di tutti gli aventi diritto. 3. In conclusione il ricorso deve essere accolto in applicazione del seguente principio: In tema di determinazione della quota di pensione di reversibilità all'ex coniuge divorziato ai sensi dell'articolo 9, comma 3, L. numero 898 del 1970, la quota spettante a quest'ultimo non deve necessariamente corrispondere all'importo dell'assegno divorzile, né tale quota di pensione ha in detto importo un tetto massimo non superabile, ma, in conformità all'interpretazione costituzionalmente orientata dell'istituto, tra gli elementi da valutare, senza alcun automatismo, deve essere compresa anche l'entità dell'assegno divorzile, in modo tale che l'attribuzione risponda alla finalità solidaristica propria dell'istituto, correlata alla perdita del sostegno economico apportato in vita dal lavoratore deceduto in favore di tutti gli aventi diritto. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, chiamata a statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. 4. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell'articolo 52 D.Lgs. numero 196 del 2003.   P.Q.M. La Corte: accoglie il ricorso, nei limiti di cui in motivazione, e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, chiamata a statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. Dispone che, in caso di diffusione, siano messe le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma dell'articolo 52 D.Lgs. numero 196 del 2003.