Il punto della Cassazione sui criteri di quantificazione del danno terminale

La sentenza in commento si pone sulla triste scia dei casi di lesione della salute per esposizione ad amianto nei luoghi di lavoro, con particolare riferimento alla responsabilità del committente rispetto ai lavoratori delle ditte appaltatrici e, soprattutto, alla quantificazione del c.d. danno terminale.

Il caso e le questioni Il caso riguarda gli eredi di un lavoratore di ditte appaltatrici che lavoravano nei cantieri della committente. La domanda di risarcimento dei danni si fonda sul nesso causale tra la condizione di nocività dell'ambiente di lavoro per l'esposizione all'amianto e il decesso per mesotelioma pleurico, nonché sull'inadempimento datoriale all'obbligo di prevenzione sulla base delle conoscenze scientifiche acquisite all'epoca. Le questioni riguardano la valutazione dell' articolo 2087 c.c. in presenza di amianto la quantificazione del danno terminale.   Questa seconda questione è la più interessante. La Corte di Appello aveva accolto parzialmente l'impugnazione degli eredi circa la quantificazione del danno non patrimoniale patito dal dante causa per la malattia contratta. Infatti, aveva ritenuto che il criterio più appropriato di liquidazione del danno non patrimoniale consiste nell' estendere all'intero periodo di malattia ndr. 477 giorni , e non solo ai primi cento giorni di questa, il calcolo che ha condotto a quantificare la somma di euro 79.851,00 dividendo detta somma per il numero dei giorni di malattia posti a base del relativo calcolo 79.851,00 100 giorni si ottiene il valore monetario medio pari ad euro 798,51 moltiplicando tale valore monetario per il numero totale dei giorni di malattia si ottiene la somma di euro 356.934,00, che ben può rappresentare l' adeguato ristoro al danno terminale , nella duplice componente del danno biologico e del danno morale, patito dal dante causa dei ricorrenti. Detta somma costituisce il corretto equivalente monetario del complessivo pregiudizio derivato al de cuius tanto dalla lesione all'integrità psico-fisica quanto dalla sofferenza morale causate dalla malattia ad esito infausto? Le soluzioni Sulla prima questione , la Cassazione è tranciante, perché si tratta purtroppo di profilo già scrutinato in passato, avendo riguardato l'esposizione ad amianto e la responsabilità della committente grande multinazionale la pericolosità intrinseca delle fibre dell'amianto era nota sin dall'inizio del secolo scorso e, dunque, da epoca ben anteriore all'inizio del rapporto di lavoro per cui è causa, tanto che l'uso di materiali che le contengono era sottoposto a particolari cautele, indipendentemente dalla concentrazione delle fibre. Nella specie, si imponeva, quindi, il concreto accertamento dell'adozione di misure idonee a ridurre il rischio connaturale all'impiego di materiale contenente amianto, in relazione alla norma di chiusura di cui all' articolo 2087 c.c. ed al d.P.R. numero 303 del 1956 l'onere della prova gravava sulla datrice di lavoro che avrebbe dovuto dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno prova liberatoria attraverso l'adozione di cautele previste in via generale e specifica delle suddette norme, essendo incontestato il nesso causale tra l'evento morte e l'attività svolta dal lavoratore in ambienti a contatto con l'amianto cfr. cfr. Cass. numero 8292 del 2019 e Cass. numero 7640 del 2019, che richiamano pure Cass. numero 22710 del 2015 Cass. numero 17978 del 2015 Cass. numero 6352 del 2015 Cass. numero 26590 del 2014 Cass. numero 16149 del 2014 Cass. numero 10425 del 2014 Cass. numero 18626 del 2013 Cass. numero 8204 del 2003 quanto alla responsabilità della committente che non era datrice di lavoro del lavoratore e per un periodo lavorativo, comunque, antecedente all'entrata in vigore dell' articolo 7 del d. lgs. numero 626 del 1994 , «la responsabilità del soggetto committente appare pienamente giustificata alla luce dell'interpretazione costituzionalmente orientata dall' articolo 2087 c.c. in quanto proprio le caratteristiche di nocività dei luoghi in cui veniva svolta l'attività lavorativa, rimasti, per come pacifico, nella sostanziale disponibilità e controllo della società Fincantieri, implicava l'assunzione a carico di quest'ultima dell'obbligo di sicurezza unitamente al soggetto datore di lavoro».   Più articolata è la seconda questione . Vi è la duplicità della componente del danno non patrimoniale risarcibile iure hereditatis in caso di morte causata da un illecito, distinguendo il danno morale terminale danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico consiste nel pregiudizio subìto dalla vittima in ragione della sofferenza provata nell'avvertire consapevolmente l'ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall'apprezzabilità dell'intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l'intensità della sofferenza medesima il danno biologico terminale , quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell'integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo.   Quanto alla quantificazione in equivalente pecuniario di tale tipologia di danni , ferma la natura intrinsecamente equitativa della stima per non avere il valore della persona un prezzo, la giurisprudenza di legittimità ha avallato tecniche di liquidazione del danno biologico commisurate alle tabelle che stimano l'inabilità temporanea assoluta con opportuni fattori di personalizzazione che tengano conto dell'entità e dell'intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile exitus Cass. numero 15491 del 2014 Cass. numero 23053 del 2009 Cass numero 3549 del 2004 . In concreto, la Suprema Corte opera una “carellata” di casi Cass. numero 17577/2019 ha respinto le censure rivolte ai giudici di merito che avevano utilizzato un criterio equitativo basato sul valore tabellare giornaliero della totale inabilità temporanea, incrementato di tre o quattro volte per la personalizzazione dovuta alle circostanze del caso concreto Cass. numero 17995/2019 ha confermato la decisione che aveva utilizzato un criterio equitativo basato sul valore tabellare giornaliero della totale inabilità temporanea, incrementato con un aumento dell'80% per la personalizzazione dovuta Cass. numero 4658/2024 ha ribadito la det erminazione del risarcimento dovuto a titolo di danno biologico iure hereditatis , nel caso in cui il danneggiato sia deceduto dopo un apprezzabile lasso di tempo dall'evento lesivo, parametrata alla menomazione dell'integrità psicofisica patita dallo stesso per quel determinato periodo di tempo, con commisurazione all'inabilità temporanea da adeguare alle circostanze del caso concreto, tenuto conto del fatto che, detto danno, se pure temporaneo, ha raggiunto la massima entità ed intensità, senza possibilità di recupero, atteso l'esito mortale Cass. numero 8292/2019 ha, invece, cassato la decisione dei giudici del merito che aveva liquidato il danno iure hereditatis rapportandolo non alla menomazione temporanea dell'integrità psico-fisica patita dai lavoratori deceduti, bensì alla invalidità permanente totale dei medesimi, come se questi fossero sopravvissuti alla malattia per il tempo corrispondente alla loro ordinaria speranza di vita per il diverso caso dell'invalidità temporanea che viene a cessare con l'adattamento dell'organismo alle mutate e degradate condizioni di salute – la cd. stabilizzazione - v. Cass. numero 35416/2022 , secondo cui il danno biologico subito dalla vittima dev'essere liquidato alla stregua di invalidità permanente.   Secondo i Giudici, la sentenza impugnata ha provveduto a liquidare il danno non patrimoniale cd. terminale, nella sua duplice componente biologica e morale ciò ha fatto mediante l'uso di valori medi giornalieri derivanti dalle tabelle per l'inabilità temporanea e attraverso personalizzazioni ritenute opportune quanto alla durata e agli incrementi percentuali la valutazione che ne deriva risulta scevra da automatismi e correlata alle circostanze del caso concreto e si è tradotta in un criterio equitativo ragionevole la cui misura non è suscettibile di sindacato ad opera di questa Corte senza sconfinare in una sostituzione nell'apprezzamento riservato ai giudici del merito.

Presidente Doronzo – Relatore Amendola Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.